Nadia Moro
Lo sguardo profondo nell’anima e l’arte consapevole delle proprie regole

La riflessione herbartiana sulle relazioni tonali


Johann Friedrich Herbart (1776-1841), studiato per la sua pedagogia più che per il suo ricco pensiero filosofico e psicologico, in realtà è stato anche un precoce ed eccellente pianista. Autore di varie fughe e sonate[1], egli ha costantemente accompagnato la sua attività teoretica a quella musicale, ragione per cui non sorprendono i frequenti richiami all’arte dei suoni che ricorrono nelle sue numerose opere teoriche. Se la musica è da sempre stata oggetto di feconde riflessioni, quando la trattazione herbartiana entra nel merito lo fa in maniera del tutto indipendente dal pensiero tradizionale, in particolare per quanto riguarda le ragioni stesse che hanno condotto il filosofo di Oldenburg ad occuparsi di musica anche a livello teorico. Infatti, egli si esprime sulla musica per ragioni strettamente interne alla sua psicologia ed alla sua estetica: così come vengono da lui trattate, queste due discipline vertono in modi diversi sull’analisi dell’esperienza e Herbart pensa bene di far diretto riferimento ad un ambito così fondamentale per lui, che è quello del suono, con un approccio però sostanzialmente autonomo, dettato dalla sua riflessione teorica e piuttosto estraneo alle teorie formulate in precedenza da altri pensatori[2]. L’abilità e le conoscenze musicali di cui Herbart dispone, poi, non lo inducono a fare della musica l’oggetto tout court della sua riflessione, magari assegnando all’arte dei suoni un predominio teorico che non le spetta; la sfera musicale gli si presenta piuttosto come ambito privilegiato di esperienza, al quale ricorrere opportunamente per le esigenze interne all’apparato di teorie filosofiche che egli propone.


Proprio le modalità con cui Herbart tematizza il suono musicale permettono di attribuirgli un merito fondamentale, che M. Kaiser-El-Safti riassume così: «Senza dubbio è stato Herbart che, primo filosofo nel XIX secolo – prima di Schopenhauer, Lotze, Nietzsche, Mach, Stumpf e von Ehrenfels […] – ha promosso […] la musica ed il sapere musicale al rango di questione da prendere sul serio, psicologicamente e scientificamente»[3]. Herbart, infatti, attribuisce alla percezione acustico-musicale un ruolo pari, se non superiore, a quello tradizionalmente giocato dalla percezione visiva e le ragioni che lo hanno spinto a questa mossa rivelano l’originalità delle sue posizioni, che si collocano a pieno titolo all’interno del vivace dibattito filosofico dei primi decenni dell’Ottocento tedesco.
In quel periodo di grandi discussioni sulla filosofia kantiana, non destano certo stupore l’analisi la critica delle problematiche da essa poste, tuttavia, nel caso di Herbart, la rivisitazione tutta particolare delle tematiche critica e trascendentale conduce a risultati sorprendenti, ed il proficuo connubio di scienza psicologica e musica – due termini sui quali Kant aveva gettato ampio discredito – ne offre senz’altro un’ottima esemplificazione, di cui è opportuno ora ricostruire lo svolgimento.


1. Una psicologia scientifica

Se Kant aveva negato alle teorie dell’anima qualunque possibilità di assurgere a dignità di scienza, Herbart raccoglie fino in fondo la sfida del suo predecessore presso la cattedra di Königsberg[4] e, pur condividendo certi presupposti metodologici kantiani, propone niente meno che una «psicologia come scienza, nuovamente fondata su esperienza, metafisica e matematica», come recita il titolo della ponderosa trattazione herbartiana[5]. Neppure Kant avrebbe potuto pretendere qualcosa di più, giacché il suo veto era motivato dalla convinzione che fosse impossibile applicare la matematica alle questioni dell’anima e dalla certezza che una scienza fosse tanto più scienza quanta più matematica si ritrovasse al suo interno. Herbart tematizza da un punto di vista epistemologico l’applicazione della matematica alla scienza dell’anima, facendola peraltro oggetto anche di una trattazione indipendente, dal titolo programmatico Über die Möglichkeit und Nothwendigkeit, Mathematik auf Psychologie anzuwenden[6].


Organizzata secondo il modello delle scienze naturali, la nuova psicologia herbartiana si propone di «rendere comprensibile la totalità della esperienza interna»[7], opponendo alla vuota astrattezza della teoria delle facoltà (a giudizio di Herbart un enorme errore kantiano) la salda e ricca base dell’esperienza, integrata in una struttura coerente grazie all’elaborazione metafisica e metodologicamente fondata sulla certezza conferita dalla matematizzazione. Sostituendo allo studio delle facoltà l’analisi delle rappresentazioni e delle loro connessioni all’interno della coscienza secondo un modello elementaristico e pressoché meccanico, Herbart promuove uno studio dell’anima fondato sui dati d’esperienza, ricomposti e sistematicamente riorganizzati in un quadro razionalmente perspicuo attraverso l’applicazione degli strumenti elaborati dalla metafisica generale, della quale la psicologia è appunto una parte applicata.



2. Il suono musicale in psicologia: ragioni epistemologiche

Fra i due scritti herbartiani pressoché interamente dedicati allo studio psicologico del suono intercorrono quasi trent’anni, tuttavia, le Psychologische Bemerkungen zur Tonlehre del 1811[8] e le Psychologische Untersuchungen del 1839[9] non rivelano sostanziali differenze d’impostazione, semmai soltanto nel grado di approfondimento dei temi analizzati. Accanto all’indagine della teoria musicale da un punto di vista psicologico, entrambi i testi ad essa dedicati presentano, in maniera più o meno sistematica, le ragioni metodologiche ed epistemologiche che hanno condotto alla scelta di integrare l’analisi del suono musicale nelle teorie psicologiche: tali motivazioni illustrano peraltro tutta la consapevolezza herbartiana nei confronti del suo nuovo oggetto di ricerca.


Una prima ragione che giustifica l’attenzione particolare rivolta alla musica risiede nella chiarezza con la quale essa esibisce le proprie relazioni, sottomettendosi in maniera esemplare all’analisi psicologica: Herbart osserva come la musica sia completamente risolvibile in suoni semplici e consenta una loro precisa indicazione, offrendo così un aiuto prezioso ad una ricerca mirante all’esattezza[10]. L’indagine psicologica della musica si svolge grazie alla possibilità di formalizzare, con l’aiuto della matematica, le relazioni tonali e di confrontarle poi con le leggi psicologiche individuate, anch’esse esprimibili secondo rapporti matematici. È dunque la costituzione stessa del materiale tonale a sostenere l’elaborazione matematica e, quindi, agevolare un’analisi psicologica, fungendo al tempo medesimo da banco di prova per le teorie elaborate.


L’intento epistemologico herbartiano consiste appunto nel progetto di verificazione della psicologia già elaborata a priori: questa disciplina va ben oltre l’esperienza nello studio delle leggi che la regolano, ma, proprio a causa di questo allontanamento metodologico dall’empiria, si rende necessario un ritorno ad essa, non più alla sua contingenza, certo, ma alla sua ricomprensione entro un quadro ormai scientifico e razionalmente fondato. Consapevole del fatto che la teoria comporta una presa di distanza dai dati dell’esperienza immediata, il filosofo non viene meno al riconoscimento della loro piena autorità, perché ad essi compete pur sempre di giudicare la validità stessa di qualunque costrutto teorico approntato.
Anche in questo procedimento Herbart fa appello al suono, presentandolo come l’ambito determinato di esperienza intrinsecamente più adatto all’applicazione dei calcoli psicologici; a questi sembra invece sfuggire, almeno in un primo momento, la maggiore complessità di spazio e tempo, così come dello spettro dei colori, che pure è suscettibile di interessanti confronti con la sfera sonora[11].
Il suono, dunque, gode di un’indiscussa centralità nella psicologia herbartiana, eppure non prende mai il sopravvento sulla disciplina che lo affronta: la psicologia, in quanto scienza, detiene la priorità nel procedimento e la musica, semmai, funge da ancella al suo servizio. La costituzione del suono, grazie alla chiarezza dei suoi rapporti, rappresenta il modello esemplare per tutti gli ambiti dell’attività spirituale, ma Herbart si sforza di non enfatizzare il suo ruolo più di quanto esso non meriti, trattenendolo nei limiti della sua pur fondamentale funzione epistemologica. Tutto ciò, comunque, non comporta una riduzione della musica a semplice strumento per l’analisi, ma rappresenta, piuttosto, la piena valorizzazione dell’arte dei suoni entro i limiti che la psicologia può assegnarle in prospettiva scientifica.
 


3. L’analisi psicologica e l’a priori del suono

Chiarite le questioni preliminari circa il ruolo della musica per l’inaugurazione della scienza psicologica da parte di Herbart, l’analisi del suono e della sua costituzione relazionale rappresenta un aspetto significativo delle sue riflessioni ed esemplifica un approccio ancor oggi proficuo per il pensiero. Herbart approfondisce questo tema prevalentemente da un punto di vista psicologico, al quale si aggiungono poi le analisi estetiche, tuttavia più brevi e meno sistematiche.


Prendendo le mosse dall’esperienza del suono, Herbart si propone di analizzarla secondo le categorie della sua psicologia, spiegando così la genesi e la costituzione del materiale tonale, con la sua articolazione nelle strutture codificate dalla teoria musicale, alle quali egli intende ora guadagnare anche una fondazione psicologica. Nella trattazione, Herbart alterna la constatazione dei fatti alla posizione di questioni ed alla loro risoluzione all’insegna dei criteri e dei meccanismi psicologici; quanto meno in via preliminare, poi, l’indagine deve presupporre anche un livello a priori, dal quale si ricavi la possibilità in generale dell’ordinamento tonale così come esso viene assunto in ambito musicale.


