Miriam Stallone
SILVIA VIZZARDELLI, Filosofia della musica, Roma-Bari: Laterza, 2007 (Biblioteca di Cultura Moderna, 1192)


Silvia Vizzardelli, ci presenta un lavoro organico e degno dell'attenzione destata da un titolo impegnativo quale “Filosofia della musica”, un saggio denso che riesce a unire un'indubbia capacità analitica del pensiero musicale a una buona scrittura filosofica capace di rendere la pregnanza dei significati con uno stile insolitamente chiaro e coinvolgente. É un testo specialistico con in più la virtù di una leggibilità tale, da renderlo accessibile anche a chi, senza averne una specifica competenza, voglia farsi un'idea sui termini del dibattito teorico sulla musica.

La divisione in quattro capitoli, per nuclei tematici (Musica e filosofia, Musica e sentimento, Musica e tecnica, Musica e atmosfere) e con paragrafi dai titoli suggestivi, ha alla base un'unità concettuale che si esplicita, un passaggio dopo l'altro, nel corso del discorso.

Una curata bibliografia consente di orientarsi nelle molte opere citate e insieme alla ricchezza del testo può dare l'impressione che davvero non manchi alcun riferimento, anche se, ovviamente, l'itinerario proposto attraverso la storia del pensiero teorico sul musicale, è fortemente orientato da alcune categorie estetiche esposte esplicitamente e sulla cui base vengono operate le scelte di includere determinati nuclei concettuali piuttosto che altri.

Credo valga la pena cercare di comprendere le nozioni che sottostanno a questo lavoro ed è con tale intento che seguiremo il profilo espositivo del testo poiché ritengo tali nozioni non possano essere presentate prescindendo da alcuni nodi argomentativi riguardanti la storia del pensiero musicale, un percorso che fin da subito vuole far luce su un presupposto fondamentale: in quali termini si possa parlare di una filosofia della musica. Questioni non da poco, che l'autrice affronta lucidamente a partire dalla difficoltà del dialogo tra estetiche e poetiche. Le filosofie dell'arte sono assimilabili a uno stato caldo del pensiero poiché tendono a salvaguardare l'esperienza e l'idea del bello, l'intuizione e il sentimento laddove le poetiche dello stato freddo sottraggono pathos, sospettano del potere del sentimento e preferiscono l'astrattezza delle teorie artistiche e della ricerca formale. Una simile contrapposizione ha luogo a causa di una differenza essenziale tra i due modi di pensare l'arte: le poetiche hanno un rapporto ispirato alla prassi, mentre tra l'estetica e l'arte il rapporto è cercato ma non scontato e chiama in causa lo statuto stesso dell'estetica e delle estetiche speciali. Non è affatto ovvio che l'estetica debba intrattenere rapporti stretti con l'esperienza artistica, anzi c'è chi sostiene il contrario (e siamo, ad esempio, sulla strada indicata da Garroni con la sua semiotica). La legittimità di un'estetica musicale, poi, è questione ancor più complicata rispetto ad altre possibili estetiche speciali perché la musica spesso si comporta come un elemento di destabilizzazione per interi sistemi estetologici, come succede sia in Kant che in Hegel. La Vizzardelli ci ricorda che ancorare la musica a un discorso teorico fondato senza perderne le specificità è la sfida raccolta da pensatori come Paci o Piana e su questa linea si intende recuperare la dimensione precategoriale dell'esperienza insieme a un'apertura verso le specificità del sonoro che indirizzano la filosofia a interloquire con le scienze musicologiche, acustiche, psicologiche ed etnologiche: ecco, dunque, il terreno su cui si muove questa filosofia della musica, tra intuizione e strategia, una filosofia che sottragga parte del proprio pathos senza perdere la propria vividitas, una filosofia che si occupi di trovare le categorie della musica senza prescindere da un dialogo con le pratiche dell'arte. Il secondo passo è quello di delineare il campo di possibilità di un'estetica tensiva. Si tratta di descrivere l'esperienza musicale in termini tensionali a partire dall'interpretazione che Parret (Kant sulla musica, 1995) opera piegando il pensiero di Kant: la musica come gioco di tensioni e rilassamenti a partire dal coinvolgimento del piacere fisico che fa della musica un esempio privilegiato, un modello di ciò che accade in generale nel giudizio estetico. L'aspetto rilevante è individuare come, attraverso questo gioco di forze, sia possibile mettere in movimento l'aspetto sia corporeo che spirituale facendoli convertire l'uno nell'altro. Questa caratteristica di oscillazione e scambio senza bisogno di un terzo elemento che debba conciliare si può ritrovare ancor prima nel pensiero di Schiller (Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, 1795), nella tensione che intercorre tra l'impulso sensibile (la ricettività, i mutamenti del tempo) e l'impulso formale (l'attività, l'unità nei mutamenti), per impulso si intende il corrispettivo fenomenico della forza ed è proprio nell'esperienza estetica che questa tensione metafisica viene alla luce quando nelle singole arti si vede prevalere un impulso sull'altro. Descrivendo le caratteristiche di un'estetica tensiva si cominciano a gettare le basi per costruire i tratti della categoria estetica che più si preme rilevare, la nozione di intercettazione. Essa si nutre di quell'aspetto dell'estetica tensiva che sottolinea come il processo di scambio, la tensione tra due poli di forze, non sfoci in un annullamento di uno dei due in un terzo elemento che possa sintetizzali entrambi, bensì come sia necessario accettare che la distinzione tra dimensione dell'attività e della passività non si dissolva, ma continui a permanere consentendo l'oscillazione tra forze.

