Andrea Camparsi
Musica e Verità nella filosofia di Arthur Schopenhauer  


§1- Introduzione

All‟interno di una possibile ricognizione delle tematiche estetiche, affrontate nel periodo romantico-idealistico tedesco, interessante è notare come i principali interpreti di una rinnovata sistemazione delle diverse discipline artistiche pongano in primo piano la relazione verità-arte come metro di misura per verificare il diverso grado di inveramento dell‟idea nella plasticità dell‟opera d‟arte. Da qui prendono spunto le diverse teorie estetiche che prevedono la sistemazione di scale gerarchiche atte a porre su livelli via via decrescenti le arti secondo la loro capacità di autorivelare il principio Assoluto.

Sebbene la poesia continui a detenere un forte primato su tutte le altre forme dell‟arte, soprattutto per la forte componente razionale rappresentata dal linguaggio, veicolo preferenziale per la rivelazione simbolica dell‟Assoluto nel mondo finito, l‟arte che subisce un originale incremento di interesse è la musica, che con l‟implicazione del suono e del tempo, viene eletta a espressione estetica della bellezza dell‟Idea nella successione delle note.

Sopra tutti sarà Arthur Schopenhauer, nel Terzo Libro de Il mondo come volontà e rappresentazione, nei relativi Supplementi e nel secondo volume dei Parerga e Paralipomena, a formulare una vera e propria Filosofia della Musica che, al di là dell‟esiguo numero di pagine presentate al riguardo, presenta un pensiero musicale innovativo e indipendente, che farà della musica il noumeno stesso, la Volontà come essenza del mondo. La preferenza mostrata da Schopenhauer nei confronti della musica è sintomo di una differente concezione dell‟arte che si innesta all‟interno dell‟intero svolgimento della filosofia schopenhaueriana, finalizzata a mostrare una concezione cosmologica governata dalla Volontà e regolata nella sua rappresentazione dal principio di ragione sufficiente, indagato in tutti i suoi aspetti nella dissertazione di dottorato del 1813, Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, rivista e arricchita dall‟autore stesso nell‟edizione del 1847.
 
E‟ nei confronti di questa opera che Schopenhauer continua a richiamare l‟attenzione del lettore de Il mondo proprio perché è in essa che sono racchiusi gli elementi essenziali, che fanno della sua filosofia un sistema di pensiero indipendente e antitetico all‟Idealismo, imperante in quegli anni nelle Università tedesche.

Dimostrazione della grande considerazione che l‟autore pone al riguardo della sua opera giovanile è la raccomandazione di lettura che egli stesso scrive nella prefazione alla prima edizione de Il mondo del 1818: «La seconda raccomandazione è appunto questa, che prima dell‟opera, si legga il saggio che ad essa serve da introduzione nonostante non sia qui unito, essendo uscito cinque anni fa con il titolo: "Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente – Trattazione filosofica".»1

Non che nell‟intera speculazione schopenhaueriana non si noti un‟imprescindibile tinta romantica, contraddistinta da un pessimismo drammatico e da una melanconia accesa allo stesso tempo da un‟ardente e sprezzante genialità, ma ciò che differenzia Schopenhauer dal primo Romanticismo e dall‟Idealismo è il differente significato che egli attribuisce alla ragione (intesa con la duplice differente accezione di Grund e Vernunft) e all‟intelletto (Verstand) e di conseguenza, ciò con particolare riferimento ai fini della nostra indagine, alla funzione dell‟arte.

Il mondo è regolato dal principio di ragione, intesa qui non come Vernunft bensì quale Grund (fondamento), che non è altro che il principio regolatore del mondo, la Volontà, fattasi rappresentazione. Essa comprende tutto il mondo visibile ovvero l‟intero complesso dell‟esperienza con le condizioni che la rendono possibile, non è affatto fornita alla conoscenza a posteriori tramite l‟esperienza sensibile, bensì è intuita tramite „intuizione intellettuale‟ a dimostrazione che «tempo, spazio, causalità non ci vengono né attraverso la vista né attraverso il tatto e in genere non dal di fuori, ma hanno origine interna e quindi non empirica bensì intellettuale; donde segue ancora che l‟intuizione del mondo fisico è in sostanza un processo intellettuale a cui la sensazione fornisce solamente l‟occasione e i dati per l‟applicazione nel caso singolo»2.

L‟intelletto quindi non è una facoltà che passivamente acquisisce i dati della mera sensibilità, che rimane un semplice fatto dell‟organismo, confinato alla sola «regione sottocutanea»3, bensì è eletto a facoltà attiva nella sua capacità intuitiva, che poggia sul fondamento per cui niente nel mondo è senza una ragione (Grund) senza, per questo, ridursi a facoltà dipendente dalla ripetizione di esperienze. A prova di ciò sta un'illuminante analogia esposta da Schopenhauer nel paragrafo 214 della dissertazione sul principio di ragion sufficiente nella quale i sensi esterni sono paragonati ai manovali che porgono il materiale all‟intelletto, che sono paragonabili all‟artista che plasma l‟opera, quasi a richiamare il demiurgo platonico modellatore della chora. L‟intelletto è così eletto a facoltà principale del soggetto, che grazie ad esso pone in atto l‟interrelazione con il mondo governato dal principio di ragione. Con ciò si risolve il problema riguardante il soggetto del conoscere e l‟oggetto conosciuto ma risulta ancora inesplorato il soggetto stesso come oggetto che conosce. E‟ proprio da questo presunto scoglio che la riflessione schopenhaueriana acquista i tratti più caratteristici, che la condurranno attraverso i quattro libri de Il mondo come volontà e rappresentazione ad enucleare l‟essenziale condizione umana irretita nelle maglie della Volontà.

Il soggetto come oggetto che conosce è assolutamente inesplorabile poiché l‟autocoscienza interna porta il soggetto conoscente a conoscersi esclusivamente come soggetto che vuole, così da presentarsi come «nodo cosmico e perciò inspiegabile»5 dato che «la parola "Io" include e designa entrambi»6. Il soggetto è quindi un "nodo" perdippiù inspiegabile che appare in questa efficace immagine riannodato alla fitta trama del principio di ragione e totalmente condizionato dal principio della Volontà che irradia tutto l‟esistente. Se al termine della lettura della dissertazione del 1813, Schopenhauer lascia intendere una distinzione tra un senso interno e un senso esterno, che garantirebbe al soggetto una libertà di scelta nell‟esplicare la propria volontà, pochi anni dopo, precisamente nel 1818, Il mondo come volontà e rappresentazione presenterà un‟uniformazione del senso interno ed esterno che ridurrà il soggetto ad un accidente della sostanziale e unitotalizzante Volontà7.

Ed è per ovviare a questa presunta impasse che nega ogni libertà pratica del soggetto, che Schopenhauer non si richiama affatto alla ragione, intesa quale Vernunft, ma anzi critica pesantemente sia la morale kantiana sia la tradizione, a lui contemporanea, dell‟Idealismo che non solo accetta la valenza morale della ragione pratica ma fonda arbitrariamente una ragione teoretica, quale facoltà del soprasensibile, rivelatrice dell‟Assoluto: «Il nome di ragione fu attribuito ad una facoltà del tutto immaginaria con la quale si aveva per così dire una finestrina aperta sul mondo soprallunare, anzi soprannaturale, e quindi attraverso di essa si potevano ricevere tutte le verità belle e pronte»8. Al contrario né la ragion pura pratica né tanto meno una ragione pura teoretica, per altro messa in critica dallo stesso Kant, possono liberare l‟uomo dall‟asservimento alla Volontà poiché la facoltà della Vernunft non ha assolutamente contenuto materiale bensì solo formale, a posteriori rispetto alla facoltà creatrice di rappresentazioni quale è il Verstand. Ed è proprio tramite la forza intuitiva di quest'ultimo che il soggetto conoscente e volente allo stesso tempo, può spogliare l‟oggetto indagato dal "velo" della volontà, ossia dal principio di ragione, ed elevarlo ad oggettità immediata della Volontà, quindi toglierlo dalla relazione particolare e vederlo nella sua matrice essenziale, o meglio nella forma prima e universale. A tale livello di conoscenza pura non può giungere nessun soggetto conoscente tramite l‟intelletto implicato nel principio di ragione, ma solo un soggetto del conoscere privo di volontà, un intelletto puro.

