Paolo Bolpagni
Klee e la musica


Immagini integrative


In che misura la conoscenza e la diretta pratica musicale di Paul Klee abbiano influito sulla sua produzione artistica: è, questo, uno dei temi che più hanno animato il dibattito critico intorno alla figura del pittore svizzero, sin dal principio
1. Già in una recensione del 1918, Theodor Däubler non si peritava di far ricorso, nell’interpretazione di alcuni suoi lavori, alla nebulosa metafora di "onde musicali" e a consimili amenità liricheggianti2. Altri commentatori e biografi dell’epoca, come Leopold Zahn3 e Wilhelm Hausenstein4, cercavano similmente di spiegare l’arte di Klee mediante generici ed evanescenti raffronti tra l’universo visivo e quello sonoro. Negli ultimi decennî, se si esclude il caso particolare di Pierre Boulez (che, nel suo fortunato saggio del 19895, ha adottato l’inedita prospettiva del compositore che intende esprimere il proprio debito metodologico nei confronti del pittore6), la discussione sul ruolo della musica nell’arte di Klee ha visto contrapporsi, in sostanza, due visioni antitetiche. Da una parte, vi sono coloro che tendono a rilevare costantemente nella sua opera – certo con maggior acume e perspicacia che nei tre precoci esempî succitati – la presenza dell’elemento musicale, che si manifesterebbe in modi diversi ma con assoluta costanza: paradigmatica, al riguardo, è la posizione di Andrew Kagan, che si sofferma sull’indicativa valenza della predilezione di Klee per Bach7 e Mozart (punto su cui insiste pure Hajo Düchting8), e tenta poi  di rinvenire la traccia di una "costruzione musicale" anche in quei quadri il cui titolo non parrebbe presupporre un riferimento siffatto9. Dall’altro lato, invece, si sostiene la necessità di ridimensionare il peso di tale componente in sede ermeneutica, invitando a diffidare dei risultati derivanti da supposte forzature speculative. Ascrivibili a questa seconda tendenza sono Siegbert Peetz (rivolto, piuttosto, a porre in risalto la dimensione architettonica dell’arte dello svizzero10) e, soprattutto, Marcel Franciscono, secondo il quale la musica, per Klee, non era che uno fra i molti termini di confronto considerati, e non rivestiva una funzione privilegiata nemmeno nell’àmbito didattico della sua attività d’insegnamento al Bauhaus11.

Argomentazioni del genere hanno il merito di mettere in guardia dalle numerose «banalità enunciate [...] sulla trasposizione letterale da una tecnica a un’altra»12, ma eludono il problema posto dalla presenza dominante della musica nella biografia del Nostro. Essa non fu mai per lui un semplice passatempo, un interesse hobbistico; come ha scritto Moe, a nessun altra forma d’arte Klee dedicò tanto spazio e attenzione nelle sue lettere e nei suoi Diari: «Il lui consacrait beaucoup de temps, soit en allant au concert, soit en faisant lui-même de la musique. Tout son être était empli de musique. [...]. Comment pourrait-on, dans ces conditions, penser que la musique n’a pas eu une influence primordiale sur son art?»13.

