Mita Arici
Empatia e corporeità: il pensiero di Merleau-Ponty in musicoterapia


Introduzione

E' grazie ad alcune pagine di confidenze lasciateci da Claude Lévi-Strauss che veniamo a conoscenza del grande amore di Merleau-Ponty per la musica
1. Tale interesse è testimoniato anche da diverse osservazioni e annotazioni che compaiono sin dalla Fenomenologia della percezione (1945) e che ritroviamo ancora nell‟ultimo periodo della produzione del filosofo, in particolare negli appunti per un corso che egli tenne al Collège de France nel 1958-59 e nell‟incompiuto Il visibile e l’invisibile (1961, pubblicato postumo nel 1964)2. È noto, tuttavia, che la forma espressiva alla quale l‟autore de L’occhio e lo spirito dedicò maggiormente la propria attenzione è la pittura, tanto da far parlare a questo proposito di un primato che la vista sembra tenere nel suo pensiero rispetto agli altri sensi3. In effetti, se non si può negare che in Merleau-Ponty il tema della visione sia centrale, è necessario collocare queste riflessioni nell‟ambito dell‟operazione complessiva che impegnava il filosofo francese, il quale, soprattutto nell‟ultima fase della propria produzione, era rivolto all' indagine di quel "logos del mondo estetico" che lo avrebbe portato a ripensare in termini nuovi al rapporto tra spirito e materia, natura e cultura, visibile e invisibile.

Si trattava, in altre parole, di analizzare la visione nel suo concreto esercitarsi per scoprire qualcosa che aveva a che fare con la nostra sensibilità in generale, qualcosa che avrebbe rimesso in discussione la tradizionale concezione del pensiero come potere di "sorvolare" il mondo per ricondurre invece ogni nostra operazione spirituale al suo legame inscindibile con la natura e con la corporeità. Il fatto che non sia mai possibile vedere senza essere a propria volta visti, ossia inseriti, coinvolti nello spettacolo che mettiamo in scena, porta in filosofo a mettere in primo piano la struttura reversibile della nostra sensibilità e a caratterizzare il rapporto con il mondo nei termini di un chiasma in cui si rinnova continuamente lo scambio tra dentro e fuori, tra il soggetto e il mondo, tra attività e passività. Ora, non è solo per l‟amore che il filosofo portava verso la musica, ma anche (e soprattutto) per questo costante interesse per il corpo e per questo particolare modo di concepire il nostro scambio con l‟esterno e con gli altri, che il pensiero merleau-pontiano trova riscontro e applicazione nel campo della musicoterapia, dove il suo nome e alcune sue teorie compaiono citati in diversi manuali. In questo testo tenteremo di approfondire i motivi di questa connessione soprattutto da un punto di vista filosofico, esplicitando le concezioni merleau-pontiane che offrono i maggiori spunti di attrattiva in questo ambito.

E' utile ricordare che lo scopo della musicoterapia è di sfruttare le qualità della musica a fini terapeutici ritrovando un nuovo equilibrio anima-corpo, maturando una sana consapevolezza dell‟ambiente e favorendo nuovi modi di relazionarsi agli altri e al mondo. K. E. Bruscia afferma che il problema principale nella definizione della musicoterapia sta nel fatto che essa non si configura come una disciplina singola con limiti ben definiti, ma è per sua natura interdisciplinare. Essa infatti coinvolge le due grosse aree della musica (tra cui la Psicologia della Musica, la Sociologia della Musica, l‟Etnomusicologia, la Filosofia della Musica, l‟Acustica e la Psicoacustica, l‟Esecuzione e Composizione musicale, la Danza, la Teoria e storia della musica, ecc.) e della terapia (tra cui la Psicologia, la Psicoterapia, la Psichiatria, il Lavoro Sociale, le Arti curative, la Medicina e la Chirurgia, la Terapia comunicativa, l‟Audiologia, ecc.)4.

 

Benenzon, uno dei pionieri della musicoterapia, lamenta la mancanza di un vero e proprio paradigma teorico per questa disciplina, a metà strada tra una psicoterapia e una scienza. Una delle fonti privilegiate verso cui ci si rivolge per arricchire questo apparato teorico in costruzione è sicuramente il pensiero fenomenologico. Tra gli autori più citati nei trattati di musicoterapia troviamo infatti i nomi di Husserl, Lévinas, Stein e, come si è detto, di Merleau-Ponty. L‟interesse dei musicoterapeuti per il pensiero fenomenologico risiede soprattutto nell‟interesse che la fenomenologia dedica alla corporeità. L. Di Pinto osserva che l‟atteggiamento dominante nell‟attuale società informatizzata, che considera il corpo come una cosa, produce il rischio di trovarsi sradicati e separati dal corpo. Questa rimozione della corporeità, chiarisce l‟autrice, produce una situazione di alienazione che può portare a depressione, nevrosi, all‟idea che il mondo ci aggredisca e alla paura dell‟altro. Il pensiero fenomenologico offre allora l‟occasione di ricercare "la nostra armonia originaria tra razionalità e corporeità, per ritrovare le nostre radici, per riscoprire le ragioni del corpo, per pensare nel corpo"5. La musica si oppone ad un "pensiero di sorvolo" e mantiene invece un forte rapporto con la corporeità, rapporto che viene espresso dalla danza; essa "non può appartenere a un pensiero che si è liberato dal corpo assimilando a sé tutto il razionale"6.

La musicoterapia insiste sul fatto che avere la consapevolezza del proprio corpo sia essenziale per sintonizzarsi e relazionarsi in modo sano con se stessi, con l‟ambiente che ci circonda e con gli altri. Ad esempio i soggetti affetti da ritardi mentali presentano spesso carenze nel ritmo fisico. Il ritmo a tempo di musica può diventare pian piano per loro "un‟attività che permette di stabilire una certa coordinazione motoria. Inoltre, muoversi insieme agli altri, oltre a un piacere istintivo, costituisce un motivo di sicurezza. L‟attività motoria, quindi, correlata da quella sonoro-musicale, permette di creare quel senso di completa libertà e armonia interiore che al soggetto manca"7. La teoria e la pratica musicoterapeutiche partono dalla fiducia nel fatto che un tipo di comunicazione indiretta e laterale, istituita in ciò che in linguaggio tecnico viene definito il "dialogo sonoro", possa essere più intensa e profonda di quella verbale. La musicoterapia intende infatti offrire la possibilità di aprire nuovi canali di comunicazione e di espressione a quelle persone per le quali la comunicazione verbale è limitata o impossibile. Anche in questo caso il musicoterapeuta può trovare stimoli nel pensiero fenomenologico, secondo il quale non esiste solo un modo diretto, riflessivo, ma anche un modo indiretto, irriflesso, di rapportarsi al mondo, a noi stessi e agli altri.