§2- L’idea estetica

Punto di arrivo della contemplazione è la condizione di libertà teoretica estetica, la visione dell‟idea platonica (intesa dunque come visione nella valenza etimologica greca), raggiungibile attraverso il superamento del mondo del desiderio, del dolore e dell‟infelicità con lo scopo principale di giungere nell'istante a-temporale dell‟immersione nella più alta gioia che solo l‟apprensione eidetica sovrarelazionale della bellezza ideale può offrire. Soggetto e oggetto non si distinguono più l‟un l‟altro, ci dice Schopenhauer, tant'è forte la capacità intellettiva unita alla fantasia creativa del genio artistico.

Attraverso la materia finita particolare, plasmata dalla demiurgica mano dell‟artista, l‟idea stessa si incarna nella singola opera d‟arte, che può acquisire le sembianze di una costruzione architettonica, di un giardino, di una fontana, di una pittura, di una scultura fino a giungere alla poesia, che de-concettualizza il linguaggio astratto razionale fornendo una composizione concretamente ideale forte della sua componente intellettuale. La poesia è analoga, nella sua sostanzialità, al precipitato prodotto dalla reazione chimica9 cioè tramuta il concetto linguistico razionale, che nella sua forma è formulabile come unitas post rem nell'apriorica unitas ante rem dell‟idea. Con la poesia, il linguaggio acquisisce la visione eidetica e nella musicalità del verso si fa portatatore di un messaggio universale, privo di ogni traccia del principio di ragione e quindi della Volontà tanto che il poeta è «un uomo universale»10 nella sua capacità di illustrare nella totalità l‟intero mondo delle Idee.

Il mondo delle idee è così ontologicamente denso che Schopenhauer giunge coraggiosamente ad affermare che il genio artistico «può esprimere con purezza ciò che la natura non fa che balbettare»11 e, una volta completata l‟opera, porla di fronte alla meschina natura ed esclamare orgogliosamente: «Ecco quello che tu [natura] volevi dire»12. E ancor più apertamente nel secondo volume dei Parerga e Paralipomena (1851), il paragrafo 215 presenta un‟analogia ancora più illuminante al riguardo, dove il lavoro costituente l‟opera d‟arte da parte del genio è visto da Schopenhauer come un concepimento: il soggetto conoscente puro dell‟artista, nel momento della visione dell‟oggetto ideale rimane "fecondato" dalla maschile forza generante dell‟idea, che una volta superato il principio di ragione immette nell‟intelletto puro «un pensiero pieno di vita, penetrante e originale»13, germe della futura opera d‟arte, frutto dell‟amore tra il genio artistico e la bellezza dell‟idea. L‟analisi estetica del mondo delle idee di Schopenhaeur non si ferma nel dimostrare la forza ontologica delle differenti idee, incarnatesi nelle molteplici forme d‟arte, ma persegue un intento ben preciso che pone in evidente risalto la finalità ultima dell‟autore, perlomeno in campo estetico. La scala gerarchica che prende forma sistematica nel terzo libro de Il Mondo punta gradualmente a mostrare come l‟organizzazione che sottende la presentazione delle singole espressioni artistiche tenda a raggiungere quei livelli artistici che, non solo interrompano la „mediatezza‟ del principio di ragione presentando l‟oggettità „immediata‟ della Volontà, ma addirittura eliminino ogni singolare oggettità presentando la Volontà stessa nella sua inerenza cosmologica e ontologica. La forma ideale più elevata e universalizzante dell‟oggettità è la poesia, mentre la Volontà stessa nella sua indipendenza dal mondo come rappresentazione è la musica.

Analizzando attentamente lo svolgimento del Terzo Libro de Il mondo come volontà e rappresentazione si nota come la forma superiore di poesia sia la tragedia poiché essa ha la massima forza oggettiva nel mostrare l‟idea complessiva della triste esistenza umana: «Nella tragedia ci viene presentato il lato terribile della vita, lo strazio dell‟umanità, il dominio del caso e dell‟errore, la caduta del giusto, il trionfo del malvagio. […] Nel momento della catastrofe tragica sorge in noi, più chiara che mai, la persuasione, che la vita sia un grave sogno, dal quale dobbiamo destarci»14. La tragedia è quindi la massima espressione del Sublime nell‟arte. Paragonando questa visione a quella schilleriana, sebbene i due autori segnalino come la tragedia sia espressione massima della caducità umana, Schiller pone l‟accento sulla dolorosa convivenza nell‟uomo della natura sensibile con quella razionale, che sfoga tutto il suo dolore nelle tremende vicende tragiche15 mentre Schopenhauer elegge il dramma tragico a monito per l‟umanità. Attraverso esempi di crudeltà inaudita, lo spettatore non deve essere richiamato dalla forza razionale, che in realtà tende così un ulteriore tranello all‟autentica libertà umana, ma deve ricevere sufficiente forza intellettuale per oggettivare adeguatamente il dolore dell‟intera esistenza terrena e raggiungere l‟autentica libertà teoretica.

E' proprio con l‟esposizione della tragedia, come visione pura dell‟idea complessiva dell‟esistenza umana, che la presentazione schopenhaueriana delle belle arti, snodatasi lungo una precisa rassegna, giunge a compiersi per lasciare spazio alla conclusione dell‟analisi estetica completamente dedicata alla musica, «totalmente isolata dalle altre sorelle»16 poiché in essa non è più riscontrabile una copia di una qualche idea oggettivatasi nel mondo come rappresentazione, bensì «un‟intima correlazione con l‟essenza suprema del mondo»17, ossia la Volontà.

3§ - La musica

La musica si propone nella sua apparente astrattezza come l‟arte più concreta, nella sua assenza di rappresentazione e nella sua successione temporale la più adatta a presentare l‟universale essenza del mondo senza nemmeno passare attraverso l'oggettivazione adeguata delle idee né tanto meno attraverso il tramite del linguaggio, spogliato della sua astraente razionalità dall'arte poetica. Suonando o ascoltando un brano musicale vi è la possibilità di conoscere immediatamente l‟anima del mondo poiché tra la musica e la Volontà si viene a creare un‟intima relazione, che giunge a un livello talmente elevato, da poter affermare che il mondo è incarnazione della musica. Quindi la musica non è affatto oggettivazione adeguata della Volontà, poiché essa non può essere portatrice d‟idee come le altre arti, ma essa ha un altissimo valore ontologico: essa "è" in quanto Volontà.

Schopenhauer si rende ben conto dell‟arditezza della sua teoria e ammette l‟indimostrabilità della sua interpretazione, che esula, per gran parte, dagli elementi canonici di teoria musicale e che può essere intesa solo da coloro «che accettano la mia concezione del mondo»18 e che abbiano soprattutto «una perfetta familiarità con il pensiero generale del mio libro»19. Si prospetta quindi una filosofia della musica che si ammanta di un tono sfumatamente esoterico, dedicato a coloro che sanno apprezzare e ascoltare intimamente la musica e che abbiano l‟abitudine di abbandonarsi con tutto l‟animo alle sue impressioni in ogni sua forma. Quello di Schopenhauer, infatti, non vuole essere un trattato di musicologia ma un elogio all‟arte che, secondo la sua spiccata sensibilità musicale, esprime nel modo esteticamente più convincente il noumeno, la verità del mondo. Egli stesso comprende l‟indimostrabilità della sua interpretazione poiché essa «suppone e stabilisce una connessione fra la musica in quanto arte rappresentativa, e qualcosa che per sua natura non può mai essere oggetto di rappresentazione»20. Essa è talmente potente da poter ignorare il mondo fenomenico tanto che «potrebbe continuare ad esistere anche quando l‟universo non fosse più: il che non si può dire delle altre arti.»21

Infatti la musica, essendo la Volontà stessa, può permettere all‟uomo di conoscere i gradi originali attraverso i quali il noumeno esprime nella tessitura del velo di Maya il proprio arbitrio poiché il mondo è nello stesso tempo «incarnazione della musica»22. Ecco spiegato il motivo per il quale Schopenhauer tenga a ricordare la necessaria conoscenza del suo impianto filosofico per comprendere l‟ordine cosmologico della musica. Ordine, che deve essere esplicato in base all‟andamento dei gradi armonici che compongono la trama di ogni spartito musicale: dal basso fondamentale, analogo al Grund del principio di ragione, procedendo verticalmente verso l‟alto giungendo così alla melodia, che nella sua ritmica orizzontalità esprime nel modo più eminente l‟intenzionalità dell‟intelletto (Verstand) nella sua autocoscienza, regolata inevitabilmente dalla Volontà.

