Francesca Aste
Il materiale e il processo compositivo tra indeterminazione e necessità. Le Sonatas and Interludes per pianoforte preparato di John Cage


Indice:

Introduzione

1. IL MATERIALE

1.1 La preparazione e la poetica dell’indeterminazione

1.2 Analisi della struttura e analisi fondata sull’ascolto

1.3 Una circolarità di istanti

2. IL PROCESSO COMPOSITIVO

2.1 Comporre secondo le durate

2.2 Indeterminazione, aspetti autoregolativi e processo musicale

2.3 La metafora della cristallizzazione

2.4 Astrattismo e misticismo

3. UTOPIE SONORE

3.1 Musica come modificazione di sé

3.2 Il tratto sperimentale nell’America negli anni Quaranta


Introduzione

 Il nostro percorso parte dalla riflessione sulla natura del suono, la ricerca sul materiale musicale, per giungere all’analisi dell’agire poetico. Una cifra costante della sfaccettata produzione artistica di Cage è l’ossimorica compresenza di due fattori: l’esigenza di una libertà creatrice, che rileviamo nel materiale musicale, e la necessità di una forma che la contenga, che si esprime nel processo compositivo. Il materiale e il processo compositivo sono i luoghi di ricerca, ledirezioni su cui si articola il senso della nostra riflessione. Essi offrono, a nostro avviso, una visibilità sulle due linee di fuga della produzione artistica di Cage: l’esigenza di una libertà creativa e la necessità di una forma che giustifichi l’agire poetico.
Il
materiale è il darsi del suono, al di là del dirsi del musicista; esprime la molteplicità della vita stessa che sfugge ad ogni semplificazione logica, irriducibile ad una sistematizzazione formale che pretenda di ricostruire un’unità organica. Cage infatti distingue la struttura come organizzazione in cui il compositore ordina le proporzioni dalla forma concepita come “l’aspetto del mistero che avvolge talvolta la vita di un organismo”.
Il processo compositivo, che per le Sonatas and Interludes si concretizza nella struttura basata sulle durate, risponde ad un’urgenza formale. Esprime la riduzione dell’arbitrio soggettivo, per necessità di accoglienza nei confronti della dispersione che Cage riconosce nella natura eterogenea del suono.
Gli anni delle Sonatas and Interludes sono un periodo di mezzo dove le strade si incrociano, e in cui possiamo leggere due direzioni: una dal recente passato (lo sperimentalismo, l’amore per la ricerca timbrica, la dinamica di commistione tra suono- rumore- silenzio) e una verso il futuro ( l’alea, l’abdicazione della volontà soggettiva, la sostituzione dei suoni con i silenzi, le partiture grafiche).

1. Materiale

Il ciclo Sonatas and Interludes comprende 16 Sonate e 4 Interludi, ed è composto interamente per pianoforte preparato. Cage si dedicò a questa opera dal febbraio del 1946 al marzo del 1948.
Le
Sonatas and Interludes sono scritte secondo la notazione musicale tradizionale, con riferimento alle altezze e alla durata dei suoni, arricchita di numerose indicazioni dinamiche e di una pedalizzazione puntuale e precisa. Ma la preparazione modifica la risultante rendendola irriconoscibile dal punto di vista dell’altezza. Per quanto riguarda le Sonatas and Interludes l’unico parametro indeterminato è il timbro.
Altri aspetti “udibili”, quali i ritmo, la forma, la densità o rarefazione di eventi sonori, sono spesso piuttosto semplici e perfettamente leggibili in partitura.
Ciò che invece non è facilmente determinabile è il timbro di ogni nota, che comunque si mantiene circoscritto ai limiti di sonorità che possono essere prodotti da un pianoforte, per quanto preparato.
Anche la morfologia dell'inviluppo non può discostarsi troppo dal normale effetto di attacco e decadimento del pianoforte.
Le Sonatas and Interludes possono essere definite una partitura d’azione. La notazione, Cage utilizza qui quella tradizionale con riferimento all’altezza dei suoni, non indica quale nota sarà prodotta, bensì quali tasti devono essere abbassati, in una durata temporale precisa, anch’essa espressa nella notazione tradizionale.
Si potrebbe definirla anche una notazione gestuale poiché, di fatto, ad ogni tasto del pianoforte preparato corrisponde un suono del tutto diverso da quello di un normale pianoforte; inoltre il tradizionale rapporto tra lo strumento e il gesto dell’interprete è stravolto, a causa della relativa mancanza di controllo da parte dell’esecutore sul timbro dello strumento.
L’analisi può procedere su due piani: uno a partire dal manoscritto, l’altro dall’ascolto. Prenderemo a riferimento l’esecuzione di Giancarlo Cardini, uno dei maggiori interpreti e profondo conoscitore dell’opera di Cage.
L’ascolto ricopre sempre un momento fondativo per un’analisi estetico-musicologico. Ma riscontriamo una specificità nel caso delle Sonatas and Interludes.
L’invenzione del pianoforte preparato mette in evidenza una problematica che coinvolge l’intera storia della musica scritta: l’analisi deve distinguere tra l’oggetto sonoro, reperibile solamente nell’esperienza diretta dell’ascolto, e la forma grafica, spazialmente circoscritta nella partitura.
Ogni musica reca un’eccedenza sostanziale nell’avere come suo naturale compimento l’ascolto; se l’opera fosse riducibile al suo aspetto grafico avremmo davanti una radicale messa in discussione della consistenza ontologica dell’opera d’arte (limite sfiorato in 4’33’ di Cage, del 1952).
Lungi dal voler rappresentare un caso di nichilismo, la musica indeterminata rappresenta un luogo di frattura tra la scrittura e l’esecutore, tra il parametro lineare del tempo rappresentato dalla partitura scritta e il carattere “eventuale” dell’esecuzione.
Come esempi di questa poetica, citerei: il Concerto per pianoforte e orchestra di Cage del 1957- 1958, per 15 esecutori in qualsiasi combinazione e in cui il Solo per piano è costituito da 63 fogli mobili eseguibili, integralmente o parzialmente, in qualsiasi sequenza; le Inertsection o le Projections di Morton Feldman; il continuum spazio-temporale di Synergie o il grafismo aperto di December ’52 per pianoforte, flauto e violoncello di Earle Brown.
Questo tipo di musica esige una sensibilità particolarmente centrata sul suono, richiede all’ascoltatore la disposizione ad un’esperienza delle qualità astratte del suono; Feldman richiede dall’esecutore, e indirettamente dall’ascoltatore, una disposizione in grado di entrare in un’atmosfera “mistica e fisica”, sensuale, tattile con i suoni. Cage, che ebbe un continuo scambio con Feldman, definì la tale disposizione “erotica”.
Cage mette in discussione la reciprocità esecutore-strumento, sulla base di una pragmatica attitudine sperimentale che forse è sensibile anche alle riflessioni del compositore sul rapporto dell’uomo con la tecnologia.
Il rapporto esecutore-strumento viene modificato, ma non subisce una menomazione: dopotutto, è l'esecutore stesso a preparare lo strumento. Per quanto scrupolosamente egli si attenga alle indicazioni di Cage (che comunque rimangono approssimative), certamente verificherà l'effetto sonoro di ogni preparazione e correggerà o perfezionerà l'esatta disposizione degli oggetti inseriti nelle corde in base anche al proprio gusto.
La tastiera diviene uno strumento capace di azionare un’orchestra di timbri molto diversi tra loro.

…il pianoforte preparato delle Sonatas and Interludes può generare per sua natura una Klangfarbenmelodie.1

Cage cita spesso Schönberg, stabilendo col maestro un confronto su concetti, teorie e pratiche musicali . In questo caso il riferimento da parte di Cage alla klangfarbenmelodie di Schönberg non coinvolge lo svolgimento seriale della melodia di timbri, ma intende mettere in evidenza il carattere di indeterminazione della successione dei suoni nel pianoforte preparato.
Cage chiama
klangfarbenmelodie il risultato della preparazione poiché, per sua costituzione, ogni preparazione sarà diversa dall’altra. Ogni millimetrica inclinazione di una vite, il minimo spostamento, il cedere della materia nella compressione, altera notevolmente la sonorità risultante che il pianista azionerà con la leva del tasto.

Due aspetti interessano massimamente a Cage nel momento in cui si riferisce alla klangfarbenmelodie di Schönberg, riferimento che va circoscritto in una lettura assai personale del concetto schönberghiano: il carattere intrinseco di produzione automatica di materiale musicale sempre nuovo del pianoforte preparato; l’attenzione centrata sul timbro.
La ricerca compositiva di Cage, in particolare in questi anni, è orientata ad un approccio di tipo fenomenologico verso il fenomeno sonoro inteso e ascoltato come “manifestazione”, piuttosto che all’organizzazione delle tradizionali relazioni armoniche nel tempo. Cage rivolge la sua massima attenzione alla natura del suono in sé.

Ciò che mi interessa, è che i suoni siano… Essi sono. Ciò a loro basta, e anche a me. Un suono non possiede nulla, non più di quanto io lo possieda. Un suono non ha il suo essere, egli stesso non è certo di sopravvivere, se così si può dire, a quello che lo seguirà. Ciò che è strano è precisamente che sia apparso adesso, in questo preciso secondo. E dopo sia sparito. L’enigma è il processo. 2

La potenza autogenerativa di una materia musicale sempre nuova stabilisce per Cage un valore in sé, condividendo con il maestro Schönberg anche la convinzione che il nuovo è già di per sé un valore.

Si troverà il nuovo e anche se non sarà più giusto di quello che si è trovato prima sarà perlomeno nuovo, e il nuovo se non il vero è comunque bello.3

La relazione principale tra un materiale compositivo in continua modificazione e la complessa questione del gusto ci condurrà necessariamente a considerare, al termine di una analisi più dettagliata, la più ampia prospettiva di musica come modificazione di sé (self-alteration).

1.1 La preparazione e la poetica dell’indeterminazione

La tavolozza timbrica delle Sonatas and Interludes comprende 45 timbri diversi, rispetto ai 12 di Bacchanale, partitura coreutica del 1938, in occasione di uno spettacolo di danza della coreografa Syvilla Fort. Cage inventa il pianoforte preparato anche sulla suggestione del modo in cui Henry Cowell percuoteva o pizzicava le corde del pianoforte, facendovi anche scorrere sopra degli oggetti di varia natura.

Andai in cucina, presi un piatto per torte e lo misi con un libro sulle corde, e mi accorsi che stavo procedendo nella direzione giusta. L’unico problema con il piatto era che rimbalzava. Così presi un chiodo, e lo infilai tra le corde, ma il guaio era che scivolava via. Mi venne allora in mente di sostituire il chiodo con una vite di legno, e questa si rivelò la cosa giusta. E poi utilizzai guarnizioni di gomma, piccoli dadi in prossimità delle viti, e così via…provai con le cose più strane […] era come avere un’intera orchestra di percussioni a mia disposizione…4

Tavola delle preparazioni delle “Sonatas and Interludes”

Cage inserisce all’inizio della partitura la “tavola delle preparazioni” dove indica con molta precisione i tipi di materiali usati, l’altezza corrispondente alla corda su cui verranno posti; indica anche se verranno inseriti fra la 1 e la 2 corda o, come nel caso delle rubbers, tra tra 1, 2 e 3 corda.
Le note più basse sono preparate in modo più elaborato, soprattutto con bulloni di diversa lunghezza (
med., long e furniture bolt) e con gomma (rubber, eraser).
Nel registro medio acuto le corde sono preparate con viti (screw), diversi tipi di bulloni (bolt e nut) e gomma. Cage indica per ogni corda la distanza della (o delle) preparazioni dallo smorzatore, misurata in pollici. Tuttavia Cage stesso non pretende che ogni esecuzione riproduca un unicum con il più alto margine di verosimiglianza.


Ho già paragonato la selezione dei suoni per le Sonatas and Interludes a una selezione di conchiglie raccolte durante una passeggiata lungo una spiaggia. Essi non rappresentano altro che una collezione influenzata dal gusto. Il loro numero era aumentato dall’uso del pedale una corda, che portava ad alterazioni del timbro e della frequenza per molti dei tasti preparati. In termini di altezza, tuttavia, non v’è cambiamento rispetto ai suoni di Cosruction. In entrambi i casi viene rappresentata una gamma statica di suoni, nella quale non vi sono relazioni ripetute nell’ambito di due ottave. Tuttavia si potrebbero ascoltare differenze interessanti tra taluni di questi suoni. Premendo un tasto, talvolta si udiva una frequenza singola. In altri casi premendo una tasto si produceva un intervallo; in altri ancora un aggregato di altezze e timbri.5

L’interprete dovrà di volta in volta preparare il pianoforte secondo le indicazioni riportate in partitura. Il significato essenziale della sperimentazione operata sul pianoforte consiste però nell’impossibilità di trattenere le infinite possibilità della preparazione. Cage chiede all’esecutore di rivestire ogni volta il ruolo del compositore, dello sperimentatore che, con intento empirico, si dispone all’esplorazione del fenomeno sonoro.

Quando io appoggio per la prima volta degli oggetti all’interno del pianoforte, c’è il desiderio di possedere i suoni, in altre parole, di essere in grado di ripeterli. Ma quando la musica lascia la mia casa e va da piano a piano, e da pianista a pianista, diviene evidente non solo che un pianista è diverso da un altro, ma anche il pianoforte non è mai il medesimo. Invece della possibilità di ripetere, mi trovai di fronte alla vita con le sue caratteristiche e qualità uniche, davanti ad ogni occasione[…] Imparai a gioire delle cose come vengono, piuttosto che fissarle affinché siano come io voglio.6

La natura e la qualità dei materiali esterni al pianoforte saranno sempre diverse; inoltre ogni minima inclinazione degli oggetti fra le corde provoca una risultante anche molto diversa da un caso all’altro.
Oltre all’aspetto delle differenze soggettive da un esecutore all’altro, va ricordato che nella tavola delle preparazioni non viene indicato il tipo di pianoforte a cui ci si riferisce: questo determina un assoluto margine di indeterminazione, poiché la posizione degli oggetti da inserire fra le corde è espressa in pollici ma esistono misure diverse di code e notevoli differenze di telaio da un pianoforte ad un altro. Chi fa l’esperienza di comporre per pianoforte preparato, si accorge di come sia in sostanza impossibile stabilire con assoluta certezza molti parametri. Il telaio di uno Steinway, per citare ad esempio una fra le infinite incognite, è notevolmente diverso da quello di un pianoforte Yamaha, pur riferendosi a due code della stessa lunghezza: la sovrapposizione delle braccia del telaio in corrispondenza di un’altezza non può divenire sempre un riferimento affidabile da un pianoforte all’altro.
Tale principio d’indeterminazione, lungi dal costituire un problema per Cage, costituisce il cuore di una poetica che riconosce nell’esplorazione del fenomeno sonoro una metafora della molteplicità della vita stessa, e, identifica con la disposizione all’attraversamento, una più generale e fondante attitudine conoscitiva.

Ho imparato molte cose sul pianoforte preparato solo col trascorrere degli anni. All’inizio, per esempio non sapevo che devono essere fatte delle misurazioni esatte in riferimento alla posizione dell’oggetto fra le corde, e non sapevo che per riottenere un certo risultato si doveva conservare quella particolare vite o quel particolare bullone usati in origine. Tutto quello che sapevo in origine era il piacere che provavo in quel continuo scoprire. Questo piacere rimane a tutt’oggi inalterato perché le possibilità sono illimitate.7

Cage ha spesso dichiarato di assumere come principio compositivo l’“allontanamanto dall’unità” e “muoversi verso la molteplicità”: l’indeterminazione del pianoforte preparato ha in comune quest’istanza compositiva con opere molto diverse degli anni successivi, per cui Cage fa uso di metodi casuali. Come se l’abdicare alla propria soggettività, l’uscire dal proprio giudizio di gusto lo avesse aiutato a muoversi verso la molteplicità che è la vita stessa, e di cui l’uomo non è che una piccola componente.
Nel mare della “continua variazione” dell’opera di Cage, una frase racchiude il senso profondo della sua ricerca:

Trovo sia un’ottima cosa che la vita ci interrompa.8

E’ in questo senso che Cage invita l’esecutore a mettere le mani nello strumento, e a “tenere le orecchie ben aperte”. Cage fa di questa evidenza pragmatica uno strumento di ricerca: della musica non è messo in risalto la perfezione della composizione, ma la possibilità infinita del cambiamento. La considerazione legata al timbro e al materiale cambia radicalmente a partire da Imaginary Landscape no. 4.

Il mio interesse nei confronti dei timbri che cambiano è evidente nello String Quartet, in Construction in Metal e nelle Sonatas and Interludes. Ma questo argomento dl timbro, che è largamente una questione di gusto, mutò radicalmente in Imaginary Landscape no. 4. Devo confessare che il suono delle radio non mi era mai piaciuto. Con questo pezzo le mie orecchie si aprirono ad esse, il che rappresentava essenzialmente un abbandono del gusto personale relativamente al timbro […] In altre parole, mi accorgo che il mio gusto al timbro manca di senso della necessità, e scopro che quanto più lo abbandono, tanto maggiormente mi trovo ad ascoltare in modo sempre più accurato […]9

Ma tra il 1946 e il 1948 Cage affida ancora la composizione al proprio gusto personale. Riconoscendo il timbro “una questione di gusto”, il “metodo” usato nelle Sonatas and Interludes, ovvero la composizione nota per nota, è l’improvvisazione meditata attraverso la sperimentazione.
La scelta dei materiali, nel nostro caso le preparazioni, e il metodo determinano la “forma”. Cage definisce la forma come “contenuto espressivo” o “morfologia della continuità”: il continuum è qualcosa di “misterioso” che non è precedentemente determinabile in maniera razionale, ma emerge “libero”.
La nozione di struttura è un concetto centrale nel processo compositivo di Cage, in particolare in questi anni.
In un articolo che risale a poco dopo la conclusione del ciclo delle
Sonatas and Interludes, Cage afferma:

La struttura, nella musica è la sua divisibilità in parti sempre maggiori, dalle frasi alle lunghe sezioni. La forma è il contenuto, è la continuità. Il metodo è il mezzo per controllare la continuità di nota in nota. Materiali della musica sono il suono e il silenzio. Integrarli significa comporre. 10

Cage intende accogliere “tanto i rumori quanto i suoni cosiddetti musicali” all’interno del materiale compositivo.

