Nadia Moro
La riflessione herbartiana sulle relazioni tonali

 
 
Nel titolo della sua maggiore opera psicologica, la Psychologie als Wissenschaft neu gegründet auf Erfahrung, Metaphysik und Mathematik , degli anni 1824-25, J. F. Herbart (1776-1841) riassume il proprio programma per la psicologia. Opponendosi al veto kantiano alla possibilità stessa di una scienza psicologica, egli elabora una psicologia i cui requisiti scientifici si misurano nel fondamento sull’esperienza, la metafisica e la matematica.

Organizzata secondo il modello delle scienze naturali, la nuova psicologia herbartiana si propone di «rendere comprensibile il tutto dell’esperienza interna»[1], rinunciando alla vuota astrattezza della teoria delle facoltà, per fare affidamento piuttosto sui dati molteplici dell’esperienza determinata, integrati in una struttura coerente grazie all’elaborazione metafisica.

In virtù della sua semplicità, il suono è suscettibile, secondo Herbart, di un’indagine psicologica particolarmente proficua. Prendendo quindi le mosse dall’esperienza del suono, Herbart la analizza secondo le categorie della sua psicologia e spiega così la genesi e la costituzione del materiale tonale, con la sua articolazione nelle strutture codificate dalla teoria musicale. Herbart introduce la deduzione dei suoni ponendo un apriori tonale continuo, che egli chiama linea tonale, lungo il quale vengono isolati dei punti notevoli attraverso le leggi psicologiche che regolano gli equilibri fra le rappresentazioni nella coscienza. In tal modo si opera il passaggio dal continuo denso, costituito dalla linea tonale, ad una sequenza discreta di suoni, le note, che risultano funzionali all’uso musicale; insieme viene fornita anche una giustificazione delle relazioni fondamentali che sono poi alla base dell’armonia.

Le Psychologische Bemerkungen zur Tonlehre (1811)[2] e le Psychologische Untersuchungen (1839)[3] , in cui Herbart espone le proprie teorie musicali, rivelano una comprensione dei rapporti tonali secondo un modello spaziale di tipo lineare. Esso viene ricavato dalla linea tonale, lungo la quale viene innanzitutto distinto l’intervallo di ottava, che costituisce la relazione fondamentale da un punto di vista tonale: da essa, infatti, si ricavano poi tutti gli altri elementi, in accordo con le leggi della psicologia, in modo da poter ricostruire i fondamenti della teoria musicale, quali gli intervalli ed i criteri psicologici dell’armonia, le triadi perfette con l’effetto consonante loro peculiare.

L’ottava viene rappresentata come una struttura bidimensionale finita (un segmento), entro la quale si possono ulteriormente rinvenire i rapporti che ciascuna nota in essa contenuta intrattiene con le altre. Allo stesso tempo, tuttavia, il segmento che rappresenta l’ottava deve essere assunto a simboleggiare ogni singola nota, che, in quanto tale, rimane del tutto indeterminata, ma si riempie di significato non appena le si attribuisca un’”estensione”. La necessità di estendere le singole note, infatti, deriva dalla loro natura funzionale: il suono preso singolarmente è privo di definizione ed abbisogna di un altro suono che venga confrontato con esso, affinché entrambi acquisiscano una determinazione reciproca nell’intervallo. Una nota viene dunque definita insieme con la posizione di tutte le relazioni di cui è suscettibile rispetto ad altre note, ossia nell’ambito di un’intera ottava, perché negli intervalli ad essa superiori i rapporti si ripetono.

Non è quindi sufficiente la posizione della nota come un punto lungo la linea tonale, ma vi si deve aggiungere anche una determinazione che mostri, per ciascuna nota, la quantità di differenza rispetto alle note più alte e più basse, determinandone insieme il valore armonico. Ciò è possibile attraverso la nozione di nota estesa, che comprende, oltre alla nota, tutte le relazioni possibili alle note che la precedono e le succedono nell’ambito di un’ottava. È così necessario che la singola nota si amplifichi fino a coprire un intero segmento tonale, che costituisce un sistema finito nel quale ciascun tratto esibisce relazioni specifiche con tutti gli altri, in virtù delle peculiarità armoniche (e con ciò musicali) che possono darsi soltanto entro la molteplicità relazionale di un tutto internamente complesso.