A riproporre con maggior forza questo tema è stato, recentemente, Roberto De Caro, che ribatte, anzitutto, alle asserzioni circa una presunta ristrettezza conservatrice del gusto e delle scelte musicali di Klee, cui sarebbe imputata una sorta di incomprensione e disinteresse per le istanze novatrici dei compositori contemporanei14; in realtà, la sua ampia competenza e profondità di giudizio in materia sono chiaramente testimoniate da molte pagine dei Diari, in cui egli si diffonde con notevole acutezza su argomenti di storia e interpretazione musicale15, palesando una rimarchevole sensibilità anche verso tradizioni diverse da quella europea16. De Caro, poi, si impegna a dimostrare che, contrariamente a quanto sostenuto da Boulez17, l’esperienza violinistica di Klee non fu affatto limitata e provinciale: tale era la sua padronanza dello strumento, che, all’età di soli undici anni, fu cooptato quale membro straordinario dell’Orchestra municipale di Berna18, avendo modo, così, di suonare più volte con alcuni dei più insigni musicisti dell’epoca, da Ferruccio Busoni a Pablo Casals19. Del resto, tutte le fonti ci dicono che Klee fu un violinista di livello eccezionale, e che la  sua risoluzione di non intraprendere la carriera solistica fu dovuta soprattutto a motivi fisiologici derivantigli da una certa timidezza nell’esibirsi in pubblico20, oltre che alla scarsa propensione al virtuosismo21. Ciò premesso, l’argomentazione di De Caro verte principalmente sul tentativo di mostrare come l’assidua pratica d’interpretazione musicale abbia potuto incidere sull’elaborazione della personalissima estetica e concezione creativa di Klee. Richiamandosi a un celebre passo della conferenza tenuta al Kunstverein di Jena il 26 gennaio del 192422, lo studioso italiano ritiene di individuare una non fortuita corrispondenza tra l’immagine metaforica dell’artista quale tronco d’albero, che riceve le linfe nutritive dalle radici per trasmetterle alla chioma, e la figura dello strumentista posto di fronte alla partitura da tradurre in suono. Entrambi, infatti, si troverebbero ad affrontare un problema interpretativo nell’accezione musicale del termine: l’esecutore non può "cambiare le note" di uno spartito che non è suo, ma deve limitarsi a far da tramite alle intenzioni del compositore; in maniera analoga, all’artista non è dato in nessun caso – secondo il concetto kleeiano – di creare ex novo alcunché, d’incidere sulla natura, di modificare il dato reale, bensì, semplicemente, di fungere da mediatore e demiurgo, depositario del pur fondamentale cómpito del rendere visibile23.

Anche senza voler sottoscrivere l’ardita ipotesi critica di De Caro, occorre ammettere che la musica, per Klee, fu fonte di stimoli varî e continui: mentore e metafora, come scrive Düchting24, ma soprattutto modello strutturale di articolazione formale e procedure creative; lo stesso Boulez ha osservato ch’egli «non ha avuto di Bach e di Mozart una visione servile, da epigono; ha analizzato i metodi, il pensiero, i mezzi di scrittura propri di questi compositori, dando luogo a una sorta di transustanziazione che costituisce l’originalità del suo percorso»25. Il che si traduce, primariamente, nello sforzo kleeiano di confutare – sia nella riflessione estetica, sia nel concreto operare artistico – uno dei più comuni criterî di distinzione tra musica e pittura, cioè quello che risiede nella caratterizzazione della prima come forma d’espressione dispiegantesi peculiarmente nel tempo, e della seconda nello spazio26. In realtà, sostiene il Nostro nella Confessione creatrice, la contemplazione di un quadro o disegno, sebbene non eguagli in durata l’ascolto di un brano musicale, non è mai istantanea, ma necessita di un’attenzione e di un’osservazione protratte, ossia di un occhio che si muova alla stregua di un «animale brucante»27 sull’opera; la quale, a sua volta,  richiede tempo per essere realizzata, in quanto «si costruisce pezzo su pezzo, come un’architettura»28 (Nigro Covre). Del resto, le rifinitissime testure di numerosi lavori di Klee, le cui superfici appaiono costellate da una trama di minuziosi particolari, furono forse progettate anche allo scopo di favorire – se non esigere – una loro lettura e decifrazione prolungata, sovente secondo un ordinato e prestabilito itinerario temporale29.

A un ulteriore e più evidente livello, la presenza dell’elemento musicale nell’arte dello svizzero può riconoscersi nel suo ricorso a forme e tecniche compositive quali la polifonia, la fuga, la variazione. Ciò non significa – avverte giustamente Cappelletti – ch’egli intenda «rendere pittoricamente alcuna combinazione sonora; l’analogia, infatti, va mantenuta soprattutto all’interno delle procedure strutturali»30, più che sul piano contenutistico. A Klee non importa tanto riuscire ad applicare certi procedimenti musicali in àmbito pittorico, né, ancor meno, escogitare corrispondenze  figurative sulla base delle sensazioni provocate dall’ascolto di una sinfonia o di un contrappunto31, quanto, invece, porre le fondamenta di una nuova teoria dell’armonia formale e della composizione artistica; e, nel perseguimento di un tale obiettivo, la riflessione sulla possibilità che le tecniche musicali fossero in grado d’influenzare e modificare quelle pittoriche (e viceversa) dovette risultargli tutt’altro che vana32.