Nel corso dell’argomentazione, infatti, Herbart introduce una sorta di costruzione dei suoni e delle loro relazioni ponendo preliminarmente un a priori tonale continuo, che egli chiama linea tonale, e che va inteso come la linea ideale lungo la quale siano collocati, in ordine di altezza, tutti i suoni possibili. Il primo fatto che la psicologia contempla è quello per cui «da ciascun suono a piacere si può passare in maniera continua a suoni più alti e più bassi, senza che si possano indicare determinatamente i suoni più alti o più bassi che si possono udire, e in generale pensare»[12]. È dunque al livello stesso della psicologia che viene aperta la via all’introduzione di una nozione di linea tonale che ne sintetizzi l’andamento seriale potenzialmente infinito, certamente non esperibile ma opportuno per l’impostazione dell’analisi razionale dell’esperienza stessa.


Herbart lamenta, tra l’altro, la negligenza della filosofia post-kantiana rispetto alla possibilità di confrontare la linea tonale con lo spazio ed il tempo[13]: con questo egli allude evidentemente alla loro natura a priori, che infatti va ascritta anche al continuo dei suoni, mentre Kant avrebbe commesso l’errore di limitare anche numericamente le forme dotate di uno statuto a priori. In effetti, un passo della Psychologie als Wissenschaft è apertamente dedicato a questa tematica: «Se le rappresentazioni di tutti i suoni nella linea tonale fossero innate, egli [l’uomo] potrebbe, con la semplice spontaneità, portare alla coscienza ogni volta due e tre o quattro di tali rappresentazioni. Se egli poi non udisse mai uno strumento, mai una voce, nondimeno l’ottava sarebbe per lui il rapporto dell’opposizione piena, proprio come adesso […]. Perché le ragioni per cui tutto ciò dev’essere così sono generalissime e sono le stesse per lo spirito incorporeo e per noi, uomini sensibili»[14].


Il fatto che Herbart enfatizzi il carattere a priori della linea tonale non comporta un venir meno dei presupposti del suo realismo filosofico, ma rimanda piuttosto alla profonda ridiscussione della teoria trascendentale kantiana che egli svolge, non da ultimo, proprio in ambito psicologico. Infatti, Herbart è convinto che le forme dell’esperienza non siano date una volta per tutte, perché altrimenti esse verrebbero ipostatizzate e ridotte a vuote astrazioni, analogamente a quanto accade (a parere di Herbart) nel caso del soggetto kantiano, con tutte le sue intuizioni pure e categorie.
Indipendentemente dalla fondatezza o meno dell’interpretazione herbartiana di Kant, emerge qui la ferma volontà di assegnare davvero al dato l’autorità che gli spetta, perché per Herbart le forme sono date ovunque ed è a livello psicologico che si svolge l’astrazione da quanto si presenta, nell’esperienza, come spaziale e temporale, alle “forme pure” di spazio e tempo. Inoltre Herbart evita di limitare a due le forme ed introduce piuttosto la possibilità di un a priori molteplice, che contempla, per esempio, anche la linea tonale come forma in tutto e per tutto degna di affiancare spazio e tempo nel loro ordinamento a priori. Proprio in virtù di questo, la linea tonale si presta come punto di riferimento ideale per il reperimento delle relazioni tonali secondo criteri imposti dall’esperienza e sarà l’integrazione razionale dei dati musicali attraverso il riferimento a tale linea a proporre un quadro coerente di tutti i rapporti udibili.
 


4. L’analisi psicologica dell’ottava

La linea tonale si presenta, nella sua natura a priori, già piena di relazioni, ma spetta innanzitutto alla psicologia mostrarle: con le sue leggi ed i dati offerti dall’esperienza del suono, la scienza dell’anima introduce dei parametri con cui rendere conto della costituzione del suono secondo gli equilibri fra le rappresentazioni nella coscienza. Ciò significa stabilire, lungo la linea tonale, dei punti ordinati che permettano, per così dire, di misurare le distanze ed i rapporti tra loro intercorrenti, analogamente a quanto avviene nel caso di una retta lungo la quale si segnino dapprima i numeri naturali, poi quelli relativi, razionali e così via. Non saranno però soltanto criteri matematici ad individuare i punti sonori lungo la linea tonale, ma l’esperienza stessa del suono, che diviene poi oggetto di spiegazione alla luce delle categorie psicologiche e di formalizzazione in termini matematici.


L’intento herbartiano è ora quello di operare il passaggio dal continuo denso, rapresentato dalla linea tonale, ad una sequenza discreta di suoni, le note, che risultano funzionali all’uso musicale. I criteri che Herbart adotta rivelano un procedimento logicamente chiaro ed euristicamente impostato: dato un continuo omogeneo, se ne deve operare una scansione che permetta di giustificare anche a livello psicologico – e non solamente musicale – l’articolazione degli intervalli.


Il primo passo per realizzare la transizione dalla dimensione di un indefinito trascorrere di altezze indeterminate a quella di una loro struttura organizzata e ricca di relazioni consiste, secondo Herbart, nell’individuare almeno due punti fra i quali sussista un rapporto psicologico di pura distinguibilità, perché soltanto nel momento in cui si possono separare gli elementi l’uno dall’altro è stabilito un criterio sufficiente alla loro scansione. Il nodo centrale di tutta l’argomentazione risiede infatti nel passaggio del grado di differenziazione fra le rappresentazioni da una dimensione infinitesimale ad una finita: in effetti, una pura distinguibilità è consentita soltanto all’interno di una prospettiva discreta, ed è proprio la finitizzazione qui richiesta a sancire la transizione dalla considerazione metafisica del continuo a quella psicologica delle rappresentazioni. La pura distinguibilità tra rappresentazioni si prospetta dunque, nell’analisi del musicale, come la categoria psicologica fondamentale, che consente di operare la scansione che dà inizio all’analisi propriamente psicologica della linea tonale.


A sua volta, la pura distinguibilità ora enunciata si realizza in corrispondenza dei punti di opposizione completa, che introducono direttamente ad uno dei concetti principali della psicologia del suono herbartiana. Tutto il lessico di questa disciplina fa riferimento agli equilibri più o meno stabili fra le rappresentazioni ed alle forze che esse sono in grado di sviluppare nel tentativo di aggiudicarsi un maggior peso nella coscienza. Fra i criteri decisivi per l’analisi dei rapporti rappresentativi vi è quello di opposizione, che è definibile come la quantità di differenza che distingue due o più rappresentazioni e che tende a mantenerle separate. La nozione di uguaglianza funge da complementare a quella di opposizione, perché essa definisce ciò che le rappresentazioni hanno in comune e sviluppa tra di esse una tendenza alla fusione. Se ciò non contraddicesse parecchie teorie herbartiane (tra cui la semplicità delle rappresentazioni e dell’anima stessa, la loro inestensione e la loro natura di forze entro la coscienza), si potrebbero paragonare le rappresentazioni ad insiemi ed intendere le loro relazioni come disgiunzione (in psicologia: opposizione completa), intersezione (opposizione parziale) e coincidenza (fusione completa).
Ora, tutte le rappresentazioni presenti nella coscienza debbono necessariamente entrare in relazione reciproca, perché l’anima è semplice e non è ammessa alcuna molteplicità al suo interno, «in quanto la molteplicità originaria nell’uno è ovunque ed in generale la fine e la rovina di ogni sana metafisica»[15]. Instaurando un sistema di rapporti, le rappresentazioni costituiscono una totalità complessa, che permette al tempo stesso un riferimento coerente e funzionale alla semplicità dell’anima. In conformità a questo principio, il criterio della pura distinguibilità permette, a livello psicologico, di isolare due rappresentazioni che si trovano nella coscienza, pertanto in relazione reciproca, mantenendone insieme la reciproca distinzione.
Si può intendere questa situazione considerandone un modello spaziale di tipo lineare: quando si individuino due segmenti di pari lunghezza, distinti ma consecutivi lungo una retta, che quindi non abbiano alcun punto in comune ad eccezione di un’estremità, allora, psicologicamente, si trovano in opposizione completa l’uno all’altro ed è compito della scienza dell’anima analizzare tutte le posizioni intermedie (opposizione parziale) che, dalla coincidenza dei due segmenti (fusione completa), conducono alla loro completa separazione. È opportuno aggiungere un’ulteriore condizione, che consiste nel considerare, per il momento, la sola estremità, poniamo, sinistra di ciascun segmento e ciò che si tratta ora di stabilire è la distanza che queste due estremità debbono raggiungere l’una dall’altra perché si abbia, psicologicamente, la piena opposizione, o, detto altrimenti, la loro pura distinguibilità.
In termini tonali, ciò significa considerare due suoni identici, modificando l’altezza di uno dei due (poniamo, aumentandola) progressivamente, fino a che i due suoni si trovino completamente opposti (a livello psicologico), ossia che non abbiano più nulla in comune. Questa situazione corrisponde, secondo Herbart, all’ottava, che egli definisce quindi come l’intervallo della massima opposizione. Non deve destare stupore questo termine, utilizzato esclusivamente nel significato psicologico spiegato e che va tenuto ben distinto dalla dissonanza e da qualunque connotazione di tipo armonico, al fine tra l’altro di evitare i gravi fraintendimenti che hanno peraltro già condotto ad una prematura bocciatura della teoria herbartiana[16].


Sebbene molto schematica, una rappresentazione grafica analoga a quelle proposte dallo stesso Herbart nei suoi testi può risultare utile per comprendere in che cosa consista l’opposizione che separa due note a distanza di ottava:



La nota di partenza è rappresentata dal segmento orizzontale che interseca le tredici tacche parallele verticali (sol in fig. 1a e do in fig. 1b), da intendere come segni per ciascun semitono compreso tra la nota di partenza e la sua ottava superiore incluse. Il quadratino indica a quale nota rivolgere l’attenzione ed in quale ottava essa va considerata rispetto alla nota di riferimento: superiore se il quadratino si trova sopra la linea orizzontale (sol fig. 1b), inferiore se è posto sotto di essa (do in fig. 1a).
Secondo un procedimento piuttosto semplificato, suggerito ed adottato dallo stesso Herbart, nel caso di una nota presa nell’ottava superiore, si ottiene la quantità della sua opposizione alla nota di partenza contando le tacche a sinistra, la quantità dell’uguaglianza contando invece le tacche a destra (in fig. 1b l’opposizione tra do e sol è sette, la loro uguaglianza cinque). Nel caso di una nota posta nell’ottava inferiore, invece, si debbono invertire le direzioni in cui cercare opposizione (a destra) ed uguaglianza (a sinistra).
Ipotizzando di considerare la nota più bassa possibile nella rappresentazione (per esempio, facendo retrocedere il quadratino della fig. 1b fino alla prima tacca a sinistra) si avrebbe dunque il massimo di uguaglianza (dodici, che corrisponde all’intero) a fronte di un’opposizione nulla: questo è il caso che corrisponde all’unisono. Al contrario, procedendo verso la nota più alta (raggiungendo quindi la tacca all’estrema destra della figura, che rappresenta l’ottava superiore della nota di partenza), l’opposizione aumenta fino ad annullare l’uguaglianza: si sono così raggiunti i valori dell’ottava, nella quale si verifica infatti l’opposizione completa.