§ 1 Merleau-Ponty e l'incontro carnale con gli altri

Com'è noto, nell‟ultimo periodo della sua meditazione Husserl concede uno spazio sempre maggiore all‟esplorazione dei legami tra la nostra razionalità scientifica e lo strato irrazionale su cui essa è costruita, concentrandosi in particolare sulla Lebenswelt o mondo della vita, concepita come un‟esperienza originaria dell‟uomo da cui prendono forma i nostri processi di astrazione e di idealizzazione. Merleau-Ponty, in particolare, si concentra su questa ultima parte della produzione husserliana rielaborandola in maniera personale e originale8 e connettendola (tra le altre) con alcune tematiche tratte dal pensiero di Heidegger, dallo strutturalismo e dalla psicologia della Gestalt. La particolare declinazione che il pensiero fenomenologico subisce nell‟elaborazione merleau-pontiana porta quindi il filosofo francese a concentrarsi sui temi della corporeità e della sensibilità (si pensi alla Fenomenologia della percezione), fino al tentativo, messo in atto soprattutto ne Il visibile e l’invisibile, di istituire una nuova ontologia incentrata sul concetto di "carne" concepita come un "essere grezzo", un fondo comune di natura a cui siamo sempre legati e da cui è necessario ripartire per ripensare ad un rapporto con l‟essere che "ci siamo preclusi diventando occidentali"9. Il pensiero merleau-pontiano può offrire degli stimoli alla teoria musicoterapeutica non solo perché il filosofo francese ha dedicato un grande interesse all‟analisi di temi come la corporeità, il rapporto con l‟altro e il nostro modo irriflesso di stare al mondo, ma anche perché nel suo pensiero, con un processo che arriva alla maturazione proprio attraverso la nozione di carne, questi temi si trovano intimamente connessi. Merleau-Ponty parte dall‟assunto per cui:  

«E’ nell’intimo di me stesso che si fa la strana articolazione con l’altro; il mistero dell’altro non è che il mistero di me stesso»10.

Per comprendere tale affermazione, è necessario collocarla nella critica che il filosofo svolge instancabilmente contro il dualismo della filosofia tradizionale: come Merleau-Ponty, attraverso la sua ontologia della carne, ricerca una terza via tra il logos tradizionale e il suo oltre assoluto, tra l‟Essere e il Nulla, così egli intende proporre un nuovo modo di decifrare il rapporto tra anima e corpo e suggerire un tipo di relazione con l‟altro che vada oltre l‟alternativa soggetto-oggetto. Il bersaglio polemico del filosofo è, in particolare. il pensiero dualista di Sartre, che pone la relazione con l‟altro nei termini di un‟alternativa: o, avvicinando l‟altro, lo "gelo" in uno stereotipo, degradandolo ad un oggetto e compromettendo così la sua alterità, oppure rischio a mia volta di venire ridotto al rango di oggetto dalla soggettività dell‟altro. E' l’alternativa stessa tra possesso dell‟altro e alienazione da parte altrui che viene criticata da Merleau-Ponty. Per il filosofo infatti questa relazione ambivalente è solo uno dei possibili modi di rapportarsi all‟altro, e non quello canonico, come a suo parere sembra suggerire il pensiero sartriano11. In un'importante nota de Il visibile e l'invisibile Merleau-Ponty fa notare che l'impostazione del problema dell'alterità come problema dell'altro, tradisce già di per sé un pensiero dualista, per cui l'altro sarebbe solamente un non-io in generale, una mia alienazione. In realtà nel commercio quotidiano si entra sempre in contatto con una costellazione di altri e non con un unico altro, dato che "anche la coppia più stretta ha sempre dei terzi testimoni"12. Il problema dell'altro (de l'autre) allora non è che un caso particolare del problema più generale degli altri (d'autrui). Per Merleau-Ponty il pensiero dualistista è astratto, derivato, e i due poli dell‟opposizione, sempre già costituiti, si svuotano di significato venendo così a rovesciarsi indifferentemente l‟uno nell‟altro. Possiamo osservare come la volontà di possesso e l‟immedesimazione alienante non siano in realtà che due facce della stessa medaglia. Merleau-Ponty ricorda, ad esempio, le famose analisi della gelosia svolte da Proust nella Recherche, in cui questi due aspetti vengono estremizzati e finiscono per coincidere.

Il filosofo si riferisce alla gelosia del narratore della Recherche verso Albertine: da una parte il geloso proustiano è dominato da una volontà di possesso: egli non può sopportare che qualcosa di Albertine gli sfugga completamente e soffre di non possedere interamente ogni attimo della vita presente o passata della sua amata; d‟altra parte parte questa brama di impossessarsi dell'identità altrui non è che l'altra faccia di una perdita della propria identità: il geloso infatti è talmente ossessionato dal tentativo di fare sua Albertine da non vivere come sue solo le proprie esperienze, ma anche quelle della sua amata, alienandosi nella vita di lei13. Per evitare l'impasse in cui costringe un pensiero dualista è necessario comprendere che l‟affermazione e la consapevolezza di sé è contemporaneamente affermazione e consapevolezza degli altri: si fa così avanti l‟apparire dei rilievi, degli scarti tra figure e degli sfondi e dei limiti che articolano il mondo man mano che scopriamo il nostro posto in esso. Il filosofo francese sviluppa questo argomento elaborando la critica husserliana al solipsismo come fenomeno derivato, costituito. Il solus ipse sarebbe un soggetto astratto e a posteriori perché, negando l'esistenza degli altri, rivelerebbe le connessioni con essi anziché romperle.