Sottolineare la natura tensiva dell'esperienza estetica propria innanzitutto dell'arte dei suoni significa inoltre che l'elemento ricettivo-emotivo e quello attivo-intellettivo, detti più propriamente aisthesis e noesis, partecipando del «circuito di energia» (p. 21), consentono una conversione tra i due piani tale da produrre dimensioni di senso, come dimostra, ad esempio, l'attenzione da parte di certi approcci tensivi della semiotica che fanno delle nozioni di ritmo, tensione e distensione delle categorie per descrivere la natura dinamica di alcune formazioni di significato.

Interessante, anche perché vicina alle posizioni dell'autrice, la posizione di Zuckerkandl (The Sense of Music, 1967 e Sound and Symbol: Music and External World, 1967) il quale sottolinea come, per qualità dinamica di un suono, si debba intendere il movimento tra suoni nell'accezione del passare, non secondo una concezione dell'ascolto come passaggio da un punto sonoro a un altro, ma invece come campo d'unità d'esperienza descrivibile ma non scomponibile, un campo di tensioni reso possibile dagli stessi rapporti tra suoni.

Su questa linea Zuckerkandl si muove in polemica inconsapevole con le concezioni di ascolto di Szendy (e indirettamente a Nancy) poiché egli invita a riguardarsi dalle derive del culto dell'attimo le quali hanno un'immagine dell'ascolto in cui l'orecchio sta appostato per captare suoni assolutamente unici e individuali, immagine che sfocia nel considerare l'esperienza sonora come un fattore destabilizzante per qualsiasi forma di comprensione per il soggetto. Possiamo allora articolare un passo ulteriore, arrivando a delineare uno dei punti chiave del discorso. La questione cardine è il chiasma tra musica come cosa del mondo e musica come arte dell'interiorità e lo vediamo attraverso le parole di Schopenhauer (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819). È risaputo che secondo il grande filosofo la musica occupi un ruolo fondamentale perché espressione del fenomeno in sé, della stessa volontà come un'idea ed è il genio che, sciolto dalla volontà, può rivelarsi specchio dell'essenza del mondo attraverso la propria attività. Il genio per essere ricettivo dell'essenza del mondo deve essere massimamente attivo al fine di liberarsi dal giogo della volontà.

A partire da queste celebri disquisizioni sulla volontà viene rivalutato tutto il problema della dicotomia tra mundanità e interiorità della musica. Anche in Schopenhauer la musica sembra favorire questa conversione tra piani poiché si tratta di una modalità del conoscere come di un rispecchiare, il soggetto si fa concavo, ma rispecchia a partire dall'attività e ciò è possibile proprio perché è la volontà a caratterizzarsi come tensiva. Specularità e tensione sono così correlati e la musica ha il ruolo di dare forma alla dinamica emotiva poiché essa è forma del movimento, o meglio, la musica è l'immagine più pura del movimento, della dinamica.

Filosofia musicale o musica filosofica la contaminazione di metodi e suggestioni in questa estetica musicale avviene all'insegna di un superamento degli estetismi e del vouyerismo uditivo, ciò può accadere quando la filosofia influenza la musica con i propri apparati concettuali e con l'apertura alle possibilità dinamiche e tensive del significato e quando è la musica a operare sulla filosofia evitando l'applicazione meccanica di significati precostituiti.