Volevo includere il mondo dei rumori nell’opera musicale.11

Per fare ciò è obbligato a ridefinire la nozione di struttura, basata sul sistema tonale e sulle cadenze, dal momento che “i rumori non fanno parte delle cadenze.”12
Il rumore e il suono vengono posti su due piani differenti, cade perciò una mediazione linguistica.
Il rumore non è riconducibile ad un sistema di altezze, perciò una grammatica le cui leggi si sviluppano in una dimensione diatonica non possono valere per un suono la cui matericità evade da un siffatto criterio ordinatore, basato sulle strutture armoniche.
Se da una parte Cage vuole dirci che il suono è un mondo di cui noi facciamo un’esperienza di ordine estetico, dall’altra egli si preoccupa – assumendo il ruolo assolutamente tradizionale del compositore – di organizzare il materiale sonoro.
Esautorate le strutture armoniche, ed, insieme ad esse, tutto un sistema di significazione e ascolto che si fonda sul riconoscimento di tali articolazioni, resta il parametro quantitativo delle durate temporali, all’interno del quale non si può distinguere in maniera qualitativa il suono dal rumore.
Perciò, a partire dagli anni ’40, il criterio di organizzazione del materiale musicale si rivolge alla dimensione temporale, in un’accezione quantitativa: le parti che formano la composizione cominciano ad essere pensate in termini non più armonici, ma di durate. (Si veda qui il paragrafo “Comporre secondo le durate”).
Struttura e materiale sono due nozioni che fanno coppia. Cage si trova a strutturare non più secondo la tonalità, ma secondo il tempo, perché il tempo è una misura che finisce col riempirsi, e può accogliere anche i rumori e i silenzi.


Ogni volta che c’è una strutturazione del tempo, si può dividere questo tempo e introdurvi, a titolo di materiale, il silenzio. Ho cercato di fare come Satie o come Webern: chiarificare la struttura sia con i suoni sia con i silenzi.13

L’indeterminazione rimanda a fattori estetici legati alla percezione, ed è usata come mezzo espressivo per ottenere un certo risultato. L’indeterminazione esclude la precisa determinazione di alcuni parametri ( altezza, durata, timbro, intensità) per dare un margine di libertà all’esecutore, libertà che diviene non solo interpretazione ma entra a far parte della stessa identità formale dell’opera.
L’indeterminazione è dunque il contrario del caso che invece adotta un metodo che diviene la necessità. Se quindi il caso si affida alla
logica del metodo, l’indeterminazione fa affidamento sulla sensibilità dell’esecutore.

La musica, come ogni arte del ‘900, determina un radicale “sfondamento dell’orizzonte estetico”14.
E’ la fine della cosiddetta “cultura estetica” fondata nella “medialità sensibile” che identifica la sfera del sensibile con quella della bellezza, e l’idea di bellezza con quella di arte.
Questa continuità risale alla definizione di Baumgarten che declina l’estetica come “scienza della conoscenza sensibile” (gnoseologia inferior), “arte del bel pensare” e “teoria delle arti liberali”.
L’arte contemporanea segna un irrevocabile incrinarsi dell’identità fra la categoria di arte bella e il suo corrispondere al giudizio di gusto. Questo non significa la fine dell’estetica ma un allargamento del concetto, che evidentemente non coincide più con la cultura estetica moderna e le sue intenzioni contenutistiche (articolate attorno a categorie come ‘arte bella’, ‘gusto’, ‘genio’, ‘esteticità’).
Se è possibile per noi muoverci in un orizzonte estetico musicale ciò significa muoverci in un orizzonte articolato e non univoco, sempre modificabile, e tale da arricchirsi sempre dell’imprevedibile
15, in cui penetrano contributi di natura non solo normativa, legati al fare artistico, ma di natura filosofica e pragmatica.
L’esempio della sperimentazione sul pianoforte è un riferimento evidente di come la pragmatica influenzi l’estetica e il fare poetico: di come, in altre parole, l’estetica e quindi la critica debba tener conto di problemi concreti e delle condizioni d’ordine pragmatico del fare arte.
La vasta latitudine dell’estetica, come anche dell’estetica musicale, contemporanea si muove in un orizzonte in cui l’oggetto d’arte si trova in un nuovo e particolare rapporto con le circostanze culturali e il contesto storico: sotto lo stesso cielo non è concepibile una critica sul lavoro di Cage che ignori i ready-mades di Duchamp, l’arte di Warhol, Calder, il percorso creativo del Living Theatre e del movimento Fluxus.
Il comune denominatore di questo orizzonte eterogeneo è l’estetico, come cifra di partecipazione all’opera d’arte da parte del soggetto percipiente. Essa implica una reciprocità che riconosce la modificazione di sé come un valore propriamente estetico, oltre che come acquisto conoscitivo.

Cage intacca il cerchio d’oro dell’opus, dell’opera in sé conclusa.
Il compositore non si preoccupa che la sua opera per pianoforte preparato non possa costituire un unicum eternamente riproducibile. Egli ribadisce l’essenza estetica dell’opera d’arte, il suo “essereper- i-sensi”.
La critica al soggetto compositore, che si trova in nuce nella poetica dell’indeterminazione degli anni Quaranta e che si radicalizzerà nell’alea, difende il carattere essenzialmente estetico del fenomeno creativo.

1.2 Analisi della struttura e analisi fondata sull’ascolto

La struttura di ciascuna Sonata del ciclo ripropone la forma bipartita della sonata barocca con i ritornelli. Ciascuna parte è suddivisa in frasi (chiamate talvolta anche sezioni) contenenti un certo numero di battute. Ogni frase è delimitata nella partitura dal segno grafico della doppia barra.
Cercheremo di analizzare la struttura interna di alcune sonate del ciclo, e di ricostruirne le nascoste proporzioni.
La struttura corrisponde allo schema ritmico, organizzato secondo la lunghezza delle frasi.
Cage non indica sullo spartito lo schema ritmico delle
Sonatas and Interludes, come invece fa con molte altre composizioni di questo periodo. In lavori come A Room e in Music for Marcel Duchamp Cage dà lo schema ritmico complessivo del pezzo all’inizio della partitura, subito sopra la tavola della preparazione; vengono elencati i numeri corrispondenti alla quantità di battute che formano ogni sezione. La struttura di A Room, per esempio, è divisa in due parti, suddivise in 9 sezioni, ciascuna di 4, 7, 2, 5, 4, 7, 2, 3, 5 battute.
La sezione, generalmente, si basa su cellule ritmiche spesso distinguibili all’ascolto, che in pezzi piuttosto semplici come questo tendono ad una minimale ripetizione.
Per quanto riguarda le Sonatas and Interludes invece, Cage non rende esplicita la loro struttura, che noi cercheremo di ricavare dall’analisi della partitura.
Tale analisi ci permetterà di scoprire che molte Sonate e alcuni Interludi celano una struttura ritmica calcolata su proporzioni matematiche ben precise, e che la loro composizione, se nel metodo segue l’improvvisazione meditata e la sperimentazione dei materiali musicali, da un punto di vista strutturale-compositivo è organizzata a partire da un rigido ( e nascosto) ordine numerico.

Il primo dato che si presenta qualora si voglia effettuare un’analisi delle Sonatas and Interludes consiste nella constatazione che la struttura di molte sonate non risulta evidente all’ascolto.
L’ambiguità percettiva ha la sua ragione nei frequenti cambi di tempo (
Mosso, Molto mosso ed espressivo, Rubato), un’agogica estremamente dettagliata, i metri diversi.

(Seconda Sonata)

Inoltre Cage utilizza spesso figure ritmiche che eludono la quadratura metrica attraverso lo spostamento degli accenti. Per esempio: il raggruppamento delle figure di crome tra battuta 7 e 8 della seconda Sonata; l’ostinato di semiminime all’inizio della seconda parte della quarta Sonata. O ancora: nell’ ottava e nona sezione del Primo Interludio lo slittamento progressivo di una figura di sette crome all’interno di battute di 4/4.
La scrittura è inoltre ricca di gruppi irrazionali (terzine, quintine, settimine, nonine) anche a cavallo di battuta, che rendono difficile la percezione della pulsazione ritmica.
L’analisi procederà pertanto ponendo la massima attenzione al darsi dei suoni, parametro che privilegia l’ascolto estetico come il primo strumento per un’analisi critica.
Quindi prenderemo in considerazione per ogni Sonata e Interludio la struttura, lo schema ritmico, l’andamento, la forma, il timbro.

Piccola legenda:

Indicheremo con A la prima parte e con B la seconda parte, delimitate dalla doppia barra e dalsegno di ritornello, come in partitura. Di seguito elencheremo la quantità di battute che forma

ciascuna frase ( seguendo lo schema usato da Cage stesso in A Room, per esempio).

Sonata I

A: 7, 1, 2, 2:
B: 7, 7:

Questa Prima Sonata ben esprime il rapporto tra struttura e materiale, che trattiene il senso della nostra ricerca.
Come si è detto sopra, spesso la struttura non è percepibile all’ascolto, ma ciò diventa ulteriormente significativo nel momento in cui scopriamo che tale struttura si regge su proporzioni precise, matematicamente dedotte, e definite a priori. Esse stabiliscono un criterio, e la struttura si fa portatrice di un ordine razionale che stabilisce un senso parallelo a quello immediatamente percepibile del materiale, attraverso l’esperienza acustica.
Ciò che muove in noi un motivo di riflessione non è certo il rigore procedurale che sta alla base dell’agire poetico.
Ciò che stupisce e rivela è il fatto che tale processo poetico-compositivo, che si traduce nella struttura, rimane celato, misterioso, e sembra un’impostazione poetica opposta, se non il conflitto, con l’interesse specifico del compositore per la natura del suono.
Evidentemente processo compositivo ( concretizzato nella struttura) e materiale ( il fenomeno sonoro nella sua eterogeneità) convivono, e la loro coesistenza rivela due tensioni apparentemente opposte: l’esigenza di una libertà creativa (nel lavoro sul materiale) e l’esigenza di una forma che la contenga ( espressa nel processo compositivo).
Il rapporto tra
struttura e materiale - il filo rosso della nostra analisi –esprime musicalmente la dialettica tra una tendenza speculativa che si articola nell’astratto e, insieme, un’estetica ancora legata al fenomeno sonoro. Su questo specifico aspetto ci soffermeremo più avanti (Si veda qui “Astrattismo e misticismo”).
Nel caso specifico, questa Sonata, e non è la sola, rivela una struttura le cui proporzioni interne sono dedotte matematicamente e a priori.
E’ possibile osservare come la strutturazione di ciascuna sezione sia ricavata da semplici operazioni.
La lunghezza delle sezioni è determinata dal numero delle semiminime contenute per misura.
La prima sezione è composta di 7 miure da 2/2, e contiene quindi 28 semiminime; la seconda sezione, un’unica battuta in 7/4, ne contiene 7; la terza è formata da 4 misure, due di 6/4 e due di 9/8: la somma delle semiminime contenute dà 21. La seconda parte del brano è costituta a due sezioni lunghe rispettivamente 28 e 14 semiminime. Come si può facilmente notare ogni sezione è costituita da un numero di semiminime pari a 7 o a un multiplo di 7.

Dal punto di vista percettivo questa Sonata possiede un carattere di “irruzione”.
Il tempo ha un andamento spezzato, frammentato; è possibile riconoscere qualche motivo, ma non una vera e propria melodia. Prevalgono gli accordi sulle linee melodiche. Figure sincopate e terzinecaratterizzano il brano. L’andamento incede con una certa aggressività, temprata dalla dinamica che privilegia momenti di rarefazione in termini di volume, che sciolgono improvvisamente la tensione enunciativa. Vi sono grandi differenze dinamiche che vanno dal
ff al ppp.
Il timbro è metallico e asciutto, sordo, tranne isolati momenti ricchi di armonici grazie all’uso del pedale di risonanza ( B, batt. 6).

Sonata II

A: 5, 1, 2, 1, 2,1, 2, 1:
B: 5, 1, 2, 1, 5, 1, 3, 4, 2:

Nello schema che segue la riga superiore riporta il numero delle semiminime, la riga inferiore indica la durata in semiminime di ciascuna cellula motivica.

A conferma del fatto che la struttura è stata definita a tavolino, rileviamo l’elisione dell’ultimo ottavo della quarta cellula motivica della seconda sezione, per fare in modo che la sua durata risulti esattamente metà della durata della sezione precedente.
L’ultima sezione invece non risponde a questo criterio di corrispondenze numeriche.
Ciò potrebbe spiegarsi osservando come Cage si riservi talvolta di ignorare o di deviare dai presupposti su cui struttura la composizione, lasciando che l’irruzione di un elemento imprevisto interrompa  nasconda per un momento il piano prestabilito.
L’incedere è mosso, caratterizzato dalle acciaccature e da motivi sincopati; le figure ritmiche ( come l’ostinato a batt. 17-19) si interrompono spesso, provocando una sorta di inciampo del flusso temporale. La scrittura privilegia qui linee di singoli suoni e scale, alternate a molti silenzi, concentrati nelle frasi di 1 sola battuta in 3/8.
Alcune figure motiviche vengono riprese e variate nel corso della Sonata: la quartina di crome in una terza minore di batt. 2 e 3 ritorna, sempre alla mano sinistra a batt. 21, 22, 24 e 26.
Un'altra figura motivica ripresa variata è quella alla mano destra di batt.4-5 [ DO, MI bemolle, SOL, LA ] che ritorna,, a batt. 10-13 e ancora,variata per diminuzione, batt. 28 distribuita in maniera irregolare in una quintina e in una terzina.
Il timbro è metallico e percussivo.

Sonata III

A: 4, 1, 2, 1:
B: 4, 1, 2, 1 5, 1, 2, 14, 1, 2, 1:

La somma delle battute di ciascuna frase, tranne la seconda di B, col ritornello, dà il numero 16.
Il materiale melodico è ristretto a poche note, elaborate attraverso uno sviluppo motivico per aumentazione. La cellula motivica affidata alla mano destra a batt. 2 e 3 si ritrova esposta, variata per aumentazione a batt. 13, 22-23, 29-32.

(Terza Sonata)

Si osserva, dopo le prime 3 sezioni lunghe 34 semiminime ciascuna, un’ultima sezione di 42 semiminime e 1 ottavo. Anche in questo caso e’ evidente la presenza del massimo comune denominatore ( 8 semiminime e 1 ottavo) che sta alla base della struttura: 34= 8,5 x 4; 42= 8,5 x 5.
Andamento regolare interrotto da rapide figure in biscrome, in cui irrompono improvvisi silenzi che lasciano l’impressione dell’inciampo. Frequenti cambi di tempo, ritardi e figure irregolari contribuiscono a creare il carattere di ambiguità ritmica di questa Sonata che sembra continuamente entrare ed uscire, a singulto, dal tactus.
Il timbro è opaco, legnoso ma ricco di armonici, tra cui spicca il timbro da cimbalo del LA 2, che cadenza, nelle prime battute, l’andamento della mano sinistra.

Sonata IV

A: 10, 10,10:
B: 10, 10:

La prima parte è costituita da 3 frasi di 10 battute ciascuna; la seconda, è costituita da 2 della medesima proporzione. La somma delle battute contenute nelle parti più piccole con i ritornelli, dà il numero 100.
La tessitura è estremamente essenziale ed asciutta. La prima parte, scarna e minimale, alterna gesti veloci e sospesi a lunghe note isolate.
Vorrei prendere spunto da questa Sonata per aprire una riflessione sull’uso del silenzio in questo ciclo e in generale nelle opere di Cage di questi anni.
Giungeremo così a individuare due modalità di articolazione del silenzio all’interno della composizione opposte e assai significative per gli orientamenti poetici del compositore.
L’estetica del pianoforte preparato è fondata sulla dinamica tra suono-rumore e silenzio: il suono è raramente puro, pulito; talvolta dal magma informe di una materia sonora satura di armonici e riverberi sovrapposti l’uno sull’altro per mezzo del pedale di risonanza, emerge – potremmo dire “accade”- con effetto sorgivo, un suono pulito, libero dalla preparazione.
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Tranne alcune epifaniche apparizioni il materiale sonoro è intimo al rumore e all’impurità cromatica degli armonici.
Distinguiamo quindi due diversi tipi di silenzio.
Negli anni ‘40 per Cage comporre significa “strutturare secondo la durata” per cui “materiali della musica sono i suoni, compresi i rumori, e i silenzi”.
La musica di Cage degli anni ‘40 contiene ancora un contenuto espressivo: le
Sonatas and Interludes sono “un tentativo di mettere in musica le idee di Ramakrishna e i principi estetici dell’India”.
La forma scolpisce una dinamica di forze di attrazione e repulsione dei materiali, secondo il principio di “compenetrazione senza ostruzione” insegnato da T.D.Suzuki e che Cage fa proprio.
In questo periodo, fino al 1951, l’uso del silenzio da parte di Cage non è alternativo ai suoni ma è sostenuto da una dinamica di riconciliazione, compresenza, una “dinamica di forze”.
Sono i silenzi delle Sonatas and Interludes, delle Six Melodies for Piano and Violin, di Waiting, di Seven Haiku.
Coerentemente i silenzi, come suoni e rumori, sono definiti “silenzi espressivi”.
Va ricordato un episodio significativo. Nel 1951, con Sixteen Dances, Cage vuol sperimentare se può rispondere a una richiesta di “musica espressiva”, da parte del coreografo M.Cunningham, e per fare ciò si rivolge a metodi di composizione casuali, riconoscendo questo come un momento di passaggio: “Sono entrato con fiducia nel campo del casuale”.
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A partire dagli anni Cinquanta, con l’uso di metodi casuali, l’opera di Cage vive un passaggio che porta a modificare la complessa e profonda dinamica tra suono e silenzio. Dagli anni ’50 Cage intende scambiare i suoni con i silenzi: questo sta alla base di lavori come Concert for piano and orchestra, 4’33’’, di Ryoanji, di Fourteen.
Da questo momento i silenzi di Cage non sono più “silenzi espressivi”, da cui i suoni emergono come bolle sulla superficie dell’acqua, ma divengono “l’insieme dei suoni non voluti”.
Ci troviamo davanti ad un’urgenza estetica radicalmente diversa, che trasforma un materiale apparentemente identico.
La scelta poetica di “scambiare i suoni con i silenzi” non appartiene ad una svolta afasica, ma è conseguente ad un’estetica che cerca di allontanare l’arbitrio soggettivo dal processo compositivo, poetica che ha le sue radici sul rapporto tra arte e natura che Cage adotta dall’arte e dalle dottrine orientali. L’arrivo all’alea non è che l’estrema coerente conseguenza dei fondamentali presupposti  poetici contenuti già nella poetica del silenzio e dell’eterogeneità del fenomeno sonoro degli anni ‘40.
Questo delicato passaggio segna evidentemente un punto di rottura radicale da un punto di vista estetico: infatti, se prima è il compositore che, con una scelta personale di gusto, sceglie l’intreccio tra suono e rumore, dopo, sarà il caso a sostituire la sensibilità del compositore, e suono e silenzio si equivarranno sotto il titolo di materiali musicali.
La composizione secondo metodi casuali apre nuove prospettive sull’aspetto performativo dell’opera d’arte come “evento”, punta sulla percezione e radicalizza il contesto, la situazione; diviene scelta “politica” puntando sulla decostruzione dell’identità di esecutore, compositore, pubblico.
Le Sonatas and Interludes possono quindi anche essere analizzate da questa prospettiva, cioè come opera significativa di un periodo di mezzo: l’algida ambiguità di quest’opera racchiude le più complesse e profonde direttrici stilistiche del compositore, tra il suono percussivo e la sua intima e silenziosa ombra, tra il fine espressivo e la sua ascetica vocazione all’accoglienza di quel quid di indeterminazione che il pianoforte preparato contiene in sé, nella sua conformazione.
In quest’opera il suono-rumore non è ancora un’alternativa al silenzio ma ne è la sua corrispondenza sensibile.