La prospettiva offerta dall’intera ottava si rivela dunque metodologicamente necessaria per poter dar conto degli elementi fondamentali dei quali si compone la musica; nell’ottava vengono infatti intessuti i molteplici rapporti secondo cui restituire coerenza al dato tonale esperito. Le singole note si sottraggono ad una considerazione diretta, lasciandosi scoprire esclusivamente tendendo l’orecchio verso un intervallo.

La scomposizione interna di cui l’ottava è suscettibile corrisponde all’individuazione degli intervalli inferiori all’ottava, la cui esatta ampiezza viene determinata secondo criteri psicologici. Anche le proporzioni tra le distanze dei punti così localizzati si mantengono costanti e, nelle ripetizioni dell’ottava, rivelano un isomorfismo strutturale nell’articolazione dell’intervallo fondamentale, tale per cui «la musica abbisogna propriamente solo dell’ottava, all’interno della quale essa trova tutti insieme gli altri rapporti»[4].

La concezione relazionale del suono emerge anche dalla trattazione herbartiana della melodia, che viene ricondotta alla possibilità di una sua armonizzazione: «ad una melodia […] deve poter essere aggiunta con il pensiero una serie possibile di armonie»[5]. A sua volta, la priorità della dimensione armonica viene potenziata dalla sua contestualizzazione a livello contrappuntistico: l’armonia, presa per sé sola, detta regole ed in ciò si rivela autonoma, ma non è ancora musica. Per questo essa trova il massimo inveramento quando venga congiunta alla melodia, e più specificamente in una conduzione contrappuntistica, nella quale siano riconoscibili le varie linee melodiche che sviluppano e risolvono le tensioni armoniche sorte tra di esse.

I rapporti, che assumeranno la massima importanza nell’estetica herbartiana, trovano quindi un ruolo fondamentale già nel punto di passaggio dall’armonia alla melodia da un punto di vista psicologico. Se, infatti, l’armonia deve estendersi al successivo per spiegarsi in tutte le sue possibilità, la melodia che vi si trova intessuta costituisce a sua volta un’unità da essa inseparabile.

Una tale concezione del contrappunto significa, filosoficamente, l’istituzione di una proficua relazionalità che viene massimamente valorizzata nell’estetica: da un lato, questa disciplina è fondata sui rapporti e sull’assiologia che immediatamente ne deriva, dall’altro, il contrappunto assurge a modello stesso per il rigoroso sviluppo di un’estetica saldamente fondata: «la musica mostra molto chiaramente che gli intrecci più artistici possono sorgere quando più serie del bello successivo (più voci melodiche) si sviluppano contemporaneamente, in maniera tale che le esigenze dell’armonia vengano continuamente assecondate»[6].

È peraltro l’aspetto relazionale a sancire il legame a mio avviso più stretto fra la psicologia e l’estetica di Herbart. La psicologia analizza, infatti, i rapporti intercorrenti fra le rappresentazioni e, per quanto riguarda il suono, ne ricava le leggi di connessione, che coincidono anche con le regole dell’armonia. L’estetica costituisce allora un ulteriore punto di vista sulle stesse relazioni analizzate in psicologia, che si esprime nella valutazione immediata formulata nel giudizio estetico.

Il pensiero musicale esprime il repertorio di molteplici connessioni (effettive o soltanto possibili) tra rappresentazioni tonali già poste, per organizzarle secondo rapporti che vengono fatti oggetto di una valutazione estetica. Il pensiero che nella musica si esplica vi opera scelte sulla base di criteri propri ed è l’artefice di una legalità estetica specificamente musicale.

Il pensiero musicale, in definitiva, costituisce lo specifico musicale, ossia l’unità di riferimento per tutti i fenomeni dell’arte dei suoni. Esso si distingue per una coerenza internamente organizzata su rapporti tonali garantiti a priori e relazioni estetiche per le quali sussiste un giudizio oggettivamente valido. Su questa base è parimenti garantita un’autonomia costitutiva della musica, che dispone ora di uno statuto suo proprio e che si offre in modo paradigmatico all’analisi prima psicologica e poi, ancora, estetica.