Un solipsismo consapevole sarebbe impossibile, perché dovrebbe negare l'esistenza appunto degli altri, e quindi affermare in ipotesi ciò che nega in tesi rivelando indirettamente un legame primordiale con gli altri da cui l'ego si differenzierebbe solo a posteriori. Prima di poter dire "io" quindi, si è già immersi in una generalità anonima, in un "si" primordiale, una dimensione autenticamente e inconsapevolmente "solipsistica" da cui il sistema io-altri sarebbe derivato; per individuarmi come "io" devo partire da una situazione di confusione. Viceversa l‟affermazione di se stessi è parallelamente l‟affermazione degli altri14.

Merleau-Ponty applica queste concezioni anche alla psicologia infantile; osservando ad esempio il comportamento dei bambini si noterà infatti come dapprima essi vivano una sociabilità "sincretica", cioè uno stato di precomunicazione in cui non c'è ancora distinzione tra l'io e l'altro, confusi in una situazione comune: a questo livello non ci sarebbero né io, né altri, proprio per l'assenza di qualsiasi diaframma tra noi. Verso i tre anni, nel periodo della costituzione dell‟ego, avviene una frattura che non è tra la solitudine e il dialogo, ma tra uno stato di indistinzione e di confusione e un sistema articolato io-altri.

È importante osservare che questo stato di confusione a partire dal quale si articolano per differenziazione la propria identità e l‟altrui non costituisce un blocco levigato e omogeneo in cui svanirebbero i confini tra gli esseri, non si tratta, per dirla con Hegel di "una notte in cui tutte le vacche sono nere"; si tratta, invece, proprio di quello strato "grezzo", "poroso" e umbratile in cui siamo tutti radicati, un suolo fatto di scarti, di tracce e di rilievi che non si può cogliere con la riflessione se non attraverso un‟illusione retrospettiva, perché esso si costituisce secondo quella paradossale relazione di rimando tra riflesso e irriflesso che Husserl aveva chiamato Fundierug. E' questo suolo che nell‟elaborazione matura di Merleau-Ponty verrà denominato "la carne". Per il filosofo quindi tra egoismo e altruismo non c‟è un'alternativa dualistica, ma essi "si trovano su uno sfondo di appartenenza allo stesso mondo"15.

§ 2 La musica come veicolo di comunicazione profondo

Da alcune note di un corso tenuto da Merleau-Ponty al Collège de France nel 1958-59 sappiamo che il filosofo pensava che la musica avesse la virtù di esprimere un tipo di rapporto con il mondo e con gli altri che non era costretto nei limiti di un pensiero dualistico, ma un rapporto che oltrepassava l‟ambivalenza tra io-altro, soggetto-oggetto16.

In queste pagine. egli cita un saggio di Henri Michaux intitolato Un certain phénomène qu’on appelle musique, tratto da Passages17, in cui l‟autore afferma che "le onde" del fluire musicale ci sollevano "de l‟insupportable „état solide‟ du monde, de toutes les conséquences de cet état, de ses structures, de ses insoulevables masses, de ses dures lois"18. Michaux sottolinea la forza comunicativa della musica, che fa leva su di un asse arcaico, profondo, precedente l‟ambivalenza e il pensiero parlato, producendo "l‟illusione di un travaso da essere a essere". Merleau-Ponty commenta come segue questo testo di Michaux: "Gli esseri e l‟essere avvolti nella „notte‟ della musica, eppure indicati, espressi, messi in comunicazione con noi tramite essa, in quel che essi hanno di meraviglioso, di non importuno, di accessibile al di là della contraddizione, senza resistenze e senza „prese di posizione‟"19. Merleau-Ponty condivide quindi le considerazioni di Michaux nella misura in cui questi individua nella musica un tipo di comunicazione che avviene al di là e al di sotto delle "idee dell‟intelligenza". Egli esprime però delle riserve. E‟ proprio nell‟illusione di un "travaso da essere a essere" che il filosofo individua il pericolo della musica: è pericoloso pensare ad una significazione musicale troppo "onirica", nella cui "notte" si confondono romanticamente le forme delle cose e le identità degli esseri.

Alla concezione che vorrebbe una "fusione" assoluta tra gli esseri Merleau-Ponty non risponde con l'affermare la priorità del principium individuationis che separa e determina le forme, ma proprio con il pensiero di una "confusione" originaria, di un terreno anonimo intersoggettivo in cui l‟unione e l‟inaccessibilità all'altro sono due facce della stessa medaglia. Vi è anche una "verità" della musica, che sta nella sua virtù di lasciar intravedere "un accesso dall‟interno all‟esterno (…) un rapporto con l‟essere e gli esseri che è assoluto al di qua dell‟ambivalenza e della tesi – Gesticolazione dell‟uomo che pensa e vive l‟essere e gli esseri, presa al suo sorgere: è appunto l‟origine della musica"20. Pur rifiutandosi di considerare la musica come veicolo di una fusione totale, il filosofo francese non vede in quest‟arte una pura struttura formale, ma l‟espressione di un gesticolare pre-tetico, di una reversibilità tra esterno ed interno anteriore ad ogni logica. Ritroviamo così l‟idea che, prima ancora di poter conoscere me stesso e l‟altro come una somma di attributi e di caratteristiche "oggettive", come una personalità astratta e stereotipata, io incontro in me e in lui uno "stile", che è il nostro "logos selvaggio", l‟atmosfera che l‟altro porta attorno a sé e che si incrocia con la mia, e, viceversa, posso incontrare questo "stile" proprio perché non coincido con me stesso e non sono l‟altro. Secondo il filosofo francese l‟amore e il rispetto autentico per l‟altro non si riducono, né all‟identificazione con l‟altro, né al mito di una vuota autonomia, ma hanno come punto di partenza il riconoscimento di una comune vulnerabilità e permeabilità, che solo a posteriori si trasformeranno nella serie di caratteristiche oggettive "ri-conosciute" di un sé costituito.

Lo strato di confusione originario è quell‟orizzonte latente in cui presenza e assenza, attivo e passivo, sono inestricabilmente allacciati, esso per Merleau-Ponty è tutto ciò che abbiamo di più vero ed è alla base della libertà e della comunione interpersonale. Il fare dell‟altro un‟astrazione dipende dal fatto che tendiamo a pensarlo come finito, "fisso", perché non assistiamo "dal di dentro" alla stessa possibilità di evasione e di libertà che avvertiamo in noi stessi21.