Si tratta qui essenzialmente di un ausilio alla comprensione, giacché le parti di uguaglianza e di opposizione introdotte sono in realtà astrazioni (e non tratti spazializzati) alle quali la spiegazione psicologica ricorre per poter porre in atto la sua indagine. Ma, a questo punto, piuttosto che seguire analiticamente il metodo psicologico herbartiano, corredato anche da frequenti calcoli matematici di varia complessità, ritengo più significativo delineare la situazione teorica che ne consegue in merito alla concezione del suono.
Herbart introduce la nozione di “nota estesa”, intendendo con essa l’intero segmento tonale che separa una nota dalla sua corrispondente ad un’ottava di distanza (si pensi alle dodici parti delle figure proposte). L’estensione attribuita a ciascuna nota permette di includere, nella considerazione di quella nota stessa, anche tutti i rapporti che essa può intrattenere con i suoni ad altezze diverse: non vi sono, infatti, determinazioni tonali assolute, è semmai necessario stabilire una prospettiva entro la quale considerare i suoni, ed essa viene offerta proprio a partire da un suono assunto a “linea” di riferimento. È qui implicito il rimando alla struttura intervallare, che è riconoscibile lungo il segmento finito che si è posto a rappresentazione della singola nota e dell’ottava ad essa riferita.
La collocazione della nota come un punto lungo la linea tonale non è sufficiente proprio perché, mancando un ulteriore suono di riferimento, il suono risulta privo di determinazioni riguardo alla quantità di differenza rispetto a qualunque altro, sottraendosi di fatto ad un’adeguata indagine psicologica. Questo non significa che, per Herbart, un suono singolo non abbia alcun valore psicologico, ma soltanto che, nell’analisi psicologica della musica, il suono acquista un senso innanzitutto all’interno di un intervallo, perché soltanto così esso acquisisce una determinazione armonica, che lo rende musicalmente significativo. Per questo è necessario che la singola nota si amplifichi fino a coprire un intero segmento tonale, che costituisce un sistema finito nel quale ciascun tratto esibisce relazioni specifiche con tutti gli altri, in virtù delle peculiarità armoniche (e con ciò musicali) che possono darsi soltanto entro la molteplicità relazionale di un tutto internamente complesso.
Ciò che è dato, in musica, sono le relazioni tonali che compaiono in intervalli ed accordi e, coerentemente con i presupposti realistici herbartiani, proprio dai dati si deve partire per guadagnare una spiegazione ai fenomeni, e quelli musicali non fanno eccezione. Le note prese semplicemente e dotate di posizione assoluta non hanno significato se non nella riconduzione alle serie psicologiche a seguito delle quali vengono poste, quindi in relazione con i meccanismi rappresentativi. Data la complessità dell’esperienza, infatti, va da sé che le rappresentazioni dei suoni siano inattingibili nella loro singolarità, perché esse si combinano in ragione della loro forza reciproca ed esigono dunque un riferimento anche metodologico alla molteplicità che, per i suoni, acquista senso a livello del continuo tonale. Si tratta allora di isolare psicologicamente quei punti notevoli lungo la linea tonale che offrono altrettanti punti di vista significativi rispetto alla nota in questione e che coincidono, musicalmente, con le altre note nell’ambito dell’ottava.



5. Gli intervalli e la prospettiva

Una volta individuata l’ottava, i criteri per la determinazione dei nuovi punti al suo interno sono ancora una volta prettamente psicologici e consistono nella ricerca dei luoghi in corrispondenza dei quali avvengono variazioni nell’equilibrio tra le rappresentazioni, riconducibili in ultima analisi alle quantità di uguaglianza ed opposizione. Da questo approccio generale di indagine sugli intervalli emerge la forza della connessione tra la formulazione matematica e le categorie psicologiche. Sulla base della proporzione tra le forze che Herbart individua, infatti, si possono ricavare in termini numerici gli esatti rapporti sussistenti tra le rappresentazioni: ridotte a grandezze matematiche, allora, uguaglianza ed opposizione permettono anche la collocazione di ciascun nuovo intervallo lungo la linea tonale. Se l’udito corporeo non è in grado di determinare con assoluta precisione l’ampiezza dell’intervallo, lo strumento matematico lo sostituisce in questo compito e, insieme, conferisce un valore scientifico al risultato ottenuto.
D’altra parte, non si tratta in alcun modo di ripetere meccanicamente il procedimento appena indicato, perché ciascun caso singolo richiede una valutazione specifica ed un approfondimento che va ben oltre la ripetitività di uno stesso calcolo matematico. Saranno peraltro proprio gli intervalli, con le difficoltà poste dalla loro determinazione, ad esigere considerazioni psicologiche particolari, talora persino ad hoc. A tutto questo si aggiungono ulteriori complicazioni relativamente a quei casi, come gli intervalli di terza, in cui sia possibile determinare psicologicamente più valori adatti ad uno stesso intervallo e variabili a seconda del contesto in cui esso si trova[17]. Allora vige il principio che «nella musica gli intervalli non vengono anzitutto derivati, ma immediatamente sentiti»[18] e la psicologia non può discostarsi da tali dati, in quanto «il pensiero musicale è certamente la cosa essenziale»[19].
 

Herbart invoca qui il pensiero musicale come regola e criterio per la determinazione dei rapporti eminentemente musicali che egli indaga, rimettendo dunque ad un artista ideale la decisione su ciò che, in musica, ha senso oppure no. Si tratta senz’altro di un saggio principio, che mostra quanto Herbart si attenga ai fatti (ed egli stesso fa riferimento ad esperimenti compiuti alla presenza di vari musicisti)[20], dopodiché egli si pone alla ricerca delle ragioni psicologiche alla base di quelle scelte musicali. Insomma, anche quando la psicologia pecca di ambiguità fornendo risultati molteplici per la determinazione di un unico intervallo, spetta all’arte indicare la giusta soluzione tra le varie possibilità psicologiche.
Quanto alla pluralità dei risultati ottenuti, va ricordato come Herbart non si sottragga neppure ad un diretto confronto con la fisica, peraltro enfatizzando l’irriducibile differenza dei due piani – psicologico e fisico – di considerazione dei fenomeni. Per poter paragonare i valori indicati dalle due scienze, è necessario trasformare preliminarmente le grandezze fisiche (in scala geometrica) in grandezze psicologiche (in scala aritmetica) con l’aiuto dei logaritmi naturali[21]. Herbart può allora mostrare la corrispondenza, sia pure approssimativa, tra i risultati dell’acustica e della psicologia, e vi legge una significativa conferma epistemologica all’intera impostazione che egli ha dato al problema, mostrando la convergenza delle leggi psicologiche fondate su rapporti matematici con i dati della fisica e, ancora, con l’uso musicale.
Per quanto riguarda i criteri prettamente psicologici di uguaglianza ed opposizione, le relazioni possibili concernono innanzitutto il predominio dell’uguaglianza nell’unisono (nel quale non compare alcuna quantità di opposizione), poi un aumento della quantità di opposizione concomitante ad una proporzionale diminuzione dell’uguaglianza e, infine, l’opposizione completa nel caso dell’ottava. Il risultato dei vari rapporti psicologicamente significativi fra le quantità sarà un punto lungo la linea ideale, ma la sua determinazione è possibile solo indicandone, funzionalmente, la distanza che lo separa da ciascuna estremità del segmento cui appartiene.
Con questo si giustifica il fatto che, nell’analisi della musica, la considerazione degli elementi più semplici non verta in realtà sui singoli suoni, come ci si potrebbe attendere, bensì sulle relazioni intervallari che intercorrono tra essi. Se, da un punto di vista metafisico, il semplice detiene il primato logico rispetto ai rapporti in cui viene poi inserito, la psicologia non può costitutivamente varcare la soglia che separa la relazione dall’irrelato, così che i suoi elementi primi consistono nei rapporti più semplici cui le sia dato pervenire e mai nei membri stessi del rapporto. Nell’indagine della musica, ciò significa fare riferimento «agli intervalli di suoni semplici» come «agli elementi primi della musica»[22].
La prospettiva offerta dall’intera ottava si rivela dunque metodologicamente necessaria per poter dar conto degli elementi fondamentali di cui si compone la musica; nell’ottava vengono infatti intessute le molteplici relazioni secondo cui restituire una coerenza teorica al dato tonale esperito. I singoli suoni (e, soprattutto, le singole rappresentazioni di suono), in virtù della loro assoluta semplicità, si sottraggono tuttavia ad una considerazione diretta, ma è possibile e doveroso studiarli tendendo l’orecchio verso le loro combinazioni, a partire da quelle più semplici, negli intervalli.