«Inventare una melodia, rivelare per suo mezzo i profondi segreti della volontà e del sentimento umano; questa è l‟opera del genio»23, che utilizza un linguaggio sostanzialmente universale, svuotato quindi da ogni implicazione con la ragione astraente - concettuale (Vernunft). In definitiva, quello che Schopenhauer intende è che la musica offre la possibilità di intuire immediatamente l‟idea del mondo nella sua particolarità e totalità nello stesso istante dell‟esecuzione o, indifferentemente, dell‟ascolto: «La musica infatti non esprime, della vita e dei suoi avvenimenti, se non la quintessenza: non si preoccupa quasi mai delle loro variazioni secondarie»24. Essa è anima senza corpo senza per questo essere astrazione proprio perché se l‟astrazione fornita dalla forma universale del concetto è «la spoglia esterna delle cose, […], la musica ci dà l‟intimo nocciolo che precede ogni formazione, il cuore delle cose.»25

Così come è presentata, la musica è il mondo nella sua pura idealità, abbracciante tutte le possibili variazioni arbitrarie operate dalla Volontà nel mondo della rappresentazione, ma sussistente in una privilegiata posizione a-priori rispetto alla finita materialità degli eventi mondani: «Tuttavia, essa non parla di cose, ma soltanto di gioia e di dolore, che sono le uniche realtà per la volontà.»26 Seppure Schopenhauer non lo affermi, sembra che il lavoro del musicista non sia quello di creare la musica dal nulla ma di cogliere, attraverso il genio che è in lui, la melodia ideale, in sé già sussistente nell‟idealità a-priori, per esprimerla in seconda istanza, nella composizione eseguibile attraverso le regole, dettate dal principio di ragione. Durante l‟ascolto, l‟esecutore o lo spettatore hanno la possibilità di elevare la loro capacità intellettuale fino a raggiungere la conoscenza super-relazionale della totalità noumenica. E‟come se la musica esistesse, indipendentemente dal mondo, già in tutte le sue infinite variazioni melodiche, tutte di valenza universale seppure considerate nella loro singolare espressività.

Si capisce quindi come Schopenhauer non possa considerare di buon grado la musica descrittiva, che rovescia specularmente la costituzione intellettuale, immediata e priva di qualsiasi fondamento razionale di un brano musicale, colto dal musicista nella sua purezza ontologica. La musica nata da «una consapevolezza intenzionale»27 si richiama a concetti nati a seguito di astrazioni provenienti da fatti sorti nel mondo della rappresentazione, pertanto privi di qualsiasi idealità: «Quest`ultimo è il caso della musica propriamente imitativa, come ad esempio delle Stagioni di Haydn e della sua Creazione, dove in molti luoghi sono imitati direttamente i fenomeni del mondo intuitivo; come pure della musica descrittiva di battaglie: roba da buttar via»28. Tra i musicisti caduti, a detta di Schopenhauer, nell‟errore di comporre musica imitativa è citato anche Beethoven, nel paragrafo 218 dei Parerga e Paralipomena, sebbene l‟autore non si soffermi a citare nello specifico alcun esempio esplicativo forse per la grande stima che il filosofo nutriva, in generale, per la musica del grande compositore tedesco29.

Al di là dei gusti personali dell‟autore, è di forte rilevanza filosofica il fatto che il musicista operi nella composizione attraverso un‟azione priva di „consapevolezza intenzionale‟. Ciò significa, all‟interno della filosofia schopenhaueriana, che il genio artistico non opera attraverso la Volontà, regolatrice del suo „Io‟, ma detiene la forza di liberarsi agevolmente della propria particolare oggettivazione, mediata dal principio di ragione, e immergersi attraverso un „salto intellettuale‟, dimentico di sé, nel flusso musicale, che segue parallelamente il mondo, indipendentemente dal proprio vissuto soggettivo. 30

Così elevata è la considerazione metafisica dedicata alla musica, da parte di Schopenhauer, che non può destare stupore la constatazione che, al termine del Terzo Libro, prospetta la possibilità di esplicare la vera filosofia «se ci riuscisse dare della musica una spiegazione completa, esatta e penetrante nei particolari; se cioè riuscissimo a riprodurre per concetti quanto la musica esprime»31. La filosofia, nella sua completezza teoretica, è quindi ravvisabile nella chiarezza intuitiva della musica, che sottende ad una organizzazione del tutto parallela a quella del mondo. Ma se quest‟ultimo rispecchia nella sua imperfezione la perfezione del mondo delle idee, la musica incarna il noumeno stesso a partire dalla fondamentale organizzazione armonica; quindi analizzando gli elementi teorici, che regolano la tecnica compositiva, si delinea l‟ossatura portante del mondo stesso.

Di conseguenza, prendendo avvio dall‟analisi delle voci componenti l‟armonia, Schopenhauer spiega come ascoltando il "basso fondamentale", costituito dalle note più gravi, si abbia coscienza immediata della materia bruta, che regge l‟ordine più profondo della natura inorganica. Le zone più profonde del pentagramma non sono altro se non il luogo in cui le note adempiono la funzione di riempimento dell‟armonia, necessarie per l‟ascolto della melodia. Esso è il sostrato armonico sul quale prende forma l‟intera vicenda di un‟opera o di una composizione strumentale, è l‟ambiente che permette lo svolgimento dell‟azione drammatica, è il cosiddetto "basso continuo", ravvisabile soprattutto nelle composizioni barocche e incentrato su strumenti a corda quali il clavicembalo (sul finire del Settecento sostituito gradualmente dal fortepiano), il violoncello, il contrabbasso o la tiorba. Dunque, l‟ampiezza armonica esalta ancor più spiccatamente la melodia, risultante dall‟intero impasto strumentale, così come «quando un grande organo, che giunge fino all‟ultimo gradino dell‟udibilità, suona senza tregua il basso fondamentale»32.

Spingendosi quindi nelle note più gravi della struttura armonica trova posto il basso profondo, dal movimento lento e pesante come la materia bruta. Infatti, scrive Schopenhauer, non si udrà mai in un‟esecuzione musicale strumentale un trillo di note gravi, se non con intento ironico33. Un contrabbasso che esegue trilli o scale veloci porta l‟ascoltatore al riso poiché rappresenta un paradosso: sarebbe come assistere nella natura inorganica ad un movimento repentino di una montagna! Oppure, menzionando lo stesso Schopenhauer, sarebbe come se in un blocco di marmo si imprimesse forzatamente una figura umana come infatti accade, in questo caso con un effetto straordinariamente coerente all‟azione, all‟ospite di pietra del Don Giovanni mozartiano34. Le note centrali sono invece quelle che corrono parallele al mondo vegetale e animale, che stanno appena sotto la melodia, composta dalle note più acute, che dirige tutto l‟insieme dello spartito dando unità e senso all‟intera composizione. In particolare, le due voci centrali sono il tenore e il contralto, ossia il mondo vegetale e quello animale. Di conseguenza, il mondo dell‟autocoscienza, ossia quello umano, è quello più acuto, quello della melodia, rappresentata dalla voce di soprano, più lontana, seppur sempre dipendente, dal basso fondamentale. Con ciò Schopenhauer fornisce una spiegazione al perché la maggior parte delle composizioni lasci il canto della melodia agli strumenti più acuti, che si stagliano prepotentemente su tutto l‟organico sinfonico, che sottende alle evoluzioni del canto, attraverso gli accordi di accompagnamento.