E‟ solo fluidificando tali stereotipi che possiamo moltiplicare le immagini dell‟altro che ci facciamo e instaurare una comunicazione che parta dal profondo, ossia, per Merleau-Ponty, dall‟orizzonte carnale che costituisce il nostro comune campo di coesistenza; se qualcosa dell‟altro resterà sempre inaccessibile, vi sono però altri modi di comprensione dell‟altro, oltre a quello intellettuale. L‟impossibilità di un incontro frontale non esclude infatti quella di un incontro laterale, all‟orizzonte della nostra vita: «Certes, il n’y a pas réception d’autrui, ni perception, qui l’atteigne lui-même, il faudrait être lui. Mais l’argumentation relativiste est fausse parce qu’il y a [un] autre rapport avec autrui: autrui comme occupant tout [l’] horizon de ma vie et non comme être positif".»22.

§ 3 La comunicazione nella pratica musicoterapeutica

Nella moderna musicoterapia si rintracciano posizioni molto simili, dato che questa tecnica si basa su una concezione di empatia mediata dalla corporeità in cui l‟incontro con gli altri non si configura né come uno scambio meramente intellettuale, né come una fusione spersonalizzante e alienante. Per i musicoterapeuti il primo strumento musicale è il corpo umano, la prima orchestra è quella dei suoni che udiamo nell‟utero materno, nel rapporto corporeo che ci lega alla madre, in cui abbiamo l‟esperienza primordiale di ascoltare con tutta la corporeità.

Osserviamo subito che la nozione corrente di musica si estende, poiché viene individuata un‟influenza delle onde e delle vibrazioni sonore non solo nell‟orecchio ma in tutto il corpo. Il battito cardiaco della madre, il ritmo del suo respiro, i rumori del mondo esterno filtrati dal liquido amniotico, ecc., costituiscono il nostro primo contatto e la nostra prima forma di conoscenza empatica con il mondo, con gli altri e con noi stessi. La musicoterapia ricerca la musicalità di questi suoni e produce quindi anche degli effetti regressivi; in un certo senso bisogna tornare a dialogare anche senza parole, come quando eravamo nel ventre materno23.

Diventa importante ricercare un tipo di comunicazione. che si stabilisca ad un livello profondo, sfruttando il potere della musica nel far comunicare gli esseri tra loro, in modo non frontale, in una forma che esula dalla logica della non contraddizione e dalle prese di posizione che ognuno di noi può assumere: il musicoterapeuta, attraverso la musica, «si pone nei confronti della persona di cui ci si prende cura cercando il senso del suo modo di essere, di comportarsi e di ricevere senza chiedergli prestazioni, senza volersi appoggiare a risposte che sicuramente, in quel momento, egli non riesce ancora a manifestare24.

Nella pratica musicoterapeutica diventa importante riuscire ad istituire un dialogo sonoro, un dialogo instaurato con i suoni della voce o di strumenti musicali che non si svolga solamente al livello concettuale, ma che viva soprattutto di una dimensione empatica, e la cui forza comunicativa risieda nei segnali corporei, con i quali il terapeuta cerca di sintonizzarsi per "consonare" assieme al paziente. Importante caratteristica del dialogo sonoro è la reciprocità: perché il dialogo sonoro si instauri è necessario che il musicoterapeuta e il paziente si rispecchino l‟uno nell‟altro; nell‟improvvisazione musicale ciascuno assume il ritmo, le sonorità, i registri sonori dell‟altro attraverso l‟osservazione del suo "tono emotivo-posturale": «L’improvvisazione musicale è la materia vibrante di cui è fatto il rispecchiamento. Il saper trasformare in gioco musicale l’osservazione, nell’istante in cui si osserva, rientra negli aspetti focali della formazione del musicoterapeuta. E’ l’ascolto empatico che contraddistingue e caratterizza l’agire in musicoterapia da altri modi di intervenire25. Nonostante l‟improvvisazione e l‟imprevedibilità giochino un ruolo importante, il dialogo sonoro non si riduce ad uno spontaneismo irresponsabile e avventato, è anche un "sapere" oltre che un "saper fare", perché richiede una preparazione molto seria per essere gestito adeguatamente. Se infatti si sottovaluta o sopravvaluta il potere della musica si rischia di cadere nella spersonalizzazione più alienante. Praticare l‟empatia di stile fenomenologico nel corso di un dialogo sonoro significa allora «ricalcare la fisiologia dell’altro usando ragione e intuizione, senza invadere il suo spazio vitale. Senza deificarlo e senza spersonalizzarsi. Vale a dire senza razionalismi e senza sentimentalismi melensi.»26. Solo in questo modo la sintonia che si instaura tra il musicoterapeuta e il paziente può essere utile per ritrovare un‟armonia col proprio corpo, per sviluppare l‟autostima e quindi per auto-realizzarsi con gli altri e non nonostante gli altri. Questa autoaffermazione, inoltre, è contemporaneamente un con-vibrare e un risuonare con il mondo e con l‟ambiente che ci circonda.

La musicoterapeuta E. H. Boxill connette lo sviluppo del "ciclo di consapevolezza", al "procedimento per mezzo del quale una figura o un primo piano (nella relazione figura-sfondo) emerge"27; citando lo psicologo J. Zinker, che si rifà alla psicologia della Gestalt, ella aggiunge: «L’individuo sano è in grado di sperimentare con chiarezza e di differenziare ciò per cui ha interesse o lo affascina nel proprio orizzonte (...) Apprezza l’intensità e la chiarezza della figura (...) Nel soggetto disturbato, esiste una confusione fra figure e sfondo (...) mancano fini e propositi (...) Lo sviluppo della consapevolezza può essere assimilato all’emergere di una figura nitida28. Tali concezioni lasciano intendere quanto la ricerca di un rapporto armonioso con se stessi non sia disgiunta da quella di una relazione sana con gli altri e con il mondo che ci circonda, ma come queste esigenze facciano parte di un medesimo processo: in ognuno di questi casi (relazione con se stessi - con gli altri - con l‟ambiente) la percezione della corporeità assume un‟importanza centrale.