Harmonie und Kontrapunkt in der Lehre J. F. Herbarts

Johann Friedrich Herbart (1776-1841) räumt der Musik eine besondere Rolle in seinem Leben und in den eigenen Lehren ein. Musikalisch sehr begabt, hat der junge Herbart schon früh eine vielseitige und ziemlich gründliche musikalische Erziehung genossen, so dass er sich zu einem bemerkenswert guten Klavierspieler weiterentwickeln konnte. Nebenbei hat er regelmäßig komponiert und sich mit der gewonnenen musikalischen Erfahrung innerhalb seiner theoretischen (philosophischen und psychologischen) Arbeit auseinandergesetzt.

In dem Titel seines psychologischen Hauptwerks, der Psychologie als Wissenschaft neu gegründet auf Erfahrung, Metaphysik und Mathematik, fasst Herbart absichtlich die Stichwörter seines Unternehmens zusammen. Nachdem Kant der Psychologie alle Wissenschaftlichkeit mangels Anwendbarkeit der Mathematik aberkannt hatte, hat Herbart dieser Stellungnahme nicht nur widersprochen, sondern auch mit der Konzeption einer tatsächlichen wissenschaftlichen Psychologie widerlegt.

Sie basiert auf Erfahrung als unabsehbarem Grund aller Erkenntnis und aller Formen; aufgrund einer einengenden und einseitigen Deutung der kantschen Lehre lehnt Herbart nämlich dessen apriorische Wahrnehmungsformen als angeborene Ideen ab, obwohl er immer noch eine transzendentale Problemstellung aufnimmt und nach seiner besonderen Art bearbeitet. Die Psychologie findet ihren Anfangspunkt in der bestimmten Erfahrung, die allerlei Gegebenheiten anbietet und die allein einen Zugang zu der ontologischen Dimension des Seienden eröffnet. Um die Erfahrungen zu untersuchen, ist erst die Selbstbeobachtung anzuwenden, deren wechselhafte durch Abstraktion errungene Ergebnisse aber äußerst behutsam für die Untersuchung zu behandeln sind.

Die zweite Basis einer wissenschaftlichen Psychologie ist die Metaphysik, die allgemeingültige Grundlagen für die Betrachtung des Seienden darbietet, indem sie eine rationale konsequente Erklärung des mannigfaltig Gegebenen bearbeitet. Die Psychologie stellt die erste Anwendung der Metaphysik dar; zwischen diesen beiden Fächern besteht  nämlich eine thematische und methodologische Kontinuität, innerhalb derer das Gegebene einer strengen Kritik hinsichtlich der Gültigkeit unterzogen wird.

Die letzte Grundlage der Psychologie liegt in der Mathematik, die ihr die notwendige wissenschaftliche Strenge gewährleistet. Allerdings steht Herbart mit dieser Meinung Kant nach und eigentlich erwecken seine Anwendungen der Mathematik etwas Ratlosigkeit, wenn sie von der heutigen Kritik nicht sogar für ganz unhaltbar erklärt werden. Trotzdem sind Herbarts Versuche umso bedeutender, zumal er das strenge mathematische Verfahren den zeitgenössischen eher phantasierenden und inkonsequenten Philosophien gegenüberstellt, so dass der Einsatz der Mathematik letztendlich ein Bollwerk gegen alle unmethodische Verwirrung bildet.

In den psychologischen Analysen der Musik werden einige Hauptbegriffe der herbartschen Psychologie angewendet, wie zunächst die Auffassung der Seele als einfaches Wesen, das in ein Verhältnis zu anderen Realen tritt, wodurch Störungs- und Selbsterhaltungsakte entstehen, die sich psychologisch in der mannigfaltigen Vorstellungstätigkeit zeigen. Die Verbindung der Vorstellungen erfolgt dadurch, dass jede Vorstellung in Gleichheits- und Gegensatzteile gebrochen wird, die dann einen Streit zwischen einer Verschmelzungskraft (Nötigung zum Eins-Werden) und dem Widerstand gegen die Vereinigung verursachen. Von den unterschiedlichen Verhältnissen unter den gebrochenen Teilen hängen die Lösung dieses Streits und die Verschmelzung oder Hemmung unter den Vorstellungen ab. Auf Grund dieses Mechanismus bilden sich mehrere Vorstellungsreihen, deren weitere Verbindungen die Erklärungen aller psychischen Geschehnisse ermöglichen sollen.