La musica è una via d'accesso privilegiata capace di far emergere caratteri spirituali dai corpi, intercetta mondi e sentimenti per trasferirli su un piano astratto di stilizzazione, è una finestra sul mondo ma, grazie al suo carattere tensivo, rimane ben salda alla sua natura legata alla vita emotiva.

La nozione di tensione, tuttavia, non è ancora sufficiente, e la Vizzardelli ne sottolinea l'incompletezza poiché l'estetica tensiva per molti aspetti propone un modello debole di oggetto in quanto troppo spostata sul versante dei diritti dell'ascolto, potremo così servirci di questo concetto, a patto di non sacrificare i vincoli che gli stessi oggetti musicali pongono, mettendo in luce come esso coinvolga le stesse nozioni di vincolo e resistenza. L'autrice ci propone per prima cosa di valorizzare i vincoli della musica al suo lato oggettivo e allo stesso tempo spirituale di “specchio del mondo”, interpretando la caratteristica di apertura al mondo in senso cosmologico senza per questo sacrificare quel diverso aspetto spirituale legato alla vita emotiva. La nozione è quella di mundanità della musica, ovvero la sua capacità di dischiudere un ordine cosmico della natura o delle sfere celesti, seguendo una linea di pensiero che partendo da suggestioni antiche di stampo pitagorico attraversa Leibniz per arrivare alle teorizzazioni di Hindemith.

Il problema si esprime innanzitutto attraverso l'importante ruolo assunto dalla traduzione numerica degli intervalli: l'ordine cosmico diventa udibile proprio grazie a quella conversione del sensibile nell'intellegibile possibile attraverso la traduzione numerica. Intervallo percepito e intervallo calcolato si mantengono su terreni distinti ed è fondamentale che i due piani non vadano confusi, che non venga rotto il piano d'immanenza. Nessuna traduzione numerica può, infatti, descrivere propriamente l'esperienza affinché si diano le condizioni al calcolo numerico di consentire la conversione, ancora una volta, tra dimensione sensibile e intellegibile. Benché secondo pensatori antichi quali Boezio (De institutione musica) la conversione tra i due piani sia possibile grazie a una partecipazione della musica alle sfere celesti per similitudine, permane l'idea che i suoni non siano creati o scelti quanto trovati e scoperti, qualcosa di intercettato nel mondo grazie a un piano astrattivo.

Il percorso nella filosofia della musica si tratterrà ora intorno alla nozione leibniziana di calcolo inconscio per riflettere meglio su come per captare gli elementi che tessono il mondo ci sia bisogno di una contrazione di forze anche da parte soggettiva, una sintonizzazione tra piani tensivi. La conversione è reciproca e il percepire stesso di rapporti è un convertire inconsapevole, come direbbe Diderot (Mémoires sur différents sujets de mathématique, 1748) pensando proprio a Leibniz, inoltre, secondo il filosofo francese, il piacere che si prova nell'ascoltare musica ha il suo fondamento oggettivo nella percezione di questi rapporti.

Con Herder (Kalligone, 1800) diventa evidente come l'esperienza musicale si compia attraverso una captazione empatica delle energie della natura, la composizione artistica non sarebbe altro che una sintonizzazione con le forze presenti nel mondo, il compositore non crea nulla ma tira fuori, intercetta altri mondi rispetto a sé grazie a una disposizione simpatetica.

Possiamo allora riprendere la definizione di musica come immagine del movimento, concetto esprimibile attraverso la nozione di mozione, forma pura della dinamica e essenza del movimento: è interessante allora rilevare come il richiamo alla nozione di emozione venga da sé, ma è importante specificare subito che il concetto di emozione sta a quello di mozione «come il particolare sta al generale» (p.68) e mai l'inverso perché la dinamica tensiva non sceglie mai tra psiche e corpo, ma è propria di entrambe le dimensioni. Specificare questo rapporto evita confusioni e permette di avanzare in modo più limpido del descrivere le coordinate del rapporto tra musica e sentimento. La Vizzardelli ci sta conducendo attraverso i territori spirituali del mondo per rilevare come l'esperienza alla quale ci apre la musica è quella di un sentimento esterno e cosmico che coniuga immaterialità e oggettività percepita, una psiche esterna chiamata “mozione”. L'udito capta l'essenza del movimento e le categorie estetiche tradizionali quali imitazione ed espressione subiscono un'evidente torsione: la categoria di intercettazione le supera e le include entrambe poiché captare significa imitare e esprimere allo stesso tempo, non nel senso ovvio per cui ogni imitazione implica anche un livello espressivo, ma seguendo alcune suggestioni di Deleuze potremmo sostenere che nell'intercettare si seguono quelle spinte centrifughe che portano a un divenire-altro a partire da un punto di cattura: certo, con Deleuze si tende a sfuggire dalla concretezza e dai vincoli delle forme e a farsi trascinare alla ricerca di forze pure e virtuali sacrificando lo psichico, ma quell'approccio ci aiuta a evitare lo sbilanciamento inverso, la confusione tra il sentimento della vita con il sentimento implicato dalle strutture formali della musica che fa riversare interamente il secondo tipo di sentimento dentro al primo.