Nella profonda assimilazione del concetto di polifonia33, in special modo, Klee ravvisò una delle vie maestre per aumentare ed arricchire le facoltà strutturali della pittura, «particolarmente a livello sintattico»34. In effetti, il motivo della contemporaneità di temi o ritmi formali diversi e autonomi, più volte ripreso – spesso con l’ausilio di perspicue esemplificazioni grafiche – nelle lezioni al Bauhaus, affiora con significativa costanza nella sua produzione tra la fine degli anni dieci e la prima metà dei trenta35, sia in opere come In Bachschen Stil del 1919 e Wildwasser del 1934 (dove è facile riconoscere una voce principale che attraversa l’opera, a mo’ di cantus firmus, da destra in alto fino a sinistra in basso, attorniata e intercalata da innumerevoli linee procedenti per moto contrario), sia nei famosi cicli delle fughe, dei quadrati magici e delle scacchiere, in cui la "polifonia visiva" emerge dalla fitta giustapposizione in colori variabili di figure geometriche elementari di grande pregnanza, dislocate secondo serie e combinazioni determinate che ritornano insistentemente, come il tema in un contrappunto musicale36. Piuttosto che la celeberrima Fuge in Rot del 1921, magistralmente analizzata da Boulez37 e commentata dallo stesso Klee38, vorrei ricordare il meno noto, ma altrettanto straordinario, Gesicht einer Blüte, dell’anno successivo, nel quale è possibile rilevare non solo una meditata interiorizzazione dei basilari concetti imitativi di soggetto e controsoggetto, ma pure un impiego raffinatissimo dei difficili procedimenti, tipici della fuga, dell’inversione e del rispecchiamento.

Durante la lunga fase dei corsi magistrali tenuti al Bauhaus, l’ulteriore essenziale problema, concernente i rapporti tra musica e arti visive, di cui Klee si occupò in maniera approfondita e continuativa fu quello del ritmo – di cui aveva ben compreso la formidabile azione sui sensi dell’uomo39, ossia la funzione aptica, come la chiama Cappelletti con termine aristotelico40 – e di  una sua possibile applicazione in pittura, per esempio mediante la traduzione in linee e tratti che ne riproducessero sismograficamente la tensione. Quale punto di partenza per la propria analisi, egli trascelse la raffigurazione, tramite «segni di percussione»41 accentuati in varie graduazioni, prima di alcuni "ritmi di natura" (la respirazione umana, il succedersi del giorno e della notte etc.), poi di scansioni artificiali, dove, finalmente, si fa esplicito il proposito di resa plastica della battuta in quanto struttura musicale fondamentale42. La rappresentazione schematica del tactus di misure binarie, ternarie e quaternarie, semplici e composte, sino alle «zoppicanti rarità»43 in cinque o sette unità, conduce a un successivo trapasso nel discorso di Klee sul ritmo, cioè al tentativo di ritrarre la gesticolazione del direttore d’orchestra impegnato a segnare il tempo: l’operazione non è fine a se stessa, ma indirizzata a sfruttare le potenzialità figurative di simili "traiettorie aeree" in concatenazioni di quattro o cinque battute, allineate ovvero disposte in molteplici articolazioni spaziali, col risultato di immagini perlopiù conchigliformi44.

Risolto l’aspetto metrico-quantitativo attraverso la «trasposizione delle assolute misure temporali in assolute misure di lunghezza»45, il passaggio seguente consisterà nel far sì che siano chiaramente percepibili i «rapporti di peso», e quindi stabilito in maniera necessitante il «trattamento qualitativo delle strutture delle battute»46, cosicché la loro autentica essenza sia espressa con efficacia. Interviene, allora, «un altro tipo di rappresentazione»47 più adeguato ed evoluto, per mezzo del quale Klee procede a tradurre graficamente l’andamento ritmico e dinamico di un breve inciso monodico: il tracciato della melodia è descritto da segmenti retti e curvilinei (come dire statici o mossi), i cui continui restringimenti e ispessimenti rispecchiano il maggiore o minore rilievo accentuativo delle note, mentre il variare dell’intensità sonora è indicato con valori numerici corrispondenti.