Mit der wissenschaftstheoretischen Absicht, die Gültigkeit seiner Psychologie zu überprüfen, unterzieht Herbart die Musik den Begriffen seiner Psychologie, mit der Überzeugung, dass die Tonlehre den einzigen einfachen und eindeutigen Gegenstand zu diesem Zweck ausmache. Die Mathematik, als Bürge für Wissenschaftlichkeit, tritt als notwendiges Bindeglied zwischen die beiden Fachgebiete, denen Kant kaum Platz eingeräumt hatte. Innerhalb der psychologischen Analyse dient also die Tonlehre als ancilla scientiarum, als Anwendungsbereich epistemologischer Fragen; dadurch wird aber der Musik zugleich eine psychologische Basis verschaffen, die ihre Verfahren erklärt.

Die Oktave tritt als erster problematischer Gegenstand der Betrachtung auf, weil Herbart die umstrittene Definition der Oktave als Intervall des vollen Gegensatzes einführt, was in Widerspruch zu der angenommenen Konsonanz dieses Intervalls zu geraten scheint. Der einzelne Ton ist nach Herbart von keinem psychologischen Belang, weil er erst durch das Verhältnis zu den anderen bestimmt wird; um diese Lage darzustellen, werden Schemen gezeichnet, die eine räumliche Auffassung des Oktavenabstands zweier Töne verraten. Ein einzelner Ton wird nämlich zu einem Abschnitt «auseinandergezogen», dessen dreizehn Senkrechte den Bezug zu allen Tönen innerhalb der Oktave darstellen, und für jeden Tonabstand sind die Gleichheits- und Gegensatzteile zu zählen, in die psychologisch die Vorstellung eines Tons von einer anderen gebrochen wird.

Der Wuchs des psychologischen Gegensatzes kann besser mit der Diagonale eines Vierecks dargestellt werden, dessen Seiten die Oktaveinheiten sind, auf die sich der Gegensatz bezieht: auf diese Weise entspricht das von Herbart gerechnete Verhältnis von Gleichheit zum Gegensatz dem zwischen Seite und Diagonale ( 1: Ѵ2)

Der volle Gegensatz der Oktave kann auch anhand des psychologischen Mechanismus erklärt werden, in dem die Gegensätze der vereinigenden Verschmelzungskraft der Gleichheit widerstreben. Wenn aber die Gleichheit gerade null ist, entsteht folglich auch kein Streit zwischen ihr und den Gegensätzen und somit werden die Gründe einer Dissonanz ausgeschlossen. Die Vorstellungen enthalten zwar nur Gegensatzteile, das beeinträchtigt aber den harmonischen Charakter des Intervalls nicht, weil Dissonanz erst von dem Streit der vereinigenden und der abstoßenden Kraft abhängt.

Die tonalen Abschnitte gehören eigentlich zu einer Geraden, die Herbart Tonlinie nennt und als ein apriorisches Kontinuum betrachtet, auf dem Punkte hervorzuheben sind, durch die ihr ansonsten unbestimmtes Ineinanderfließen erst verwendbar wird. Das Verfahren schreibt die psychologische Frage der reinen Unterscheidbarkeit vor: wenn zwei Punkte (Töne) nichts mehr gemein haben, sind sie erst rein voneinander unterschieden und musikalisch scheint die Oktave die Lösung zu sein, weil die in ihr vorkommenden Töne keinen Gleichheitsteil aufweisen und somit der Verschmelzung entzogen werden. Dies geschieht erst dank der ganzen Kraft der Gegensätze, so dass die Bezeichnung der Oktave als Intervall dem vollen Gegensatz als logisches Ergebnis der Unterscheidbarkeit gilt.