La melodia è la voce cantante, «che si muove libera e capricciosa, […]. Ci racconta, per conseguenza, la storia della volontà illuminata dalla riflessione, il cui manifestarsi nella realtà costituisce la serie degli atti umani; di più: ce ne racconta la storia più segreta, ci dipinge ogni impulso, ogni slancio, ogni movimento della volontà, quanto la ragione abbraccia sotto il vasto concetto negativo di sentimento, ma che non riesce a tradurre nelle sue astrazioni.»35 Ciò per quanto riguarda la "verticalità" del disegno musicale del pentagramma, che nel suo insieme richiama tutte le possibilità del mondo come rappresentazione, nella sua infinita varietà di sviluppi individuali. L‟armonia, che soggiace come fondamento alla direzionalità espressiva della melodia consente lo svariato sviluppo di molteplici voci melodiche, che corrispondono alle differenze che scandiscono l‟apparente molteplicità individuali, prodotte dalla volontà attraverso il regolatore principio di ragion sufficiente.36 Lo scarto decisivo che si istaura tra il mondo come rappresentazione e il mondo come musica è di carattere prettamente ontologico; infatti se le differenze individuali presenti nel mondo della rappresentazione sono oggettivazioni mediate della Volontà, la composizione musicale esprime un mondo che è ontologicamente coincidente con l‟essenza stessa del noumeno schopenhaueriano. La musica va oltre le idee facendo risuonare l‟essenza andando oltre il senso dell‟udito e accompagnando l‟ascoltatore e l‟esecutore nella concretezza assoluta del noumeno, spogliandoli di tutte le astrazioni dei concetti razionali e di tutte le illusioni delle apparenze.

Spostando l‟attenzione sull‟orizzontalità ritmico-temporale, importanza acquisiscono i segni dinamici (es. piano, forte, medio-forte, ecc.), le diverse velocità dei movimenti (adagio, allegro, andante, ecc.), i modi delle tonalità (minore o maggiore). Essi contribuiscono a fare della musica la più completa espressione della Volontà nel mondo, soprattutto tramite le infinite combinazioni intercorribili tra loro, portando in sé l‟idealità dei sentimenti, o meglio, trattandosi di modelli ideali, degli affetti. Così, proprio per la sua connaturata completezza cosmologica, se la vita fenomenica è causa di particolari sentimenti come una tal gioia, una tale afflizione, un tal dolore o una particolare allegria, la musica esprime l‟universalità degli affetti e cioè l‟afflizione, il dolore, l‟allegria, la maestosità, la calma della contemplazione, solo per citarne alcuni.37

Un esempio che richiama la chiarezza e l‟ordine, che sorge dall‟esecuzione di una composizione musicale è delineato nei Supplementi alla metafisica della musica attraverso la descrizione di una sinfonia di Beethoven, che sembra richiamare, a nostro parere, il primo e il secondo movimento della Sinfonia in mi bemolle maggiore, ossia la n.3 Eroica. Schopenhauer non cita la sinfonia descritta ma, parlando di essa, come «rerum concordia discors, immagine fedele e perfetta del mondo, che si svolge e si mantiene, nella infinita confusione e con la continua distruzione di innumerevoli forme»38, rispondendo allo stesso modo ad un fondamentale „ordine perfetto‟, non si possono non sentire i vorticosi segmenti musicali del primo movimento sostenuti da un tempo ternario, emergenti dalla complessa e tormentata trama armonica, ricca di sbalzi e di continue suspense, mostrate dal tremore inquietante degli archi. Archi che, nella Marcia funebre del secondo movimento, sostengono una melodia alternata dal suono acuto dell‟oboe e del flauto, appoggiata da un accompagnamento sordo dei contrabbassi, interrotto più volte da lancinanti squilli degli ottoni, che infonderà l‟intera esecuzione della "tristezza ideale", talmente forte nella sua consistenza "ontologica immediata", da rimanere in controluce anche negli ultimi due movimenti che, sebbene siano intrisi di una sincera allegria, non riescono a cancellare l‟impressionante carica emotiva vissuta in precedenza.

Per Schopenhauer, la grandezza della musica sinfonica beethoveniana, sta nella capacità di incarnare gli affetti nella loro pura essenza e nel loro ordine paradigmatico così da scorgervi in ogni tentativo di rivestirla, «con la fantasia, di carne ed ossa, e da vedervi ogni scena della natura»39, un‟arbitraria ed estranea modalità di agevolare la comprensione del messaggio musicale da parte dei molti ascoltatori irretiti irrimediabilmente nella trama del velo del principio di ragione e incapaci, di conseguenza, di godere della pura visione dell‟essenza, attraverso il „salto intellettuale‟, già sopra menzionato. Tale osservazione circa la facoltà immaginativa, coinvolta erroneamente nell‟ascolto della musica, porta a considerare, in conclusione, il punto di vista, che il nostro autore riserva all‟opera lirica dove la composizione musicale deve necessariamente essere accompagnata da vicende drammatiche, frutto di immaginazione poetica.

Schopenhauer sostiene che la profonda carica ontologica, espressa dalla musica eccita fortemente l‟immaginazione così che «la nostra fantasia cerca di dare una figura a quel mondo di spiriti invisibile, eppur così mosso e animato, la cui parola vibra direttamente nell‟animo nostro; si sforza di dargli carne e ossa, cioè di incarnarlo in un esemplare analogo. Donde l‟origine del canto con parole, e dell‟opera.»40 E‟importante sottolineare come le parole debbano comunque risultare, per Schopenhauer, subordinate alla musica, la quale ha la funzione primaria di dirigere l‟azione dell‟opera, che si esplica, solo secondariamente, attraverso i versi del libretto: «La musica di un‟opera, come è presentata dalla partitura, ha un‟esistenza per sé, completamente separata, quasi astratta, alla quale sono estranee le azioni e le persone del dramma, e che segue le proprie immutabili regole; perciò essa anche senza il testo è perfettamente efficace»41. Essa è l‟anima, l‟essenza dell‟opera così come la Volontà è l‟anima, l‟essenza del mondo, il grande sogno nel quale l‟uomo è il principale protagonista, quindi, se le parole, con la loro carica concettuale, dovessero prendere il sopravvento, capovolgerebbero l‟essenza stessa dell‟opera lirica, in quanto essa non è riducibile a dramma teatrale accompagnato da musica, come se quest‟ultima fosse un accessorio, un abbellimento accidentale dell‟intero lavoro, ma è una composizione sostanzialmente musicale, nella cui trama si intrecciano le parole, che si incastonano nella melodia e svolgono il ruolo narrativo dell‟intera vicenda. Le parole cantate acquisiscono una valenza essenziale che, superando il suono significante che esse veicolano, deriva dal loro essere prodotte dallo strumento musicale, che in tal caso è la stessa voce umana entrata nella trama del mondo della musica. Protagonista dell‟opera è in definitiva, la voce umana liberata dai vincoli del principio di ragione ed elevata a pura espressione a-trascendentale della Volontà.