Questa intensa fusione tra piani è tipica dell'opera della Nussbaum L'intelligenza delle emozioni in cui vi è una precisa determinazione delle emozioni in senso cognitivo, le emozioni hanno una struttura concettuale legata alla percezione di valori e intenzionano sempre un oggetto. La musica può perciò comunicare qualcosa dei nostri sentimenti in senso preciso ma non in modo metaforico, come vorrebbe Hanslick, o univoco; il celebre esempio della Nussbaum è quello del dolore per la morte dei figli dei Kindertotenlieder di Mahler, ma è evidente come la filosofa intenda l'espressione emotiva della musica come descrizione della prosa della vita in senso letterario, senza rendere conto delle specificità formali del materiale musicale, lo dimostra il fatto che proprio i Kindertotenlieder si affidino molto alla determinazione semantica della poesia sulla quale sono musicati. Abbiamo bisogno di una via intermedia tra ipotesi cosmologiche della musica e ipotesi vicine alla narrazione della vita psichica, dobbiamo ancora specificare i confini di quella zona mediana, territorio di processi di stilizzazione, la quale ha la possibilità di mantenere affinità con le dinamiche emotive.

L'autrice ci propone di seguire le teorie elaborate in ambito analitico da filosofi angloamericani come Susan Langer e Peter Kivy. Secondo Kivy bisogna rifiutare le teorie metaforiche, empatiche e sintomatiche delle emozioni in musica a favore di una ricerca sul sentimento del suono, una teoria delle emozioni musicali in senso pieno giustificata dal possesso di un proprio oggetto intenzionale, la bellezza della musica. Tentativo ammirevole ma che fallisce nel momento in cui la caratterizzazione di bello in musica rimane indeterminata.

La tesi sostenuta è che anche dietro alle teorie formalistiche di Hanslick, Kivy e Langer agisca la nozione di intercettazione la quale, a questo punto, acquista ulteriori contorni poiché si rivela essere in stretta relazione con le teorie dell'empatia. Attraverso l'esperienza empatica si pone attenzione alla propria dimensione psichica e individuale perché divenga possibile l'esperienza dell'altro da sé come un divenire altro e l'intercettazione diviene il ponte che permette il contatto tra lo spirituale dei mondi degli altri e quelle del soggetto psichico, «ponte che attraversa un abisso» (p. 89) senza riempirlo del tutto ma mantenendo le differenze tra i piani.

L'aspetto tensivo proprio dei processi di intercettazione non è andato perso ma nel contesto delle teorie empatiche ha assunto il connotato di conduttore psicomotorio. A partire dalle teorie di Freud sul motto di spirito fino alle nuove teorie sui neuroni specchio viene spiegata l'attitudine empatica su base psicomotoria. Se per Freud si può dire che il Witz sia il meccanismo psicomotorio di un’esperienza di passaggio, una prima forma elementare di stilizzazione che consente la conversione dalle pulsioni (il piano della vita) e quella del linguaggio verbale, per le recenti teorie neuroscientifiche di Rizzolatti, Gallese e Sinigaglia (So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, 2006) il problema si fa più complesso: individuati i “neuroni specchio” la simpatia diventa un’abilità di mind-reading, un’esperienza conoscitiva degli altri indipendente dall’attività linguistico-concettule bensì radicata in un processo di simulazione motoria, un’azione pragmatica durante la quale i neuroni del soggetto simulano i processi che accadono nel soggetto osservato come se provassero le stesse emozioni. Non è un caso che linguaggio usato da questi autori si rifaccia a metafore del musicale quali risonanza motoria, ritmo e melodia cinetica. La Vizzardelli sottolinea alcuni spunti di consonanza con le teorie di Scheler nelle quali la musica è un’esperienza privilegiata di contatto tra interiorità, un salto nel diverso attraverso una sorta di ebbrezza motoria che non prevede una comunione ma una distanza.