(Quarta Sonata)

La seconda parte, molto breve, espone un ostinato ritmico in cui la figura di cinque semiminime slitta progressivamente attraverso misure binarie (2/2). L’ostinato si esaurisce velocemente nell’enunciazione di poche note, sciolte l’una dall’altra.

Interludio I

La struttura del primo interludio è ridotta ad un’unica grande sezione senza cambi di tempo, tutta in 4/4, e senza ritornello.
A: 15, 10, 5, 10, 10, 5, 10, 5, 10, 10

Le frasi sono strutturate su rapporti matematici semplici come i multipli di 5. La somma delle battute contenute nelle singole frasi dà 100.

Abbiamo un’unica linea, un fluire di minime interrotto da brevi sospensioni, respiri.
La scrittura è monodica; per la prima volta dall’inizio del ciclo, sono quasi del tutto assenti gli aggregati di timbri. Abbiamo un solo suono per volta.
Nella parte centrale una serie di ribattuti provoca un’ambiguità ritmica, nella totale assenza di accenti espressivi.
La VI frase (in esempio, dove è posta la doppia forcella) è caratterizzata da un ampio respiro dinamico, enfatizzato dalle numerose indicazioni di volume. Nella parte finale il Ritardando lascia evaporare gli armonici fin qui accumulati.
Il pedale di 1 c. avvolge l’asciuttezza di questo pezzo, dove è invece assente il pedale di destra, favorendo la dominanza di sonorità metalliche dall’effetto come di “sonagli”. Nella parte centrale v’è invece una prevalere dei timbri legnosi grazie alla gomma, specie il ribattuto minimale alla fine, che introduce la III frase.

(Primo Interludio)

Sonata V

A: 9, 9
B: 9, 9 4:

E’ la Sonata caratterizzata dalla maggior vivacità ritmica; ha qualcosa di tribale e primitivo, simile a Bacchanale, il primo pezzo di Cage per pianoforte preparato del 1938, composto per accompagnare uno spettacolo di danza della coreografa Syvilla Forth.
Rispetto alla regolarità ritmica iniziale, la seconda parte è più frazionata, irruente e violenta, a scatti. Alla mano sinistra sono affidate sonorità sorde e cupe, il timbro complessivo è percussivo.
Il brano è caratterizzato da un ostinato ritmico della mano sinistra che si presenta nella forma originale o in varianti per l’intera Sonata.
Dal tappeto opaco dell’ostinato affiorano alcuni suoni metallici come quello del MI bemolle, che dalla tavola delle preparazioni risulta essere fra le più complesse, poiché sulle corde vengono posti 3 differenti materiali: gomma, bullone e dado.
La Sonata implode in un sonoro finale assai statico. Anche qui ritoviamo, ancora una volta, la poetica dell’irruzione, ovvero la qualità di un gesto che irrompe improvviso, preciso e definitivo.

(Quinta Sonata)

Esso ci appare quasi ireale nel contesto, per l’assenza di una relazione graduale con il contesto; in questo caso, l’agocica serrata che precede i due suoni lunghi nel fortissimo della chiusa .
Tale qualità è propria dell’estetica orientale, per la quale la bellezza risiede nella semplicità come manifestazione diretta di uno stato naturale dell'espressione e il gesto immediato, istantaneo e in sé concluso ( si pensi alle movenze del teatro, non meno che alle qualità acustiche ed esecutive della musica tradizionale giapponese) produce l'opera finita e perfetta, senza l’esigenza di ripensamenti o correzioni.
Il senso della musica e dell'arte giapponese in generale è quello di una “istantanea, illuminante e superiore comprensione a cui si giunge non con un massimo di ricerca e intenzione, bensì con la felice libertà dell'esperienza”18.
E forse il senso delle parole di Cage che seguono qui sotto racchiudono proprio questo significato, senza nascondere una considerevole enfasi mistica.


Le coincidenze di eventi liberi con punti di tempo strutturali possiedono un carattere di speciale luminosità poiché, in tali momenti, si evidenzia la struttura paradossale della verità.19


Segue, per contrasto, una Sonata raggelata nel ritmo e nel timbro, una tra le più calme e astratte dell’intero Ciclo.

Sonata VI

A: 6, 6, 4:
B: 2:

Sonata estremamente eterea ed essenziale, costituita quasi interamente da un’unica linea melodica.
I suoni sono definiti isolatamente l’uno dall’altro, sospesi in un tempo immobile e rarefatto.
L’assoluta assenza di tensione ritmica fa di questa Sonata una delle più significative riguardo il principio poetico, oltre che etico, che Cage apprende da Suzuki espresso con il principio di compenetrazione senza ostruzione.
I suoni sembrano sospesi in un tempo senza movimento, come stelle senza costellazione, possiedono la bellezza che nasce da un unico gesto, separato dagli altri, senza concatenazione. La scrittura alterna lunghi suoni raggiunti con veloci gesti arpeggiati a rari aggregati timbrici. La linearità della tessitura e l’andamento di questa Sonata ricorda un altro brano di Cage di questi stessi anni: “Duet for voice & prepared piano”.
Gli eventi sonori sono giustapposti gli uni agli altri come una pluralità di centri che scolpisce spicchi di forma senza una circonferenza che la concluda.
Qui non c’è tempo che si consuma: ogni cosa è sospesa e conclusa in sé.
L’inattesa pienezza dell’espressione sembra fissare l’istante nello scorrere eterno del tempo.
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Sonata VII

A: 6, 8:
B: 6:

Il fraseggio si sviluppa prevalentemente per grado congiunto ( anche se questa indicazione ci dice più cose riguardo al gesto pianistico che all’effetto sonoro prodotto, che sfugge ad ogni “cromatismo”)
La tessitura, soprattutto nella seconda parte, diviene contrappuntistica a due voci.
Variazione continua di una elementare cellula tematica [FA diesis,LA bemolle, SOL].
Non c’è una melodia evidentemente riconoscibile, ma piuttosto una linea che procede con fluida sinuosità.
Un unico pedale di risonanza assieme al pedale di sinistra accompagna l’intero brano, favorendo l’accumulo del riverbero degli armonici.
Lo spessore timbrico di questa quieta sonata è creato dalla nebulosa di materia sonora, che crea un brusio di fondo indistinto. Il riverbero degli armonici, raggiunto un culmine di saturazione per accumulo, suona alle nostre orecchie come una sorta di rumore bianco.
L’andamento ritmico, che nella prima parte è più costante, ( prevalenza di quartine di semicrome e figure di crome) diviene, nella seconda parte, più irregolare grazie al Rubato
In questa Sonata è particolarmente evidente la contrapposizione timbrica fra le due mani: la mano destra utilizza prevalentemente suoni metallici, mentre la mano sinistra è caratterizzata da sonorità sorde e legnose.
Le sonorità metalliche dovute alle preparazioni delle corde richiamano, in generale nel pianoforte preparato, il timbro delle orchestre gamelan.

Sonata VIII

A: 7, 7:
B: 7, 7, 4:

Sonata dall’andamento ieratico realizzata con grande economia di mezzi.
Il materiale melodico della mano destra è quasi interamente derivato da una scelta di sole 4 note [SOL LA DO MI] mentre i bicordi della mano sinistra utilizzano una maggior varietà di suoni.

(Ottava Sonata)

La scrittura si presenta come una melodia accompagnata. La tessitura rarefatta lascia spazio ad un certo lirismo melodico.
Anche in questa Sonata un doppio pedale è presente dall’inizio alla fine del brano.

II Interludio

A: 8, 4, 4, 4, 6, 6, 32

In netta contrapposizione al clima della Sonata precedente il secondo Interludio irrompe con esuberanza e decisione.
La parte centrale alterna rapidi passaggi in biscrome ad aggregati timbrici statici e squillanti, per poi indugiare in un passaggio dove la mano sinistra riprende scale e frammenti di scale, anche in figure irrazionali che realizzano un progressivo rallentando ( batt. 28-32).
Un rapido ritorno alle figure più rapide e irregolari dell’inizio introduce la terza ed ultima parte dominata da un disteso ostinato ritmico che esalta la comparsa di timbri sorprendenti nei registri estremi della tastiera
Tutto tende alla tranquillità attraverso un diminuendo dalle ampie proporzioni, una progressiva rarefazione dei gesti e una dinamica che tende a smorzare la concitazione iniziale.

III Interludio

A: 8:
B: 7:
C: 5:
D: 4:
E: 1

Ritornano i gesti veloci come arpeggi e volate dalle sonorità graffianti e luminose.
Tali gesti non portano a suoni dal lungo riverbero. Il limitato uso del pedale di destra rende le sonorità asciutte e definite.
I motivi più caratteristici sfruttano il moto congiunto basato su scale di diverso tipo.
Nelle ultime due parti prevale una scrittura cromatica e una semplificazione dell’andamento ritmico.
La grande varietà di raggruppamenti ritmici spesso irrazionali rende impossibile riconoscere alcuna pulsazione ritmica.

(Terzo Interludio)

Sonata IX

A: 88, 8:
B: 12:

Alternanza netta e definita di pieni e vuoti, di suono e silenzio
L’andamento è moderato e anche i gesti più veloci risultano controllati.
Tessitura quasi contrappuntistica per l’intrecciarsi delle linee, che si intensifica nell’ultima parte.
Il timbro è cristallino ma quieto, contenuto nei toni dal mp al pp.
La tessitura privilegia il registro acuto, dalla sonorità più metallica, attutito dal pedale di sinistra.
Nella prima parte spiccano isolati aggregati timbrici dalla sonorità di campana.
Nella totale trasparenza della tessitura, che include molti silenzi, irrompono isolati episodi affidati al registro grave ( batt. 21-22, 25 e 27).

Sonata X

Struttura: AA, BB, C, D
A: 6:

B: 6:
C: 6
D: 6

Non risulta all’ascolto una tensione ritmica in questa Sonata interamene in 7/4.
Anche qui il piano procede sotto il segno della rarefazione in termini di durate e volume, fino al finale irreale che ripete in maniera minimale la stessa figura uguale per 4 battute.

(Decima Sonata, finale)

L’incipit si impone in ff con baldanza, accentato; tuttavia la scrittura è essenziale, senza eccessi di slancio, accompagnata da un pedale molto misurato.
Le frasi, mediamente di ampio respiro; la prima frase è al suo interno continuamente spezzata in frammenti che interrompono la fluidità dello scorrere del suono.
La seconda frase porta una maggior uniformità grazie a un diminuendo molto graduale, al tappeto del pedale di risonanza e alla scrittura per valori sempre più larghi.

Sonata XI

Torna la simmetria della micromacrostruttura in cui ciascuna parte minore si rispecchia nella struttura maggiore. Anche qui la somma delle battute dà 100.

A: 10, 10:
B: 10, 10, 10
C: 15:

La Sonata nasce dall’atmosfera creata dalla sonorità precedente. La qualità timbrica e dinamica è la medesima, anche se il colore è affidato a tasti differenti e perciò diverse preparazioni. Di fatto non c’è soluzione di continuità tra le due Sonate; la scrittura della seconda, una quartina spezzata fra le due mani su altezze distanti tra loro, sembra avviarsi, in un fluido continuum temporale, dall’ostinato ritmico e melodico che chiudeva la precedente.
La tessitura è più uniforme e accosta con trasparenza una linea interamente composta di crome che fluiscono regolari, agli accordi. La linea e l’accompagnamento per aggregati timbrici passa agilmente da una mano all’altra.

(Undicesima Sonata, b. 23-33)

L’andamento fluisce con continuità e un certo senso del mistero, palesato dall’accostamento misurato di dinamiche contrastanti: crescendo da batt. 1 a 9; poi improvviso p e pp a batt. 10.
L’atmosfera è ipnotica e lieve per la ripetizione elle cellule melodiche ( batt.20-25) e per il volume generale che oscilla tra
p e pp.

Sonata XII

A: 15:
B: 22:

La Sonata apre in 6/4, con incedere quasi di danza, cadenzata ed elegante.
Caratterizzata da valori larghi e uniformi, soprattutto nella I parte, è ferma e solenne.
Il timbro è squillante e l’enunciazione, affidata ad aggregati timbrici complessi, staglia un luminoso riverbero di armonici, grazie ad un unico, lungo pedale di risonanza.
La seconda parte offre un andamento più mosso grazie all’andamento cromatico e per grado congiunto della mano destra, che fluisce coprendo una notevole estensione della tastiera. Alla mano sinistra è invece andato una sorta di accompagnamento accordale.

IV Interludio

A: 8, 1:
B: 1, 8, 1:
C: 8, 1:
D: 10, 1:

Timbri acuti e metallici caratterizzano questo Interludio ricchissimo di indicazioni agogiche (accelerando, ritardando, poi di nuovo accelerando e ritardando, Meno mosso ed espressivo, Tempo, Allargando, Tempo meno mosso) e dinamiche. L’intera composizione è caratterizzata da un ampio uso di gruppi irrazionali (terzine, quintine e settimine). L’andamento è irrequieto, al contrario della Sonata che segue. La prima frase apre con un incedere mosso che diviene agitato e sfuggente nel corso del brano.
La seconda frase ripropone il motivo iniziale [ SOL, FA, MI, FA, SOL] variato per aumentazione, caratterizzato da un ritmo sincopato e dallo spostamento di accenti metrici.
Il senso di inquieta instabilità è enfatizzato dagli
accelerando e ritardando. Le cellule motiviche [SOL, FA, MI, FA, SOL] e [SOL, FA, MI, LA] ricompaiono ripetutamente nella terza frase organizzate in una settimina ( batt. 23) e in una settimina a cavallo di battuta ( batt. 24 e 25), celando l’identità della cellula motivica in un tempo sempre più smembrato e discontinuo.
Il carattere di irruzione è affidato alla sonorità particolare del RE 1, simile a quella di un cembalo a sonagli (batt. 24 e 25).

Sonata XIII

L’intero gruppo delle ultime 4 Sonate del ciclo cela una struttura uniforme, in quanto la somma delle battute, organizzate in maniera diversa in ciascuna sezione, dà sempre il numero 100.

A: 15:
B: 35:

In contrasto col precedente Interludio, la Sonata offre un andamento calmo, lento e regolare, da carillon. Anche qui appare il richiamo del cembalo, che caratterizza il RE 1 ( batt. 4), ma con un effetto più cadenzato all’interno del fluire regolare dei suoni.
I silenzi in questo brano non si contrappongono ai suoni, ma sono come ad essi sostanzialmente connaturati. I valori lunghissimi sfumano nel silenzio, lasciando all’orecchio dell’ascoltatore la scoperta della bellezza di sorgivi armonici, là dove sembrava non esserci più nulla.
Non v’è interruzione fra pieni e vuoti, fra suoni e silenzi; la sonorità complessiva è formata dalla massa di armonici che si arricchiscono via via di nuove sfumature cangianti sopra la cordiera del pianoforte, liberi di vibrare su un unico, lungo, pedale di risonanza.
Nella seconda pare che si avvia al finale la scrittura predilige il moto per grado congiunto proponendo sequenze regolari di suoni spazialmente molto vicini, uno dopo l’altro.

Sonata XIV

A: 20:
B: 30:

A conferma della quiete creata dalla XIII Sonata, la XIV Sonata ci introduce su un sentiero costituito da un quieto ostinato ritmico regolare, minimale, composto da due soli suoni che scendono di tanto in tanto verso il registro grave con arpeggi discendenti, nella totale e costante uguaglianza dei valori metrici.

(Quattordicesima Sonata)

E’ questa una delle Sonate più suggestive: per la ricchezza timbrica, per l’equilibrio formale, per la cura dei dettagli. L’ostinato iniziale affidato alla mano sinistra è caratterizzo da un timbro opaco e legnoso che ci conduce attraverso l’intero brano; nella seconda parte due nuove sonorità interrompono il senso di moto perpetuo che accompagna l’intera sonata: si tratta del FA nel registro centrale, uno dei rari suoni senza preparazione (a batt. 52 e 54) e il RE1 ( a batt. 56 e 58).
Questi due eventi non interrompono l’ostinato, ma semplicemente vi si sovrappongono, e catturano l’attenzione, risvegliandola dallo stato quasi ipnotico creato dalla ripetizione minimale.
Il RE 1 deve il suo timbro rotondo e pastoso alla gomma, infilata tra la corda del RE e sotto le vicine corde del DO diesis e del MI bemolle. La gomma aderisce morbidamente alla corda: il suono è pieno, profondo, come un gong carico di armonici gravi.
Il FA emerge puro e nitido su una materia sonora impastata e satura di riverberi, semplicemente perché è una delle poche corde senza preparazione.
Il loro timbro pulito, dal lungo riverbero ( come quello di un tradizionale pianoforte col pedale di risonanza) risalta sulla monotonia dell’ostinato come un riflesso su di uno specchio d’acqua, o “come bolle che affiorano sulla superficie del silenzio”, secondo l’espressione tanto amata da Cage.
Questa Sonata può ricordare A Room per pianoforte preparato, del 1943 (Cage fa anche una versione dello stesso brano per pianoforte senza preparazione). Anch’esso è caratterizzata da una figurazione ritmica minimale ed è diviso in due parti: la prima ripete essenzialmente l’ostinato ritmico, che costituisce il paesaggio sonoro, il continuum; la seconda introduce, sopra al movimento ipnotico, delle sonorità che si sovrappongono al moto indifferenziato con un effetto di profondità e di grande apertura.

Sonata XV

A: 20:
B: 30:

Costituisce la continuazione della XIV. La prima frase è un’elaborazione di elementi motivici della precedente Sonata, la seconda riprende il motivo e l’ormai ben riconoscibile ostinato ritmico. In ciascuna tornano, nello stesso ordine, i tre eventi sonori già analizzati.