Il giudizio di Schopenhauer nei confronti dell‟opera non è affatto univoco: se il filosofo ama i compositori, che sappiano ergere la musica a espressione prima dell‟essenza drammatica del libretto, le cui parole si muovano in dipendenza dalla melodia, contesta aspramente tutta quella musica operistica scritta in funzione delle parole, abbassata al ruolo di mezzo e non di fine. Leggendo il paragrafo 220 dei Parerga e Paralipomena, si nota come la musica nella sua purezza sia superiore ad ogni altra espressione artistica che ne richieda il suo impiego poiché «la musica, in quanto la più potente di tutte le arti, riesce già di per sé a riempire completamente uno spirito che ad essa sia sensibile; anzi le sue più alte produzioni richiedono lo spirito tutto intero non diviso e non distratto»42; quindi risulta coerente a tale impostazione di fondo come «invece di ciò, quando viene eseguita la musica operistica, che è così eccessivamente complicata, si penetra nello spirito anche attraverso l‟occhio, mediante lo sfarzo più sgargiante, le scene più fantastiche e le impressioni di luce e di colore più vivaci»43.

Sempre nelle stesse pagine, Schopenhauer si fa portatore, ante-litteram, di uno stile «minimalista», che presenti l‟opera lirica «in modo evidente»44 liberandola da ogni sfarzo scenografico e coreografico, facendo emergere ancora una volta la necessità di fare della musica un linguaggio universale, capace di parlare al cuore senza nessuna mediazione di immagini poiché, essendo già il mondo una "mia rappresentazione", non si avrebbe da essa nessuna possibilità di giungere nello stato beato di libertà intellettuale. Ecco perché «a rigor di termini si potrebbe chiamare l‟opera un‟invenzione non musicale, a favore di spiriti non musicali, per i quali la musica dev‟essere contrabbandata attraverso un mezzo estraneo, a guisa d‟accompagnamento di un‟insipida e prolissa storia d‟amore coi suoi spappolamenti poetici, […]. Ma il voler trasformare completamente la musica in ancella della cattiva poesia è una strada sbagliata, battuta principalmente da Gluck, […]. L‟opera lirica è diventata la rovina della musica»45.

Detto ciò, risulta in prima battuta curioso, soprattutto per il giudizio poco lusinghiero mostrato nei confronti dell‟opera, come il compositore, che Schopenhauer elegge a modello per la sua filosofia della musica, è Gioachino Rossini (1792-1868) del quale tesse le lodi nel paragrafo conclusivo del terzo libro de Il mondo poiché è stato uno dei pochi compositori che è rimasto esente "dall‟assurda pretesa" di accomodare la musica alle parole. Si legge che la musica del pesarese «parla il proprio linguaggio in modo così distinto e così puro, da non aver bisogno di parole, bastano semplici strumenti per farcene gustare tutto l‟effetto»46.

Altra affermazione paradigmatica per la spiegazione dell‟amore nutrito dal filosofo per il compositore italiano è la seguente: «Il noncurante disprezzo col quale il grande Rossini, alle volte, ha trattato il testo, seppur non sia lodevole, è però genuinamente musicale»47. E ancora, si legge nelle testimonianze raccolte nei Colloqui: «Musica e parola sono il matrimonio di un principe con un mendicante. La favola, nell‟opera, è cosa secondaria, che in fondo esiste solo come per dare, qualche cosa anche alla ragione. Rossini ha spinto questo all‟estremo e si è addirittura fatto beffe della parola.»48 Ma a ben vedere, non tutte "le favole" librettistiche della storia del melodramma sono state secondarie, poiché il capitolo trentasettesimo dei Supplementi, dedicato all‟estetica della poesia, presenta un esempio di rara efficacia tragica, ripreso direttamente dal libretto del 1831 di Felice Romani per Norma (da Alexandre Soumet, 1831) di Vincenzo Bellini. Precisamente si tratta del duetto (con coda in terzetto concertato) "Qual cor tradisti, qual cor perdesti", Secondo Atto, Scena Ultima, «in cui il rivolgimento della volontà viene chiaramente indicato dall‟improvvisa calma della musica. Soprattutto questo dramma – anche astraendo interamente dalla sua eccellente musica, […], è una tragedia sommamente perfetta, […], nel disporre l‟animo dell‟eroe al superamento del mondo, che trapassa poi anche nello spettatore.»49 Al di là dei giudizi netti e, apparentemente, irrevocabili espressi a volte dal filosofo, non si può non notare un fortissimo amore di Schopenhauer per la musica e, in secondo luogo, per l‟opera nella sua forma più idealmente musicale, che giunge a fornire addirittura un esempio di massimo splendore come tragedia teatrale. L‟opera lirica che ponga in primo piano la bellezza musicale, armonizzata con una poesia di valore, è una visione ideale del mondo come incarnazione della musica. Solo che, se nel mondo come "mia rappresentazione" la musica, o Volontà, è sottofondo essenziale, ma inudibile, nell‟opera lirica avvolge sensibilmente tutto lo svolgimento del dramma. Lo spettatore, seduto a teatro, è posto di fronte ad un mondo, incarnazione della musica, che al di là del golfo mistico e del sipario, si presenta in tutta la sua ideale totalità grazie proprio al fattore unificante-cosmologico della musica. Sia lo spettatore, sia il cantante sono determinati dalla volontà/musica ma, se il primo sottostà alla mediazione del principio di ragion sufficiente, il secondo è personaggio di un mondo nel quale è la musica stessa che, immediatamente e tramite le sue regole, tesse la trama armonica sulla quale canta la melodia, che scandisce gli eventi e l‟insieme degli affetti ideali da essa espressi. L‟idealità della musica rossiniana, apprezzata da Schopenhauer, sta proprio nell‟inserire i protagonisti delle sue opere nella costruzione musicale, così da renderli dipendenti dal mondo musicale descritto dal compositore.

Emblematiche sono le stesse parole di Rossini: «La musica allora è direi quasi, l‟atmosfera morale che riempie il luogo, in cui i personaggi del dramma rappresentano l‟azione. […] E tutto ciò in un modo indefinito, ma così attraente e penetrante, che non possono rendere né gli atti, né le parole»50.

Esempio più evidente di questa poetica musicale di stampo "platonico", e per questo amata da Schopenhauer, è l‟utilizzo di un motivo congeniale sia per un‟opera comica sia per un‟opera seria. Rossini non solo utilizza le sue Overture per più opere ma adatta un pezzo di accompagnamento comico della Aria della Calunnia del primo atto de Il Barbiere di Siviglia per inscenare il momento in cui Otello uccide Desdemona nell‟Otello, terzo atto, perché ciò che è essenziale non è l‟espressività della musica ma l‟idealità: sia il "venticello" che si fa "turbine" della Calunnia, sia l‟atmosfera tesa, che precede un omicidio, sono indifferentemente l‟idea di „agitazione‟. Questa modalità compositiva, che contraddistingue l‟opera rossiniana non richiama solo l‟idealità insita nel messaggio musicale ma permette a Schopenhauer di giustificare ancor più concretamente la propria radice concettuale basata sulla onnicomprensiva forza della Volontà. Infatti, il motivo dell‟aria comica del Barbiere che torna identico nella scena più crudele dell‟Otello evidenzia prima con il riso e poi con le lacrime l‟universale serietà metafisica della musica che esprime, libera dal principio di ragione, l‟identico cieco impulso della Volontà noumenica. La cattiveria comica di Don Basilio e la ferocità disarmante di Otello sono quindi essenzialmente identiche e solo fenomenicamente diverse. Per quanto riguarda il tempo musicale, esso può agire direttamente sul tempo dell‟azione, bloccandolo negli eventi topici della vicenda, dando possibilità al solista di esprimere i suoi pensieri attraverso l‟aria con "da capo", oppure, innescando pezzi d‟assieme come duetti, terzetti o quartetti, dove i personaggi implicati pensano "a voce alta" cantando le proprie sensazioni intrecciate tra loro fino a formare una specifica melodia che unifica tutti i pensieri sotto un‟unica regola.