Die rein unterscheidbaren Punkte wiederholen sich in gleichmäßigem Abstand auf der Geraden, ebenso werden die von der Oktave geschaffenen Einheiten unendlich der Tonlinie entlang aufeinander folgen. Mit der Oktave werden zugleich deren innere Intervallstrukturen wiederholt, so dass sie die ursprüngliche Modulschablone aller musikalischen Verhältnisse ausmacht.

In der Behandlung der übrigen Intervalle wendet Herbart die gleichen psychologischen Maßstäbe an wie bei der Oktave: das logische Verfahren setzt sich in der Suche nach hervorgehobenen Punkten fort, die den wichtigsten psychologischen Ereignissen entsprechen. So werden die Fälle untersucht, bei denen die Verhältnisse zwischen Gleichheit und Gegensatz Veränderungen in der Vorstellungstätigkeit bewirken und der Streit der Kräfte unterschiedliche harmonische Werte hervorbringt. Quarte, falsche und reine Quinte werden reibungslos abgeleitet, während schon bei den beiden Terzen einige Bestimmungsschwierigkeiten auftauchen, die eine Lösung erst in dem Zusammenhang der Akkorde finden.

Die Sekunden, wo die Gegensatzteile zu klein und deswegen nicht berechenbar sind, entziehen sich einer Bestimmung nach den gleichen Kriterien. Herbart greift dann zu der allzu subtilen psychologischen Unterscheidung zwischen „ursprüngliche“ und „verstärkte“ Vorstellungen, die meines Erachtens nur seine Ratlosigkeit in diesem Fall verrät. Der Unterschied der Töne in dem Sekundenintervall ist zwar erfahrungsmäßig gegeben (und bekannt), eine konsequente Anwendung der herbartschen Grundsätze verfehlt aber seine Erklärung und scheitert in der unvermeidlichen Anerkennung eines Unterschieds ohne Unterscheidbarkeit. Hinsichtlich der theoretischen Ableitung der Intervalle hätte die Sekunde das Gegenstück zu der Oktave schaffen sollen, am Ende wird sie aber zum  Gegenstück der Ableitbarkeit schlechthin. Sexten und Septimen werden auch berechnet, ihre Werte entsprechen aber den umgekehrten Terzen und Sekunden, von denen sie also abgeleitet werden können.

In der Erklärung der reinen Akkorde erkennt Herbart die interessanteste Frage seiner Untersuchung, die wiederum die von der Brechung herrührenden Verhältnisse in Betracht zieht. Auf dem Abschnitt eines in dem Dreiklang enthaltenen Tons werden die zwei anderen als brechende Kräfte dargestellt; bei der Erläuterung des ganzen Akkords sollen nun drei Teile ausreichen, die sich ausschließlich bei reinen Dreiklängen wie 3:4:5  verhalten, d.h. wie besondere Werte, die die psychologische Schwellenformel erfüllen und eben deshalb auch die Konsonanz des Akkords rechtfertigen. Der Unterschied zwischen den Tongeschlechtern wird auf den im Mollakkord empfundenen Druck zurückgeführt, den die große Terz auf die kleine ausübt.

Meiner Ansicht nach erweist sich die ganze Erläuterung der Akkorde als zweifelhaft, unter anderem weil die in sie eingeführte Brechung übertrieben vereinfacht worden ist: sie entspricht einer einmaligen Rechnung, die eigentlich von den bestimmten, in dem Dreiklang vorkommenden Intervallen absieht und auf einem unangemessenen Überblick beruht. Im Allgemeinen liegen die Schwierigkeiten der herbartschen Behandlung der Akkorde in der unzulänglichen Unterscheidung der Ebenen, weil kein eindeutiger Bezug der Akkorde auf die Intervalle definiert wird und Widersprüche zu der Theorie der Intervalle entstehen.