Sonata XVI

A: 10, 10, 10, 5:
B: 10, 5:

L’incedere di quest’ultima Sonata, lenta e pacata, è cadenzato ed elegante.
L’incipit rivela una certa riconoscibilità motivica, vagamente modale.
Il timbro generale ricorda il colore dell’orchestra gamelan, caratterizzata da una predominanza di sonorità metalliche e cristalline.
La struttura della Sonata è piuttosto riconoscibile all’ascolto, grazie alla facile identificazione dell’incipit iniziale delle prime 4 battute e ai larghi valori in chiusura di ciascuna sezione.
La seconda parte è caratterizzata da una tessitura essenziale, che non perde il suo passo cadenzale nel lungo respiro: esso rimane anche nelle grandi aperture colme di silenzio in cui riverberano gli armonici, dove i suoni e i silenzi non sono contrapposti ma si compenetrano fondendosi gli uni con gli altri.
Il materiale della prima frase della seconda parte ruota attorno alle sole note della terzina [LA, SOL diesis, MI ], e si limita a minimali oscillazioni in una dinamica che va dal
pp al mp.
L’ultima frase chiude con la ripresa del motivo iniziale; l’agogica suggerisce “Meno mosso” e l’ultima indicazione dinamica è piano.
La forma complessiva di questa Sonata, che conclude in una progressiva diminuzione del volume e della velocità, è scolpita da una scrittura rarefatta ed essenziale.

1.3 Circolarità degli istanti

L’ascolto delle Sonatas and Interludes suscita un’impressione di staticità e, paradossalmente insieme, di discontinuità: la staticità deriva dall’apparente assenza di una forma, la discontinuità appartiene al darsi dell’evento.
Questo accadere discontinuo scandisce un tempo fatto di singoli istanti uguali a sé stessi e non in successione.
E’ opportuno rintracciare in alcune caratteristiche della concezione orientale del tempo un modello per questa particolare percezione del
tempo musicale.
Il tempo musicale nell’estetica orientale non è un tempo assoluto ma un tempo circolare, fatto di istanti compresenti e in eterno mutamento.
L’elemento metrico musicale in Occidente nasce dalla percezione del battito cardiaco o dalla scansione ritmica del passo, come il piede nella metrica poetica: sono misure numericamente musicabili.
La misura della musica giapponese è invece il respiro, unità flessibile e continua, meno cadenzata e più irregolare, dove la fine coincide con l’inizio.
Il tempo nel pensiero orientale si radica sulla concezione buddhista della natura secondo cui v’è una assoluta transitorietà e impermanenza della pluricità dei fenomeni. Il tempo giapponese è una circolazione di istanti identici a sé stessi.
L’immanenza è l’eventuarsi, non tanto intelligibile quanto percepibile, dell’eterno.
In questo orizzonte le qualità musicali del suono e del rumore si equivalgono. Il paesaggio sonoro, che contiene qualità musicali eterogenee come suoni, rumori e silenzi, viene considerato uno sfondo naturale, non da eliminare e tantomeno in teorica contrapposizione a una melodia che assuma il primato del soggetto.
L’attenzione dell’arte musicale rivolta al suono in sé stabilisce la percezione del mondo sonoro come un continuum.
Questo tipo di percezione stabilisce una differenza radicale con l’arte musicale europea che riconduce la continuità ad un tempo narrativo.
La musica orientale fa riferimento alla categoria di un tempo eterno ed immanente in ogni istante, che esprime una tensione universale e contenuti non soggettivi; la musica occidentale fa riferimento al tempo psicologico-soggettivo, che conduce l’arte ad essere espressione del singolo.
La riflessione di Cage attorno ai termini materiale, struttura, metodo e forma musicali parte a sua volta da una diversa considerazione del tempo nella musica, come suo naturale contenitore, e come parametro ineliminabile del nostro modo di porci in relazioni con i suoni.

Il ritmo, nel caso strutturale, è costituito dalle relazioni fra gli intervalli di tempo. Cose come l’accento ritmico in battere o levare, regolarmente ricorrente o meno, la pulsazione con o senza ictus, costante o non costante,[…]sono faccende di impiego formale[…]. Nel caso di una anno, la struttura ritmica è un fatto di stagioni, mesi, settimane o giorni. Altre lunghezze, quelle per esempio che si verificano nel caso di un incendio, o nell’esecuzione di un pezzo di musica, si verificano liberamente o accidentalmente, senza che si riconosca affatto esplicitamente un ordine generale, ma, non dimeno si trovano necessariamente all’interno di tale ordine.

Che cosa è il suono per Cage, in questi anni? Quel concetto corrisponde al manifestarsi discontinuo della vita. Lo spazio che accoglie tale manifestazione è il vuoto, che corrisponde al silenzio.
Non si tratta di una visione nichilistica, una dichiarazione di crisi afasica del compositore. Cage parla di silenzio non come “nihil” ma come
indeterminazione che accoglie tutte le possibilità non ancora manifestate; è spazio aperto all’insorgenza dei fenomeni; è immanenza di presenza e assenza, spinoziana affermazione della vita nel suo ordine eterno ed immanente.
I presupposti estetici delle Sonatas and Interludes vanno rintracciati, oltre che in una pragmatica sperimentale, anche nei principi dell’arte orientale, dal momento che Cage orienta verso di loro la propria ricerca artistica a partire dagli anni ’40.

Il silenzio, per Cage, corrisponde a luogo sorgivo; è
vuoto che accoglie l’eventualità della manifestazione, insieme delle possibilità non manifestate e ospita lo spazio-tempo dell’azione poetica. Il silenzio è anche disciplina e dono che fa da misura alla pratica dell’ascolto, un’attività di percezione costante.
La bellezza risiede negli impasti timbrici in assenza di strutture intervallari di riferimento; nell’accadere discontinuo di suoni e silenzi; nell’emergere di particolari sonorità dall’opaca e indistinta risonanza creata dagli armonici.

(Sedicesima Sonata; finale)

Va distinto, a questo punto, l’uso del rumore nelle Sonatas and Interludes dal bruitismo delle Construction in Metal o dal primitivismo ritmico, per esempio, del primo pezzo per pianoforte preparato, Baccanale (1938).
Esse sono per lo più portatrici di un gesto brusco e deciso: l’introduzione dei rumori nella continuità della musica.
Potremmo dire che le opere citate sopra sono caratterizzate da un uso spesso strettamente percussivo del pianoforte preparato, nel senso di un’enfasi che fa leva principalmente su pattern ritmici.
Accanto ad esse Cage compone opere sensibilmente diverse, come
A Room, Six Melodies for Violin and Piano e soprattutto il ciclo delle Sonatas and Interludes. Si tratta di un materiale essenziale e delicatissimo che fonde spesso la sua matericità con il timbro evanescente degli armonici o negli impasti impuri della preparazione; il fraseggio si articola in un sapiente uso del pedale di risonanza, funzionale ad una dialettica di attrazione e repulsione dei suoni e dei silenzi. Il tempo musicale è divenuto misura vuota, contenitore in cui affiorano i suoni, secondo una metafora di Thoreau molto amata da Cage:

come bolle che scoppiano sulla superficie del silenzio.21

La ricerca sul suono, raffinata e complessa, è affidata alla sensibilità ed esperienza dell’interprete. Per esempio nelle Six Melodies for Violin and Piano la parte del violino è costituita quasi totalmente sugli armonici complessi, disposti in linee singole dai passaggi repentini o addirittura in aggregati dalla difficile esecuzione; nei pezzi più veloci poi la linea ritmica è spezzata tra i due strumenti, il che richiede agli interpreti un’estrema precisione e fluidità.
Per Cage il centro attorno a cui gravitano tutte le forze, le diramazioni, le infinite possibilità, è il silenzio. Il silenzio è il centro immobile, é spinta ad agire, impulso, “motore immobile”. E’la norma.

Il punto, che costituisce il cardine della norma, è il centro immobile di una circonferenza sul cui contorno ruotano tutte le contingenze, le distinzioni e le individualità22.

Da limite estremo il silenzio diviene fondamento, principio della musica. Il punto-istante è l'origine da cui si sviluppa la forma.
L’osservazione del mondo della natura rivela come tale dinamica sia riprodotta e osservabile in numerose immagini del mondo fisico, dai cristalli alla forma a spirale della conchiglia. Il rapporto tra l’arte e la Natura è un cardine della poetica di Cage, il quale afferma che l'arte deve infine imitare la Natura, nel suo modus operandi.
E’ fondamentale tener presente il modo in cui Cage considerava la natura del suono.
 

Un suono non considera se stesso come un pensiero, come una necessità come elemento cui occorre un altro suono per chiarirsi; è impiegato nella manifestazione delle proprie caratteristiche: prima di svanire deve aver reso perfettamente esatti la propria frequenza, intensità, durata,il proprio spettro sonoro, nonché la morfologia esatta di tali fattori di sé. Urgente, unico, ignaro di ogni storia o teoria, posto oltre l’immaginazione, centrale rispetto ad una sfera priva di superficie, il suo divenire non ha ostacoli, si spande per energia.23

Il suono, aggiunge, “non esiste come livello tra una serie di livelli discreti ma come trasmissione in ogni direzione dal centro del campo.”

E’ evidente come Cage abbia una considerazione energetica del fenomeno sonoro: il suono esiste, si manifesta, si espande e si esaurisce secondo una dinamica delle forze.

La dinamica di manifestazione del fenomeno sonoro è esprimibile con una proposizione di Spinoza, tratta dall’Etica “La forza con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere non è altro che la sua attuale essenza.”24
L’essenza della natura del suono secondo Cage è “Conatus in suo esse perseverandi”. Il suono, come il conatus, persevera nella manifestazione necessaria di ciò che sono le sue precise caratteristiche (spettro sonoro, intensità, durata) fino all’esaurimento delle proprie energie, per emanazione.

2. Il Processo Compositivo

2.1 Comporre secondo le durate

Cage negli anni delle Sonatas and Interludes sente la necessità di riformulare il linguaggio musicale partendo dalle durate, ossia dal tempo. La composizione secondo le durate di Cage è una soluzione creativa che si misura con l’intenzione di svincolare il suono, “materia viva”, dall’asservimento a funzioni espressive.
E’ un tentativo di conciliare un’istanza poetica con la natura del materiale: secondo Cage la materia sonora, il mondo dei suoni, è misteriosa ed infinitamente più ricca in natura di come risulta nell’organizzazione della tradizionale logica compositiva.
A partire dalla centralità accordata al materiale Cage elabora prima la composizione secondo le durate da cui ricava la struttura; poi, in un secondo momento, la composizione secondo metodi casuali.

La struttura del pezzo corrisponde ad una struttura ritmica basata sulle durate delle cellule ritmiche. Questo tipo di composizione non è affatto casuale o indeterminata: il compositore determina lo schema ritmico del pezzo fin dall’inizio.
Per esempio ogni parte di una Sonata può essere divisa in numero preciso di frasi o sezioni, e ciascuna racchiude un numero determinato di battute caratterizzate da uno schema ritmico elementare. Tuttavia è spesso molto difficile riconoscere la divisione delle frasi ad un ascolto che non si serva della partitura; la struttura viene celata, nel senso che al mutamento della frase non sempre corrisponde, a livello percettivo d’ascolto, un cambiamento ritmico evidente.
Cage dà all’inizio della partitura, lo schema ritmico complessivo del pezzo, indicando con i numeri le sezioni che compongono la macro struttura.
Fondamento della composizione non sarà il rapporto verticale fra i suoni ma la loro organizzazione nel tempo. Questa è quello che egli chiama
struttura. E’ fondamentale qui tenere presente la sua concezione della musica per cui “l’arte deve imitare la natura nel suo modo d’agire”. E’ una scelta poetica che ha un presupposto estetico: non escludere i silenzi e i rumori dalla composizione musicale.
Le opere degli anni ‘40, prima cioè dell’adozione da parte di Cage di metodi casuali per la composizione, sono caratterizzate dalla sperimentazione timbrica: egli compone soprattutto per ensemble di percussioni, e a questi anni risale l’invenzione del pianoforte preparato e il ciclo delle Sonatas and Interludes (1946-1948).
La necessità della poetica di Cage verte attorno alla decostruzione del temperamento equabile basato sulla scala diatonica ( da cui nascono tanto l’armonia tonale e atonale quanto la dodecafonia di Schönberg ); alla equivalenza tra suono e rumore e al tramonto della centralità accordata alle strutture armoniche che si compie con maggior evidenza nei pezzi per percussioni, dove i pattern ritmici soppiantano il primato delle scelte diastematiche con una nuova organizzazione del tempo musicale.

Le parti che formano la composizione cominciano ad essere pensate in termini non più armonici, ma di durate. Le durate portano la musica ad una dimensione temporale, ma in un’accezione quantitativa.
La struttura è definita da Cage stesso micromacrocosmica, poiché le parti maggiori riproducono la medesima proporzione di ciascuna parte minore al proprio interno. La struttura che Cage definisce micromacrocosmica ripropone la teoria dei frattali secondo la quale ciascuna parte di un organismo, a un certo livello, si rispecchia nella struttura a un altro livello (come nella foglia di felce).
Il pezzo cresce per espansione delle potenzialità dei materiali già contenute tutte nella cellula motivica; allo stesso modo un cristallo cresce dall’energia di un atomo, in ogni sua direzione.

…l’idea che sto descrivendo concepita in modo indipendente, ha a che fare con la fraseologia di una composizione con un inizio e una fine. Chiamo questo principio micro-macrocosmico perché le piccole parti sono messe i relazione le une all’altra nello stesso modo in cui lo sono le parti più grandi. Il fatto dell’identità del numero di misure e del numero di parti, o, in altreparole, l’esistenza della radice quadrata dell’intero, è un sine qua non essenziale, se si vuole che il grande sia riflesso nel piccolo e il piccolo nel grande. Mi rendo conto che sono possibili altre strutture ritmiche. Appena ho concepito questa, ho pensato alla sua semplicità, dovuta alla perfetta simmetria. Le sue possibilità tuttavia sembrano essere inesauribili, e per questo, da quando l’ho trovata, non me ne sono mai discostato.25

L’accezione quantitativa delle durate temporali fa sì che la temporalità della musica –riferita soprattutto al continuum melodico- si sottragga ad un’articolazione qualitativa che rimanda al soggetto e alla memoria.
Significa mettere in discussione l’ascolto come luogo di riconoscimento di una forma.
Il fatto di riferirsi alle durate temporali piuttosto che alla riconoscibilità dello sviluppo armonico elimina una serie di meccanismi di attesa e riconoscimento da parte dell’ascoltatore, mettendo in discussione la funzione espressiva della musica.
Inoltre sbarazzarsi in maniera così radicale del sistema tonale, e, ancor più, del sistema temperato (su cui si è retta la tradizione e l’orecchio musicale occidentale del 1500 al 1900) equivale ad esautorare una cultura che era divenuta e riconosciuta come una seconda natura.
Negare all’orecchio dell’ascoltatore la possibilità di ricostruire un proprio percorso attraverso l’ascolto di un pezzo significa estromettere dal dispositivo la memoria, ovvero, il soggetto.
Negli anni ‘40 questa è una direzione, che caratterizza parzialmente le opere che ci interessano. La memoria si può fondare anche sul
ritmo, e la scansione ritmica costituisce ancora, in alcune Sonate, un evidente elemento compositivo.
Cage considera la dimensione temporale come la vera essenza di ogni struttura musicale e la dimensione quantitativa delle durate riferita al tempo musicale e al ritmo si sostituisce ad una percezione temporale che fonda il suo esserci sull’emotività del soggetto.
Il ritmo non è affatto un elemento estraneo alla tradizione musicale occidentale, per quanto le durate temporali sono trattate come annotazioni di carattere secondario, in posizione subalterna rispetto all’armonia fondata sulle altezze.

Cage ha sostituito una relazione aritmetica fra le durate dei suoni alle tradizionali relazioni aritmetiche fra le loro altezze. Egli ha isolato il ritmo come elemento compositivo e gli ha dato un’indipendenza che prima non aveva.26

Tuttavia non si può non tener conto, all’interno della tradizione musicale occidentale, dell’importanza delle durate temporali nella teoria del contrappunto fiammingo , nei procedimenti per aumentazione, diminuzione etc.
Il principio di una composizione basata sulla durata dei suoni esprimerà in pieno la propria potenzialità negli anni seguenti, nella fase aleatoria, dove verranno introdotti nell’orizzonte estetico elementi accidentali, cioè del tutto indipendenti dalla volontà e dalle intenzioni dell’artista.

2.2 Indeterminazione, aspetti autoregolativi e processo musicale

La centralità accordata al timbro e alla natura del suono è un perno che giustifica e ci aiuta a comprendere la scelte stilistiche del compositore, apparentemente molto distanti, appena pochi anni dopo la composizione delle Sonatas and Interludes: la composizione secondo le durate e l’indeterminazione degli anni ‘40 non sono che un passo verso il totale abbandono del compositore all’alea.
La ricerca sulla natura del suono si evolve in una
considerazione sempre più autonoma ed estesa dei suoni, che finiscono per coincidere con la molteplicità della vita stessa.

Il mondo, il reale non è un oggetto. E’ un processo.27

Per quanto riguarda le Sonatas and Interludes l’estetica è ancora plasmata sulla pragmatica, il che rende questo ciclo compositivo, una trama assai fitta in cui convergo diversi orientamenti poetici, e da cui si diramano molteplici soluzioni stilistiche.
Sullo sfondo vi sono due modalità compositive: la modalità della
struttura ritmica secondo le durate e quella del processo, due specifiche direzioni che ridiscutono l’agire poetico nel tentativo di discostarsi dai convenzionali metodi della tradizione musicale occidentale, sviluppata soprattutto nel 19° secolo, che privilegia l’espressione della soggettività del compositore.

Il termine processo può rivestire diversi significati. L’abbiamo già usato fin dall’inizio del nostro articolo per indicare il “procedimento compositivo”, il modo cioè in cui è organizzato il materiale musicale; nel caso delle Sonatas and Interludes coincide con la composizione secondo le durate, che si concretizza nella struttura. Un altro significato di processo è quello di “legge generativa di un decorso musicale”, ovvero un meccanismo che regola il costituirsi della forma di un pezzo. Un esempio di questo tipo di significato di processo musicale è l’automatismo combinatorio di Franco Donatoni, segnato dall’assoluta necessità del caso (sulla suggestione dell’alea cageana). Qui il processo compositivo instaura un automatismo, e il compositore si affida ad un’altra necessità.
Detronizzato il soggetto demiurgo, l’automatismo è la matrice di una forma sorgiva, “apre uno spazio non finalisticamente determinato da una volontà”, ma crea le condizioni di possibilità per il formarsi di una musica intesa come processo combinatorio, per “processo di proliferazione”
28.
Un altro esempio è la musica come processo graduale di Steve Reich, come recita il titolo del suo saggio del 1968. Reich paragona l’ ascolto e l’esecuzione di un processo musicale ad azioni come il mettere in moto un’altalena e osservare il movimento fino al suo graduale ritorno allo stato iniziale, ovvero l’immobilità (si pensi a un pezzo come Piano Phase del 1967 per due pianoforti).