In tal modo, la via è ormai aperta al famoso esperimento di bildnerische Darstellung, provato su due battute dell’Adagio dalla Sesta sonata per violino e clavicembalo di Johann Sebastian Bach. Non si tratta, in realtà, di una trasposizione grafica della musica: diversamente da Kandinskij, e dalla gran parte dei suoi predecessori ed emuli, Klee non cerca di raffigurare i suoni con forme o colori (ciò che più gl’importa, peraltro, non è l’altezza, né il timbro, quanto invece la scansione, l’aspetto  accentuativo), ma crea un analogon della notazione tradizionale48: una sorta di scrittura musicale alternativa, che ha il pregio e lo scopo di rendere immediatamente evidente, visibile, l’organizzazione ritmica, l’andamento melodico e la struttura polifonica del brano considerato. Si potrebbe persino affermare che il referente della sua traduzione grafica sia la nota non come suono, bensì quale segno.

Commentando la riuscita del proprio tentativo di "rappresentazione figurata" della frase polifonica bachiana, Klee trae interessanti deduzioni teoriche, arrivando a sostenere implicitamente il valore analitico in àmbito musicale, oltre che pittorico, di un metodo siffatto. Non a caso, l’esperienza si conclude con un’approfondita disamina – degna quasi d’uno Schenker! – sull’intreccio polifonico delle voci in questo minuscolo inciso contrappuntistico49.