§ 4 Corporeità e empatia

La riflessione di Merleau-Ponty, in questi contesti, può offrire spunti notevoli. La critica del filosofo al pensiero dualistico che separa il soggetto dall‟oggetto si configura infatti anche come una critica alla separazione tra spirito e materia, anima e corpo. Nel corso della sua polemica con Sartre, egli nota che le concezioni del filosofo esistenzialista tradiscono un "pensiero di sorvolo" che si dimentica di avere un corpo. In effetti è proprio a partire dall‟esperienza del proprio corpo, contemporaneamente soggetto e oggetto, toccante e toccato, che si sperimenta quella reversibilità tra attività e passività che è la chiave per capire il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri. Ricorrendo una terminologia che richiama la sua polemica anticartesiana, Merleau-Ponty afferma: «Per una filosofia che si installi nella visione pura, nel sorvolo del panorama, non può esserci incontro degli altri: infatti, lo sguardo domina, può dominare solo delle cose, e se cade su degli uomini, allora li trasforma in manichini che si muovono solo per mezzo di molle »29.

In più luoghi Merleau-Ponty spiega come l'esperienza dell'altro non sia possibile se non a partire dal fenomeno dell'incarnazione. Al posto di un‟opposizione netta tra soggetto e oggetto si impone la necessità di una dimensione comune opaca e ambigua, in cui presenza e assenza non si scontrino in modo frontale, in cui tra me e l'altro non vi sia alternativa, ma invasione reciproca: questa zona non può essere quella dell'incontro tra coscienze, poiché l'atto di una coscienza, nella sua densità assoluta, ne esclude un altro, ma quella della corporeità e della percezione, poiché il campo percettivo altrui non esclude il mio, ma lo moltiplica. E' nell'intercorporeità che raggiungo una situazione comune, una "universalità del sentire" che mi rende da sempre aperto alla testimonianza dell'altro, ed è attraverso l'ambiguità che esperisco nel mio corpo, che mi posso aprire all'altro: "la compresenza della mia „coscienza‟ e del mio „corpo‟ si prolunga nella compresenza dell'altro e di me"30. Attraverso il mio corpo scopro che il mio rapporto con me stesso è già generalità e implica già un'adesione pre-tetica al mondo; ciò che mi conduce all'altro è proprio questo fondo comune di sensibilità che anch'egli esperisce nel suo corpo.

Merleau-Ponty valorizza quindi i concetti husserliani di Einfühlung e di "trasgressione intenzionale", che gli danno modo di individuare la chiave di accesso all‟altro non nel paradosso di un‟alternativa tra due coscienze costituenti, ma nella sfera pre-tetica dell‟intercorporeità. E' in analogia con i nostri vissuti irriflessi e con la nostra esperienza di esseri incarnati che possiamo intendere, secondo Husserl, il sentimento dell'essere altrui (Einfühlung): il nostro campo percettivo dai confini sfumati o gli orizzonti labili della nostra storia personale sono analoghi al limite di senso della comunità intersoggettiva in cui siamo inclusi. L'esperienza dell'altro, quindi, è un'esperienza vitale: vi è qui una "trasgressione intenzionale", cioè un passaggio delle mie intenzioni nell'altro e viceversa. L'Einfühlung, dice Merleau-Ponty esplicitando l'impensato husserliano, "va dal corpo allo spirito"31 e Husserl in filigrana insegna che tramite la trasgressione intenzionale non ho un incontro tra coscienze, ma un incontro tra uomini le cui intenzionalità trapassano l'una nell'altra grazie alla medesima esperienza che viviamo dell'essere incarnati. Secondo Merleau-Ponty, nella misura in cui il pensiero husserliano matura congiungendo sempre più fatto e idea, anima e corpo, pensiero e linguaggio, esso arriva a considerare il corpo come la via d'accesso all'altro, poiché il corpo «n’est plus seulement un objet auquel ma conscience se trouve liée extérieurement, il est pour moi le moyen de savoir qu’il y a d’autres corps animés32. E‟ utile sottolineare che la concezione merleau-pontiana di empatia non comporta una fusione romantica con l‟altro: a questo proposito l‟appello alla corporeità è importante, perché immaginare di coincidere con il corpo dell‟altro è ancora più difficile che pensare di poter coincidere con il suo spirito, e l‟altro rimarrà sempre un altro, innanzitutto perché egli ha il suo corpo e io il mio, e non sarà mai possibile raggiungerlo immediatamente. Così, il fatto che Merleau-Ponty valorizzi molto di più l‟Einfühlung husserliana a scapito, ad esempio, dell‟appercezione analogica, non ha il fine di ricercare una via immediata di accesso all‟altro, ma di individuare nell‟Einfühlung la definizione di una mediazione operata dalla sensibilità e dal corpo più che da una coscienza. La musicoterapia offre un esempio concreto di messa in pratica di queste concezioni come arte di una comunicazione empatica che avviene al di sotto della soglia del visibile, cortocircuitando qualsiasi modo astratto e stereotipato di incontrare l‟altro e proprio in questo modo incontrandolo più da vicino. L‟incontro non è, né una conoscenza intellettuale, né una fusione completa con l‟altro, piuttosto esso avviene, merleau-pontianamente, nell‟intercorporeità, nella consapevolezza che il mondo, attraverso il corpo, può essere partecipabile da chiunque; in questo modo la comunicazione empatica contribuisce a ritrovare, ritagliare il proprio posto nel mondo aprendosi al mondo, a rendere consapevoli dei propri limiti, non ad annullarli.

In effetti si tratta proprio di sfruttare a fini terapeutici la proprietà della musica di parlare direttamente alla corporeità nella consapevolezza che il corpo dice qualcosa che le parole non possono dire: "(…) la musica rappresenta un modo di esprimersi più diretto rispetto alla parola, poiché la risposta sta ancora nel corpo. La musica passa attraverso il corpo e permette di esprimere le emozioni più intime. E‟ un linguaggio che nasce dentro di sé. Il suono proviene dal corpo, ed è quindi come se fosse il corpo stesso a parlare"33. Da quanto si è detto, si può capire che in questo tipo di comunicazione empatica, corporea, che oltrepassa l‟espressione verbale, è necessario saper valorizzare anche i silenzi. Il silenzio, infatti, non è più concepito come un vuoto comunicativo, ma ci sono anche silenzi che contano, silenzi che costituiscono una passività carica di senso. Lo psicologo di formazione fenomenologica Callieri parla ad esempio di silenzi attivi, ossia silenzi che nascondono "una qualità particolare di invito all‟incontro"; il silenzio può allora "riempire i vuoti" di un dialogo verbale che rischia di cadere nell‟incomprensione; esso "può uscire dal circolo dei meccanismi di difesa e costituire un fenomeno essenzialmente costruttivo. In tal caso non di isolamento si deve parlare, ma di solitudine verbale, momento fecondo di intimità e capace di agire empaticamente, fino a pervenire a quelle situazioni in cui alla „comunicazione‟ subentra la „comunione‟"34.