6. L’ottava modulare

Andando alla ricerca di quelle «differenze tra due note qualsiasi [che] si possono utilizzare come misura, secondo cui si possono misurare altre differenze ugualmente ampie, maggiori o minori»[23], Herbart reperisce le varie distanze intervallari, che si ripetono identiche all’interno di ciascuna ottava, del tutto conformemente a quanto avviene, lungo un continuo, nel caso delle relazioni individuabili nell’ambito circoscritto da ogni coppia di punti prossimi di pura distinguibilità. Questi corrispondono per definizione al luogo in cui l’opposizione psicologica tra due rappresentazioni assume il valore massimo che completa l’unità della rappresentazione; all’interno di essa si possono tuttavia fissare ulteriori rapporti tra le quantità di uguaglianza ed opposizione, che vanno approssimativamente ricondotte a ciascuna tacca del segmento tonale di fig. 1.
Herbart compie approfondite analisi e numerosi calcoli per individuare l’esatta ampiezza psicologica dei vari intervalli, ossia per stabilire con precisione le proporzioni in cui le varie grandezze psichiche debbano trovarsi affinché si affermi una nuove situazione sulla scena della coscienza. Per esempio, l’unisono e l’ottava rappresentano il dominio completo delle parti di uguaglianza o di opposizione, mentre, nella quinta diminuita, la loro parità impedisce una stabilizzazione del rapporto di forza e si instaura quella tensione così tipica per questo intervallo. Nelle quarte e quinte giuste, invece, la proporzione tra le forze risulta, secondo Herbart, atta a sancire il dominio dell’una o dell'altra (rispettivamente uguaglianza ed opposizione), placando dunque il conflitto sorto tra di esse ed assicurando stabilità sulla scena rappresentativa.
Le relazioni musicali espresse negli intervalli, in definitiva, paiono corrispondere appieno alle strutture psicologiche di analisi del continuo tonale, impostate secondo i criteri dei rapporti tra rappresentazioni. L’ottava così arricchita di tutte le relazioni intervallari stabilite al suo interno, può ora essere assunta ad unità di misura, metodologicamente ripetibile e trasponibile ovunque lungo la linea tonale: questo stesso continuo sostiene allora un’interpretazione modulare delle relazioni tonali, che si presentano tendenzialmente omogenee ad ogni altezza.
Data la continuità dei passaggi possibili lungo la linea tonale, inoltre, si può selezionare ciascun suo punto come inizio di una ripetizione modulare dell’ottava (per esempio di do in do), al quale vanno poi coerentemente riferite tutte le relazioni. In questa prospettiva, però, non sarebbe valido, sovrapporre parzialmente le ottave (scegliendone come punti d’inizio un do ed il sol successivo) oppure disporle in maniera non immediatamente consecutiva (un do ed un mi a distanza di decima), perché significherebbe falsarne le relazioni interne con l’assunzione di una densità variabile: in tal caso, infatti, si avrebbe a che fare con un continuo non omogeneo, che, in generale, non supporterebbe più la molteplicità dei possibili punti di riferimento (una volta re ed un’altra la) e, nel caso specifico, non permetterebbe più la trasposizione delle ottave in successione.
Anche se Herbart non lo segnala espressamente, è bene rilevare che tali limitazioni valgono esclusivamente nel contesto della spiegazione psicologica circa la costruzione delle strutture tonali, mentre perdono senso rispetto alle scelte artistiche. Ciò significa che il compositore è assolutamente libero di sovrapporre il riferimento a più note contemporaneamente, per esempio nel passaggio enarmonico tra tonalità differenti, che è previsto dalle regole tecnico-compositive e che può essere utilizzato a finalità espressive. La costituzione psicologica del suono presenta regole proprie per l’articolazione dei rapporti tonali, ma ciò non comporta alcuna forma di determinismo estetico: il bello musicale si rifà a canoni, appunto, estetici, affatto irriducibili alle rappresentazioni ed alle serie rappresentative secondo cui pure l’oggetto, da un punto di vista psicologico, va analizzato.
Sulla base della concezione modulare dell’ottava trova giustificazione anche l’equivalenza armonica di note prese in ottave differenti, che per Herbart è un fatto, purché le note in questione vengano considerate rispetto ad uno stesso punto di riferimento. Infatti, riproducendo la medesima struttura relazionale a distanze costanti, è sempre possibile ricondurre i rapporti maggiori di questa stessa struttura a combinazioni dell’unità (la struttura presa un certo numero di volte) con relazioni o parti ad essa interne: a queste ultime risulta equivalente, in ultima analisi, l’intervallo inizialmente considerato. Ciò significa fondare psicologicamente anche la riducibilità degli intervalli composti (superiori all’ottava) a somme di intervalli semplici (una nona equivarrà ad un’ottava più una seconda; una decima, ad un’ottava con una terza e così via). In tal modo, è possibile ricondurre le relazioni complesse a quelle semplici già stabilite all’interno dell’ottava, che garantiscono ora la possibilità di determina tutti i rapporti tra suoni senza alcuna limitazione di ampiezza.
La struttura modulare attribuita all’articolazione tonale permette di apprezzare meglio anche la definizione dell’ottava come intervallo dell’opposizione completa. Questo rapporto posto fra note a distanza di ottava le rende contrari eccellenti, perché la relazione tra di esse non è di mera sovrapposizione, per cui l’ottava equivarrebbe semplicemente all’unisono, bensì mantiene al suo interno tutta la distanza che separa i due estremi di un segmento, sia esso tonale oppure spaziale. L’enfasi va dunque posta proprio su questa distanza, che racchiude al suo interno tutti i rapporti tonali significativi: il loro reperimento impostato secondo le proprietà delle rappresentazioni coincide con la possibilità di esaurire le proprietà formali e psicologiche del suono dal punto di vista prettamente psicologico.
Questo significa che la nota posta all’ottava superiore rispetto a quella di partenza è parte integrante dell’ottava in quanto tale e va considerata in questa funzione prima ancora che come l’inizio di una nuova ripresentazione dell’unità: l’ottava delimita la sfera in cui si esauriscono tutte le possibili relazioni fra suoni ed esse debbono essere tutte percorse prima che anche solo una di esse venga ripetuta. Entro l’ottava sussiste una tensione che è costitutiva della sua unità e la rende irriducibile a mero criterio per la misurazione delle distanze tonali; essa presenta una struttura decisiva per l’organizzazione di tutte le restanti relazioni e questo la rende eccezionale rispetto agli altri intervalli, tanto che «la musica abbisogna propriamente solo dell’ottava, all’interno della quale essa trova tutti insieme gli altri rapporti»[24].