Ma la differenza sostanziale tra i protagonisti del mondo come rappresentazione e quelli del mondo melodrammatico, è data dal fatto che i primi parlano esprimendo concetti, i secondi cantano emettendo prima di tutto suoni, e secondariamente parole. Illuminante è la spiegazione che dà al riguardo Schopenhauer nei Supplementi: «Per ciò per lei [la musica] anche la vox humana è originariamente ed essenzialmente nent‟altro che un suono modificato, proprio come quello di uno strumento. […] Che ora in questo caso, proprio questo strumento d‟altro lato, come organo del linguaggio, serva alla partecipazione dei concetti, è una circostanza accidentale, che la musica può all‟occorrenza utilizzare, per stabilire un collegamento con la poesia.»51 Le parole devono, in prima istanza, essere cantate quindi possono subire un processo decostruttivo dovuto alla volontà della musica che dirige la melodia seguendo il disegno del pentagramma. La grandezza di Rossini, notata sicuramente da Schopenhauer, è la capacità di cogliere la musicalità stessa delle parole, colte nel loro significante e capaci loro stesse di suonare musicalmente. Esempi di straordinaria bellezza si trovano in opere buffe, che narrano vicende di per sé inverosimili, eppure immerse in un mondo musicale in grado di descrivere ogni passo nel modo più ideale possibile, compreso l‟apparente non-sense; ci riferiamo in particolare al finale del Primo Atto de Il Barbiere di Siviglia e all‟effetto meccanico a ingranaggi di "Mi par d’essere con la testa in un’orrida fucina…", dove lo stordimento di tutti i personaggi è descritto con una lucidità e una ritmicità perfetti nella loro forma ordinata "a canone", o al coro finale del Primo Atto de L’Italiana in Algeri, "Va sossopra il mio cervello…", intervallato dal settetto dei solisti "Nella testa ho un campanello…" impreziosito dalla musicalità dei suoni onomatopeici, previsti dal libretto di Angelo Anelli. Due scene di disordine generale che la musica incarna nel suo perfetto ritmo matematico, capace di fermare il tempo dell‟azione e nello stesso tempo di donare all‟ascoltatore l‟idealità dell‟affetto preso in esame.

L‟ultimo motivo che spiega l‟amore di Schopenhauer per Rossini sembra essere, a nostro parere, il modo in cui il compositore italiano utilizza le voci dell‟armonia a proposito del canto. Come sopra esplicato, il nostro filosofo, vede nella scala ascendente delle voci armoniche, da basso a soprano, il parallelismo dell‟oggettivazione mediata della Volontà nel mondo come rappresentazione, dallo stato della natura inorganica fino a quella umana, dotata di autocoscienza. Ecco spiegato il perché Schopenhauer afferma: «Io sono davvero del parere che le arie dei solisti, con accompagnamento musicale siano adatte soltanto al contralto o al soprano. […] La melodia è la prerogativa della voce più alta e tale deve rimanere.»52

Così come dice il filosofo, le voci rossiniane sono sempre attente ad esprimere la forza ideale della melodia cantata, difatti nelle opere di Rossini si trovano soprani con un centro ben sostenuto ma capaci di ergersi fino a punte acutissime53; contralti femminili sia en-travesti, che impersonificano giovani eroi, sia protagonisti al femminile nei panni delle tre eroine de L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola54; tenori "contraltini", cioè acutissimi55 o "baritenori", ossia capaci di strabilianti salti di ottava dalla baritonale fino a quella più estrema di sapore prettamente tenorile56; bassi "cantanti" esposti verso ottave molto acute57. L‟emissione della voce rossiniana dev‟essere sempre morbida e piena, mai urlata o declamata e soprattutto, in grado di eseguire passi di ornamentazione d‟immane difficoltà, non con l‟intento volgarmente edonistico, ma concretamente ideale.

Sulla scorta di quanto affermato da Schopenhauer, infatti, la voce acuta della melodia deve esprimere il capriccio, unito all‟arbitrarietà estrema della volontà, che nell‟uomo si esplica nel grado più complesso e cosciente possibile. Ciò è perfettamente coincidente con la poetica vocale rossiniana, che non era affatto intenzionata ad esporre i cantanti a funamboliche escursioni verso le note estremamente acute o gravi per il gusto volgare di creare sensazionalismi. La corda preferita da Rossini era quella centrale del contralto poiché essa riflette la "normalità" della vita quotidiana, a partire dalla quale le scalate verso l‟alto o verso il basso idealizzano i differenti affetti della volontà umana. Ecco perché nel 1850 circa, il compositore affermava in una lettera inviata da Firenze all‟amico Ferrucci: «Il contralto è la norma a cui bisogna subordinare voci e strumenti in piena composizione musicale. Se si vuol fare a meno del contralto si può spingere la primadonna assoluta fino alla luna, e il basso profondo nel pozzo. E questo è far vedere la luna nel pozzo.»58 Ma "vedere la luna nel pozzo" è un‟illusione a cui la musica non deve assolutamente sottomettersi se vuole essere immediata incarnazione della verità, anzi, come ben dice Bruno Cagli, Rossini ricerca sempre «il sole nel cielo»59, ovvero parafrasando, cerca l‟ideale classico dell‟armonia, immagine dell‟ordine cosmico di forte sapore neoclassico. E, aggiungiamo noi, lo stesso Schopenhauer, è testimone diretto egli stesso degli ideali classici, che si intrecciano con quelli romantici, presenti contemporaneamente nella Germania dei primi decenni del Diciannovesimo secolo.

Per evidenziare ancora maggiormente le motivazioni che giustificano l‟amore nutrito da Schopenhauer per l‟opera italiana, è rilevante segnalare il contrastato rapporto indiretto tra il nostro filosofo e Richard Wagner (1813-1883), testimoniato all‟interno dei Colloqui. Nel 1854, il compositore leggeva a Zurigo (dov‟era sorta una comunità di ammiratori del filosofo di Danzica, alla quale era iscritto lo stesso musicista) Il mondo come volontà e rappresentazione e iniziava conseguentemente la composizione di Tristan und Isolde. In essa è ravvisabile la decisiva impronta tragica di sapore schiettamente schopenhaueriano. Basti pensare alla seconda scena del secondo atto, dove il duetto dei due amanti è un inno alla notte, letta come momento autentico dell‟amore per la sua mancanza d‟illusione, figlia della luce e dell‟apparente rappresentazione. Al di là della valenza filosofica dei versi wagneriani, l‟opera di Wagner non poteva essere apprezzata da Schopenhauer, che cercava in essa l‟espressione neoclassica dell‟elegante composizione rossiniana, che, dualisticamente, prediligeva la musica alle parole. La concezione wagneriana del Wort-Ton-Drama, che puntava ad un‟armonizzazione di musica e parole non poteva essere accettata pacificamente dal filosofo, nella quale egli scorgeva una surrogazione della composizione musicale a favore di un‟opera lirica che cessava di essere „melo-dramma‟ mutandosi erroneamente in „dramma e musica‟. Ecco spiegato lo sprezzante consiglio di Schopenhauer, rivolto a Wagner, di appendere la musica al chiodo dedicandosi alla sola poesia60.

In realtà, come ben evidenzia Giovanni Piana, tra Wagner e Schopenhauer è presente una forte affinità filosofica. Se superficialmente la concezione schopenhaueriana della musica, presa nella sua singolarità, si discosta fortemente dalla forma dell‟opera wagneriana, dal punto di vista metafisico il filosofo di Danzica e il musicista di Lipsia presentano forti affinità. Infatti, al di là del gusto personale di Schopenhauer che dimostrava di non amare affatto la struttura del Wort-Ton-Drama, le narrazioni e i personaggi tracciati nella tetralogia del Ring così come nel Parsifal e, come appena visto, in modo ancor più evidente nel Tristan, acquisiscono una connotazione tale da lasciar trasparire il principio cosmico che muove tutte le vicende. La volontà spinge infatti all‟azione protagonisti di narrazioni mitiche che trascendono la sfera umana per iscriversi nel moto universale, così che le figure caratteristiche in scena nei lavori rossiniani divengono in Wagner gigantesche figure simboliche, quasi del tutto estranee alla loro umanità e proiettate a rappresentare le forze cosmiche, prodotto dell‟unitotalizzante Drang volontaristico.61