§ 5 La reversibilità dell'udibile e la percezione sinestesica

La dialettica tra suono e silenzio, udibile e inudibile, è interessante in quanto si può intendere come una variante di quella reversibilità tra visibile e invisibile che caratterizza la carne merleau-pontiana. Questo accostamento viene esplicitato da Mikel Dufrenne: «Sotto l’indice dell’udibile (...) noi (...) ritroviamo anche il tema della carne. Se suono e silenzio sono, infatti, solidali, se il silenzio è rumore di fondo, forse inudibile, ma pieno di udibile come l’invisibile è pieno di visibile, questo avviene in quanto il fondo è rumoroso e si può quindi parlare di udibilità in generale. Essere udito costituisce, allo stesso modo dell’essere visto, una dimensione del sensibile: un elemento della carne. (...) l’udibile assume tutto il suo senso: è il proprio di ciò che deve essere ascoltato e che sollecita un potere d’ascoltare. La reversibilità che definisce la carne si manifesta infatti anche nel sonoro. »35.

A questo proposito, osserviamo che nel Visibile e l’invisibile Merleau-Ponty afferma che la reversibilità che definisce la carne esiste in tutti i campi, tra cui, appunto, l‟udibile: «Come il cristallo, il metallo e molte altre sostanze, io sono un essere sonoro, ma la mia propria vibrazione io la odo dall’interno (...). E in ciò (...) io sono incomparabile, la mia voce è legata alla massa della mia vita come non lo è la voce di nessuno. Ma se sono abbastanza vicino all’altro che parla per udire il suo respiro, e sentire la sua effervescenza e la sua fatica, io quasi assisto, in lui come in me, alla inquietante nascita della vociferazione. Come c’è una riflessività del tatto, della vista e del sistema tatto-visione, così c’è una riflessività dei movimenti di fonazione e dell’udito, essi hanno la loro inscrizione sonora, le vociferazioni hanno in me eco motoria »36.

La reversibilità dell‟udibile, intesa non solo come relazione tra l‟ascoltarsi e il parlare, ma anche come "chiasma" tra ascoltante e ascoltato, viene esplorata a fondo in alcuni indirizzi della musicoterapia, come ad esempio nelle ricerche dell‟otorinolaringoiatra francese Alfred Tomatis, che scopre nuovi ruoli attribuiti all‟orecchio spesso trascurati dalla medicina ufficiale e inventa un metodo di rieducazione delle capacità di ascolto. Il "Metodo Tomatis" si basa sulla tesi, confermata da diverse indagini sperimentali, che il suono emesso da un "ascoltante" è strettamente dipendente dal suono da lui "ascoltato". Ad esempio una buona dizione dipende dalla capacità dell‟orecchio "di discriminare le varie differenze frequenziali corrispondenti ai diversi suoni della catena parlata. Più questa analisi è fine, maggiore è la possibilità di controllo dei suoni nell‟emissione fonica"37. Non c‟è quindi solamente una reversibilità tra l‟emissione e l‟ascolto del suono della propria voce, ma tra l‟emissione della propria voce e l‟ascolto di suoni in generale, tra ascoltante e ascoltato. Per Tomatis l‟orecchio è un organo di primaria importanza per il sistema nervoso centrale, in particolare per il rifornimento di energia. Egli conferisce quindi un grande valore all‟ascolto nella costituzione dell‟individuo e nella sua relazione con l‟esterno; egli osserva, ad esempio, come ad una certa qualità di ascolto corrisponda una particolare postura (tendere l‟orecchio è anche tendere tutto il corpo all‟ascolto), che egli chiama appunto "postura di ascolto", in cui, man mano che i rumori tendono ad assumere timbri più ricchi e precisi e che aumenta la percezione di armonici elevati, aumenta anche la capacità di concentrazione e di apprendimento. Con l‟apparecchio brevettato da Tomatis, l‟orecchio elettronico, che filtra i suoni ascoltati dal paziente in modo da renderli più facilmente distinguibili, si osservano in effetti dei cambiamenti posturali dipendenti dalle modificazioni uditive introdotte, e, soprattutto, progressi nella fonazione. Il suo metodo tende quindi a un "miglioramento del livello energetico generale della persona e un miglioramento delle qualità percettive legate all‟orecchio non solo nella sua funzione auditiva, ma, e soprattutto, in quella elettiva dell‟ascolto, tenendo conto di tutti i riflessi psico-corporei che un‟apertura della facoltà di ascolto mette in marcia"38. Esso si può applicare sia in campi patologici (come balbuzie, ritardo di parola, problemi di ritmo, ecc.), che non patologici (come miglioramento nell‟apprendimento e della pronuncia di una lingua straniera o estensione della capacità vocale in un cantante)39.

Il metodo Tomatis si basa sul fatto che esista un continuo scambio, una continua reversibilità tra il nostro corpo e il mondo. Il fatto che tutta la nostra corporeità funzioni come cassa di risonanza di ogni suono descrive una proprietà della musica fondamentale per la pratica musicoterapeutica: l‟effetto risonanza. Le leggi sulla risonanza sono molto precise e ogni strumento musicale possiede una risonanza diversa a seconda delle sue caratteristiche. Mentre negli strumenti musicali si parla di cassa armonica, nell‟uomo si parla di cavità risonanti. Il primo strumento musicale conosciuto dall‟uomo è quindi l‟uomo stesso nella sua relazione con i suoni della natura; quando avvertiamo le vibrazioni sonore ci riferiamo infatti a onde che non passano solo attraverso l‟orecchio, ma attraverso tutto il corpo. Il musicoterapeuta deve saper valutare l‟effetto di queste onde nella persona di cui si prende cura e la sua osservazione è contemporaneamente un‟azione perché attraverso queste onde egli deve saper mettersi in relazione con il paziente e aprire nuovi canali di comunicazione: "Il musicoterapeuta deve conoscere la musica per fare musica. Il fare passa attraverso l‟altro nella realtà delle onde sonore che lo attraversano nel farlo convibrare"40.