Comporre secondo la modalità del processo significa isolare un aspetto (timbrico, armonico, sintattico, ritmico etc.), un modulo (che può essere un altezza intervallare, o un pattern ritmico, o una figura cadenzale, o una articolazione sintattica), e riproporlo variandolo.
Il processo lavora su un “unico mai identico a sé”; lo sviluppo invece lavora su “un singolo” in evoluzione, come nella Forma Sonata, su un modulo che diviene tema proprio perché esso ci guida, come un personaggio attraverso il tempo del racconto.
Le cellule vengono assemblate secondo la logica del processo, senza sviluppo; la struttura ricavata costituirà la forma dell’intero brano.
Il modulo viene sviluppato come una cellula chiusa, non in relazione con la forma unitaria del pezzo, come nel caso dello sviluppo di un tema nella Forma Sonata.
Nella tradizione musicale occidentale, la cui parabola tocca un vertice nel Romanticismo, il tema vive e patisce all’interno di una serie di articolazioni che lo riconoscono come soggetto. Egli ne viene trasformato, lacerato, esaltato, e attraverso un tempo che condivide con l’ascoltatore egli percorre il senso di un divenire temporale. Sul tema convergono tensioni e articolazioni sintattiche che assumono senso e significato nella memoria del singolo ascoltatore: il tema viene esposto, sviluppato, trasformato e poi ripreso, identico a sé come nell’esposizione, e la sua forza accentratrice si espande positivamente richiamando a se anche la tonalità di ciò che all’inizio era a lui diverso. Infatti il secondo tema, laddove ci sia, nella ripresa viene ripresentato nella tonalità d’impianto del primo.
Lo sviluppo disegna quindi un racconto che si articola grazie alla natura simbolica del divenire temporale della musica. Questa modalità compositiva poggia necessariamente sul riconoscimento della memoria soggettiva e su una determinata modalità di partecipazione da parte dell’ascoltatore.
Bergson paragona il fluire interiore del tempo alla continuità temporale della melodia.

Una melodia che ascoltiamo con gli occhi chiusi, concentrandoci esclusivamente in essa, coincide quasi completamente con quel tempo che è la fluidità stessa della nostra vita interiore.29

Sia la struttura, come modalità compositiva sperimentata da Cage nelle Sonatas and Interludes, sia la modalità del processo rifiutano invece di sviluppare la musica attraverso articolazioni sintattiche che assumono senso in relazione alla memoria dell’ascoltatore; rifiutano entrambe il riconoscimento della forma musicale sulla base dell’articolazione simbolica dei suoni nel tempo.
Se infatti nella parte dell’analisi abbiamo messo in rilievo l’esigenza espressiva contenuta nelle Sonatas and Interludes, rilevata nel metodo, essa non è tuttavia sempre identificabile nella conduzione formale. L’esperienza dell’ascolto rileva senza dubbio l’appartenenza di questa musica ad una sensibilità musicale totalmente nuova, e quindi non riconducibile ad un’analisi formale secondo le categorie tradizionali.
Questo è un presupposto importante per capire come le
Sonatas and Interludes si trovino liminari e ibride rispetto ai due atteggiamenti compositivi. Riformulando una struttura che non dipenda dai rapporti armonici, con l’ eliminazione del parametro delle altezze e il privilegiare quello delle durate, Cage sottrae la musica al continuum melodico come parametro principale.
Si fa avanti una considerazione monadica del fenomeno sonoro: la cellula musicale è un una parte e un tutto in sé concluso.
Essa riproduce in sé, come un microcosmo aperto, la costruzione della macroforma dell’intera composizione.
La composizione, di conseguenza, non sviluppa ma giustappone. E’ una dinamica olistica del comporre in cui ogni cellula è chiusa, ma dove ogni cambiamento provoca la modificazione dell’intera costruzione.

…l’immagine non è più un torrente che scorre tra le rocce, muovendosi dalla sorgente sino a dove sfocia; è come spiegava Tenney: un insieme vibrante, dove ogni aggiunta o sottrazione di elemento, indipendentemente dalla apparente posizione all’interno del sistema, produce alterazioni, una musica diversa.30

Lo sviluppo descrive un oggetto, definito per esclusione di ciò che non è. All’opposto il processo si qualifica come la totalità delle relazioni, all’interno della quale la parte (nel nostro caso la cellula musicale) s’inscrive aperta. Il vuoto costituisce la possibilità di ritrovare la natura eventuale del fare artistico.
Questo è possibile a partire da un vuoto: nel caso della musica è il tempo lo spazio vuoto, una misura che può contenere qualsiasi oggetto sonoro; per Burri è il nero del cretto, come l’assoluta matericità del colore in Rotchko è un’espressione diversa della stessa metafora filosofica. Il tempo musicale, già a partire dagli anni ’40, è dunque una misura in cui sono privilegiate le relazioni tra le diverse sezioni del brano (concetto di micro e macrostruttura), piuttosto dello sviluppo a partire del singolo intervallo o relazione armonica, parametro fondamentale tanto nel contrappunto tonale quanto nella dodecafonia.

L’elemento strutturale della musica tonale fra Scarlatti e Wagner è l’armonia. Questo è il mezzo che mette in relazione fra loro le parti di una composizione. Fino a questo punto avevo preso a prestito dalla musica dodecafonica le procedure seriali, e cioè la collocazione di ogni singolo suono in un punto preciso della serie, osservata per gli scopi della composizione. Questa procedura, come i controlli intervallari del contrappunto, è estremamente utile, ma tiene conto prima di tutto del progresso punto per punto di un brano piuttosto che delle parti, grandi o piccole, e della loro relazione con l’intero.31

Si attinge a metafore della vita organica, dell’organismo naturale, determinato da fenomeni chimici.
Subentra, nelle poetiche musicali del Novecento, il determinismo della natura che soppianta l’arbitrio del gesto creatore, il poeta demiurgo.
Le metafore del microcosmo naturale inseriscono la musica nella natura e il compositore è in grado di leggere il dispositivo musica, il sistema, ma è lontano dal sentirsene padrone o artefice; questa istanza poietica poggia sulla convinzione che il compositore attraverso la musica non deve esprimere se stesso.

Nel caso delle Sonatas and Interludes la struttura è definita interamente a priori sulla base di semplici operazioni matematiche, per cui non v’è nulla di casuale nell’organizzazione del materiale musicale. Ciò che non è del tutto determinato è la sonorità complessiva dell’opera, che risulterà diversa per ogni esecuzione dello stesso brano.
Il carattere di indeterminazione specifico della poetica del pianoforte preparato sconvolge fatalmente l’identità dell’opera da un’esecuzione all’altra. L’essenza performativa di tali composizioni sono un presupposto sostanziale nella dinamica del processo.
L’aspetto procedurale per quanto riguarda le
Sonatas and Interludes riguarda la serie di modificazioni insite nelle esecuzioni dell’opera stessa. Abbiamo così un altro significato ancora di processo musicale: l’insieme delle modificazioni (necessarie e non controllabili da parte del compositore) dell’opera in sé. Il compositore modifica il timbro dello strumento intervenendo direttamente nel suo interno, modificandone radicalmente l’identità. La preparazione trattiene la potenza rituale della creazione di un corpo. Egli tuttavia stabilisce dei parametri che verranno a loro volta modificati in maniera del tutto accidentale da un interprete all’altro, da un pianoforte all’altro.
Cage innesca il meccanismo, il processo dell’esecuzione performativa come
prosecuzione dell’opera stessa, che non è in sé conclusa.

2.3 La metafora della cristallizzazione

Il concetto di processo è esprimibile efficacemente dalla metafora della cristallizzazione, cioè il fenomeno della formazione della struttura del cristallo. E’ Varèse a usare per primo la metafora del cristallo, che si rivela essere una figura ricca di senso e che meriterebbe un approfondito confronto con la figura-cristallo di Deleuze.

Concependo la forma musicale come una risultante, il risultato di un processo, ho sentito in essa una stretta analogia con il fenomeno della cristallizzazione. Quando mi si interrogava intorno al mio modo di comporre, mi pareva che la cosa più semplice fosse rispondere: “per cristallizzazione”.32

Varèse paragona la composizione musicale al fenomeno della cristallizzazione durante un’intervista tenuta il 4 settembre 1959 all’università di Princeton33. Cage tenne un ciclo di tre conferenze a Darmstadt nel settembre del 1958, dunque un anno prima, sui suoi metodi compositivi in base alla durata, in particolare riferimento ai concetti di ‘struttura e al metodo’. Il testo è intitolato “Composizione come processo” e rivela alcune analogie con la teoria esposta da Varèse.
Entrambi rivolgono la loro ricerca compositiva alla natura del suono, non secondo una funzione espressiva, ma secondo una considerazione “energetica” della materia sonora:

Cos’è la musica? Qualcosa che deve venire dal suono.34

La metafora della cristallizzazione usata da Varèse è utile anche per aprofondire l’estetica dei lavori di Cage basati sulle durate.
Il processo di cristallizzazione è una rappresentazione spaziale strategie che si sviluppano nella dimensione temporale, come l’organizzazione del materiale compositivo.
Il senso di tale metafora sta nel fatto che la cristallizzazione è il processo di modificazione delle strutture interne del cristallo. Analogamente Varèse, e anche Cage, condivide il principio teorico per cui la forma esterna è il risultato delle modificazioni interne del materiale musicale: la trasmutazione dei materiali musicali crea nuove forme.
 

Il cristallo è caratterizzato da una forma esteriore e da una struttura interna entrambe ben definite. La struttura interna dipende dalle molecole, cioè dalla più minuscola concatenazione di atomi che presenta lo stesso ordine e la stessa composizione della sostanza cristallizzata. La crescita di tale molecola nello spazio ha come risultato l’intero cristallo. Malgrado però la trascurabile differenziazione delle strutture intere, il numero delle figure possibili è, per così dire, infinito.35

La struttura interna del cristallo dipende dalla molecola, cioè dalla disposizione degli atomi: l’invisibile contenuto condiziona la forma esteriore, che riproduce, a livello macroscopico, lo stesso ordine e le stesse proporzioni contenute nella struttura interna.
A livello musicale, l’idea, quello che tradizionalmente era il tema, verrà elaborata secondo il processo dinamico: alle concatenazioni armoniche si sostituisce la permutazione e la trasposizione delle varianti.
L’essenza della cristallinità non è nella forma esteriore bensì nei rapporti geometrici regolati dell’organizzazione profonda, nascosta, delle molecole del cristallo.

Il malinteso proviene dal fatto che si concepisce la forma come un punto di partenza, come un modello da seguire, come uno stampo da riempire. La forma è un risultato – il risultato di un processo. Ciascuna delle mie opere scopre la propria forma. Non ho mai cercato di adattare le mie opere alle dimensioni di un qualsiasi recipiente storico. 36

Varèse rifiuta di assoggettare la sua creatività di musicista e, ancor più, il ‘farsi’ della composizione, al rigore di una forma precostituita, con piglio assai polemico contro la forma sonata classica a cui allude con l’irriverente apostrofo di “scatola per sonate”.
 
La musica per Varèse è una dinamica di forze. La forma è una risultante.
Varèse volle discutere la sua teoria con uno specialista per provare se il suo paragone avesse un fondamento scientifico. Consultò Nathaniel Arbiter, autore di un trattato di cristallografia, che non fece che confermare le sue intuizioni.

“La forma stessa del cristallo è una risultante più che una qualità fondamentale. Gli atomi o ioni che danno al cristallo la sua forma hanno dimensioni precise. Svariate forze le respingono o le attirano. La forma cristallina risulta dall’azione reciproca delle forze di attrazione e di repulsione, come pure dalla concatenazione degli atomi.”(Arbiter)37

La composizione parte quindi da una concezione energetica del materiale sonoro, non da una forma precostituita. La prassi musicale si riconosce come una fenomenologia della sperimentazione, che fonda il proprio apriori epistemico sull’attraversamento delle forze contenute nella materia sonora, e non sulla logica formale sorretta dalle tradizionali funzioni armoniche.
Varèse concepisce quindi la forma come una risultante, come il risultato di un processo in cui le proprietà acustiche, ritmiche e articolatorie del suono azionano forze di attrazione o di repulsione

Credo semplicemente che questo illumini meglio di ogni altra spiegazione il modo in cui le mie opere arrivano a prendere forma. C’è un’idea, l’origine della ‘struttura interna’; quest’ultima cresce, si sfalda secondo svariate forme o gruppi sonori in continua metamorfosi, a velocità e direzioni diverse, a dipendere dall’attrazione o dalla repulsione di varie forze. La forma dell’opera è la conseguenza di questa interazione. Le forme musicali possibili sono innumerevoli come le forme esterne dei cristalli.38

Continua: “Il falso problema della distinzione tra forma e contenuto non è privo di rapporti con la questione della forma musicale. Non c’è distinzione: forma e contenuto sono una sola cosa. Si potrebbe applicare alla nostra questione musicale quel che Samuel Beckett ha detto di Proust: “Per Proust la qualità del linguaggio è più importante di qualunque sistema etico o estetico. Di fatto egli non fa nulla per separare forma e contenuto. Una è la concrezione dell’altro: la rivelazione di un mondo”.39

La metafora visiva del cristallo offre un modello spaziale della forma musicale, astratta per sua essenza temporale. E’una rappresentazione che cancella la fluidità descritta da Bergson: l’immagine del cristallo congela la musica nello spazio. Ciò che si ottiene è un apparente staticità, un invisibile-inudibile processo di modificazione, dove, all’interno dello stato statico, si producono cambiamenti graduali, spesso quasi impercettibili.
Comporre in tal modo significa infrangere il cerchio della periodicità e della ripetizione come luogo di ritrovo e riconoscimento da parte dell’ascoltatore.
Significa detronizzare il tema melodico, neutralizzando intervalli e schemi ritmici.

Ho lavorato con le percussioni perché non volevo strumenti che insinuassero aneddoti melodici, mentre io mi stavo concentrando sul ritmo puro. Volevo ottenere pure differenziazioni di rito attraverso variazioni di densità.40

La composizione musicale diviene costruzione attorno ad un’unica idea, come i vettori che rappresentano la velocità di accrescimento nelle otto direzioni delle facce di un cristallo: le frecce partono tutte da uno stesso punto. La loro forza determina la forma del solido, che gli studiosi chiamano “abito”.
Il cristallo si caratterizza essenzialmente da una disposizione reticolare, ordinata secondo un omogeneo periodico, degli atomi che ne costituiscono la sostanza. Se dal centro si sviluppassero velocità uguali in tutte le direzioni, il cristallo assumerebbe la forma di una sfera.
Il cristallo è una ‘scultura del tempo’, luogo in cui si riunisce la successione di eventi passati e presenti. Esso è punto di indiscernibilità tra passato e presente, coalescenza tra immagine virtuale e immagine attuale.
Deleuze descrive l’immagine-cristallo come figura caratterizzata da due facce che non si confondono ma sono indiscernibili, la loro distinzione è inassegnabile “poiché ogni faccia assume il ruolo dell’altra, in una relazione che si può definire di presupposizione reciproca, o di reversibilità.”41

Il rapporto tra attuale e virtuale ha carattere di irreversibilità, scambio, reciprocità, poiché “l’attuale diviene virtuale all’interno di questo rapporto: sono un dritto e un rovescio perfettamente reversibili.”42
Esso è un carattere oggettivo, non un’immagine della mente: il cristallo esiste “doppio per natura”.
L’analisi di Deleuze condivide con Cage e Varèse l’attenzione per l’immanenza come punto di partenza per la composizione. L’immanenza di Cage si esprime attraverso la scelta di partire del materiale e dalla sua organizzazione, inventando nuove forme.

Volevo giungere ad una struttura non più secondo la tonalità, ma secondo il tempo […] perché volevo includere il mondo dei rumori nell’opera musicale. Ciò mi obbligava a riesaminare la nozione di materiale musicale.43

La materia sonora, il materiale musicale divengono centrali per il compositore, e non più sottomessi all’armonia e ai rapporti tra i suoni in base alle sole altezze.
A questo punto è fondamentale per centrare la poetica di Cage aprire una parentesi, approfondire quello che sta dietro, il virtuale di queste scelte di ordine pragmatico: l’attitudine conoscitiva che Cage riconosce potenzialmente nella musica.
Cage non inventa nulla e non ha la pretesa né lo scopo di aggiungere, in maniera aritmetica, una nozione in più nella teoria musicale.
Cage osserva una cosa alla volta – metodo, struttura, materiale, forma-, la posizione di ogni parte all’interno dell’insieme, ovvero ciò che è sostanzialmente la com-posizione.  A sfondare l’orizzonte, entrano nel gioco delle parti
l’ascoltatore e lo spazio in cui avviene il fatto sonoro: essi destabilizzeranno definitivamente l’equilibrio del tradizionale dispositivo musica.
Cage è sempre mosso da un’attitudine critica nei confronti del reale, fiducioso che non vi sia nulla di eterno e che in ogni cambiamento stia anche la possibilità di un conoscenza, seppur parziale, consapevole di quanto ogni uomo sia intimamente e reciprocamente coinvolto in un immanente che è solo un mare di mutamenti.

2.4 Astrattismo e misticismo

La fine della “cultura estetica” sottrae la musica da un sistema di significazioni tradizionali, che trovano la loro massima espressione nella musica romantica: la musica del XX secolo non è più “significativa” nel senso che le forme sintattiche musicali non assumono più ruolo di funzioni semantiche.
Fuori dal soggetto, lontana dalla tradizionale funzione espressiva e comunicativa, la musica ritorna ad essere la musica delle sfere, logica silenziosa e regolatrice. I maggiori compositori del Novecento hanno abdicato ad un comporre che riconosce una necessità normativa superiore. Dai dodecafonici a Ligeti, da Boulez a Donatoni, la musica torna a rivolgersi all’elemento pitagorico, all’astrattismo della logica numerica.
Spesso il rigore formale della struttura e una superiore necessità in cui il soggetto sembra sparire, coincidono e l’urgenza espressiva del soggetto finisce per essere assorbita, fino quasi a farsi niente, come la con-sustanzialità di una goccia nel mare.
Una forma di pitagorismo misterico e occulto, infine, non è estranea nemmeno a Cage: essa riluce nelle proporzioni matematiche celate dentro la struttura musicale, e ancor più, a partire dagli anni ’50, nei metodi casuali, dove l’arbitrio soggettivo è totalmente assente, a favore di una superiore necessità che motiva e giustifica in sé l’agire poetico.
Il filosofo della musica Giovanni Piana confronta la categoria estetica dell’astrattismo e le relazioni logico-matematiche come criterio compositivo nella musica con la pittura informale di Mondrian e la filosofia di Wittgenstein
44.
E’ possibile individuare alcune stimolanti riflessioni comuni al nostro lavoro sul processo compositivo e l’estetica musicale di Cage.
Cage ritrova nell’arte informale un’immagine spaziale del processo temporale disegnato dalla musica, in particolare si riferisce alla pittura di Mondrian, che non esita a definire “il suo pittore preferito”
45.