A rafforzare la nozione di intercettazione contribuisce, come c'era da aspettarsi, quella di “ritmo”: per quanto sia vero che la storia del concetto di ritmo sia assai antica e che si snodi per tutto il percorso del pensiero filosofico e musicale, è indispensabile che la sua articolazione semantica piuttosto sfuggente non rimanga indeterminata, e così possiamo delineare quegli aspetti che vedono nella scansione temporale un punto di agevolazione per il contatto tra due dimensioni, sensibile-materiale e intellettuale-formale. Il concetto di ritmo evoca la ripetizione di uno schema, un vincolo e un freno più che un flusso temporale, è un modo particolare di intendere il concetto di “forma” che deriva etimologicamente più da rhythmos (schema, forma o modello) che da rein (scorrere). Pensiamo alla danza, il ritmo è lo schema del movimento della durata, come le pose ricorrenti di un corpo che danza congelano il movimento in un determinato atteggiamento della figura, ogni posa richiama il movimento precedente e successivo senza rimandare a un'analogia di contenuto. Il ritmo è l'esempio più vivido del contatto psicosomatico, agisce direttamente sulla dimensione corporeo-sensibile e prepara lo slancio nell'ulteriore.

La musica esprime simbolicamente forme del sentire, ci presenta le emozioni grazie al suo isomorfismo con esse, per mantenerci sul tracciato della Langer, mantenendo quel suo carattere specifico di simulazione, di “come se”. La forma simbolica del musicale richiede sì il supporto di un terzo piano astrattivo di stilizzazione, il quale però a sua volta deve crescere sul terreno delle affinità strutturali con la vita emotiva.

Il terzo capitolo, dedicato a musica e tecnica, muove dalle tesi isomorfiche ispirate alle teorie della Langer (Sentimento e forma, 1965) che riguardano il «motivo come espediente organizzativo» (p. 112). La nozione di isomorfismo, che tanta sfortuna ha avuto nella storia del pensiero filosofico, viene legata a quella di meccanismo e formalizzazione le quali possono essere considerate tecniche agevolanti che presuppongono il coinvolgimento di piani d'esperienza diversi come l'esperienza pre-categoriale e il piano astratto del virtuale. Tale presupposto isomorfismo rappresenta forse uno dei punti più radicali delle teorie estetiche dell'autrice ma non va considerato ingenuamente poiché i piani rimangono sempre distinti, vi è cioè quella rottura del piano di immanenza necessaria perché sia possibile la distinzione tra un'emergenza e uno sfondo.

Il dibattito sul ruolo degli artifici tecnici nella musica ci insegna davvero molto a questo proposito. La musica ci mostra come sia falsa la contrapposizione tra tecnica e emozione e come la storica alternativa tra formalismo e romanticismo sia da rifiutare come un preconcetto. Estetica del sentimento e intervento disciplinante della materia del suono sono due aspetti perfettamente conciliabili e difficilmente scindibili nella pratica musicale, ma perché questa conciliazione sia pienamente ammissibile sul piano teorico oltre che su quello della prassi, è importante compiere uno scarto che ci allontani da una concezione tematica dell'espressione vicina ai processi rappresentativi a favore della nozione di intercettazione come contatto isomorfico maturata più consapevolmente nel Novecento.

Esiste un aspetto delle teorie di Adorno, un lato che la Vizzardelli definisce «sano» (p.117), che vede l'espressività come rinuncia alla rappresentazione e considera la mimesi come imitazione di un gesto, di un habitus e non di un significato. Espressione e mimesi non sono più distinte e l'opera d'arte, in particolare quella musicale, è frutto di un processo di imitazione come adozione del ritmo dell'alterità, un divenire affine dell'oggetto estetico rispetto a qualcosa di imposto dall'esterno. Questa è la sua salvezza dallo strapotere del soggetto che tanto impensierisce Adorno, il quale riabilita l'oggetto e il materiale sonoro sia nel momento creativo dell'opera sia nel momento ricettivo: con questo Adorno siamo davanti a una musica che fugge dalle polarità soggettive per rimanere ben salda all'interno di una dimensione immanente la quale deve essere rotta anche attraverso la riconsiderazione dell'apporto di una soggettività vista come come principio di assimilazione per intercettazione.