Paolo Bolpagni


Note

1 Il saggio di Paolo Bolpagni che pubblichiamo è tratto dal volume "Paul Klee. Teatro Magico", Edizioni Gabriele Mazzotta srl.- Milano, 2007. Ringraziamo l’editore ( http://www.mazzotta.it/fondazione/index.htm) per averci concesso la possibilità di proporlo in versione digitale
2 Cfr. Th. Däubler, Paul Klee, 1918, in «Neue Blätter für Kunst und Dichtung», I, 1, Dresden, maggio 1918, p. 12: «Jede Ecke ist ausgefüllt: Als Musikwellen verstrahlen sich seine Einfälle aus Farbe und deren fühlsamst abgetasteten Farbenumrissenheiten» .
3 Cfr. L. Zahn, Paul Klee. Leben, Werk, Geist, Kiepenheuer, Potsdam 1920, p. 21.
4 Cfr. W. Hausenstein, Kairuan oder eine Geschichte vom Maler Klee und von der Kunst dieses Zeitalters, Kurt Wolff, München 1921, p. 6: «Musik wird Hilfe der Malerei, Zeichnung Stütze der Musik. Malerei und Musik werden Teile einer Eschatologie; unbekümmert um das Mögliche suchen sie das Letzte».
5 Cfr. P. Boulez, Il paese fertile. Paul Klee e la musica, testo preparato e presentato da P. Thévenin, trad. it. di G. Denis, Leonardo Editore, Milano 1989.
6 «Ecco che cosa mi ha fatto capire la pedagogia di Klee. Imparare a dedurre, ma anche a ridurre i fenomeni.
Qui sta tutto il genio di Klee: partire da una problematica semplicissima e arrivare a una poetica di notevole forza che la assorbe completamente» (ibi, pp. 135, 146).
7 Cfr. P. Klee, Diari 1898-1918. La vita, la pittura, l’amore: un maestro del Novecento si racconta, prefazione di G.C. Argan, con una nota di F. Klee, trad. it. di A. Foelkel, Net, Milano 2004, pp. 399-400 (nº 1124 del 28.6.1918): «[...] mi sento tutto rianimato dall’arte. Le mie cognizioni si sono approfondite grazie alle frequenti esecuzioni di Bach. Mai ho vissuto Bach con tanta intensità, mai mi sono sentito tanto tutt’uno con lui. Quale concentrazione, quale estremo arricchimento in solitudine!».
8 Secondo lo studioso tedesco, Klee riconosceva nella musica di Mozart un supremo modello di fusione e mediazione tra l’elemento "celeste" e il "terrestre", che lui stesso avrebbe perseguito nel campo delle arti visive: «Als ›letzte Höhe der Kunst‹ bewunderte Klee Mozart, dessen Werke er selbst am liebsten hörte und spielte. Klees Mozartverständnis war ein anderes als heute üblich. Mozart war für Klee von fast übermenschlicher Größe, da seine Musik von der Verschmelzung des Himmlischen mit dem Irdischen (bzw. Höllischen) künde, also einem Ideal der Vermittlung entsprach, das Klee selbst als künstlerisches Ziel vorschwebte» (H. Düchting, Paul Klee. Malerei und Musik, Prestel, München-London-New York 2001, p. 8). Interessante, inoltre, è l’ipotesi secondo la quale Klee si sarebbe consacrato alla pittura poiché vi intravedeva possibilità d’evoluzione e progresso ormai precluse alla musica, che si trovava, a suo giudizio, in una fase involutiva e discendente dopo le vette toccate con Bach e Mozart: «Die Musik des 18. Jahrhunderts [...] bedeutete für ihn die höchste Erfüllung, nicht nur in der Musikgeschichte sondern in der Kunstentwicklung überhaupt [...].
Das Verlockende an der Malerei erblickte Klee in ihrer Entwicklungsmöglichkeit, da die Musik den Kulminationspunkt bereits überschritten habe» (ibi, pp. 7, 10). Ma, proprio per questo, la musica del Settecento poteva costituire un paradigma di sviluppo per la pittura del XX secolo: «Was auf dem Gebiet der Musik schon in unnachahmlicher Höhe erreicht wurde, sei nun auch Aufgabe der Malerei» (ibi, p. 10). Tuttavia, il Klee degli anni vénti si reputava ancóra solo all’inizio di questo processo: «Was für die Musik schon bis zum Ablauf des achtzehnten Jahrhunderts getan ist, bleibt auf dem bildnerischen Gebiet (einstweilen) wenigstens Beginn» (P. Klee, Kunst-Lehre. Aufsätze, Vorträge, Rezensionen und Beiträge zur bildnerischen Formlehre, hrsg. G. Regel, Reclam, Leipzig 1991, p. 88).
9 Cfr. A. Kagan, Paul Klee. Art and Music, Cornell University Press, Ithaca-London 1983.
10 Cfr. S. Peetz, Mondo e Terra. Heidegger e Paul Klee, in C. Fontana (a cura di), Paul Klee. Preistoria del visibile, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 1996, p. 111 n.
11 Cfr. M. Franciscono, La place de la musique dans l’art de Klee: une remise en cause, in O.H. Moe (a cura di), Klee et la musique (cat. della mostra tenuta dal 10 ottobre 1985 al 1º gennaio 1986), Centre Georges Pompidou, Paris 1985, p. 31.
12 P. Thévenin, [Presentazione], in P. Boulez, op. cit., 1989, p. 5.