7. Fondamento psicologico dei rapporti armonici

Dopo aver trattato gli intervalli, Herbart si dedica a quello che ritiene uno dei temi più interessanti della sua ricerca, che è la spiegazione delle triadi perfette. Anche in questo caso, la sua analisi prende in considerazione i rapporti fra le quantità psicologiche di uguaglianza ed opposizione che si instaurano quando le rappresentazioni dei suoni si trovano insieme nella coscienza. Ancora una volta è una data proporzione (in questo caso, 3 : 4 : 5) fra tutte queste parti a determinare il peculiare equilibrio che si crea e che corrisponde ad un particolare rapporto tra le forze, secondo un procedimento consueto per la psicologia herbartiana, impostata appunto su basi matematiche. Nello specifico, il carattere armonico delle triadi deriva dal rapporto interno tra le note costituenti, che danno origine a forze che si relazionano reciprocamente in pieno accordo con quanto stabilito dalle leggi (e dalle formule) della psicologia herbartiana[25].
Rinvenuta tale peculiarità attraverso l’analisi della terza nella triade perfetta allo stato fondamentale, Herbart constata che la stessa proporzione caratteristica si presenta per ciascuna nota dell’accordo perfetto in tutte le disposizioni, sia nel maggiore sia nel minore ed ancora nei loro rivolti, mentre tutto questo non vale nel caso degli altri accordi studiati dalla teoria musicale (per esempio accordi diminuiti o di settima). Egli può quindi concludere che proprio tale proporzione tra le forze (3 : 4 : 5) costituisce il carattere generalissimo dell’accordo perfetto, ma anche una sua peculiarità esclusiva, che dunque rappresenta il requisito psicologico necessario e sufficiente alla determinazione delle triadi perfette.
Herbart cerca una ragione psicologica anche per dar conto della differenza tra maggiore e minore e del diverso effetto che i due modi producono. Nelle Osservazioni psicologiche sulla dottrina dei suoni, egli lascia trasparire la sua incertezza rispetto al motivo della diversità, che ipotizza risiedere nella proporzione pressoché geometrica con cui la quantità di opposizione aumenta nel percorrere in senso ascendente le note dell’accordo maggiore e rende tanto più agevole il passaggio, mentre nel modo minore non accade alcunché di analogo.
Nelle Psychologische Untersuchungen, invece, si riscontra una maggiore sicurezza fin dalla formulazione del problema: «perché il minore è consonante in modo assolutamente uguale al maggiore e nondimeno […] dà meno soddisfazione di questo […]? Perché, oltre a ciò, esso è più adatto del maggiore ad esprimere afflizione, abbattimento, collera, perfino capriccio e senso dell’umorismo, mentre non si adatta alla pura allegria ed alla serenità?»[26].
La spiegazione che segue si basa sul diverso sistema di valutazione della terza nei due modi. Herbart constata, infatti, come la determinazione dell’esatta ampiezza dell’intervallo di terza conduca a risultati diversi a seconda dei vari procedimenti adottati, che possono consistere nella considerazione dell’intervallo all’interno di una triade, maggiore o minore, oppure come semplice intervallo, indipendentemente dalla sua comparsa negli accordi.
Nel modo maggiore, la terza minore equivale allo “spazio” rimasto libero dopo aver posto la terza maggiore e la quinta a partire dalla fondamentale; di conseguenza, la sua ampiezza dipende direttamente da quella degli altri due intervalli già individuati. Nel minore, invece, la terza minore dev’essere determinata immediatamente, nella diretta relazione che essa intrattiene con la fondamentale; eppure essa non ha «libero spazio nell’accordo perfetto»[27] né l’accordo viene costruito in modo da attribuirle l’ampiezza che essa richiede. Se così fosse, infatti, sorgerebbe un’incompatibilità, dal punto di vista armonico, perché la somma della terza minore (considerata nella sua grandezza psicologica al di fuori della triade) con quella maggiore superebbe l’ampiezza della quinta, nella quale pure le due terze debbono potersi inserire. Risulta dunque necessario comprimere la terza minore nell’accordo omonimo, in maniera tale da non estendere eccessivamente la quinta, al fine di evitare un effetto disarmonico. La terza minore, tuttavia, tende a ristabilire la propria estensione precedente alla correzione e preme, verso il basso, sulla fondamentale, la quale, ovviamente, non può subire modifiche. Proprio da questa pressione irrisolta della terza minore deriva, secondo lo Herbart delle Psychologische Unterschungen, la natura in senso lato negativa dell’accordo minore: al suo interno, l’intervallo caratterizzante non può ottenere l’ampiezza che gli spetterebbe secondo la sua determinazione naturale al di fuori dell’accordo e per questo manca l’effetto affermativo tipico del maggiore.
Questo stesso tipo di pressione si rivela determinante non soltanto per la distinzione del modo minore dal maggiore, ma anche per l’analisi dei rapporti armonici di consonanza e dissonanza. Prima di entrare nel dettaglio delle connessioni psicologiche alla base dell’armonia, occorre premettere che questa si fonda su giudizi di valore: essi, conformemente a quanto Herbart sostiene nelle sue osservazioni sull’estetica, sono evidenti e si fondano sul sentimento immediato. Consonanza e dissonanza, infatti, si sentono e non si deducono, perché «è certo che mai una spiegazione speculativa di giudizi estetici può produrre da sé il sentimento che in essi si trova. Attraverso il pensiero si viene tolti dal sentimento»[28]. È concesso piuttosto il percorso inverso, che presuppone un’esperienza estetica adeguata, tale per cui tutti gli elementi esteticamente rilevanti siano stati investiti dal sentimento: su di un tale sentimento si può dunque concentrare la riflessione ed il pensiero vi trova una salda base per la valutazione estetica.
La consonanza non rappresenta un problema particolarmente complesso per Herbart – mentre sembra esserlo per quella parte dei suoi critici inquietata dalla considerazione psicologica dell’ottava come opposizione – ed egli la determina ricorrendo nuovamente ai rapporti tra le quantità di uguaglianza ed opposizione, questa volta però nella loro formazione più complessa in tendenze alla fusione o alla repulsione: queste indicano soltanto il risultato finale dello scontro tra le forze, o la traduzione di esso rispetto alle rappresentazioni (che si fondono ed impediscono esattamente nella misura indicata dalle due tendenze). Il meccanismo è tale per cui l’uguaglianza danno origine alla tendenza unificante che spinge le rappresentazioni alla fusione, mentre le opposizioni formano, insieme, la tendenza repulsiva, artefice della separazione delle rappresentazioni. Quando una delle due tendenze (non importa quale) è sufficientemente forte da impedire l’altra, si produce la consonanza, che infatti viene definita come l’assenza di conflitto tra la tendenza repulsiva e quella unificante, quando il loro scontro viene risolto subitaneamente a favore dell’una o dell’altra.
La riflessione herbartiana sulla dissonanza, al contrario, si rivela piuttosto complessa. Nel caso degli intervalli, essa corrisponde alla situazione in cui le tendenze repulsiva ed unificante non raggiungono una stabilità: quando esse presentano forze pari, nessuna ottiene il sopravvento sull’altra ed il conflitto non trova soluzione alcuna, con l’esito della più completa tensione che, tradotta armonicamente, è la dissonanza del tritono.
Vi è inoltre un caso intermedio, tale per cui le due forze assumono proporzioni atte a determinare un conflitto di entità minore rispetto a quello causato dalla loro completa parità, e che produce una gamma di situazioni armoniche che si avvicinano ora alla consonanza di unisono ed ottava ora alla dissonanza del tritono. La classificazione secondo i vari gradi di consonanza equivale a grandi linee a quella presentata dalla teoria armonica, per la quale Herbart trova così, ancora una volta, corrispondenze psicologiche.
Per quanto riguarda gli accordi, a sorpresa, la definizione della dissonanza non è più simmetrica rispetto a quella della consonanza, perché la sua peculiarità non dipende più dalla natura del conflitto tra tendenze repulsiva ed unificante, bensì da quello stesso tipo di pressione che, in misura minima, si riscontra già nella terza dell’accordo minore. L’ampiezza degli intervalli è stata determinata secondo i criteri psicologici, applicati entro lo spazio dell’ottava, ed essa indica la distanza dei punti rispetto all’estremità del segmento tonale assunto a riferimento. Le grandezze individuate in questo modo, tuttavia, sono irriducibili alla ripetizione di un valore minimo costante: infatti, Herbart riesce soltanto approssimativamente nella determinazione di un semitono medio che, moltiplicato, equivalga esattamente all’estensione degli intervalli ad esso superiori e possa quindi essere assunto ad unità minima di riferimento.
Ne consegue che gli intervalli sono difficilmente confrontabili, perché la somma di due intervalli presenta inevitabilmente uno scarto (in genere per difetto) rispetto all’intervallo di maggiore estensione cui essa dovrebbe corrispondere. Per esempio, la somma di una quinta ed una terza minore (secondo i calcoli herbartiani, 0,58578 + 0,26120=0,84698) risulta lievemente maggiore della settima minore (0,82841). Proprio da un’incongruenza di questo tipo sorge quella che negli accordi è sentita come dissonanza.
Alternando calcoli matematici e somme di grandezze psicologiche, Herbart mostra come i vari casi di dissonanza presentino tutti la difficile convertibilità di una somma di almeno due intervalli in uno più grande e riconduce l’effetto dissonante alla pressione degli intervalli sommati, che tendono a riguadagnare la loro ampiezza originaria oltre i limiti loro imposti dall’accordo che pure dovrebbe contenerli.
L’analisi dei principali accordi dissonanti fornisce un esempio per le considerazioni appena svolte e getta le basi per un’ulteriore distinzione herbartiana nell’ambito della dissonanza. L’accordo diminuito risulta dissonante a causa della compressione di due terze minori (che, secondo i calcoli di Herbart, equivalgono a 0,2612 x 2 = 0,5224[29]) all’interno di una quinta diminuita (0,5) che evidentemente non può contenerle. Al tempo stesso non si può concedere alle terze di oltrepassare il limite rappresentato della quinta diminuita, perché essa si avvicinerebbe allora a quella giusta, compromettendo la peculiarità stessa dell’accordo; di conseguenza, entrambe le terze subiscono necessariamente una pressione analoga a quella già inflitta alla terza minore nell’accordo omonimo.
La compressione che ha luogo nell’accordo diminuito accumula una tensione che può essere risolta in modi diversi, purché si restituisca alle terze il giusto spazio. Ciò può avvenire secondo una varietà di combinazioni che Herbart stesso esemplifica[30], concludendo che la scelta specifica di una sequenza accordale piuttosto che un’altra dipende dal contesto armonico: la decisione spetta dunque al musicista e non allo psicologo. Quest’ultimo analizza infatti le relazioni tonali secondo i meccanismi rappresentativi, che, talora, aprono varie possibilità senza presentare contestualmente alcun criterio di preferenza: in casi del genere lo scarto tra psicologia ed estetica emerge in maniera più evidente, perché ciò che le serie rappresentative, in quanto tali, non sono in grado di determinare trova al contrario una soluzione ben definita in sede di indagine estetica (o, più propriamente, di dottrina artistica, qual è, per esempio, la musica).
Nell’accordo di settima di dominante si ripresenta, esasperato, il problema della compressione della terza: la settima minore si compone di una terza maggiore e due minori, la cui somma equivale a 0,8557 ed eccede il valore della settima stessa (0,82841). Una situazione analoga si produce anche qualora si considerasse la settima come la somma di una terza maggiore e di una quinta diminuita: quest’ultima, infatti, verrebbe schiacciata dalla terza che si fa spazio nell’accordo di settima.
Se la pressione per far rientrare gli intervalli nella settima dell’accordo, di per sé, costituisce una ragione sufficiente a giustificarne l’instabilità, ad essa si aggiunge anche la resistenza della seconda maggiore (complementare alla settima dell’accordo), che tende anch’essa ad ampliarsi e risulta determinante per la risoluzione dell’accordo. In maniera del tutto schematica, Herbart mostra tutti i passaggi, anche matematici, necessari a risolvere la dissonanza della settima di dominante, prendendo ad esempio un accordo di Do settima. La seconda maggiore in esso riesce ad ampliarsi a terza minore (da si bemolle-do a la-do), la terza maggiore si amplia a quarta (da do-mi a do-fa) e, di conseguenza, la terza minore si amplia a terza maggiore (da mi-sol a fa-la): il risultato è quindi l’accordo di Fa maggiore, proprio come vuole l’armonia. In altre parole, si tratta del soddisfacimento di tutte le pressioni che gli intervalli esercitano nell’accordo di settima, alle quali è sufficiente dare sfogo per recuperare l’equilibrio e la consonanza della triade perfetta.
Ad ulteriore conferma della peculiare dissonanza che figura nella settima di dominante, Herbart giunge a proporre un esperimento da condursi al pianoforte: si dovrebbero innanzitutto scordare il mi – alzandolo – ed il si bemolle – abbassandolo – dell’accordo di Do settima, in modo tale da fare spazio agli intervalli di terza conformemente alla determinazione psicologica, eliminando quindi la compressione cui di regola vengono sottoposti. In questo caso, osserva Herbart, si riconosce «ancora l’accordo di settima guastato, ma la dissonanza ha perduto il suo sale; il suono non è proprio offensivo, ma risulta piuttosto un po’ scipito-dolciastro»[31] e, se lo si risolve come d’abitudine facendogli seguire l’accordo di tonica, «si sente la mancanza del soddisfacimento consueto»[32]. L’esperimento proposto mostra come, tolta la pressione degli intervalli interni all’accordo, non si dia neppure una dissonanza e, di conseguenza, non sia più necessario risolverla. Tutto ciò confermerebbe allora l’argomentazione herbartiana, che ha identificato in quella pressione la causa della dissonanza: gli intervalli, infatti, premono per una propria espansione che, secondo i rapporti di forza, può avvenire in una sola maniera determinata, sancendo la risoluzione.
Herbart può a questo punto introdurre una distinzione nel campo della dissonanza, che tiene conto delle varie possibilità di risoluzione delle tensioni. La nozione ampia di dissonanza si applica a tutti gli accordi privi della stabilità caratteristica di quelli perfetti e comporta la necessità di una transizione ad altro, con un passaggio che risolva, in qualche modo, la compressione degli intervalli. Questo è il caso dell’accordo diminuito, nel quale l’ampliamento delle due terze si realizza, sì, grazie ad un nuovo accordo, ma quest’ultimo può assumere diverse forme e non è già determinato dalle tensioni interne all’accordo dissonante che lo precede.
La definizione ristretta di dissonanza riguarda invece gli accordi che, oltre a contenere la tendenza alla transizione tipica della dissonanza in generale, indicano già il punto verso cui risolvere. In questo caso, quindi, si manifesta una «forza direzionante della dissonanza»[33], che ricorre soltanto negli accordi che urgono verso una risoluzione ben determinata, l’unica che possa dare sfogo immediato a tutte le pressioni interne all’accordo. In definitiva, la triade diminuita è dissonante quanto al carattere di instabilità, ma le manca la tendenza ad una risoluzione specifica così come viene invece mostrata dalla settima di dominante, la cui autentica risoluzione è la tonica corrispondente.
La distinzione herbartiana è particolarmente significativa in virtù del fondamento psicologico che la sostiene: infatti, sono pressioni tra forze nella coscienza a determinare più o meno esattamente la risoluzione di una dissonanza e questo comporta, a livello armonico, l’esistenza di un territorio intermedio che separa consonanza e dissonanza in senso stretto. Se pure Herbart non se ne interessa, all’interno di questo territorio è possibile indicare il limite che distingue psicologia ed estetica: laddove la prima non riconosce alcuna necessità scientifica per la determinazione di un fatto (in questo caso la risoluzione dell’accordo diminuito), vigono criteri essenzialmente estetici ai quali l’arte deve fare riferimento. Vi è dunque una classe di norme estetiche fondata su rapporti psicologici, come quelli che determinano la risoluzione di una settima di dominante, ma anche una classe dove la psicologia non ha alcuna legge da imporre, perché si tratta di questioni indifferenti rispetto ad essa. Resta, in ogni caso, la libertà estetica di attenersi o meno alle legalità psicologiche ed il lessico della teoria armonica tradisce talora il mancato soddisfacimento di una regola psicologica (tale almeno per Herbart), quando parla, per esempio, di cadenza d’inganno.