Fa parte di tutta la storia della musica contemporanea che gli artifici dell'arte non siano solo di carattere tecnico-retorico ma possano anche muovere da considerazioni tecnico-scientifiche, il problema sta nel come considerare questi artifici. Musica e scienza giocano quel «minimo di delinquenza e inganno che rende possibile il dialogo tra opposti» (p. 133), l'esperienza estetica non può di certo essere posta su un piano assiomatico, è possibile invece considerare le tecniche scientifiche come degli schemi che fungano da condizione agevolate di una conversione all'esperienza e all'intuizione. Il numero diventa così utilizzabile a favore di conversioni immaginative mantenendo una distinzione tra piani senza che si debba invocare la scienza a dimostrazione delle descrizioni dell'esperienza musicale: siamo di fronte a quella complessa serie di vicende artistiche che vede opporsi Xenakis, i serialisti, i compositori di musica concreta, Grisey e gli spettralisti. Il fatto che Xenaxis prefiguri la crisi del sistema seriale condannandone il formalismo tipico sulla base del fallimento del risultato percettivo dell'ascolto, ci dice molto anche del problema di Grisey di rendere udibile ciò che è insito nel processo di durata del sonoro: ciò che le sperimentazioni musicali come quelle di Xenakis e di Grisey ci insegnano è la pregnanza della nozione di meccanismo come espediente organizzativo, l'espediente tecnico funge infatti da meccanismo di intercettazione di impressioni percettive, immaginative ed emotive. Il passaggio tra l'ideazione e il piano estetico avviene facendo riferimento a una polarità soggettiva la quale compie la conversione attraverso il mezzo tecnico.

Arrivati a questo punto viene introdotta l'ultima nozione cardine che sottende questo lavoro a partire da alcune considerazioni di Xenakis sulla funzione del meccanismo. Xenakis come compositore e architetto ha tentato in qualche modo di seguire Bolzmann e Maxwell nell'applicazione della teoria cinetica dei gas al comportamento degli insiemi di suoni. Il risultato è stato un cambiamento di registro nella direzione di una descrizione in termini estetico-espressivi, interpretando le funzioni legate alla temperatura in termini di atmosfera sonora. In questo modo si sottrae alle interpretazioni percettivo-acustiche e psicofisiologiche e si mette in relazione fondamentale un fenomeno acustico con le tradizionali nozioni di ambiance e aura.

Alla fine del percorso, l'autrice concentra le sue ultime pagine sulle linee di un dibattito sorto in questi ultimi anni circa le caratteristiche e le possibilità di interpretare l'esperienza estetica attraverso la categoria di atmosfera: in un certo senso si tratta di leggere tutte le considerazioni fatte fino a ora alla luce di questa nozione o almeno di vederla in relazione inscindibile con le nozioni che sorreggono l'apparato concettuale di questo testo quali intercettazione, isomorfismo e tensione.

L'estetica delle atmosfere risponde all'esigenza di un cambiamento avvenuto nell'ultimo secolo della stessa natura di alcune domande filosofiche sorte in relazione a quesiti posti dalla musica, queste domande sono diventate “dov'è la musica?”, “dove siamo quando ascoltiamo?”; esse vertono sul dove e implicano una considerazione dell'attitudine spaziale dell'ascolto. La musica come arte temporale per eccellenza non viene di certo cancellata, ma ridimensionata alla luce delle considerazioni sulla connotazione spaziale dei suoni in quanto essi costituiscono una forma dello spazio non priva di riferimenti materiali connessi al corporeo.

Sono stati Böhme (Aisthetik. Vorlesungen über Ästhetik als allgemaine Wahrnehmungslehre, 2001 e Architektur und Atmosphäre, 2006) e Schmitz a occuparsi di definire lo statuto di questa nozione rispetto la quale si possono riscontrare delle affinità e differenze con le nozioni più datate di ambiance, Aura e Stimmung. La nozione di atmosfera permette di considerare i processi di espatrio del sentire come sentimenti liberi da implicazioni psicologizzanti, accade infatti che si emancipi il sentimento da un'interiorità regno delle decisioni arbitrarie del soggetto, richiamandosi a un'esperienza di dilatazione della sfera del sentire, in particolare dell'ascolto, vincolato alle strutture dei suoni, l'ascolto stesso è un andar fuori plasmato dai suoni. Le atmosfere sono «spazi sentiti» (p.154), spazi «che sentiamo a partire dalla percezione del nostro corpo, spazi centrati» (p.155) sul nostro corpo e, muovendo dalla sfera emotiva, sono «sentimenti effusi spazialmente, sentimenti quasi oggettivi» (p.154).