Ora, tentando una sintesi conclusiva relativa alle due diverse tipologie melodrammatiche, rossiniana e wagneriana, qui esposte in relazione all‟impianto speculativo del nostro autore, si possono esprimere due diverse prospettive interpretative. L‟opera di Rossini, esplicitamente amata da Schopenhauer, risponde appieno alla missione salvifica della musica poiché essa è totalmente proiettata alla creazione di un mondo musicale dove il concetto espresso dalla parola del libretto è talmente trasfigurato dal canto da risultare libero dalla falsificante illusione astratta del razionale principio di ragion sufficiente. Quindi l‟opera di Rossini è una perfetta idealizzazione del mondo, che risuona in essa per quello che ontologicamente è e produce come effetto una temporanea liberazione dai lacci del principium individuationis. Diversamente, l‟affinità incontrata con la poetica di Wagner non è riconosciuta da Schopenhauer poiché in essa egli non ravvisa il fattore liberante che invece l‟opera del compositore italiano riesce ad esprimere. L‟opera di Wagner, più che rispondere alle esigenze prettamente musicali del Nostro, ricrea in musica l‟impianto metafisico schopenhaueriano nel suo insieme, puntando ad una messa in scena di eventi che richiamano le forze primordiali che governano il mondo, a partire dalla primigenia profondità noumenica della Volontà.

§4 - Conclusione

In conclusione, pare opportuno evidenziare ancora una volta che la musica non è il mondo, è solo l‟intima essenza, ciò che sta sotto il velo della Maya. Una volta terminata l‟esecuzione si ritorna, inevitabilmente, intrappolati nelle fitte trame del principio di ragione. Ecco perché, dice Schopenhauer, che «la musica non ci dà reale dolore, ma anche nei suoi accordi più dolorosi rimane ancora rallegrante, e noi percepiamo volentieri nella sua lingua l‟intima storia della nostra volontà e di tutti i suoi moti e delle sue tendenze. […] Quando invece, nella realtà e nei suoi errori, la volontà stessa è così stimolata e straziata; allora noi non abbiamo da fare con i suoni ed i loro rapporti numerici, bensì siamo piuttosto ora noi stessi la corda tesa, pizzicata e vibrante.»62

La musica non consente la visione di altri mondi, non è un mezzo psicologico per fuggire in una dimensione altra ma è l‟espressione eminentemente metafisica di un‟arte che "ci tiene presso il mondo"63, anzi ci porta a scoprire il ritmo stesso del mondo da una posizione extra-soggettiva, ossia di temporanea sospensione al fine di rendere possibile una partecipazione immediata alla vita cosmica. In definitiva, Schopenhauer non presente affatto un trattato di musica ma ne presenta un elogio filosofico in grado di rispondere all‟esigenza primaria de Il mondo, che avvicinandosi al quarto e ultimo libro presenta le possibilità per una liberazione dalla passività in cui l‟uomo è affetto dalla Volontà. Ovvero, la musica è lo stacco dalle altre arti e, insieme, la migliore introduzione alle tematiche dell‟ultimo libro; è la Cecilia di Raffaello che lascia gli strumenti a terra per perdere lo sguardo nell‟infinito silenzio della musica celeste dell‟ascesi.64

Sebbene non si abbiano testimonianze né dirette né indirette, che dimostrino la conoscenza, da parte di Schopenhauer, dei racconti di E. T. A. Hoffmann (Könisberg 1796 - Berlino 1822), ci pare di riscontrare nel personaggio di Giovanni Kreisler, protagonista del ciclo della Kreisleriana (ossia, I dolori musicali del direttore d’orchestra Giovanni Kreisler)65, inserita nella raccolta Racconti fantastici del 1814-1815, un‟affinità letteraria con ciò che filosoficamente esprime il nostro filosofo a proposito della liberazione intellettuale momentanea approntata dalla musica. Giovanni Kreisler potrebbe essere assunto a modello esemplare del musicista schopenhaueriano, per l‟integralità con la quale si immerge nell‟esecuzione e nell‟ascolto della musica, sino a diventarne quasi un sacerdote. Il musicista infatti, secondo l‟assunzione di Hoffmann, detiene la dote sacra, che con trasporto dionisiaco, lo rapisce dalla propria limitata identità fino a condurlo in uno stato dove a convivere sono la purezza intellettuale e la profonda irrazionalità dell‟inconscio, detto tramite terminologia schopenhaueriana, della volontà.

Come ben dice, a tal proposito, Claudio Magris, nel saggio introduttivo alla traduzione italiana del racconto di Hoffmann, «nell‟abbandono alla musica, Kreisler perde anche la coscienza della propria identità: si sente diventare lui stesso la musica udita»66. Quando Kreisler suona o ascolta, smette i panni che lo riducono nella sua umanità a soggetto e, nello stesso tempo, a oggetto della volontà, ossia della legge del principio di ragion sufficiente, e affronta „il salto intellettuale‟ che lo libera momentaneamente dalla „rappresentazione‟. Ma, e questo è un ulteriore elemento che Schopenhauer stesso menziona nel Mondo e nei Supplementi, una volta che l‟ultima nota ha risuonato, egli torna a vivere più di prima in preda alla "follia" artistica, così accesa da gettarlo nel dolore, causato dalla totale mancanza di perfezione ideale del mondo, rapportato al sacro intervallo "a-temporale" dell‟esecuzione musicale, per sua essenza ontologicamente perfetta.

Ed eccolo, Giovanni Kreisler, assorto nell‟ascolto di un‟aria d‟amore, riportare con parole poetiche del tutto riconducibili ad un inno alla musica la sua mistica esperienza, che riporta immediatamente alle pagine della metafisica della musica di Arthur Schopenhauer: «Come anime pure le tue note mi hanno avvolto e ognuna mi diceva: "Leva il capo, o avvilito! Vieni con noi, vieni con noi nel paese lontano dove il dolore non apre più ferite sanguinanti, ma il petto è ricolmo di indicibile gioia nei più alti trasporti!" […] In un trasporto mai prima provato, mi elevo allora di un volo potente sopra le vergogne della terra; tutte le musiche che nel mio petto ferito il dolore ha irrigidito nel sangue, rivivono e si muovono e si eccitano e rigurgitano lampeggiando come scintillanti salamandre, ed io l‟afferro, le avvinco, ne formo un manipolo di fuoco, che diviene poi un‟immagine lampeggiante la quale illumina e mirifica te e il tuo canto!»67

 