Der harmonische Charakter einer Tonverbindung entspricht deren erster ästhetischer Bewertung und beruht auf einer erklärbaren psychologischen Basis. Die Gründe der Konsonanz und Dissonanz scheinen aber den Akkorden und den Intervallen nicht gemeinsam zu sein: in diesem Fall werden sie auf den Streit zwischen Verschmelzungs- uns Abstoßungskraft zurückgeführt, während die Akkorde auf einen Druck unter den eigenen Bestandteilen (nämlich den Intervallen) verweisen. Die Summe zweier kleinerer Intervalle und ein größeres Intervall sollten nämlich gleichwertig sein, was aber nur bei den reinen Dreiklängen erfolgt und sie konsonant macht. Bei den übrigen Akkorden dagegen erleiden die kleineren Intervalle einen Druck, der als Grund für die Dissonanz gilt und zu dem Übergang zu anderen Akkorden als Auflösung drängt.

Die mannigfaltige Art des Drucks, die mit der Brechung zusammenhängt, entscheidet übrigens auch über die Art der Dissonanz, weil Herbart einen Dissonanzbegriff im engeren Sinne einführt, der allein denjenigen unstabilen Akkorden zukommt, deren Auflösung bestimmt ist (z.B. ein Dominantseptakkord führt zu seiner Tonika, im Gegensatz zu einem verminderten Dreiklang, der mehrere Auflösungen gestattet). Auf die wichtigsten Akkorde wird näher eingegangen und ihre Eigenschaften nach den üblichen psychologischen Kategorien untersucht.

Meiner Meinung nach bleibt der Druck als Grund der Dissonanz bei den Akkorden noch schwer nachvollziehbar. Eine weitere Erklärung findet er innerhalb der Erörterung der gleichschwebenden Temperatur. Herbart deutet seine eigenartige Meinung über die Temperatur nur an und hält sie für weit mehr als einen technischen Notbehelf: ihre wahrhaftige Basis liegt nämlich in der ursprünglichen Übereinstimmung mit dem musikalischen Denken, das maßgebend in Hinsicht auf die Kriterien des ästhetischen Gebrauchs der Töne in der Musik wirkt.

Die Temperatur vermag einen gleichmäßigen Halbton zu bestimmen, dessen Größe nun zum Maßstab des Übergangs von einem Intervall zu dem nächsten wird; dies war allerdings rein psychologisch nicht gelungen war. Die Tatsache, dass die psychologischen Bestimmungen der Intervalle immerhin geringe Abweichungen von den temperierten Angaben aufweisen, wendet das musikalische Denken zu seinem Vorteil. Der Druck der Intervalle in den dissonanten Akkorden findet nämlich dank ähnlicher Abweichungen statt, die nun ihren völligen harmonischen - und somit ästhetischen - Belang offenbaren, sofern sie die Klänge zur weiteren musikalischen Entwicklung treiben.

Die psychologischen Analysen der Tonlehre schließen mit einer kurzen Behandlung der Melodie, deren Auffassung durch die Notwendigkeit einer hinzugedachten Harmonie gekennzeichnet ist. Die unterschiedlichen Aspekte, die in Betracht kommen (Bewegungen, Verbote der Parallelen, Tonleiter, Anfang einer Funktionstheorie), haben als gemeinsamen Nenner den Bezug zur harmonischen Dimension der Musik, als wäre sie unabdingbar für alle tonalen Tatsachen in ihrem psychologischen Gefüge.

Der Kontrapunkt selbst, von dem einige Hauptregeln erklärt werden, wird erst durch die Zurückführung auf dessen harmonische Grundlagen begründet. Er schafft zusätzlich eine Ausdehnung der Harmonie in der Zeit und steigt dadurch zum musikalischen Vorbild schlechthin empor, da er auf äußerst klare Weise ästhetische Verhältnisse aufweist.

Die hier angegebenen Erläuterungen mögen seltsam vorkommen; trotzdem beruhen sie fest auf den psychologischen Voraussetzungen der Analyse, die konsequent angewendet werden und hiermit das Zusammentreffen der musikalischen Theorie mit der wissenschaftlichen Ausarbeitung der Psychologie nachweisen.