8. Ragioni psicologiche per il temperamento equabile

Le ragioni che inducono Herbart alla tematizzazione del temperamento equabile dal punto di vista psicologico puntano essenzialmente alla sua legittimazione. Herbart insiste, infatti, nel rigettare il valore meramente strumentale del temperamento: da una parte, infatti, il filosofo gli tributa il tradizionale riconoscimento per la sua utilità rispetto ai limiti tecnici imposti dagli strumenti a tastiera, ma ritiene anche che i musicisti non potrebbero compiacersi dei vantaggi che esso offre, se questi non fossero accompagnati da ragioni squisitamente musicali per apprezzarli[34]. Qualora il temperamento apportasse null’altro che una correzione utile ma infondata o, per giunta, falsificasse i rapporti tonali in nome di una maggiore comodità, esso non godrebbe di alcuna legittimazione né teorica, perché la prassi non ha valore di principio, né pratica, giacché i veri musicisti non si adatterebbero a compromessi meramente pragmatici. Eppure il successo del temperamento è un fatto: occorre dunque guadagnargli la giustificazione teorica che lo sorregge.


Ha allora ragione Kaiser-El-Safti nel riconoscere Herbart come «il primo filosofo che ha preteso una spiegazione psicologica per la possibilità e l’attuabilità di questo processo»[35], ossia la suddivisione dell’ottava in dodici semitoni uguali, come previsto dal temperamento equabile. L’aspetto più rilevante della faccenda risiede, a mio avviso, nell’interdipendenza tra la giustificazione psicologica del temperamento e la spiegazione della dissonanza, che merita quindi di essere analizzata fin da subito.
Si è visto che lo scarto fra le grandezze psicologiche degli intervalli nell’accordo determina una pressione, per la quale il temperamento svolge ora un ruolo fondamentale. Esso, infatti, stabilisce una grandezza omogenea per il materiale tonale, ma altera lievemente le determinazioni degli intervalli già ottenute per via psicologica. In questo procedimento, allo scarto già notato fra le somme di intervalli e gli intervalli più grandi si aggiunge anche la differenza tra la grandezza psicologica e quella temperata dell’intervallo (analogamente a quanto avviene tra gli intervalli cosiddetti naturali e quelli temperati), ed essa risulta percettibile. Accade allora che, negli accordi dissonanti, gli intervalli compressi tendono a riacquistare la loro ampiezza psicologica, accumulando una tensione contro lo spazio angusto che la grandezza temperata loro concede.
L’esperimento al pianoforte, che presuppone il temperamento equabile e si svolge rinunciando ad esso, ha mostrato come il carattere dissonante vero e proprio (nell’accordo di settima) si riduca considerevolmente quando lo strumento venga scordato (rispetto al sistema temperato) in modo che gli intervalli ritrovino uno spazio psicologicamente loro adeguato. Da ciò si deve concludere che la dissonanza dipende strettamente dall’ampiezza degli intervalli e dall’impossibilità della loro immediata commutabilità reciproca. Peraltro si radica proprio qui la tendenza degli accordi alla risoluzione, perché gli intervalli sommati al loro interno premono ciascuno per ristabilire l’estensione sua propria, fino a che non si istituisca una certa stabilità grazie alla transizione ad un nuovo accordo.
Ciò non avverrebbe qualora gli intervalli temperati, ottenuti tramite la suddivisione matematica dell’ottava, potessero sostituire quelli psicologici senza resti e senza riserve. Si è visto però che talvolta già il pensiero musicale, che accompagna le questioni psicologiche, differisce, ancorché minimamente, dalle determinazioni prescritte dal calcolo: ne deriva uno scarto irriducibile, nel quale produttivamente si raccoglie il potenziale armonico. Tutta la tensione della dissonanza si concentra allora nelle differenze minime fra gli intervalli temperati e quelli psicologici, che si offrono ora al pensiero musicale: esso, infatti, ne fa una ricchezza, riempiendo la discrasia di una tensione che è anche il motore dello sviluppo armonico. Se, a livello psicologico, l’equivalenza solo approssimata ai valori temperati può presentarsi ancora come manchevolezza, da un punto di vista prettamente musicale tutto ciò si trasforma nella più ricca miniera di possibilità.
Osservando tale situazione, Herbart individua una corrispondenza tra il pensiero musicale ed il temperamento equabile: essa va individuata nel luogo di congiunzione fra la determinazione psicologica e quella temperata dell’intervallo, in cui si dà l’effetto immediato di dissonanza che si presta a sostenere la differenza fra le due grandezze. Per la psicologia a sé stante, si tratta certo di una corrispondenza estrinseca, motivata, al massimo, dall’approssimazione matematica per cui i due numeri attribuiti ad uno stesso intervallo si discostano appena; invece, considerata musicalmente, essa risulta funzionale allo sviluppo armonico nella misura in cui la dissonanza vi svolge il suo ruolo irrinunciabile.
Tale sintonia con il pensiero musicale stabilisce, quindi, lo stretto legame che unisce il temperamento alla legalità musicale e, ancora, la sua piena funzionalità rispetto ai principi dell’uso artistico, ben oltre l’accomodamento utilitaristico degli strumenti a tastiera per il quale è stato approntato. Il riconoscimento esplicito del valore indirettamente estetico del temperamento assegna a quest’ultimo una legittimità ben più salda, che risponde intimamente alle esigenze dell’intero sistema musicale. Il merito herbartiano in tutto questo risiede quindi nell’impostazione della ricerca scientifica circa le rispondenze psicologiche ed estetiche che giustificano l’ammissibilità eminentemente teorica del semitono temperato.


9. La relazionalità estetica

L’analisi dell’aspetto relazionale della musica da un punto di vista estetico è resa ardua dalla mancanza di una compiuta trattazione di Herbart in merito, di modo che la sua posizione deve essere ricostruita sulla base di una serie di riflessioni disseminate un po’ ovunque nelle sue opere. Tale lavoro di sistematizzazione è del resto necessario, almeno parzialmente, già rispetto alla sua estetica, cui sono dedicate alcune sezioni dell’Introduzione alla filosofia[36] e della Kurze Encyklopädie der Philosophie[37], oltre ai vari cenni che ricorrono in altri testi ancora. Comunque, nonostante questa frammentarietà delle fonti principali – alla quale i seguaci di Herbart hanno cercato con solerzia di porre rimedio mantenendosi più o meno fedeli al maestro – sussiste una certa unitarietà della riflessione, giacché i principi e le argomentazioni presentano una coerenza che giustifica la tematizzazione stessa di un’estetica herbartiana.


Questa contempla una partizione fondamentale in estetica generale ed applicata. Compito della prima è quello di occuparsi delle questioni di principio, quali la fondazione stessa di un’estetica come scienza, l’elaborazione logica dei concetti di valore, l’identificazione della peculiare forma del giudizio estetico e la definizione della correlazione di soggetto ed oggetto nell’atto della valutazione estetica.
Appartiene all’ambito generale dell’estetica anche la definizione del suo carattere rigorosamente formalistico, che Herbart riconduce alla considerazione che gli elementi più semplici dell’estetica sono rapporti. Infatti, un valore si stabilisce a partire dalla relazione di almeno due membri che, presi indipendentemente, sarebbero esteticamente indifferenti ed apparterrebbero piuttosto alla sfera di competenza della metafisica, che svolge appunto considerazioni teoretiche (non assiologiche).