Note


1
A . Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, traduzione italiana a cura di N. Palanga, Mursia, Milano 1969, p. 21. 2
2 A. Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, traduzione italiana a cura di S. Giametta, BUR, Milano 1995, 20064, pp. 102-103.
3 Ivi, p. 95.
4 Cfr. A. Schopenhauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, p. 128.
5 Ivi, p. 204.
6 Ibid.
7 Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, p. 21.
8 Ivi, p. 181.
9 Cfr. Ivi, p. 284.
10 Ivi, p. 291.
11
Ivi, p. 262
12
Ibid.
13
A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, tomo II, traduzione italiana a cura di M. Montinari e E. Amendola Kuhn, Adelphi, Milano 1983, p. 566.
14
A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", traduzione italiana a cura di G. De Lorenzo, Laterza, Roma-Bari 1930, 19862, pp. 449-450.
15
Cfr. F. Schiller, Sul Sublime, traduzione italiana di L. Reitani, Abscondita, Milano 2003.
16
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p. 298.
17 Ibid.
18
Ibid.
19
Ibid.
20
Ivi, p. 299.
21
Ibid.
22 Ivi, p. 305.
23 Ivi, p. 302.
24
Ivi, p. 304.
25
Ivi, p. 306.
26 A .Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, cit., p. 568.
27
A .Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p. 306.
28
Ibid. Esempi calzanti di musica descrittiva di Haydn sono pure alcune delle sue numerosissime sinfonie (104) come la n. 103 Die Uhr ("La pendola") del ciclo delle Sinfonie Londinesi, la n. 82 L’Ours ("L‟orso") o la n. 83 La Poule ("La gallina") del ciclo delle Sinfonie Parigine. Tra i quartetti per archi è menzionabile il numero 5, op. 64, Lerchenquartett ("L‟allodola").
29
Cfr. A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, p. 568. Scorrendo lo sconfinato catalogo beethoveniano sembrerebbe facile identificare quelle composizioni che Schopenhauer non avrebbe apprezzato a causa del suddetto difetto. La sonata per pianoforte n. 15, op. 28, Pastorale, la n. 17, op. 31/2, Der Sturm ("La tempesta") e tra le sinfonie, la n. 6, op. 68, Pastorale ricca di rimandi al mondo naturale della campagna. Ma una testimonianza ci porta ad evidenziare come l‟ascoltatore Schopenhauer non fosse, in realtà, sempre concorde con i suoi giudizi espressi nell‟ambito della speculazione filosofica. Si legge, infatti, nei Colloqui (A. Schopenhauer, Colloqui, trad. italiana a cura di A. Verrecchia, Bur, Milano 1995, 20002, p. 160), e precisamente ascoltando la testimonianza di Robert von Hornstein, che Schopenhauer, dopo l‟ascolto del secondo tempo della sinfonia in fa maggiore di Beethoven (proprio la Pastorale!), sottotitolata Scena presso il ruscello, una volta raccontasse al riguardo: «Qui è come se si fosse sfuggiti per sempre a ogni pena». Quindi anche una musica di chiaro stampo imitativo, ma composta tramite l‟estro geniale di un grande compositore, sembra poter liberare l‟ascoltatore dai lacci della Volontà e portarlo con sé nel mondo della pura conoscenza contemplativa.
30
E‟rilevante indicare come Schopenhauer non trovando una spiegazione causale "metafisica", che spieghi il perché dell‟insorgere nel genio in determinati soggetti, si rifaccia a osservazioni di fisiologia cerebrale e indichi proporzionalmente la presenza di Volontà e di Intelletto nel cervello per indicare l‟insorgenza o meno del genio artistico: «Il genio consiste dunque in un eccesso anormale dell‟intelletto, il quale può essere utilizzato solo rivolgendolo alla generalità dell‟esistenza. […] Per rendere assai comprensibile la cosa si potrebbe dire: se l‟uomo normale ha 2/3 di volontà ed 1/3 di intelletto; il genio invece ha 2/3 di intelletto ed 1/3 di volontà», A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", cit., p. 390.
31
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p. 307.
32 A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, cit., p. 573. E‟ doveroso sottolineare come Schopenhauer, impegnato in una dissertazione di carattere prettamente metafisico, utlizzi il termine Grundbass per significare tre concetti che la teoria musicale distingue in: basso profondo, le note più gravi, basso fondamentale, elemento della teoria tonale di Rameau e l‟accompagnamento del basso continuo. Cfr. G. Piana, Teoria del sogno e dramma musicale, La metafisica della musica di Schopenhauer, Guerini e Associati, Milano 1997, pp. 29 sgg.
33 Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, p. 301.
34
Cfr. A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", p. 469.
35 A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit,. pp. 301-302.
36 Cfr. G. Piana, Teoria del sogno e dramma musicale, p. 42.
37 Cfr. Ivi, p. 303.
38
A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", cit., p. 467.
39 Ibid.
40
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p. 304.
41
A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", cit., p. 466.
42
A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, cit., pp. 571-572.
43
Ibid.
44
Ibid.
45
Ivi, cit., p. 574.
46
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p 304. La querelle sulla precedenza della musica sulle parole e viceversa ha da sempre interessato la storia del melodramma, dall‟opera buffa del 1786, Prima la musica, poi le parole di Antonio Salieri a Capriccio di Richard Strauss, del 1942.
47
A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, cit., p. 576.
48
A. Schopenhauer, Colloqui, cit., p. 160. Nella testimonianza di Robert von Hornstein si comprende quanto forte fosse la passione per Rossini, tanto che Schopenhauer reputava pesante, al suo confronto, persino Mozart e Beethoven. Quando parlava di lui alzava gli occhi al cielo e quando ebbe modo di incontrarlo a Francoforte il 2 settembre del 1856 presso l‟Englischer Hof, pranzò nello stesso suo tavolo ma non ebbe nemmeno il coraggio di presentarsi preferendo forse lasciare intatta "l‟idolatria" nutrita nei confronti del grande musicista. Schopenhauer non era interessato all‟uomo Rossini ma alla sua musica, che esulava, in base alla sua stessa filosofia, da ogni contenuto di vissuto esperienziale.
49 A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", cit., p. 452.
50
Storia della musica, volume 9, F .Della Seta, Italia e Francia nell’Ottocento, EDT, Torino 1993, p. 81.
51
A .Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", cit., p. 465.
52 A Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, cit., p. 575.
53
Basti pensare alla spagnola Isabella Angela Colbran (1785-1845), moglie del compositore nel 1822, nata musicalmente come contralto e divenuta soprano drammatico. Interprete di tutte le opere serie del periodo napoletano di Rossini, dal 1815 con Elisabetta, regina d’Inghilterra al 1822 con Zelmira, compresa la veneziana Semiramide del 1823, la sua voce di soprano risentì sempre della grana contraltile, che le consentì poderosi affondi nel registro centrale, che fungevano da appoggio per le scalate verso le regioni più acute. Fulgido esempio, a noi contemporaneo, di questa particolare tessitura è stata sicuramente la voce di Maria Callas.
54 L‟elenco dei contralti rossiniani è davvero vasto ma i più menzionati dalla storia del melodramma sono Adelaide Malanotte, prima interprete di Tancredi, a Venezia nel 1813, Marietta Marcolini, Geltrude Righetti-Giorgi, Rosa Mariani, Rosmunda Pisaroni, nonché futuri grandi soprani come Maria Malibran e Giuditta Pasta (per entrambe, analoghe carriere a quella della Colbran).
55
Da ricordare Giovanni David, interprete anch‟egli delle opere napoletane di Rossini.
56 Si pensi ad Andrea Nozzari, collega di David sulle scene rossiniane.
57 Esempio storico è Filippo Galli, altro grande interprete delle opere del compositore pesarese. Per citare le più rilevanti in cui fu protagonista, Maometto Secondo del 1820 e Semiramide del 1823.
58 B. Cagli, Il registro della voce umana, guida all‟ascolto del cd: G. Rossini, Arie alternative, Nuova Fonti Cetra, 1983, p. 3.
59 Ibid.
60
Cfr. A. Schopenhauer, Colloqui, p. 142.
61 Cfr. G. Piana, Teoria del sogno e dramma musicale, pp. 86-87. Interessante è notare con Piana come Wagner abbia reinterpretato, in chiave musicale, la teoria schopenhaueriana del sogno e come da essa nasca la concezione che fa sorgere la musica dal grido fondamentale che sottende tutto il mondo come rappresentazione e che sfocia in tutta la sua violenta irruenza nel risveglio dal sogno: è il coro che irrompe per la prima volta nella composizione sinfonica della Nona di Beethoven.
62
A. Schopenhauer, Supplementi al "Mondo", cit., pp. 468-469.
63 G. Piana, Teoria del sogno e dramma musicale, cit., p. 64.
64
Interessante è notare come dal punto di vista schopenhaueriano, il dipinto di Raffaello presenti la visione del passaggio dalle arti, in questo caso dalla pittura, all‟arte per eccellenza della musica fino all‟ascesi definitiva della santa. Cfr. G. Piana, op. cit., pp. 74 sgg.
65 Musicata nel 1838 da Robert Schumann nello splendido poema musicale per pianoforte dall‟omonimo titolo, op. 16.
66
E. T. A. Hoffmann, Kreisleriana, Dolori musicali del direttore d’orchestra Giovanni Kreisler, introduzione di C. Magris, traduzione italiana a cura di R. Pisaneschi, Bur, Milano 1984, 20022, p. 9.
67 Ivi, p. 39.

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