13 O.H. Moe, Introduction, in Id. (a cura di), Klee et la musique, cit., 1985, p. 14.
14 Cfr. R. De Caro, L’alchimia del violinista. Interpretazione musicale e mediazione demiurgica nell’opera di Klee, in M. Pasquali (a cura di), Paul Klee. Figure e metamorfosi (cat. della mostra tenuta dal 25 novembre 2000 al 4 marzo 2001 a Bologna, Museo Morandi), Mazzotta, Milano 2000, p. 97. I suoi autori prediletti erano certamente Bach e Mozart, ma Klee amava anche Debussy, di cui ammirava in particolare il Prélude à l’après-midi d’un faune, e mostrò vivo interesse per Schönberg (cfr.: H.C. Wolff, La musica e la pittura moderna, in Aa.Vv., Musica e arti figurative [vol. IV dei «Quaderni della Rassegna musicale», diretti da G.M. Gatti], Einaudi, Torino 1968, pp. 160-161; P. Boulez, op. cit., 1989, pp. 15-16).
15 Cfr., per esempio, P. Klee, Diari 1898-1918, cit., 2004, p. 182 (nº 635).
16 Ibi, pp. 290-293, 296-298, 399 (nnº 926e del 7.4.1914, 926g del 9.4.1914, 926m del 14.4.1914, 1122 del 4.6.1918).
17 Cfr. P. Boulez, op. cit., 1989, pp. 13-15.
18 Cfr. G. Di Giacomo, Introduzione a Klee, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 4.
19 Cfr. R. De Caro,
op. cit., 2000, p. 104 n.
20 Ibi, p. 101.
21 «Non ho voluto mai diventare un violinista, perché mi mancava l’attitudine al virtuosismo» (P. Klee,
Diari 1898-1918, cit., 2004, p. 18 [nº 57 del 5.3.1898]).
22 «In questo mondo proteiforme, l’artista [...] è così ben orientato da poter imporre un ordine alla fuga delle parvenze e delle esperienze. Quest’orientamento [...] mi sia permesso di paragonarlo alle radici di un albero.
Di là affluiscono all’artista i succhi che ne penetrano la persona, l’occhio. L’artista si trova dunque nella condizione del tronco. Tormentato e commosso dalla possanza di quel tronco, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto. E come la chioma dell’albero si dispiega visibilmente in ogni senso nello spazio e nel tempo, così avviene con l’opera.
Nessuno vorrà certo pretendere che l’albero la sua chioma la formi sul modello della radice; non v’è chi non si renda conto che non può esistere esatto rapporto speculare tra il sopra e il sotto. [...]
[...] Nel luogo assegnatogli, quello di tronco, [l’artista] non fa altro che raccogliere e trasmettere ciò che viene dal profondo: né servo, né padrone, egli è solo mediatore» (P. Klee,
Teoria della forma e della figurazione. Lezioni, note, saggi raccolti ed editi da Jürg Spiller, prefazione di G.C. Argan, trad. it. di M. Spagnol – F. Saba Sardi, Feltrinelli, Milano 1976³, p. 82).
23 Cfr. P. Klee,
La confessione creatrice (1920), in Id., Teoria della forma e della figurazione, cit., 1976, p. 76. Cfr. anche, sul tema, P. Cappelletti, L’inafferrabile visione. Pittura e scrittura in Paul Klee, Jaca Book, Milano 2003, pp. 11-38.
24 Cfr. H. Düchting,
op. cit., 2001, p. 10.
25 P. Boulez,
op. cit., 1989, p. 26.
26 Già nel 1905, così scriveva nei
Diari: «Sempre più sono spinto a fare dei paralleli fra musica e arte figurativa. Ma non mi riesce alcuna analisi. Certo è che ambedue sono arti nel tempo, come si potrebbe facilmente dimostrare» (P. Klee, Diari 1898-1918, cit., 2004, p. 183 [nº 640]).
27 P. Klee,
La confessione creatrice, cit., 1976, p. 78.
28 J. Nigro Covre, Riferimenti musicali nelle arti figurative tra simbolismo e prime avanguardie - da Wagner a Bach, Lithos editrice, Roma 1993, p. 71.
29 Per Dorfles, invece, «l’ingresso del tempo dentro la tela» avviene, in Klee, «attraverso la linea. La linea è la vera dominatrice della sua arte, la linea che è sempre un "percorso"», cosicché «le arti visuali non siano più soltanto "arti dello spazio" ma siano anche esse, "arti del divenire" (G. Dorfles,
Il divenire delle arti, Bompiani, Bologna 2002 [4ª ed.], p. 117).
30 P. Cappelletti,
op. cit., 2003, p. 83.
31 «Conosco bene le arpe eolie – la risonanza interiore di una dolce melodia. Conosco altrettanto bene la zona patetica della musica e vi collego con facilità, nella fantasia, analogie figurative. Ma di queste cose non sento per il momento alcun bisogno» (P. Klee, Diari 1898-1918, cit., 2004, p. 246 [nº 862]).
32 In questo senso, credo, è da leggersi il suggestivo asserto di Feininger: «Malt Klee? Da wäre ich neugierig! Daß er Geige spielt, scheint mir selbstverständlich. – Eine Welt der Töne aus vier Saiten hervorzuzaubern, ist gleich: eine Weltanschauung aus Federstrichen und Kreuzen und Dreiecken hervorzuzaubern!» (citato in W. Hess,
Lyonel Feininger, Kohlhammer, Stuttgart 1959, p. 68).