L’oggetto estetico, dunque, per definizione porta in sé la relazione e questo rappresenta già il criterio distintivo rispetto alla metafisica, ma l’assunzione qui introdotta conduce anche oltre: se soltanto la relazione è esteticamente rilevante, i singoli membri che la costituiscono fungono da materia, costitutivamente necessaria ma indifferente per la valutazione, mentre ciò che li lega è in realtà l’oggetto estetico, e cioè la forma. Se pure l’argomentazione teorica non è immune da accuse di circolarità[38], un esempio può chiarire la concezione herbartiana: un intervallo di quinta è consonante (esteticamente bello), ma tale carattere risiede nella congiunzione dei due suoni e prescinde dal fatto che essi siano do e sol, oppure la bemolle e mi bemolle. Il bello sta quindi nella relazione armonica, non nelle determinazioni specifiche di ciascuno degli elementi del rapporto stesso.
Le dottrine artistiche, nelle quali si suddivide l’estetica applicata, traggono dall’estetica generale i principi comuni, ma riflettono allo stesso tempo la molteplicità fattuale delle arti e delle loro massime specifiche. Herbart, pur nella sua tensione al rigore ed all’esattezza scientifica, non disconosce la matrice esperienziale dell’estetica e si rende fautore di un pluralismo estetico, giacché il bello è molteplice quanto le relazioni particolari che lo esibiscono.
Purtroppo, però, Herbart non ha approfondito questa parte applicata dell’estetica, neppure riguardo alla musica, così da tradire i suoi lettori proprio in ciò che essi si sarebbero attesi come conclusione del percorso svolto: un’estetica della musica. Non resta allora che concentrarsi sulle principali osservazioni herbartiane circa il bello musicale.
Nelle sue varie asserzioni in merito, Herbart rimanda di frequente alla salda ed opportuna elaborazione teorica che la musica vanta rispetto a qualsiasi altra arte, ma riconosce in pari tempo che, ai fini della produzione e della fruizione dell’opera musicale (quindi a livello prettamente artistico), è insufficiente la conoscenza delle regole “grammaticali” dell’armonia e del contrappunto.
Il limite opposto è tracciato dal principio che «per riconoscere il bello e il brutto nella musica, si dovrebbero indicare differenze fra tali suoni ed altri; si dovrebbero [sic] perciò discorrere di suoni»[39]. Con ciò si esclude dai criteri del bello musicale qualunque riferimento extramusicale e la differenza tra ciò che vi appartiene e quanto ne viene bandito è netta: essa impone una stretta attinenza ai suoni dati ed alle loro relazioni. In questo punto è pienamente riconoscibile l’analoga tesi che sta al centro de Il bello musicale di E. Hanslick, al quale le posizioni herbartiane erano ben note.
Una retta valutazione estetica della musica dovrebbe dunque collocarsi tra tali due limiti, ma Herbart sembra talora ridurla ad un’attenta lettura della partitura, perché questa sarebbe in grado di esibire le serie rappresentative ed i rapporti tra di loro sussistenti, quasi che la valutazione possa essere esaurita attraverso l’analisi, voce per voce, della tessitura contrappuntistica di un brano. In tal modo, però, Herbart rischia di appiattire il bello musicale sulle sue condizioni psicologiche, equiparandole perfino all’insieme delle tecniche di composizione.
Eppure, quando delinea i rapporti fra estetica e psicologia, egli stesso si mostra del tutto consapevole della reciproca irriducibilità delle due modalità di considerazione: infatti, se anche la legalità psicologica estende il suo dominio fino ai fenomeni estetici, in realtà il compositore e l’ascoltatore si concentrano sull’effetto estetico, immediatamente sentito e poi espresso nel giudizio di gusto (oggettivo ed assoluto), trascurando interamente tutto quel che la psicologia può aggiungere all’originario riconoscimento del bello. Anzi, «se si domandassero dimostrazioni al maestro del basso continuo, egli potrebbe soltanto riderne o commiserare l’orecchio insensibile che non avesse già percepito»[40]: lo studio teorico non è costitutivamente in grado di raggiungere l’assolutezza di quanto è sancito dal giudizio estetico universale né l’indagine psicologica può colmare la distanza che la separa dall’immediata valutazione del bello mediante il sentimento.
Di conseguenza, l’enfasi posta sull’analisi della partitura si spiega, a mio avviso, con l’ammirazione che Herbart nutre per l’eccezionale livello raggiunto, in musica, nella codificazione delle norme compositive e di analisi, le quali rimandano direttamente al valore estetico dei rapporti tonali, pur senza poter avanzare la pretesa di esaurire le relazioni estetiche tutte.
Herbart introduce infine un altro elemento, del quale tuttavia non sembra cogliere appieno le potenzialità estetiche: il pensiero musicale. Esso si distingue dall’orecchio corporeo perché offre connessioni non altrettanto contingenti: il pensiero musicale, infatti, esprime il repertorio di molteplici connessioni (effettive o soltanto possibili) tra rappresentazioni tonali già poste e rivela in tal modo una legalità interna generale e non meramente empirica. In questo senso, esso rappresenta una forte istanza polemica nei confronti del kantiano solletico di nervi, perché è in grado di rivendicare alla musica uno statuto affatto superiore ad un coacervo di impressioni senza regola.Tali peculiarità hanno reso irrinunciabile il riferimento al pensiero musicale nel contesto delle analisi psicologiche, in primo luogo poiché esso svolge un ruolo rilevante rispetto alla precisa determinazione degli intervalli; questa, da parte sua, ha senso eminentemente perché prelude al loro impiego musicale e, affinché si diano relazioni belle, la spiegazione teorica dei fatti della coscienza non è sufficiente. Il pensiero musicale è altro dalle serie rappresentative nelle quali scorre e che ne sorreggono gli sviluppi, perché la logica che gli è intrinseca si dirama ad un livello sempre superiore ed irriducibile alle combinazioni tra rappresentazioni illustrate dalla psicologia.
Permettendomi di leggere fra le righe herbartiane, ritengo lecito concludere che l’ambito in cui il pensiero musicale si dispiega al meglio è quello estetico, ove esso esibisce una coerenza internamente organizzata su rapporti tonali garantiti a priori e relazioni estetiche per le quali sussiste un giudizio oggettivamente valido. Conoscendo le relazioni tonali ed il loro effetto indipendentemente dall’averle tutte esperite, esso è il miglior interprete di una legalità estetica specificamente musicale e costituisce l’unità di riferimento per tutti i fenomeni dell’arte dei suoni.In pari tempo esso fonda e garantisce l’autonomia della musica, separando nettamente il suo studio psicologico dalla sua valutazione estetica, grazie alla capacità di istituire e riconoscere relazioni non contemplate nell’analisi della costituzione teoretica dell’oggetto. Richiamando infine le questioni di psicologia del suono, si può definire il pensiero musicale come il punto di vista estetico sulla linea tonale, perché, assumendo a priori il continuo tonale, la valutazione estetica vi interviene a stabilire relazioni assiologicamente rilevanti e fa dell’oggetto psicologico un oggetto bello.
 


Considerazioni conclusive

L’analisi dei rapporti pervade tutta la discussione herbartiana della musica, dal punto di vista sia psicologico, con la posizione di una linea tonale a priori sede di tutte le relazioni possibili, sia estetico, con il riconoscimento di un pensiero musicale atto alla determinazione dei rapporti musicali esteticamente significativi.
L’analisi psicologica del suono segue una logica cogente nello sviluppo del problema e ricostruisce una genesi del materiale tonale per cui, partendo dalla versione piuttosto schematica del segmento tonale suddiviso in parti di uguaglianza ed opposizione, Herbart rielabora tale modello iniziale ed affronta per gradi la costituzione psicologica del suono ripercorrendo la ricca articolazione in cui la musica lo presenta. A conclusione delle analisi si osserva come, dalle relazioni più semplici tra suoni negli intervalli, si costruiscono quelle più complesse in accordi consonanti e dissonanti. Il confronto fra gli elementi rimane comunque il principale metodo esplicativo: se rapportati tra loro perché compresi in un accordo, gli intervalli producono la dissonanza e la sua risoluzione consiste in una nuova relazione tra intervalli che scarichi la tensione accumulata.
Tutto questo si svolge all’interno dell’ottava, che rappresenta la relazione psicologica fondamentale soprattutto perché essa racchiude al proprio interno la varietà dei rapporti musicalmente significativi: in virtù di questa sua costituzione internamente strutturata, essa mantiene una centralità tutta particolare per l’indagine psicologica, la quale a sua volta soggiace a qualsiasi considerazione estetica.
La linea tonale assunta a priori si riempie progressivamente di specificazioni psicologiche fino ad assumere una struttura di punti a varia distanza che, resi omogenei grazie al temperamento equabile, rivelano una linea a densità lievemente variabile, lungo la quale sorgono tensioni tra i diversi criteri di determinazione. Il punto di vista estetico, in tutto questo, si sviluppa nell’alternanza tra i rapporti consonanti e quelli dissonanti, traendo particolare vantaggio dalle zone dove la discrasia a livello psicologico è maggiore.
L’aspetto relazionale costituisce, inoltre, la peculiarità dell’approccio herbartiano all’estetica in generale ed alla musica in particolare, ma esso sancisce anche il legame a mio avviso più stretto fra la psicologia e l’estetica. La psicologia analizza, infatti, i rapporti intercorrenti fra le rappresentazioni e, per quanto riguarda il suono, ne ricava le leggi di connessione, che coincidono anche con le regole dell’armonia. L’estetica costituisce allora un ulteriore punto di vista sulle stesse relazioni analizzate in psicologia ed esso si esprime nella valutazione immediata formulata nel giudizio estetico.
I due piani della considerazione del medesimo oggetto convivono in esso come due punti di vista reciprocamente compatibili. In questo senso la legalità psicologica e quella musicale, al di là della convergenza delle loro determinazioni, possono congiungersi nell’approccio estetico, dando luogo ad un giudizio sintetico che unifica in sé la rappresentazione teoretica dell’oggetto e la sua valutazione estetica[41].
L’audace impresa herbartiana consiste nell’elaborazione di una psicologia scientifica che smentisca di fatto il veto che Kant aveva posto alla sua stessa possibilità, e poi, ancora, nell’applicazione di tale scienza all’arte dei suoni, che Kant aveva deplorato a causa del suo pressoché esclusivo radicamento sensibile. In Herbart, invece, la musica gode di tanta attenzione proprio in virtù di quella stessa pregnanza sensibile che è l’irrinunciabile punto di partenza per qualsiasi analisi psicologica ed indagine estetica.
Infine, il pensiero musicale si prospetta come l’ambito più autentico per la valutazione del suono musicale e come il luogo più adatto per la sua elaborazione. Al pensiero musicale, in quanto legalità autonoma, spetta il compito di proporre un’articolazione normativa del suono – che si esplica peraltro secondo quelle stesse relazioni armoniche di cui si è indagata la struttura psicologica e che vengono insieme riconosciute come belle in sede di valutazione estetica.
Il percorso teorico che ha condotto Herbart a concentrare l’attenzione sull’aspetto relazionale del suono musicale, della sua costituzione psicologica e della sua valutazione estetica rivela un approccio ben impostato: il suono si fa musicale quando viene articolato in relazioni di natura armonica, ed a partire dalla struttura armonica se ne può studiare la costituzione secondo una legalità intrinseca. Le relazioni armoniche, dunque, danno forma al suono stesso, rendendolo specificamente musicale; tutto questo accade però dall’interno, senza aggiunte contingenti: secondo Herbart, vi è una natura musicale del suono che si esprime nel pensiero musicale e nei rapporti che esso pone.
Dall’indagine herbartiana sulle relazioni tonali emerge quindi una considerazione immanente del suono musicale e di tutto il sistema di relazioni in cui esso si esplica: dotato di un proprio statuto, che vige nella costruzione di connessioni tonali secondo le regole dell’armonia, la dimensione musicale del suono si sviluppa all’insegna di criteri intrinseci all’arte dei suoni. Al tempo stesso, viene mantenuta salda l’impostazione relazionale dell’indagine, che fa appello ai rapporti tra i suoni senza pretendere di procurarne una definizione sostanzialistica, e questo non tanto per garantire coerenza con l’impostazione formalistica dell’estetica, quanto piuttosto perché l’analisi psicologica dà conto della connessione degli elementi psichici senza poter attingere alla loro immediata ed assoluta semplicità. Le loro relazioni vengono costruite progressivamente ed i criteri si stabiliscono al loro interno: non vi è alcuna unità di misura che intervenga in maniera trascendente nella determinazione dei rapporti tonali, ma ciascuno di essi diviene misura per tutti gli altri e contribuisce all’arricchimento di quel repertorio di connessioni conformi a regole che è il pensiero musicale.