Negli anni trenta il mio interesse per la pittura era rivolto verso l’arte astratta. Ero colpito dal Bauhaus, ad esempio, ed ero colpito soprattutto da Mondrian.46
 

[…] c’era una superficie senza alcun punto d’interesse, non necessariamente confinata da una cornice[…] aveva rinforzato la mia idea secondo la quale non c’era alcun bisogno di un climax nella composizione musicale. Certo posso averne subito l’influenza, come potrei negarlo. Ma i pare che il modo per usare i lavori visivi non sia, certamente mediante un dialogo, vale a dire attraverso una trasformazione nel senso che ho indicato prima, ma piuttosto attraverso un uso immediato, che cambi il mio modo di vedere. 47

L’astrattismo è una categoria estetica che possiamo usare per definire alcuni aspetti della sonorità generale delle Sonatas and Interludes, come l’assenza di una riconoscibile intonazione melodica.
Il privilegiare i rapporti quantitativi che stanno alla base della struttura e del processo compositivo può apparire come una scelta fredda, calcolatrice che orienta la creatività verso un ordine affine all’astrattismo. Tuttavia dove la poetica si dirama in geometrie nascoste, riferendosi ad un ordine rigoroso, silente e occulto, spesso ad essa concresce un riferimento al misticismo.
Nella pittura tradizionale il colore è legato alla forma, alla corposità della linea curva.
La pittura di Mondrian, ridotta al rapporto ortogonale tra le parti che compongono il quadro, nega la corposità del colore e ogni rappresentazione dell’aspetto fenomenologico del mondo L’asciuttezza delle linee di Mondrian rimanda ad una diversa visibilità. Il mondo viene proposto come “una immensa matrice matematica”
48 dove le differenze qualitative sono negate a favore delle proporzioni logiche che regolano ogni cosa. Ugualmente secondo Wittgenstein il mondo è calcolo, ordine logico che sta dietro ai fatti. Tuttavia alla fine del Tractatus Wittgenstein troviamo un’affermazione profondamente diversa: “Il mondo è la vita”.
Il discorso si incrina, incamminandosi nella zona d’ombra della logica, e dal momento che “il mondo è tutto ciò che accade”; torniamo al fenomeno e al mistero. L’astrattismo razionalistico confina con il misticismo, dove la parola muore.
Molta musica di Cage è strutturata su proporzioni matematiche; la struttura ritmica di molti pezzi soprattutto degli anni ‘40 è ottenuta sulla base di calcoli numerici.
In alcuni pezzi è esplicitata, quando Cage riporta la struttura ritmica all’inizio della partitura ( come in Muisc for Marel Duchamp, A Room), talvolta è riconoscibile all’ascolto, altre volte rimane silenziosamente occultata, come nelle Sonatas and Interludes.
L’analisi qui condotta
49 ha rilevato che la struttura ritmica delle Sonatas and Interludes è costruita talvolta sul numero 10, numero magico secondo i pitagorici. La somma delle sezioni che formano le  parti del ciclo dà spesso 10, il denario, che rappresenta, nella filosofia pitagorica, l’intero universo, come somma di tutti gli elementi, rappresentati a loro volta dai primi quattro numeri.
E’ questo il pitagorismo occulto di Cage che crede in un ordine silente della natura, indagabile da parte dell’uomo attraverso i numeri.
La relazione tra la musica e la scienza numerica percorre l’intera storia della filosofia.
Secondo Cage “la funzione della musica è imitare la natura nel suo modo d’agire” nella stessa modalità in cui l’arte orientale cerca di cogliere il principio attivo che agisce nella natura tralasciando il suo aspetto di semplice apparenza.

Assieme al rigore della struttura percepiamo la tensione opposta: il punto di intersezione delle misure dalle proporzioni perfette, che nulla concedono alla sinuosità dell’emotività, rivela un centro oscuro, vuoto.
La musica composta secondo la logica delle proporzioni o secondo l’automatismo combinatorio del processo ( in Cage come in Bach) è una scultura temporale, che disegna geometrie astratte. Il centro del cristallo è un punto senza estensione, come l’elemento dell’alchimista.

Il mondo non esiste,- Faust conclude[…]- non c’è dato tutto in una volta: c’è un numero finito d’elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardi di miliardi, e di queste solo poche trovano una forma e un senso e si impongono in mezzo a un pulviscolo senza senso e senza forma;come le settantotto carte del mazzo dei tarocchi nei cui accostamenti appaiono sequenze di storie che subito si disfano[...] Il nocciolo del mondo è vuoto, il principio di ciò che si muove nell’universo è lo spazio del niente, attorno all’assenza si costruisce ciò che c’è, in fondo al gral c’è il tao.50

Il rigore strutturale delle Sonatas and Interludes è tuttavia interrotto dalle incursioni del silenzio, che hanno talvolta l’energia centripeta del gesto, l’intensità che nasce dall’assenza della concatenazioni; altre volte hanno il carattere dell’inciampo, del balbettio. Le rigide proporzioni della struttura sono costantemente contrastate da forme non perfette, che si dissolvono nel silenzio.
La metallica asciuttezza timbrica del pianoforte preparato è contaminata della corposa massa degli armonici.
La dialettica tra una tendenza che svanisce perdendosi
nell’astratto e un’estetica ancora legata al fenomeno, al materiale musicale è espressa musicalmente dal rapporto tra struttura e materiale.
Se la struttura si caratterizza per l’asciuttezza che deriva dalla logica pitagorica, il materiale trattiene la fisicità del suono grazie alla corposità del timbro.
Si tratta, nell’estetica della musica di Cage, di una discesa verso la corposità del timbro, un’ “ascesi verso il basso”, vivificata nel suo stesso cadere dal mescolarsi alla molteplicità della vita stessa, “come cosa, felice, che cade”
51.
Cage condivide calorosamente l’affermazione di Wittgenstein “Il mondo è la vita”.
La musica per il compositore è produzione di pensiero al di là del soggetto e dell’espressione della propria emotività: è vita nel senso delle possibilità manifestantesi. La sperimentazione timbrica esprime, riproduce musicalmente la plurivocità dell’esperienza che ognuno ha del mondo.
In questa dinamica il silenzio, come materiale musicale ha lo stesso peso dei suoni ricchi di armonici.
Così il processo e la struttura gravitano in Cage verso la matericità del suono: metafore del pensiero che penetra, fin quasi a perdersi, nell’opacità silente della vita.

3. Utopie Sonore

3.1 Musica come modificazione di sé

Il senso più profondo della sperimentazione timbrica degli anni ‘40 per Cage si fonda sulla convinzione per cui la musica non è “il dirsi del musicista”, ma il campo del “dirsi del suono”.
Il suono per Cage è un mondo di cui noi facciamo un’esperienza di ordine estetico, non logico.
La musica diviene un’occasione di modificazione di sé attraverso l’esperienza dell’ascolto, che D.Charles definisce “poetico”, orientato a “liberare i suoni dai miei concetti di ordine, sentimento e gusto”
52.

Così intendo sbarazzarmi della concezione tradizionale secondo la quale l’arte rappresenta un mezzo di autoespressione, sostituendola con la concezione che intende l’arte come mezzo di automodificazione, e ciò che altera è la mente, e la mente è nel mondo e costituisce un fatto sociale… Noi cambieremo in modo meraviglioso se accetteremo le incertezze del cambiamento e questo condizionerà qualsiasi attività di progettazione. Questo è un valore.53

Ciò che diviene musica, sarà tale solo in relazione alla musicalità del soggetto percipiente.

L’espressione si sviluppa in colui che la percepisce.54

La concezione della musica che Cage elabora negli anni ‘40 rispecchia una concezione antica e prerinascimentale dell’arte, che troviamo analoga nella tradizione orientale induista.
L’estetica moderna in occidente, soprattutto dal romanticismo in poi, si fonda sulla finalità di esaltare le potenzialità intellettuali e i sentimenti del singolo individuo. Secondo la concezione orientale l’arte non coincide con la prospettiva finalistica d’espressione della soggettività dell’artista, ma rientra in un ordine d’integrazione dell’uomo con la molteplicità degli stati dell’essere ed assolve il ruolo di rito all’interno della società.

Non riuscivo ad accettare l’idea accademica che lo scopo della musica fosse la comunicazione[…] Stabilii che avrei abbandonato la composizione se non avessi trovato delle motivazioni migliori della comunicazione. Trovai la risposta da Gita Sarabhai, una cantante indiana e suonatrice di tabla: lo scopo della musica è quello di quietare e placare la mente rendendola in questo modo suscettibile agli influssi divini. Trovai anche negli scritti di Ananda K.Coomaraswamy che la responsabilità dell’artista è quella di imitare la natura nel suo modo di agire. Mi sentii meglio e tornai al lavoro.55

Cage fa ritorno ai principi della tradizione più antica e concepisce la musica come philosophia perennis in quanto imita, nel suo modo di operare, la natura intesa come natura naturans.
Nell’estetica prerinascimentale, in quella platonica come in quella indù, l’arte è regolata da leggi metafisiche e religiose: è un atto mitico, un rito, non asservito alla comunicazione dell’interiorità dell’artista, della propria memoria e sensibilità, né finalizzata allo sfoggio virtuosistico del talento personale.
Secondo le più antiche tradizioni l’arte non è terreno di differenziazione, in cui il singolo si distingue contrapponendosi al mondo che lo circonda, come la cultura si sviluppa in occidente soprattutto a partire dall’epoca rinascimentale.

Al contrario nella tradizione scolastica e medievale, in quella platonica come in quella indù, l’individuo è considerato una scintilla del Sé che permea tutti gli esseri viventi, dello Spirito originario e indiviso al quale l’arte ha il compito di ricondurre… L’arte riguarda naturalmente ogni uomo in quanto via maestra alla realizzazione del Sé. Negli anni Quaranta Cage diventa consapevole che il futuro della musica, se non dell’arte tutta, non è affidato alla sua ipotetica e ulteriore evoluzione stilistica, ma a un radicale cambiamento di funzione e di significato.56

Il ciclo delle Sonatas and Interludes è ispirato alla teoria indù delle emozioni. Cage venne a contatto in quegli anni con la musica dell’India attraverso Gita Sarabhai, cantante e suonatrice di tabla. Studiò inoltre buddhismo zen con D.T.Suzuki. Sono anni in cui Cage dichiara di cercare una motivazione al fare musica, al comporre, che sia diversa dalla comunicazione. Trova una motivazione nella tradizionale indiana, per la quale la musica ha lo scopo di “quietare la mente e disporla agli influssi divini”.57

Grazie all’India ho detto ed espresso un certo numero di cose legate alle stagioni: creazione, conservazione, distruzione, stasi. Soprattutto mi sono convinto della verità della teoria dell’arte secondo gli indù. Ho cercato di far corrispondere le mie opere a questa teoria. Questa ci insegna che, affinché ci sia rasa, cioè emozione estetica nell’ascoltatore, occorre che l’opera evochi uno dei modi permanenti dell’emozione -bhava- stato al quale devono subordinarsi tutte le altre emozioni. Ci possono anche essere combinazioni di due modi permanenti.58

Il riferimento non è che un pretesto; non c’è un’esplicita coincidenza tra il numero delle categorie della dottrina indiana e la macrostruttura dell’opera. Sembra altrettanto assente un’intenzione descrittiva in termini musicali.
Ciononostante il riferimento è importante perché costituisce uno sfondo teorico, un mezzo che arricchisce il nostro ascolto, in maniera allegorica; ci offre, in maniera non diretta, uno sguardo decentrato sul senso di ciò che ascoltiamo, sulla modalità di coinvolgimento dei suoni, sul loro potere di fascinazione.
Cage, fa uso di un riferimento estraneo alla pura “natura dei suoni”: affida il compito di esprimere o rappresentare la sua musica, che non è “musica descrittiva”, a ciò che suono non è. Questo aspetto costituisce una delle tante contraddizioni o paradossi della musica di Cage, che, lontani dal giudicarli un limite o un’incoerenza in termini di stile, ne rivelano la molteplicità delle possibilità d’analisi e la cangiante ricchezza. L’ispirazione non fa riferimento alla semantica musicale, al linguaggio dei suoni, ma vi sta “a fianco”, come su un altro piano, accostato, in maniera allegorica.
L’allegoria, infatti, non rappresenta in maniera descrittiva ma “ci parla di altro, con altro”. Nulla più della musica è irriducibile “alterità”, che, in qualche modo, ci parla.
Per Cage la musica è nel mondo e cambiare la musica è un fatto sociale, un modo di cambiare il mondo, di attraversarlo. Fare musica, quindi tanto componendo quanto ascoltando e partecipando ad un conerto, significa avere l’opportunità di cambiare la propria mente, è un’esperienza che ci fonda continuamente nella trasformazione.
La musica è l’insieme dei suoni che ci circondano, sono la vita stessa, in continuo movimento e trasformazione, e di cui noi facciamo parte.
Ad un’estetica basata sull’esaltazione dell’espressione dell’individuo Cage oppone la sua prospettiva di musica come ecologia.
La musica diviene poetica dell’esperienza, prassi il cui significato si svela nel praticarla, nell’usarla.
Cage aderisce con entusiasmo alla dichiarazione di Wittgenstein “Il significato di qualcosa è il suo uso”.

La musica per me è un mezzo per convertire la mente, per invertirne la direzione, in modo tale che possa allontanarsi da sé stessa avvicinandosi al resto del mondo[…] Ciò che è importante è l’uso che se ne fa […] Questo era quanto diceva Wittgenstein su tutto. Affermava che il significato di qualcosa è il suo uso. Affermava che il significato di una cosa è il suo uso.59

Cage cita molto spesso le parole di Wittgenstein, con cui condivide uno sguardo antimetafisico sul reale e le posizioni più radicali che il compositore riutilizza per esprimere la sua personale considerazione della musica come “fatto” nel mondo, come dispositivo all’interno del reale, che si articola in termini di ricezione, ascolto, produzione, trasformazione. Ripensare la necessità dell’atto musicale non può venire se non con una scelta radicale, estrema come la rinuncia al soggetto interprete, al gesto creativo, all’ascolto accomodante. Secondo Cage è una questione di disciplina. La musica di Cage cerca di favorire un ascolto che integri l’uomo nella molteplicità che lo circonda e lo costituisce come individuo.
La musica di Cage non si esaurisce in un orizzonte estetico - di innovazione del comporre e ascoltare musica - ma deve rientrare in un più ampio campo, quello dell’etica.

L’emancipazione dell’ascolto non può dunque mancare di rivendicare l’estetica (che altro non è se non una nuova etica) del “lasciar essere i suoni ciò che essi sono”.60

Andrebbe a questo proposito approfondito un discorso sulle convinzioni politiche di Cage, che discutono soprattutto sul ruolo dell’uomo nei confronti della natura e dell’agire dell’uomo moderno condizionato dalla scienza e dalla tecnologia.
Egli oppone l’agire umano (della tecnica) al modo d’agire della natura. L’uomo agisce per assecondare la propria volontà, determinata da ciò che la ragione riconosce come desiderio. Il desiderio di conoscere per Cage finisce fatalmente per semplificare ciò che nella realtà è complesso e molteplice.

Per esempio per l’uomo un albero ha due foglie identiche, mentre la natura crea ciascuna foglia diversa dall’altra. Non esistono due cose uguali. Ma la memoria e tutto quel che vi è connesso, il desiderio di conoscere, fanno sì che l’uomo renda tutto comprensibile. 61

Il “desiderio di conoscere”, in quanto fa uso di memoria, cancella tutto ciò che appare troppo complesso per essere salvato tra i prodotti della natura; il desiderio stesso è uno strumento a disposizione del volere umano, un volere che opera con le cose ad esclusivo vantaggio dell’uomo.”62
Quello che Cage chiama “pensiero umano” contrapponendolo al principio agente contenuto nella natura può essere accostato a ciò che Martin Heidegger definisce “pensiero calcolante”63.
Cage, che a dire il vero dimostra sempre un grande entusiasmo e ottimismo nei confronti della tecnologia, è molto influenzato dal pensiero di David Thoreau, vissuto alla fine del 19° secolo.
Egli intravede nella tecnologia la positività della scoperta di infinite possibilità, a condizione di un reale avvicinamento agli oggetti tecnici, senza diventare prigionieri dell’ambiante tecnologico.

D.C.- Lei diceva che c’era della tecnologia in Thoreau. Tuttavia egli è celebre per il suo odio verso la “civiltà”. Si indignava all’idea che l’acqua del suo stagno potesse alimentare la città di Concorde.
J.C.- Ma la sua vita a Walden è stata estremamente fruttuosa tecnologicamente. Ha avuto l’idea di fabbricarsi da solo una matita piuttosto che inserire una mina in una già prefabbricata e non desiderava realizzarne che due o tre esemplari. La sua idea era che noi possediamo gli oggetti tecnici a sproposito. Per esempio ci si serve dei treni, si viaggia. E cosa si è fatto per questo? Si è solo pagato il proprio biglietto. Non si sa che cos’è una strada ferrata. C’è un uso legittimo degli oggetti tecnici: quello che consiste nel costruirli, nell’avvicinarsi a loro per capirne tutte le possibilità. Thoreau sopportava benissimo che ci fossero delle strade ferrate e perfino vicinissime a lui. Ma sapeva costruirsi la sua barca e confezionare vele. Si esercitò costantemente e brillantemente in ogni forma di lavoro manuale. La tecnologia non era, nel suo tempo, alla fine del 19° secolo, ciò che è poi diventata. Fatto il confronto con Thoreau, noi non seguiamo il suo esempio. Potremmo fare molto di più: studiare da vicino gli oggetti tecnici, vivere con loro, non essere prigionieri del nostro ambiente tecnologico. Abolire anche questa prigione!
64

Ciò che l’uomo può fare è decidere di usare gli oggetti, i prodotti della tecnica cercando di mantenersene libero, cioè in grado anche di farne a meno in ogni momento. Si tratta di abbandonare gli oggetti a loro stessi, nel senso di “considerarli qualcosa che non ci tocca intimamente e autenticamente […] possiamo impedire che prendano il sopravvento su di noi, che deformino, confondano, devastino il nostro essere”.65 Cage considera la pratica e l’ascolto della musica come una possibilità di avvicinarci alla natura, imitandola nel suo modo d’agire. Essa procede parallela ad una rinuncia del nostro arbitrio soggettivo, verso una “an-archia” sulle tracce di una verità nomade, estranea al pensiero oggettivante.
L’ottimismo tecnologico di Cage è fondato dunque sulla ridefinizione della categoria dl soggetto, sul riconoscimento della “continuità della discontinuità” della totalità che è la natura, irriducibile alla semplificazione razionale, e che lo porta a definirsi anarchico, alla maniera di Thoreau.