33 «In musica esiste, è un fatto, la polifonia. Il tentativo di darne una traduzione figurativa, non avrebbe in sé nulla di straordinario. Ma servirsi della musica, della particolarità delle opere polifoniche, per attingervi certe nozioni, penetrare profondamente in questa sfera cosmica, per uscirne poi arricchiti e badare a quelle stesse cose nel quadro, è certo di più. Perché la contemporaneità di più temi autonomi non può darsi solo nella musica, così come accade con tutte le cose tipiche, le quali han valore non già in un unico luogo; bensì dappertutto e ovunque mettano radici, ovunque stiano organicamente abbarbicate» (P. Klee,
Teoria della forma e della figurazione, cit., 1976, p. 296).
34 P. Cappelletti,
op. cit., 2003, p. 84.
35 «Tema ed incrocio, polifonia e legge, forma e profondo significato del numero e dell’ordine. Negli anni di Weimar, questo mistero lo preoccupa più di ogni altro problema» (W. Grohmann,
Klee, trad. it. di M. Dalai Emiliani, Garzanti, Milano 1991, p. 125). Lo stesso Grohmann propone, inoltre, di paragonare la costruzione formale e cromatica dei dipinti "floreali" del periodo in esame (Phantastische Flora, Klang der südlichen Flora etc.) ai procedimenti seriali della tecnica dodecafonica; l’ipotesi, tuttavia, appare alquanto forzata.
36 Franciscono ritiene che tali lavori vadano interpretati come conseguenza di un’attenta riflessione intorno alla fattibilità di una "spazializzazione del tempo" nel piano bidimensionale dell’opera (cfr. M. Franciscono,
op. cit., 1985).
37 Cfr. P. Boulez,
op. cit., 1989, pp. 93, 97.
38 «Il momento della ripetizione, caratteristico delle strutture, è qui rappresentato dall’aumento o dalla diminuzione che si ripete ad ogni gradino. Se l’ordine naturale del movimento, percepito con l’orecchio invece che con gli occhi, è paragonabile a movimenti naturali delle note, l’ordine artificiale del movimento ricorda l’articolata divisione delle note propria delle scale musicali» (P. Klee,
Teoria della forma e della figurazione, cit., 1976, p. 488).
39 «Il ritmo possiamo [...] in primo luogo, udirlo; secondo, vederlo; terzo, sentirlo nei nostri muscoli. È per questo che il suo effetto sul nostro organismo è tanto potente» (
ibi, p. 267).
40 Cfr. P. Cappelletti, op. cit., 2003, p. 85.
41 P. Klee,
Teoria della forma e della figurazione, cit., 1976, p. 267.
42 «Mi permetto una digressione in campo musicale. Qui, la struttura fondamentale è la battuta. Per l’orecchio, la battuta sotto un certo aspetto è latente, e tuttavia viene trasentita quale reticolo strutturale, entro il quale si svolgono le quantità e le qualità delle idee musicali» (
ibi, p. 271).
43
Ibi, p. 281.
44
Ibi, pp. 273-274.
45
Ibi, p. 281.
46
Ibidem.
47
Ibidem.
48 Cfr. P. Cappelletti, op. cit., 2003, p. 85.
49 «L’esempio della frase a tre voci [...], in cui s’è tentato di rappresentare in concreti termini figurativi un oggetto che è in pari tempo astratto e di una palmare realtà, può insegnarci parecchie cose.
In primo luogo, che esiste effettivamente la possibilità della rappresentazione che dicevamo. Rileviamo poi il rapporto delle due o tre "voci" tra loro, che riguarda la località definita secondo lunghezza e altezza e, ancora, il loro grado di individualizzazione. Ora sono due, ora tre le voci che consonano (a volte potrebbe anche essere una sola la voce che si fa sentire). Le due voci (seconda e terza) della prima battuta si differenziano fortemente quanto a individualizzazione: l’inferiore ha un evidente carattere strutturale, al contrario della superiore, che conserva un carattere individuale.
Interviene poi la prima voce un po’ al di sotto della seconda e col proposito di sorpassarla; cosa che in un primo momento non le riesce; è solo dopo la breve pausa della seconda voce, infatti, che essa conquista la desiderata supremazia. In seguito all’intervento individuale della prima voce, la seconda viene degradata a carattere strutturale e, levandosi in alto, forma in concorde antitesi con la terza, che qui si abbassa, un giogo, sotto il quale la prima voce si muove individualmente. Dopo la rassegnata pausa, la seconda voce procede parallelamente alla terza, la quale rimane, a partire dall’inizio, fedele al proprio carattere strutturale, fino al punto in cui la seconda si dispone parallelamente a essa: da allora in poi, si rende manifesta una sua certa timida tendenza all’individualizzazione» (P. Klee, Teoria della forma e della figurazione, cit., 1976, pp. 281, 285, 287).

indietro