Note

[1] Sono tre le composizioni herbartiane tutt’ora conservate: la Sonate pour le Pianoforte dédiée à Messieurs J. D. Gries et Fr. Köppen composée par J. Fr. Herbart, edita da Kühnel, Bureau de Musique, Leipzig 1808; la fuga allegata alla lettera di Herbart all’amico Griepenkerl, datata 27 gennaio 1832 (cfr. J. F. Herbart, Sämtliche Werke. In chronologischer Reihenfolge, a cura di K. Kehrbach, O. Flügel e Th. Fritzsch, ristampa dell’edizione Beyer, Lagensalza 1887-1912, Scientia, Aalen 1964² – d’ora in poi indicato con la sigla SW, seguito dal numero del volume – vol. XVII, pp. 293-297) ed un’ulteriore breve fuga, conservata soltanto nella trascrizione che G. Bagier ne offre nel suo Herbart und die Musik mit besonderer Berücksichtigung der Beziehungen zur Ästhetik und Psychologie, Hermann Beyer & Söhne (Beyer & Mann), Langensalza 1911, pp. 163-165.
[2] Il legame con Leibniz, fondato e convincente, si limita alla pur notevole impostazione che vuole una stretta connessione fra matematica, musica ed indagine scientifica (cfr. I. Volpicelli, Herbart e l’estetica, Marzorati, Milano 1985, p. 113), mentre l’indagine herbartiana si spinge oltre, all’esatta determinazione psicologica dei rapporti armonici.
[3] M. Kaiser-El-Safti, Die Idee der wissenschaftlichen Psychologie. Immanuel Kants kritische Einwände und ihre konstruktive Widerlegung, Königshausen & Neumann, Würzburg 2001, p. 283.
[4] Tra il 1809 ed il 1833 Herbart è infatti Professore Ordinario di filosofia e pedagogia a Königsberg, sulla stessa cattedra già appartenuta a Kant.
[5] Si tratta della Psychologie als Wissenschaft neu gegründet auf Erfahrung, Metaphysik und Mathematik, apparsa negli anni 1824-25 (in SW, IV, 177-402 e SW, V, 1-338). Herbart presenta la propria psicologia già nel 1816, con il suo Lehrbuch zur Psychologie (in SW, IV, pp. 295-436; trad. it. Manuale di Psicologia, a cura di I. Volpicelli, Armando, Roma 1982), riedito con ampie modifiche nel 1834. Alle due trattazioni principali si affiancano ulteriori scritti, tra i quali le Psychologische Untersuchungen degli anni 1839-40 (in SW, XI, pp. 45-343).
[6] Si tratta di uno scritto del 1822, contenuto in SW, V, pp. 91-122.
[7] SW, IV, p. 301; trad. it. cit., p. 19.
[8] Cfr. SW, III, pp. 96-118.
[9]
Cfr. SW, XI, pp. 45-176.
[10] Cfr. SW, III, p. 99.
[11] Cfr. SW, IX, pp. 118-122.
[12] SW, XI, p. 69.
[13] Cfr. SW, III, p. 117.
[14] SW, VI, p. 71.
[15] SW, III, pp. 102-103.
[16] C. Stumpf, per esempio, esprimerà veementi critiche contro la concezione herbartiana dell’ottava come intervallo della massima opposizione, ironizzando: «Una piena opposizione esiste qui soltanto tra Herbart ed i fatti» (C. Stumpf, Tonpsychologie, Hirzel, Leipzig 1883/1890; ristampa anastatica, Knuf e Bonset, Hilversum-Amsterdam 1965, vol. II, p. 187). G. Bagier, invece, considererà tale interpretazione dell’ottava un presupposto per tutta la restante teoria herbartiana, lasciando tuttavia intendere l’infondatezza e l’arbitrarietà di tale assunzione preliminare (cfr. G. Bagier, op. cit., pp. 98-105).

[17] Herbart individua, infatti, ampiezze diverse per le terze, a seconda che esse compaiano semplicemente come intervalli oppure siano inserite negli accordi: per la stabilità di questi ultimi, è opportuno modificare i valori già ottenuti per gli intervalli (cfr. SW, III, p. 102 e 106; SW, XI, pp. 77-78 e 85-87).
[18] SW, XI, p. 76.
[19]
Ibid.
[20] Cfr. SW, III, pp. 101-102.
[21] Cfr. SW, III, p. 108; SW, XI, p. 75.
[22] SW, VI, p. 69.
[23] SW, XI, p. 70.
[24]
SW, VI, p. 69.
[25] Si tratta, in particolare, della cosiddetta formula della soglia, una relazione matematica che serve, secondo Herbart, ad individuare la proporzione che deve sussistere fra (almeno) tre forze, affinché la più debole tra di loro venga spinta sulla soglia della coscienza, ossia impedita a favore delle restanti forze. Nel caso delle rappresentazioni, l’impedimento subentra quando la più debole non ha forza sufficiente (rispetto ad altre rappresentazioni) a mantenersi nella coscienza, ad essere oggetto di un effettivo rappresentare, e pertanto viene a trovarsi sulla soglia, mentre le rappresentazioni più forti continuano a dominare la scena della coscienza, mantenendosi quindi al di sopra della soglia.
[26] SW, XI, p. 87.
[27] Ibid.
[28] SW, XI, p. 96.
[29] I valori calcolati da Herbart per ciascun intervallo vanno riferiti all’unità intera, costituita dall’ottava uguale ad 1, che viene poi suddivisa a seconda di quanto richiesto dalle leggi psicologiche. La quantità di opposizione in ciascuna rappresentazione indica l’ampiezza dell’intervallo, che infatti cresce progressivamente da 0 nell’unisono ad 1 nell’ottava, passando, per esempio, attraverso lo 0,3 della terza maggiore e lo 0,5 della quinta diminuita.
[30] Cfr. SW, XI, tav. I, figg. 14-16.
[31] SW, XI, p. 94. La percezione dell’effetto descritto è peraltro possibile solamente dopo aver superato lo sconcerto iniziale dovuto all’eccessiva estensione assunta dalla terza maggiore, e Herbart stesso propone qualche stratagemma a tal fine: «percuotendo contemporaneamente con forza un do nel basso, un paio di ottave sotto alla fondamentale, e sollevando la mano sinistra dopo un breve lasso di tempo, mentre la destra mantiene ancora l’accordo scordato, si ode ora il risuonare di esso» (ibid.).
[32] SW, XI, p. 95.
[33] SW, XI, p. 99.
[34] Cfr. SW, III, p. 102.

[35] M. Kaiser-El-Safti, «Einführung», in J. F. Herbart, Lehrbuch zur Psychologie, 18342;, a cura di M. Kaiser-El-Safti, Königshausen & Neumann, Würzburg 2003, p. XLIII
[36] J. F. Herbart, Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie, 18374, revisione critica a cura di W. Henckmann, Meiner, Hamburg 1993; trad. it. Introduzione alla filosofia, a cura di G. Vidossich, Bari, Laterza 1927 2;.
[37] In SW, IX, pp. 17-338.
[38] Cfr. Th. Ziechner, Herbarts Ästhetik dargestellt mit besonderer Rücksicht auf seine Pädagogik und im Zusammenhange mit der Entwicklung der Ästhetik an der Wende des 18. zum 19. Jahrhundert betrachtet, Dissertazione, Leipzig 1908, pp. 77-81.

[39] J. F. Herbart, Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie, cit., p. 136; trad. it. cit. p. 105.

[40]SW, I, p. 264.
[41] I. Volpicelli, op. cit., p. 70.

 

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