Die Untersuchung der Musik stellt sich als holistisch heraus, sofern sie einen logischen Faden entwickelt, der einige Grundgesetze der herbartschen Psychologie durchläuft, und deren Einklang mit den Hauptannahmen der Musiklehre feststellt. So wird die kontinuierliche Tonlinie durch Auffindung ihrer Einheiten nach dem psychologischen Satz der reinen Unterscheidbarkeit diskret gemacht und folglich werden die ersten Elemente der Tonlehre, die Intervalle, der Analyse unterzogen. Die Mechanismen der Brechung liefern den Grund für die Konsonanz der Intervalle und der reinen Dreiklänge, während die Spannung in der Zusammenstellung von Intervallen dissonante Akkorde hervorbringt. Die Dissonanz findet weiterhin eine ähnliche Erläuterung in der theoretisch anregenden Betrachtung der gleichschwebenden Temperatur, wo die gleiche Spannung ihren prägnantesten Wert für das musikalische Denken bekommt. Dank des Drucks in den Akkorden wird nämlich der Drang zu deren Auflösung veranlasst, die ins Sukzessive der Melodie übergeht, die in ihrer notwendigen kontrapunktischen Führung wiederum von harmonischen Bedeutungen durchdrungen ist.

Die Deutung R. Zimmermanns bezüglich einer Überlagerung von Kontinua logischer (aus diskreten Teilen bestehend) und mathematischer (unendlich dicht) Art halte ich für unangemessen der psychologischen Vielfältigkeit gegenüber, zumal erst die psychologische Dyskrasie unter den Bestimmungen die harmonischen Grundverhältnisse entstehen lässt.

Für die psychologischen Erklärungen mussten die Tonlinie auf einer metaphysischen Ebene und das musikalische Denken in ästhetischem Bereich gesetzt werden. Die Tonlinie ermöglicht die konsequente Begründung der Tonverhältnisse überhaupt, weswegen ihr Herbart eine apriorische Verfassung neben Raum und Zeit einräumt. Durch den Hinweis auf die reine Tonlinie, der stufenweise logische Eigenschaften zugeschrieben werden, wird ein rationales Gefüge aufgebaut, dem die musikalische Erfahrung gegenübergestellt wird und auf das ihre konsequente Gestaltung zurückgeführt wird.

Das musikalische Denken stellt die Gesetzlichkeit des ästhetischen Gebrauchs der Tonverbindungen dar; hiermit gewinnt der musikalische Gebrauch der Töne eine psychologische Grundlage, was jedoch die Unabhängigkeit der beiden Bereiche nicht verletzt. Vielmehr wird der Vergleich erst berechtigt, sofern Musik und Psychologie begrifflich getrennt bleiben; durch solch ein Verfahren verdienen die durchgeführten psychologischen Ableitungen des Tonmaterials den wissenschaftstheoretischen Wert, der letztendlich der gesamten Untersuchung zugrunde liegt.

Die geschichtliche Einordnung Herbarts zu Beginn der tonpsychologischen Forschungen des 19. Jahrhunderts wird in diesem Zusammenhang sicherlich durch die gebührende Anerkennung des theoretischen Werts seiner psychologischen Untersuchungen bestimmt, trotz der Einwände, die gegen einige besondere Lösungen erhoben worden sind.

Der bewusste epistemologische Ansatz und die methodische Strenge seiner Durchführung mögen heute noch von beispielhaftem Belang sein, in einer Epoche, wo alle Fächer nach einem wissenschaftlichen Status streben und in der didaktischen Diskussion „Transdisziplinarität“ als ein Zauberwort für die Schulreform auftritt.

 


Note

[1] J. F. Herbart, Sämtliche Werke. In chronologischer Reihenfolge, a cura di K. Kehrbach, O. Flügel e Th. Fritzsch, Neudruck der Ausgabe Lagensalza 1887-1912, Scientia, Aalen 1964 (d’ora in poi indicato con la sigla SW), vol. IV, p. 301.

[2] Contenute in SW, vol. III, pp. 96-118.

[3] Contenute in SW, vol. XI, pp. 45-176.

[4] SW, vol. VI, p. 69.

[5] SW, vol. XI, p. 103.

[6] J. F. Herbart, Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie, 18374, revisione critica a cura di W. Henckmann, Meiner, Hamburg 1993, pp. 156-157.

 

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