Grazie alla risonanza si può ad esempio instaurare un dialogo sonoro con i pazienti sordi, che vengono fatti sdraiare su di un pianoforte: il contatto diretto di tutta la corporeità con la cassa armonica del pianoforte permette loro di avvertire la trasmissione di onde sonore che scuotono dai piedi alla testa. Fu questa l‟esperienza di Beethoven il quale, ormai completamente sordo, compose la Nona Sinfonia appoggiandosi al suo pianoforte per sentire la sua musica. La risonanza non è quindi una semplice eco, ma provoca delle sensazioni sinestesiche: "Se l‟ascolto passasse soltanto attraverso l‟apparato uditivo, nessuno avrebbe difficoltà ad allontanarlo mettendosi le mani sulle orecchie (…). Al contrario qui è il suono che ci tocca, ci prende, ci avvolge"41. Gertrud Orff insiste molto su questo aspetto: "La musicoterapia di Orff è una terapia multi-sensoriale. L‟utilizzo del materiale musicale – linguaggio fonetico-ritmico, ritmo libero e metrico, melodia nel linguaggio e nel canto, capacità di maneggiare gli strumenti – è organizzato in modo tale da indirizzarsi a tutti i sensi"42. La risonanza si connette al tema dell‟intimità della nostra carne con il sonoro, di cui, come abbiamo visto, parlano Merleau-Ponty e Dufrenne: siamo esseri sonori, perciò risuoniamo e vibriamo nel sonoro, come il sonoro risuona e vibra in noi. Si ricordi a questo proposito l‟insistenza di Merleau-Ponty per il tema delle sinestesie e dell‟originaria comunicazione tra i vari registri sensoriali, per cui la separazione fra i diversi sensi avverrebbe solo a posteriori, come frutto di un‟astrazione: come Merleau-Ponty estende la concezione della visione in modo tale che potremmo dire di "vedere con tutto il corpo", così per i musicoterapeuti "udiamo con tutto il corpo". Come abbiamo qui sopra accennato, la musicoterapia estende la nozione tradizionale di musica, che non è più ristretta all‟udibile, ma coinvolge tutta la corporeità. Possiamo osservare che il concetto di musica è più esteso anche perché non ci si riferisce solamente alla musica come pratica artistica, ma, più in generale, alla musica come ricerca di un certo tipo di sonorità capace di risvegliare canali comunicativi che in genere sono sopiti.

Anche in questo caso tuttavia il concetto di "arte" può essere in un certo senso utilizzato, come lascia intendere la definizione data da Cremaschi-Trovesi della musicoterapia come "arte della comunicazione". L‟arte, ci dice Merleau-Ponty, non si ferma alla "pelle" delle cose, ossia allo strato epidermico e formale dell‟espressione, ma scende in profondità, verso la "carne" delle cose. Klee diceva che la pittura deve ricercare ciò che deborda i confini dell‟oggetto in senso stretto, perché attraverso l'esperienza estetica l‟oggetto "si dilata al di là del proprio fenomeno"43. Potremmo forse dire che la musicoterpia ricerca un incontro "estetico" con l‟altro, perché qui l‟altro non viene conosciuto solo nel suo aspetto reificato, ossia in ciò che di lui abbiamo fissato attraverso le "idee dell‟intelligenza", ma soprattutto in ciò che egli esprime lateralmente, in ciò che "trasuda" ai bordi del suo aspetto cristallizzato e che continuamente muta coinvolgendo anche il nostro essere e rimettendoci sempre di nuovo in discussione.