L'atmosfera in definitiva media tra le qualità oggettive di un ambiente e il nostro sentirci presenti in uno spazio. É ovvio come si stia descrivendo un concetto diverso di spazio da quello di topos aristotelico (luogo che non comporta misurazione) e spatium cartesiano (lo spazio misurabile) proprio perché si tratta di una spazialità sentita. Incontriamo, tuttavia, un sentimento che implica una distanza, perché dobbiamo muoverci dalla sensazione del nostro corpo, che non solo occupa ma costruisce uno spazio, mantenendo la polarità soggettiva e mondana proprio come polarità.

Alla luce delle considerazioni fatte finora possiamo considerare che attraverso la nozione di atmosfera rompiamo ancora una volta il piano di immanenza proprio perché le due dimensioni continuano a sussistere come tali ma entrando in stretto rapporto grazie all'attivazione delle strutture isomorfiche, senza le quali nessuna atmosfera sarebbe possibile; La nozione di atmosfera così come è stata esposta, intrattiene un rapporto privilegiato con le esperienze del sonoro, come la Vizzardelli tiene a sottolineare, lasciando intravvedere in essa una via privilegiata per una filosofia della musica in generale, ma anche per l'analisi delle esperienze multimediali che coinvolgano la musica assieme ad altre arti. In questa sede preferisce non indicare le possibili applicazioni analitiche alle problematiche specifiche del musicale per concentrarsi, invece, sul complesso rapporto tra musica e architettura. I parallelismi tra musica e architettura hanno una lunga storia, si tratta di delinearne gli isomorfismi. C'è un modo debole di descriverne le affinità il quale punta su somiglianze formali e di struttura (l'uso di proporzioni matematiche o l'assenza di un vincolo imitativo) senza che le due arti si incontrino effettivamente ma solo metaforicamente.

Esiste così anche un isomorfismo forte, che punta sull'appartenenza di entrambe allo spazio, uno spazio sensibile e atmosferico: lo spazio non è più qualcosa di dato (per l'architettura) o di estraneo (per la musica), ma diviene per entrambe una dimensione che viene plasmata attraverso una materia o addirittura creata. Dedicare un capitolo a parte alle teorie atmosferiche dimostra la sensibilità dell'autrice nei confronti di tematiche attuali, un'attenzione che si sposa con un'approfondita conoscenza critica dell'insieme del pensiero filosofico e musicale come dimostra, d'altronde, tutto il cammino compiuto all'interno del testo. Quest'ultima parte ha inoltre il sapore di un invito alla ricerca che rende questo testo, di per sé completo, un punto di partenza per indagini ulteriori in campi specifici e specialistici dell'estetica musicale. La presenza di categorie estetiche esplicitamente espresse e argomentate è indubbiamente un punto di forza di questo lavoro, permettono al lettore di confrontarsi criticamente con esse senza dare la sensazione che i termini del problema siano troppo vaghi e indefiniti per poter essere valutati criticamente.

Vorrei infatti suggerire alcuni spunti di riflessione proprio sulla base del denso apparato teorico che sostiene l'intero percorso del saggio. Stupisce, per certi versi, l'insistenza a voler sostituire e assorbire la nozione di espressione con quella di intercettazione, viene cioè da chiedersi se sia veramente necessario o se per certi casi si tratti di una forzatura e se vi sia una reale contrapposizione tra queste due nozioni. Credo che il punto stia nella concezione di “espressività” nel modo in cui viene intesa in questo lavoro. C'è una particolare insistenza sul carattere tematico come esposizione di una concettualità precostituita di valori estetici descrivibili indipendentemente dall'oggetto musicale che funge da meccanismo espressivo; lo abbiamo visto bene, ad esempio, seguendo il modello proposto dalla Nussbaum. Anche quando vengono presentate visioni alternative della nozione di “espressività”, come per Deleuze o Adorno, l'intento è sempre quello di superare la nozione stessa. Parlare di semanticità in musica senza un approdo esterno, testuale ad esempio, è un importante problema teorico che la nostra autrice si è già trovata ad affrontare nel suo lavoro sulla musica nel pensiero di Hegel (L'esitazione del senso. La musica nel pensiero di Hegel, 2000). Mi riferisco proprio a questo testo, per evidenziare un passaggio concettuale in cui i temi trattati dai due differenti lavori sembrano toccarsi da vicino.