Ogni processo tecnico è governato da un senso che attraversa e coinvolge l’agire e il consentire dell’uomo, un senso che non l’uomo ha inventato e creato.
Noi non sappiamo a che cosa porterà il dominio della tecnica atomica che si sta estendendo in maniera sempre più inquietante.
Il senso del mondo della tecnica si cela. Se però teniamo sempre ed espressamente conto che dappertutto nel mondo della tecnica ci viene incontro un senso nascosto, allora subito ci ritroviamo nell’ambito di ciò che a noi si cela, e si cela proprio mentre a noi perviene. Ciò che in questo modo si mostra e allo stesso tempo si ritrae è il tratto fondamentale di ciò che chiamiamo il mistero. Il modo in cui ci teniamo aperti al senso della tecnica lo chiamiamo: apertura al mistero.66

L’ascolto della musica, dell’organizzazione dei suoni è una facoltà che richiede una disposizione.
Cage è convinto che vi sia più acquisto conoscitivo nell’esplorazione che nel riconoscimento di una relazione, ovvero nel ricreare una situazione sempre nuova piuttosto che nell’avere a disposizione un oggetto fisso davanti a sé.
Come risposta alla domanda di Charles egli propone l’immagine della costellazione per esprimere la metafora dell’organizzazione dei suoni.
I suoni nella misura del tempo sono come le stelle. Con la metafora del cielo stellato Cage individua due diverse possibilità di accostarsi ai suoni. E’ possibile vedere un gruppo di cose differenti e distinte, che nello stesso tempo non si faranno ostruzione. Sono se stessi. Sono. Cage dice “proprio allora io ne vedrò un uno”, e aggiunge “e poiché ciascuna è se stessa, c’è una pluralità del numero uno”.
67
Un’altra possibilità è quella di mettere in relazione un certo gruppo di oggetti all’interno della diversità degli elementi ed identificarli come un oggetto chiuso, battezzarli con un nome.

Posso accettare la relazione fra una diversità di elementi, come facciamo quando guardiamo le stelle, scopriamo un gruppo di stelle e le battezziamo ‘Orsa Maggiore’. Allora ne faccio un oggetto. Non ho più a che fare con l’entità in sé, considerata come in possesso di elementi, di parti separate. Ho davanti a me, a mia disposizione, un oggetto fisso che potrei far variare proprio perché so in anticipo che lo ritroverò identico a se stesso. Da questo punto di vista obbedisco a quel che diceva Schönberg: la variazione è una forma, un caso limite di ripetizione. Ma vede anche che mi è possibile uscire da questo circolo di variazione e ripetizione. Per questo, occorre ritornare alla realtà, a questa precisa entità, a questa costellazione che ancora non è del tutto una costellazione. Non è ancora un oggetto! Posso benissimo vedere come un gruppo di cose differenti e distinte configurino, sotto un’altra prospettiva, un oggetto unico. Ciò che fa delle costellazioni un oggetto è la relazione che io stabilisco fra le sue componenti, ma mi è anche concesso di non stabilire questa relazione, di pensare le stelle come separate e tuttavia vicine, quasi riunite in un’unica costellazione. Allora ho, semplicemente, un gruppo di stelle.68

Analogamente in musica posso identificare un insieme di note che chiamo tema e riconoscere per opposizione un secondo tema. E’ su tale opposizione che si fonda la forma musicale.
Della molteplicità del reale la musica di Cage è una proposta di scrittura, dal volto cangiante e dall’indefinibile forma, come i Mobiles di Calder: a partire dalla nostra incapacità di contenere le infinite diversità, le irriducibili differenze, Cage, positivamente, si interroga sulla ricerca di un diverso a priori conoscitivo. Egli cerca l’esperienza nuda, condivide il riso “non senza un certo malessere” di Michel Foucault di fronte all’enciclopedia cinese di J.L.Borges.
69

[…] il sospetto di un disordine peggiore che non l’incongruo e l’accostamento di ciò che non concorda; sarebbe il disordine che fa scintillare i frammenti di un gran numero d’ordini possibili nella dimensione, senza legge e geometria, dell’eteroclito; e occorre intendere questa parola il più vicino possibile alla sua etimologia: nell’eteroclito le cose sono “coricate”, “posate”, “disposte” in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga, definire sotto gli uni e gli altri un luogo comune.70

Ogni rivoluzione estetica provoca un malessere difficile da superare.
L’ascoltatore si pone in ascolto di fronte al disordine; come tale infatti il suo orecchio percepisce la nuova geometria. Molte opere di Cage, per la decontestualizzazione dei luoghi e delle modalità tradizionali di fruizione della musica, favoriscono il disorientamento dell’ascoltatore e non si oppongono alla possibilità di essere interrotti, scalfiti, dal punto di vista dell’opus.
Chi ascolta non riconosce più “in relazione” gli oggetti, i suoni. E’ la dimensione dell’eteroclito dove le cose sono poste, disposte in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare uno spazio che le accolga.
71
Abbiamo una proporzione di durate in cui accadono certi suoni e non altri, ma la consequenzialità resta misteriosa alla memoria dell’ascoltatore che non riconosce evidentemente, nella maschera della preparazione, le strutture semantiche tradizionali della melodia e dell’armonia. I suoni, i rumori accadono. L’attitudine promossa da quest’opera è la massima disponibilità e apertura al fenomeno sonoro, nella sua eterogeneità.
Questa poetica è caratterizzata dall’accoglienza dell’eterogeneità del fenomeno sonoro, in un costante interesse, etico, estetico e pedagogico, per l’esercizio dell’ascolto.
La sperimentazione sul pianoforte preparato costituisce una situazione emblematica sotto questo aspetto.Attraverso la preparazione del pianoforte Cage nega al pianista la sua tradizionale maschera: il pianista rappresenta l’emblema tradizionale dell’interprete, lo stereotipo del solista. La sterminata letteratura di composizioni a lui dedicate lo impone come il più famoso e familiare tra gli strumenti, presente in ogni salotto da almeno due secoli. Il pianoforte è anche luogo del più intimo ripiegamento interiore, voce dell’intimità romantica ed espressione massima della soggettività (si pensi ai Lieder, ai Notturni) ma anche il più imponente tra gli strumenti, per estensione, per impatto visivo, per completezza, funzionalità, duttilità; luogo delle
performances dis-umane del virtuoso.
Cage scheggia questo immaginario, modificandone l’identità dall’interno, trasformandone l’assetto, il suono, l’approccio infine: Cage tratta lo strumento come un “corpo senza organi”. Corpo sì, ma non organismo: gli organi vanno ri-sistemati, composti e disposti. Così si oppone all’organizzazione organica dell’”organismo pianoforte”. Il pianista performer, agendo anche davanti al pubblico, sistema nella cordiera viti, bulloni e caucciù che soffocano il suono, chiodi che ne alterano la vibrazione e trasformano la consonanza: artificio del suono, viene spezzata la presunta naturalità dello stereotipo.
Il pianoforte viene così smontato nella sua storica identità e rimontato ad opera del pianista, che ne ottiene una sorta di “Frankenstein” dall’ambiguo aspetto. Il pianoforte diviene corpo messo a nudo, tolta la sua maschera storica, ed espone le ferite: esibisce le fratture di un’identità gloriosamente deformata, inorganica.
La libertà e il gusto stanno nella fase della preparazione, ma una volta fissate le preparazioni, il pianoforte diviene macchina, quindi, necessità. La poetica del pianoforte preparato si declina, anche sotto questo aspetto, tra indeterminazione e necessità.

Quel crogiuolo di fuoco e carne vera ove anatomicamente, per compressione d’ossa, di membra e di sillabe, si rifanno i corpi, e si presenta fisicamente e al naturale l’atto mitico di fare un corpo.72

Rispetto al bisogno dell’uomo di classificare, in base a un ordine, Cage non inventa un nuovo ordine: questa è l’utopia di Schönberg, inventore di un nuovo ordine, di un nuovo linguaggio.
Cage invita a disperdersi, ad abbandonare la prospettiva di un ordine conosciuto, a sperimentare la radicale dimensione eteroclita del conoscere.
Cage è allievo pieno di ammirazione per il maestro, ma in lui, gli insegnamenti di Schönberg risuonano in modo radicalmente diverso e lo spingono a tracciare soluzioni del tutto opposte. Se per Schönberg “L’ordine non è nell’oggetto, ma è il soggetto che esige l’ordine” significa esercitare il libero arbitrio del compositore come soggetto, in Cage significa che il soggetto va ridefinito, va modificato partendo dal suo atteggiamento conoscitivo. La modalità della composizione per altezze rimane una soluzione limitata.
Tuttavia l’istanza poetica di Cage che muove dall’invito alla “self-alteration” condivide il fondamento epistemologico espresso nel Manuale di armonia. Schönberg afferma che l’ordine è un frutto della cultura e non della natura, mettendo quindi in discussione che ciò che veniva dato per scontato: la tonalità, egli afferma, non è “una legge eterna, una legge di natura della musica come hanno fatto tutti i teorici che mi hanno preceduto, anche se questa legge corrisponde alle condizioni più semplici del modello naturale, cioè del suono e dell’accordo fondamentale”.
Nel
Manuale Schönberg non espone il suo sistema di composizione per dodici note, ma guida un ideale allievo autodidatta alla conoscenza delle regole dell’armonia tradizionale.
Rispetto alla coppia concettuale ‘ordine-disordine’ Schönberg scrive parole illuminanti in cui professa una profondissima riluttanza alle classificazioni e al pericolo di ogni dualismo. Egli opera una sorta di riduzione fenomenologica applicata al conoscere attraverso la musica per cui non è l’oggetto che esige l’ordine, ma il soggetto.
73
La vita per Cage non è un’idea, ma una pratica, “more geometrico”, un modo d’essere che inventa tutti gli attributi: la musica è filosofia e politica.
Cage è sempre mosso da un’attitudine critica nei confronti del reale, fiducioso che non vi sia nulla di eterno e che in ogni cambiamento stia anche la possibilità di un conoscenza, seppur parziale, consapevole di quanto ogni uomo sia intimamente e reciprocamente coinvolto in un immanente che è solo un mare di mutamenti.
Le parole di Deleuze per Spinoza
74 ben ritraggono quest’altro com-positore: anche Cage non credeva che nella gioia (le sue larghe e frequenti risate sono icone del suo ateggiamento) e nella visione. Egli fa parte di quei pensatori privati che vogliono “ispirare, risvegliare, far vedere”. Per Cage davvero la musica possiede un ethos, ed egli staglia la sua ‘genealogia della morale’ attraverso la musica contro le nozioni di merito e demerito, di senso di colpa, di obbedienza e disobbedienza.
Egli è per una transvalutazione di tutti i valori, contro ogni dualismo e tutte le maniere di umiliare e di spezzare la vita, denunciando le pigrizie e le paure dell’uomo che sono fonte delle passioni tristi di Spinoza come il rancore e il rimorso; a favore di una nuovo sguardo nei confronti di un ascolto che sia più libero, e stimoli la curiosità e il desiderio.
“Happy new ears” ovvero “nessun partito di miglioramento della razza sonora”
75.
Deleuze afferma che il metodo geometrico dell’Etica di Spinoza cessa di essere un metodo di esposizione intellettuale, che non si tratta di un’esposizione accademica ma di un metodo di invenzione. La musica per Cage diviene un campo da gioco in cui esercitare la nostra facoltà di nvenzione e di continua scoperta di noi e del mondo, e dove massimamente si fondono sapere teorico e pratica esperienziale. La forma musicale diviene il risultato di un processo dinamico che fa leva sulla natura energetica del fenomeno sonoro: è una dinamica di forze.

In arte, in pittura come in musica, non si tratta di riprodurre o di inventare delle forme, bensì di captare delle forze. 76

3.2 Il tratto sperimentale nell’America negli anni Quaranta

Partendo dalla suggestione dell’analisi di Giampiero Cane sulla musica americana del Novecento si possono rintracciare due prospettive divergenti, linee di fuga che non possono finire che per patire l’opposizione reciproca. Una è la tendenza alla saturazione, all’affollamento caotico, al gusto della presenza, dell’accumulo per sovrapposizione.
L’altra reagisce al presenzialismo autocelebrativo, sostituendo al soggetto sociale un individualismo anarchico, che si concretizza nelle poetiche antiespressiviste e casuali, nella pop-art, nell’arte informale, nella letteratura della beat-generation.
Percorrendo il solco di una delle due America lungo cui Cane ci accompagna rintracciamo numerosi ragioni per la comprensione, l’ascolto e per tentare un’analisi della musica di Cage.
La “prima” America rispecchia la frenesia della “Grande Mela”, dei grandi spazi, delle grosse automobili, degli immensi supermercati.

La tendenza americana ad affollare di presenza le durate, di quel horror vacui del tempo, che sembra aver dominato la scena musicale americana – ma fino all’ingresso in essa del silenziatore di John Cage – con Sousa, Jimmy Europe, l’acceleratore sul ragtime, Zigfield, Copland, Schuman e anche con qualcosa di Gershwin. 77
Dietro allo strepitio dell’ingombrante industria americana musicale e cinematografica, amplificata dalla smisurata potenza della diffusione di massa, che l’America conosce per prima al mondo, vivono le “spore umane” della vita “gonfiata a saturazione”, vive l’umanità dell’America raccontata da Henry Miller in Tropico del Capricorno
78.

Uomini camminavano per le strade di New York in quella maledetta, degradante tenuta, gli spregiati, gli infimi degli infimi…79

Così danziamo, a gelido ritmo frenetico, onde corte e onde lunghe, una danza nell’interno della coppa del nulla. …In questa logica non c’è redenzione, la città medesima essendo la più alta forma di pazzia e ogni singola parte, organica od inorganica, un’espressione di questa moderna pazzia. Mi sento assurdamente e umilmente grande, non da megalomane, ma da spora umana, da spugna morta della vita gonfiata a saturazione.80

Miller racconta in un flusso di loquela dal ritmo serrato, da swing; è un volo unico e disperato, segnato dall’improvvisazione delle parole una dietro l’altra, come i frammenti di irriducibile vita, ammassati in un caos brulicante. E’ una narrazione che possiede la voracità e la crudele bellezza della vita stessa. E’ un’umanità impazzita, che sogna una luna di gomma e a cui il mito ha restituito il nulla.

La linea del viaggio è rotonda e ininterrotta. Non forma, non immagine, non architettura, solo voli concentrici di pazzia pura. Io sono la freccia della sostanzialità del sogno. io verifico in volo. Io nullifico piombando a terra.81

L’altra prospettiva della differenza americana corre lungo la linea della dimissione dell’autoaffermazione e reagisce al presenzialismo dello show-buisness con poetiche basate su casualità, antiespressività, oggettualità, fenomenologia sperimentale. Su questa traiettoria, solco profondo dell’identità americana, accanto a Cage incontriamo Morton Feldman, Jack Kerouac, Alexander Calder, William Bourroghs, Cecyl Taylor, Harry Partch, Henry Miller, Andy Wahrol.
Il loro scrivere traccia, attraverso la sperimentazione, linee di fuga che scorrono lungo la perdita della propria identità.
Essi propongono vie di fuga per spezzare il meccanismo dell’interpretazione, lontano dal “buco della soggettività”. La fuga dell’arte non consiste nel fuggire bensì nel “produrre del reale, creare vita, trovare un’arma”
82.

C’è tutto un sistema sociale che si potrebbe chiamare sistema parete biancabuchi nero. Siamo sempre inchiodati alla parete delle significazioni dominanti, siamo sempre sprofondati nel buco della nostra soggettività, il buco nero del nostro Io che ci è caro più di ogni altra cosa. Parete su cui si inscrivono tutte le determinazioni oggettive che ci fissano, ci squadrano, ci identificano e ci fanno riconoscere: buco dove noi alloggiamo, con la nostra coscienza, i nostri sentimenti, le nostre passioni, i nostri piccoli segreti troppo conosciuti, la nostra voglia di farli conoscere. Anche se il volto è un prodotto di questo sistema, esso è una produzione sociale: grande volto dalle guance bianche, con il buco nero degli occhi.83

Gilles Deleuze pronuncia parole con cui l’anarchico Cage sarebbe stato in perfetta sintonia: “Le nostre società hanno bisogno di produrre volti. Il Cristo ha inventato il volto. Il problema di Miller ( e già quello di Laurence): come disfare il volto liberando in noi le teste cercatrici che tracciano delle linee di divenire?[…] Come uscire dal buco nero, invece di girare sul fondo, quali particelle far uscire dal buco nero? Come spezzare anche il nostro amore per divenire infine capaci di amare? Come diventare impercettibili?”84 E qui è Deleuze che riporta un intenso passo di Tropico del Capricorno di Miller:

Non guardo più negli occhi della donna che tengo fra le braccia ma ci nuoto dentro, testa, braccia e gambe, e vedo che dietro alle occhiaie c’è una regione inesplorata, il mondo del futuro, e qui non c’è logica affatto […]  quest’occhio senz’io non rivela né illumina. Viaggio lungo la linea dell’orizzonte, viaggiatore incessante e disinformato […] Ho infranto il muro creato dalla nascita, e la linea del viaggio è rotonda e ininterrotta […] Il mio corpo deve diventare un costante raggio di luce […] Perciò chiudo le orecchie, gli occhi, la bocca. Prima di ridiventare uomo forse esisterò come parco.85

Cage fa da perno in questa doppia identità dell’America “termine che, nell’uso comune, col tutto indica la parte” 86.

Prima del suo discorso la diversità della musica americana era pressoché ignorata (Ives), o individuata come “regionale”, o come emergere all’arte di una musica popolare (il jazz); con Cage tale diversità diventerà radicale e olistica, una nuova concezione del fenomeno sonoro, capace di entrare nel mondo delle idee. 87

Un tratto specifico all’interno della storia della musica americana è il primato della melodia. La filosofia morale americana è ricca di slanci dai tratti impressionistici, filosofia tradotta in un’estetica rock, che nella sua generalità “si ridurrà al trasmettersi dell’energia”; la sua tradizione è ricca di vicende epico-morali e affonda le sue radici nel pragmatismo, nel trascendentalismo e nel puritanesimo di massa.