Note

1 Cfr. Lévi-Strauss, De quelques rencontres, in "L‟Arc", n. 46, 1971, pp. 43-46.
2 Cfr. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, pp. 253 sgg.; Id. È possibile oggi la filosofia? pp. 31-36; Id. Il visibile e l’invisibile, pp. 164 sgg.
3 Cfr. a proposito le critiche mosse a Merleau-Ponty da J. Derrida in Le toucher, Jean Luc Nancy, Galilée, Paris, pp. 209-243.
4 Cfr. K.E. Bruscia, Definire la musicoterapia, Editografica, Roma 1990, p. 18. Per una ricostruzione sintetica, ma efficace della storia della musicoterapia si veda A. De Serio La musicoterapia: indagine storico-analitica, in AA.VV., Metamorfosi e musica in fenomenologia, Laterza, Bari 2002, pp. 185-249.
5 AA.VV. Metamorfosi e musica in fenomenologia, p. 5; cfr. anche L. Di Pinto, Corporeità come «partitura musicale», ivi, pp. 12-62.
6 A. Ponzio, Semiotica della musica, Graphis, Bari 1997, p. 45.
7 N. Loria, Dal corpo allo strumento musicale, Ed. scientifiche Magi, Roma 2001, p. 53.
8 Merleau-Ponty considera che vi sia una discontinuità fra un primo Husserl legato a un‟impostazione eidetico-trascendentale e un secondo Husserl avviato verso una problematica di tipo esistenziale. E‟ soprattutto intorno a questo "secondo" Husserl che si focalizza l‟interesse del filosofo francese, che, avendo accesso agli archivi di Lovanio, poté giovarsi dello studio di inediti dell‟ultimo periodo husserliano. E‟ in testi come Esperienza e giudizio, Idee II o La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale che secondo Merleau-Ponty si fa più evidente come la pratica rigorosa della riflessione radicale "découvre finalement derrière elle l‟irréfléchi comme sa condition de possibilité, sans laquelle cette réflexion n‟aurait aucun sens" (M. Merleau-Ponty, Les sciences de l’homme et la phénoménologie, corso alla Sorbona del 1952-53, in Parcours Deux, Verdier, Paris 2000, p. 123).
9 M. Merleau-Ponty, Segni, p. 186.
10 M. Merleau-Ponty, La prosa del mondo, p. 138.
11 Rigurdo alla critica di Merleau-Ponty a Sartre su questi temi si veda in particolare il capitolo Interrogazione e dialettica, in Il visibile e l’invisibile, pp. 75-124.
12 Cfr. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, p. 103, nota 43. Merleau-Ponty fa notare che il fatto che l'altro non sia l'unico altro obbliga a comprendere come egli non sia una negazione assoluta, ma modalizzata. La critica si estende quindi al nulla assoluto sartriano, a cui Merleau-Ponty oppone un nulla determinato.
13 Cfr. M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri, pp. 128-132 e M. Merleau-Ponty, L’institution, la passivité, pp. 63-77.
14 Com‟è noto Husserl afferma che è necessario risalire ad una soggettività spogliata dai suoi accidenti empirici, ad una soggettività trascendentale; nel momento in cui si astrae dalle proprie caratteristiche individuali per ritrovare l'io trascendentale che vi si cela sotto, si scopre quindi che il soggetto empirico non è che la punta dell'iceberg di una soggettività generale, per cui l'io che attua l'epoché è denominato così solo "per un equivoco" (Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, M. Nijhof, Den Haag 1956, p. 210), poiché è originariamente confuso in un noi, in un'intersoggettività sotterranea. Il fatto che nella Crisi Husserl arrivi ad affermare che la soggettività trascendentale è un'intersoggettività costituisce per Merleau-Ponty la più valida concezione elaborata dal filosofo tedesco per spiegare come avvenga l'incontro con l'altro (cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945, pp. 29-30; M. Merleau-Ponty, Segni, 1960, p. 222).
15 M. Merleau-Ponty, Segni, p. 229.
16 Cfr. M. Merleau-Ponty, È possibile oggi la filosofia?, pp. 31-36.
17 H. Michaux, Un certain phénomène qu’on appelle musique, in Passages, pp. 119-134.
18 ivi, p. 119.
19 M. Merleau-Ponty, È possibile oggi la filosofia?, p. 34.
20 M. Merleau-Ponty, È possibile oggi la filosofia?, p. 35.
21 Sin dalla Fenomenologia della percezione, all‟inizio del capitolo intitolato La libertà, Merleau-Ponty si interrogava sul rapporto del soggetto con se stesso, sul suo modo di conoscersi, notando come ognuno di noi si senta in una certa misura degradato nel momento in cui si sente ridotto ad una sua particolare qualità, perché nel proprio intimo "ciascuno si sente al di là delle sue qualificazioni" (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 555). Ognuno sente in sé questo "smisurato potere di evasione" che gli dona la capacità di cambiare, di non fossilizzarsi in una cosa o cristallizzarsi in uno stereotipo proprio perché è sempre qualcosa di più di ciò che è attualmente. Inoltre, poiché non potremo mai "gelare" definitivamente la nostra soggettività in un‟astrazione, la nostra identità sarà sempre in via di costituzione mai completamente conclusa. Un autentico rapporto con l‟altro implica che riusciamo a riconoscere nell‟altro la stessa possibilità di oltrepassare la propria "forma" che avvertiamo in noi stessi, la stessa possibilità di una metamorfosi.
22 M. Merleau-Ponty, L’institution, la passivité, p. 70.
23 A questo proposito, in connessione con l‟analisi di alcune osservazioni a proposito di Edith Stein cfr. I.M.R. Rodriquez, Fruizione della musica in Edith Stein, in AA.VV., Metamorfosi e musica..., cit, p. 88. 24 G. Cremaschi-Trovesi, Musicoterapia, arte della comunicazione, pp. 17-18. 25 G. Cremaschi-Trovesi, Musicoterapia, arte della comunicazione, pp. 62-62. Ricordiamo come Merleau-Ponty concepisca il rapporto con l‟altro come rispecchiamento reciproco e definisca la carne in generale come "fenomeno di specchio" (M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, p. 62).
26 L. Di Pinto, Corporeità come «partitura musicale", in AA.VV., 2002, p. 45.
27 E.H.Boxill, La musicoterapia per bambini disabili, p. 106.
28 E.H.Boxill, La musicoterapia per bambini disabili, p. 107. 29 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, p. 100.
30 M. Merleau-Ponty, Segni, p. 229.
31 M. Merleau-Ponty, Segni, p. 222. Osserviamo che Merleau-Ponty non ha mai proposto un‟interpretazione dogmatica di Husserl, convinto del fatto che il pensiero di ogni autore non sia una "mera cosa" completamente dispiegata e già costituita: "Je ne propose pas interprétation d‟ensemble cohérente de Husserl (...) Husserl ne fut pas seulement ce qu‟on dit, fut aussi un autre, titulaire d‟un impensé" (M. Merleau-Ponty, Notes de cours sur ‘L’origine de la géométrie de Husserl’, p. 15).
32 M. Merleau-Ponty, 2000, Parcours deux, p. 110.
33 N. Loria, Dal corpo allo strumento musicale, p. 17.
34 Callieri, Quando vince l’ombra: problemi di psicopatologia, Ed. Universitarie romane, Roma 2001, p. 205.
35 M. Dufrenne, L’occhio e l’orecchio, Montreal 1987; tr. it. di C. Fontana, L’occhio e l’orecchio, Il Castoro, Milano 2004, p. 104.
36 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, p. 160. Come abbiamo osservato qui sopra, l‟interesse di Merleau-Ponty per la visione si generalizza fino a riguardare qualcosa che ha a che fare con tutta la nostra sensibilità, non solo con la vista in senso stretto.
37 C. Campo, L’orecchio e i suoni fonti di energia. Il metodo Tomatis, in "Reza science", n. 74, dicembre 1993, p. 75.
38 Ibid., p. 73.
39 Tomatis, ad esempio, osserva che, man mano che il cantante viene messo in grado di ascoltare distintamente tonalità molto alte grazie all‟orecchio elettronico, egli diviene parallelamente in grado di riprodurle.
40 Cremaschi-Trovesi, cit., p. 244.
41 Ibid., p. 105.
42 G. Orff, Musicoterapica Orff: un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, p. 9.
43 P. Klee, Das bildnerische Denken, Benno Schwabe & Co., Basel, 1956; tr. it di M. Spagnol e F. Saba Sardi, Teoria della forma e delle figurazione, Feltrinelli, Milano 1959, p. 66.


Bibliografia

Opere di Merleau-Ponty citate

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Altri testi citati

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