Con lo scopo di presentare alcune concezioni della Romantik per sfatare il luogo comune della contrapposizione tra formalisti e romantici, la Vizzardelli si riferisce al pensiero di un autore contemporaneo come Meyer il quale, insieme a Dewey, è una fonte importante per lo sviluppo della concezione tensiva del rapporto tra emozione e significato in Filosofia della musica.

Ne L'esitazione del senso alcune riflessioni di Meyer sull'estetica dell'espressione in musica sembrano chiarire i termini del problema: «non necessariamente l'estetica dell'espressione porta con sé la valenza referenziale del contenuto. Ammettere come imprescindibile il bisogno che l'articolazione sonora si faccia significativa non vuol dire ricorrere all'appoggio di un orizzonte semantico extramusicale» (L'esitazione del senso, p. 26).

Solo se non si confonde l'espressività con la referenzialità è possibile l'incontro fecondo tra forma e contenuto in musica in modo tale che si possa pensare a «un'articolazione formale dei suoni come esperienza emotiva che produce senso» (ivi, p. 27). La Vizzardelli sottolinea immediatamente le assonanze con il discorso di Dewey con il quale si torna del territorio concettuale di un'estetica tensiva dove l'esperienza estetica come luogo di tensioni è «incremento dei sentimenti nella prospettiva del significato» (ivi, p. 28).

Tornando a Filosofia della musica riusciamo ora a comprendere meglio come una concezione non referenziale di espressività sembra essere la condizione senza la quale non le sarebbe possibile quella sorta di assorbimento e di inclusione dentro la nozione di intercettazione, così come dovremmo prospettarci. A questo punto si ha come l'impressione che la Vizzardelli intenda l'espressività come un sottoinsieme dell'insieme più grande della categoria “intercettazione”, la quale ha sicuramente un campo semantico più ampio ma, per essere possibile, necessita di intendere la sua sotto-categoria di “espressione” in senso non referenziale. Con questo schema, seppur riduttivo, diventa forse più chiaro come una reale contrapposizione tra le due categorie possa essere sostenuta solo da una lettura superficiale mentre una contrapposizione più sfumata sia insita nelle pieghe del testo.

Ciò che siamo osservando è come questa nuova categoria si stia nutrendo di una concezione genetica dell'espressività, assorbendone alcuni aspetti e aprendo alle possibilità di un simbolismo differente rispetto a quelli già considerati dell'autrice in modo polemico, prendendo spunto da una concezione che miri, ad esempio, a dare descrizioni e giustificazioni di un fenomeno a partire dall'esplicitazione delle sue dinamiche costitutive.

La rilevanza conferita alle teorie atmosferiche sembra muoversi proprio lungo questa linea. Uno degli aspetti fertili ispirati a questo tipo di indagine estetica sembrerebbe essere l'incontro con la nozione husserliana di sintesi passiva. Nelle Lezioni sulla sintesi passiva di Husserl possiamo infatti vedere il compiersi di una svolta nel pensiero di questo filosofo tale da favorire una maggior attenzione ai decorsi genetici nella teoria fenomenologica dell'associazione.

Un'estetica delle atmosfere letta alla luce di questa prospettiva potrebbe guadagnare una più salda fondazione teorico-filosofica e riuscire a trovare un punto d'approdo a quelle derive soggettivistiche che pure rischia e scongiura, trovando appiglio in quel lato oggettivo offerto da una teoria fenomenologica dell'associazione. Favorendo questo incontro all'insegna della scoperta di nuovi approcci che trattino il simbolico nell'arte acustica, si potrebbe, inoltre, arricchire lo stesso approccio fenomenologico depurandolo di certe rigidità insite nel pensiero del suo fondatore, a partire dalla diffidenza nei confronti del campo acustico considerato campo in senso improprio e per finire sulla più interessante tematica dell'affezione, la quale potrebbe essere indagata considerando la relazione che questa nozione intrattiene con la vita emotiva del soggetto, in un'accezione che Husserl tende a tematizzare poco, se non a escludere, e che invece interessa molto gli studi fenomenologici più recenti e la nozione stessa di atmosfera.

Siamo lontani da modalità dell'espressione dove il senso espresso è precostituito rispetto allo stesso gesto espressivo, se fosse davvero solo così la proposta dall'autrice del gesto di danza come immagine del ritmo, ad esempio, perderebbe parte della sua pregnanza. Le atmosfere sonore sembrano potersi facilmente modellare sulle tracce di questo tipo di espressività per percorrere la strada che conduce alla ricerca di possibilità e limiti della semanticità nel campo musicale inteso nel senso più ampio di campo acustico.

MIRIAM STALLONE

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