Cane stigmatizza le caratteristiche del soggetto americano nel “coraggio del pioniere”, “l’innocenza radicale dello spirito” sommato ad un “perfetto individualismo”
88.
Apparentemente distante, di una lontananza quasi siderale nel suo antiespressivismo, la musica di Cage non nasce che da questa fisicità del suono. Nasce dalla considerazione che il suono è una componente della natura (intesa come
natura naturans) tanto più lo si lascia libero e non ostacolato dal soggetto che ne costringe il fluire.
Cage affonda la sua poetica proprio in questa americanissima concezione del fenomeno sonoro, della sua eterogeneità, della sua appartenenza al mondo prima che alla scrittura, alla vita prima che all’interprete.
Il suo approccio alla musica è quello dello sperimentatore. Cage intende mostrare il suono delle cose, principio coerente nel suo comporre anche se passa attraverso procedure compositive assai diverse, ma che mantengono una coerenza di fondo nell’arco della sua intera opera: dalla sperimentazione del confine tra il suono e il rumore, alla poetica di accoglimento del silenzio all’interno del materiale compositivo, fino alle tecniche aleatorie e agli Imaginary Landscape, la musica è manifestazione del suono delle cose, l’avvicinarsi ad esse esercitando la “compenetrazione senza ostruzione” .
In Cage vive una teleologia che appartiene al mostrarsi delle cose, al fare qualcosa affinché
il sonoro (nella cageana amplissima accezione) si mostri.

Cage ha sempre dichiarato che “l’arte imita la natura nel suo modo di procedere”.
Anche Ives rivela voler andare verso le cose, una tendenza all’oggettivo; nelle sue citazioni egli tende l’orecchio ad un reale che lo circonda e lo invade. Più evidente dell’influenza di Ives è dunque fondamentale per Cage l’esperienza dai futuristi filtrata attraverso la tradizione sperimentale americana.
Il tratto sperimentale è una componente autentica della storia dell’identità della musica americana che nasce dalla sovrapposizione delle differenze, dalla comprensenza di culture e tradizioni.
L’identità americana non si trova che nella contaminazione, nell’ibrido; non v’è “naturale” al di fuori della trasformazione e nulla si conosce se non ciò che viene trasformandosi.
Cage sperimenta un comporre-creare in divenire, “tradendo” una tradizione, le aspettative del pubblico, la propria identità (è impossibile per l’artista della seconda metà del ‘900 dire: “il mio pubblico”).

Tradire significa creare. Bisogna perdere la propria identità, il proprio volto. Bisogna sparire, diventare sconosciuto.89

Le composizioni di Cage degli interi anni Quaranta riconoscono un primato alla sperimentazione; egli lavora principalmente per le percussioni e per il pianoforte preparato.
La caratteristica essenziale di questo periodo di grande sperimentazione timbrica consiste nel non riconoscere più nell’armonia un primato, ma di voler rivolgere l’interesse ad una più vasta concezione del suono.
Di latitudini e chilometri è costituito infatti lo spazio della ricerca, una geografia che si oppone idealmente a una concezione europea della ricerca, che ha, all’opposto, una dimensione temporale e storica.
La reazione al semplicismo populistico e propagandistico assume la piega dello sperimentalismo anarchico di H. Cowell, C. Nancarrow, H.Partch e Cage.
Ancora negli anni ‘40 Henry Partch giunge ad inventarsi una teoria fondata su nuovi valori di intonazione. La propria ideologia del sonoro è contenuta nel suo Genesis of the Music del 1949.
Partch divide l’ottava in 43 intervalli e si inventa una serie di strumenti adatti ad eseguire la propria musica.
L’utilizzo rigoroso del “suo” sistema armonico distingue Partch da Cage, per il quale la trasformazione diviene la ragione stessa dell’opera, anche prima di arrivare all’alea, in cui l’idea cageana di mutamento si realizza quando immettiamo nell’opera l’ascoltatore.
Il tratto sperimentale di Cage si collega piuttosto a Varèse che a Partch proprio per il tipo di utilizzo a cui quest’ultimo intende vincolare le proprie ricerche. Anche se i loro risultati rientrano in una generale estetica del rumore o sperimentale, il loro presupposto poetico è sostanzialmente diverso.
Partch è interessato all’intonazione e al controllo dei microtoni e intende rifiutare, quale materiale compositivo, quello accreditato dalla tradizione, che egli sostituisce con un proprio sistema di intonazione e strumentazione.
Cage è invece interessato alla natura del suono, a partire dall’ascolto di qualsiasi suono, e trova il rumore “ricchissimo in termini di suono”. Egli intende esplorare lo spettro sonoro, come Varèse, come i futuristi, “esplorare ogni cosa attraverso il suo suono”.
90

Una differenza tra Partch e me consiste nel fatto che loro sono partiti interessandosi all’intonazione e al controllo dei microtoni, mentre io sono passato dai dodici suoni all’intero territorio sonoro. E alla base di esso ho posto il rumore. Io non cerco, come fanno Partch e Harrison, di delimitare con precisione gli ambiti di ciò che è musicale e ciò che non lo è. Il mio punto di partenza è un altro: il rumore, io non uso mai suoni che non tributino il loro omaggio al rumore. Suggerisco che la stessa cosa possa portare a un miglioramento nella società: ovvero che invece di fare le nostre leggi a misura dei ricchi, come sempre accade, faremmo bene a basarle sui poveri. Se potessimo avere delle leggi che rendessero confortevole la povertà, quelle leggi andrebbero bene anche per il ricco; ma il contrario è oppressivo.91

Il suono è davvero, nella cageana filosofia della musica, manifestazione della molteplicità della vita, espressa nella categoria di materiale musicale che accoglie il fenomeno sonoro nella sua eterogeneità.
La sostanza sonora che informa le
Sonatas and Interludes è quindi legata a questa costituzione ontologica del suono, una dimensione mista in cui il musicale traduce il rumore, abbracciandone le possibili indeterminazioni.
La costituzione dell’oggetto sonoro ci parla di un materiale ancora del tutto fluido,eterogeneo, modellabile, che interagisce in maniera non univoca con il processo compositivo.
Il rigore procedurale dell’agire poetico e l’interesse del compositore per la natura del suono, che si concretizza nella considerazione energetica del fatto sonoro, sono evidentemente aperti e in comunicazione tra loro. La musica è secondo Cage una cifra di partecipazione. Cage non si espresse mai in termini religiosi anche se molti dei suoi scritti recano il peso di un avvicinarci al senso del sacro.
Inoltre la nozione di immanenza, che abbiamo rintracciato lungo l’analisi lo avvicina idealmente più a Spinoza che ad Heidegger.
Il componente di partecipazione, basilare per la considerazione di Cage sulla natura del suono, è intrinseca al profondo rapporto nell’estetica cageana tra arte e Natura, intesa come natura naturans.
Va rintracciato il presupposto estetico per cui l’essenza dell’arte, secondo il compositore, consiste in una mimesi della natura nel suo modus operandi. Nel processo creativo il compositore cerca di cogliere il principio attivo che opera nella natura stessa, in una modalità misteriosa all’uomo. Tale procedura viene espressa nelle estetiche orientali, dove l’espressione individuale è quasi totalmente esclusa dalla ricerca artistica, e dove lo sguardo sull’interiorità è abbandonato per una sorta di contemplazione della natura, intesa come insieme di tutti i fenomeni manifestantesi, compreso l’uomo come elemento all’interno dell’equilibrio universale.
La musica, nella sua ontologica immanenza alla natura, diviene quindi non illusionistica rappresentazione ma testimonianza, ascolto del principio agente che vive in essa. L’agire poetico si configura in Cage come
positiva accettazione e affermazione gioiosa del mondo, della dinamica della vita.
Questo tipo di autentica necessità all’apertura, all’eccedenza, rende Cage consapevole, proprio negli anni Quaranta, della fondamentale motivazione del proprio comporre: “per me comporre nasce dal fare domande”. La ricerca dell’effetto sonoro, l’esplorazione dello spettro, lo sfondamento delle proprie esigenze e aspettative in termini tradizionali di gusto, la modificazione del nostro stato d’animo e della nostra attitudine conoscitiva, il metterci in relazione coi suoni hanno una profonda valenza filosofica ed euristica. Il fare musica è per Cage un atto dello spirito, è ciò che sta dietro ad ogni nostro gesto, ad ogni nostra azione, ogni nostro pensiero. E’ da tale presupposto che Cage elabora una concezione “sociale” (sociale, in senso anarchico) della funzione della musica, esplicata nel principio della self-alteration.


Note

1 J.Cage, Composizione come processo, I.Mutamenti (1958) in Riga N.°15, John Cage, cit. p.68.
2 J.Cage, Per gli uccelli, cit. p. 159.
3 Schönberg, Arnold, Manuale di armonia, cit. p. 412.
4 J.Cage, Lettera a uno sconosciuto,cit. p.102.
5 J.Cage, Composizione come processo, I.Mutamenti (1958) in Riga N.°15, John Cage, cit. p.64.
6 Cage, John, Prefazione a The Well Prepared Piano, di R.Bunger, Colorado Springs, The Colorado College Music Press, 1973.
7 J.Cage, Confessioni di un compositore, in Riga N.°15, cit. p.50.
8 J.Cage, in Lettera a uno sconosciuto, cit. p.50.
9
Cage, Composizione come processo, I.Mutamenti (1958) in Riga N.°15, John Cage, cit. pp. 68 e 69.
10 J.Cage, Silenzio, cit. p.37
11 J.Cage, Per gli uccelli, cit. p. 23
12 Ivi, p.24.
13
Ivi, p.27.
14 Guanti, Giovanni, Estetica musicale. la storia e le fonti, La Nuova Italia, Milano 1999, p. 495.
15 Riguardo questa problematica facciamo riferimento a Luciano Anceschi, Gli specchi della poesia, cit. Si veda anche di Modica, Massimo, Che cos’è l’estetica, Editori Riuniti, Roma 2000.
16
Vedi Sonata N.°15, II parte, battuta 22; la nota è il fa.
17 Cage, Per gli uccelli, cit. p. 30.
18 Galliano, Luciana, Yogaku: percorsi della musica giapponese nel Novecento, Cafoscarina, Venezia 1998.
19 J.Cage, Silenzio, op. cit. p. 39.
20 Vedi per l’analisi di questa Sonata anche il 5 Capitolo “Tempo sospeso”.
21
Ivi, p.4.
22 Zhuangzi in Porzio, Metafisica del silenzio, cit. p. 126.
23 J.Cage, Silenzio, op. cit. p. 32-33.
24
Spinoza, Baruch Benedict, Spinoza, Baruch Benedict, Ethica. Dimostrata con metodo geometrico, Editori Riuniti, Roma 2000. Qui p. 179 (Parte Terza, Proposizione VII).
25 Ivi, p.50.
26
Thompson, Virgil, The abstract composer (1952), in Writings about Cage, a cura di Richard Kostelanetz, Ann Arbor, The University of Michigan Press 1993, p.77.
27 J.Cage, Per gli uccelli, cit. p.75.
28 Confrontare Donatoni, Franco, Il sigaro di Armando. Scritti 1964-1982, Spirali, Milano 1982.
29 Bergson, Henri, Durée et Simultanéité. A propos de la theorie d’Einstein, Alcan, Paris 1923, in Comporre arcano. Webern e Varèse poli della musica moderna, a cura di A. Fiorenza, Sellerio, Palermo 1985.
30 Cage, John, Diario: come migliorare il mondo ( non farete che peggiorare le cose) 1965, in Riga N.°15, John Cage, cit. p.95. Qui Cage, di seguito, cita Buckminster Fuller: “Fino a quando un solo uomo avrà fame,l’intera umanità sarà affamata.”
31 J.Cage, Confessioni di un compositore in Riga N.°15, John Cage, op. cit. pp.46 e 47.
32 Varèse, Edgard, Il suono organizzato, cit. p.159.
33 Pubblicata in ‘Liberté 59’, I, Montréal, ottobre 1959. Il testo è disponibile in traduzione italiana nella raccolta di scritti sulla musica di Edgard Varèse Il suono organizzato, Unicopli, Milano, 1985.
34 Ivi, p.104.
35 Ivi, p. 159.
36 Ibidem.
37 Ivi, p.160.
38
Ibidem.
39 Ibidem.
40 Ivi, p. 101.
41 Deleuze, Gilles, L’immagine tempo, Ubulibri, Milano 1997,p. 84.
42 Ibidem.
43 J.Cage, Per gli uccelli, cit. p. 23.
44 Si veda il libro di Giovanni Piana, Mondrian e la musica, Guerini e Associati, 1995 Milano.
45 J.Cage, Lettera ad un sconosciuto, op. cit. p. 250.
46 Ivi, p. 243.
47 Ivi, p.250.
48 Piana, Giovanni Mondrian e la musica, Guerini e Associati, Milano1995, p. 61.
49 Vedi 7 capitolo “Analisi”.
50 Calvino, Italo, Il castello dei destini incrociati, Mondatori, Milano 1994, p. 91.
51 Rilke, Reiner Maria Elegie Duinesi (dalla Decima Elegia), Einaudi 1978, Torino, p.69.
52 J.Cage, Lettera a uno sconosciuto, cit. p.238.
53 Ivi, p. 296.
54 Ibidem.
55 Ivi, p. 434.
56 M.Porzio, Metafisica del silenzio, cit. p. 14.
57 “Secondo la teoria indiana ci sono nove emozioni permanenti… che introducono alla vera e propria rasa (emozione estetica); senza di esse infatti non c’è rasa. Sono: l’eroico, l’erotico, il meraviglioso, il gioioso ( bianche); il patetico, l’odioso, il furioso, il terribile (nere). La tranquillità si trova nel mezzo dei quattro modi “bianchi” e dei quattro modi “neri”: essa è lo stato a cui tendono normalmente.per questo è importante esprimerla prima degli altri, senza nemmeno curarsi di manifestare gli otto restanti. Si tratta dell’emozione più importante.” Cage in Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, cit. p.102.
58 Ivi, p.101
59 Ivi, p. 307.
60 Charles, Daniel L’ascolto poetico secondo John Cage, in Riga, N.°15, John Cage, cit. p. 411.
61 J.Cage in Charles, Daniel “Un soffio per nulla”: Osservazioni su Heidegger e Cage, in Filosofia ’90 a cura di Gianni Vattimo, ed. Laterza, 1991, p.177
63 “Gli impianti, le apparecchiature, i macchinari che caratterizzano il mondo della tecnica risultano oggi, per tutti noi, per alcuni di più, per altri di meno, indispensabili. Sarebbe folle slanciarsi ciecamente contro il mondo della tecnica, sarebbe miope condannarlo in blocco come opera del diavolo. Ormai dipendiamo in tutto dai prodotti della tecnica, siamo costretti senza tregua a perfezionarli sempre di più. Essi ci hanno, per così dire, forgiati a nostra insaputa e così saldamente che ne siamo ormai schiavi.”, M. Heidegger, L’abbandono,(1959), trad. it. di A.Fabris, Il Melangolo, Genova 1983, p.37.
64 J.Cage, Per gli uccelli, cit. p. 113.
65 M.Heidegger L’abbandono, cit. p. 37-38.
66 J. Cage, in Lohner Henning, John Cage “33708 Types”, Interface, vol.18, 1989, p.251. Anche in Charles, Un soffio per nulla, cit. p.179.
67 Ivi, p.73.
68 Ibidem.
69 Foucault, Michael, Le parole e le cose, un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1963, p. 5: “Questo libro menziona ‘una certa enciclopedia cinese in cui sta scritto che ‘gli animali si dividono in: a) appartenenti all’Imperatore, b) imbalsamati, c)addomesticati, d) maialini di latte, e) sirene, f)favolosi, g) cani in libertà, h) inclusi nella presente classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, l) et caetera, m) che fanno l’amore, n) che da lontano sembrano mostri.” Nello stupore di questa tassonomia ciò che balza subito alla mente, ciò che, col favore dell’apologo, ci viene indicato come il fascino esotico d’un altro pensiero, è il limite del nostro, l’impossibilità pura e semplice di pensare tutto questo.
70 Ivi, p. 7.
71 Ivi, p.9: “Su quale ‘tavola’, in base a quale spazio di identità, di similitudini, d’analogie, abbiamo preso l’abitudine di distribuire tante cose diverse e uguali? Qual è questa coerenza –di cui è facile capire immediatamente che non è né determinata da una concatenazione a priori e necessaria, né imposta da contenuti immediatamente sensibili? Non si tratta infatti di concatenare delle conseguenze, ma di accostare e isolare, di analizzare, adattare e connettere dei contenuti concreti, nulla di più brancolante, nulla di più empirico ( almeno in apparenza) dell’instaurazione di un ordine fra le cose; nulla che non richieda un occhio più aperto, un linguaggio più fedele e meglio modulato; nulla che non esiga con maggiore insistenza che ci si lasci portare dalla proliferazione delle qualità e delle forme.
72 A.Artaud, in Nessun tempo, nessun corpo di F.A.Miglietti, ed. Skira, Milano 2001, p.43.
73 Ivi, p. 37: “In tutto ciò che vive esiste ciò che modifica, sviluppa e distrugge la vita. La vita e la morte sono contenute nello stesso seme, e nel mezzo sta solo il tempo, cioè nulla di essenziale ma solo una misura che finisce per colmarsi. Da questo esempio deve imparare (riferito all’allievo o all’autodidatta) ciò che è eterno: il mutamento; e cosa è temporale: l’esistenza. Si renderà conto così che molto di ciò che si riteneva estetico, cioè fondamento necessario del bello, non è sempre fondato nella sostanza delle cose; e che è l’imperfezione dei nostri sensi che ci obbliga a quei compromessi attraverso i quali otteniamo l’ordine, in quanto non è l’oggetto che esige l’ordine, ma il soggetto”.
74 Gilles Dleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Guerrini e Associati, Milano 1991.
75
J.Cage, Per gli uccelli, cit. p. 72.
76 G.Deleuze, in Nessun tempo, nessun corpo, cit. p.17.
77 Ivi, p.22.
78 Miller, Henry Tropico del capricorno, (1939) ed it. Mondadori, Milano 1998, p. 103.
79 Ivi, p. 26.
80 Ivi, p. 103.
81 Ibidem.
82 G.Deleuze, Conversazioni, cit. p.54.
83 Ivi, pp. 50 e 51.
84 Ivi, p. 51.
85 Ibidem.
86 Cane, Giampiero, MonkCage, cit. p.23.
87 Ivi, p. 56
88 Ivi, p. 42.
89 Ivi, p. 50.
90 J.Cage, Lettera a uno sconosciuto, cit. p. 82.
91 Ivi, p. 152.

 

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