Giovanni Piana
Postilla ad una postilla : a proposito degli scritti minori di Adorno



In  un libro pubblicato nel 2005 e intitolato Da Weimar a Francoforte: Adorno e la cultura musicale degli anni Venti Francesco Peri ha la bontà di dedicare un paio di citazioni al mio saggio Considerazioni inattuali su Theodor Wiesengrund Adorno, pubblicato su “ Musica/Realtà” nel 1991. Desidero anzitutto ringraziare Francesco Peri per questa cortesia, anche se l'intenzione della citazione non è troppo cortese. Del resto io sono convinto, nonostante quello che qui si dice in apertura,  che sia sempre importante che vi sia discussione, anche vivace e poco conciliante, intorno alle cose della filosofia e della cultura, e che persino l'ironia non debba affatto essere esclusa: invece, la iattanza ed il disprezzo, sì. Fra le tante cose di cui Adorno fu Maestro, vi sono anche queste: iattanza e disprezzo. Esse non fanno parte del senso che io ho della cultura, dei dibattiti che avvengono e debbono avvenire in essa. Nella sua Postilla sugli scritti giovanili (di Adorno) annessa al volume citato il Peri scrive quanto segue:


«A che pro tutto questo?", domanderà ora qualcuno. Forse che Giovanni Piana, uno degli attuali protagonisti della filosofia musicale "con la F maggiore", non ha opposto per tempo un veto preventivo a qualsivoglia operazione del genere liquidando addirittura come un trucco logoro e sospetto la "tendenza a far valere un Adorno minore, un Adorno piccolo piccolo di fronte al mastodontico e protervo moralista della scuola di Vienna"(G. Piana, Considerazioni inattuali su Theodor Wiesengrund Adorno, in "Musica/Realtà", n. 39, 1992, p. 28). Se pure si volesse chiudere un occhio su toni lividi e su un linguaggio intransigente che non concilia granché la discussione - l'articolo del 1992 è quanto di più liquidatorio sia apparso in questo paese mai troppo avaro di stroncature -, resterebbe da chiedersi: forse che a Milano, come nel regno delle fate, le biblioteche raccolgono tomi inaccessibili ai mortali? Fatta eccezione per il benemerito libro di Arbo (A. Arbo, Dialettica della musica. Saggio su Adorno, Guerini, Milano 1991) e per un vecchio articolo di Gioacchino Lanza Tomasi (G. Lanza Tomasi, Adorno e i discepoli selvaggi. Un commento alla fortuna italiana degli scritti musicali di  Adorno, in A. Angelini (a cura di), Adorno in Italia, Siracusa, Ediprint, 1997) (i principali imputati), non vediamo infatti quale inveterata abitudine al commercio con l'Adorno di seconda scelta possa configurare non diciamo una tradizione, ma qualcosa come una consuetudine! Nessuno, forse, si è mai accontentato di navigare in un bicchier d'acqua galleggiando su tre, quattro comodi tascabili Einaudi? Sembrerebbe di no... Invece è vero precisamente il contrario, perché l'instaurazione di un dialogo costruttivo con l'Adorno "minore" (se vogliamo recintare la riserva) continua a rappresentare piuttosto un compito, e un compito urgente. Il volumetto di Alessandro Arbo, uno studioso cui va il merito di aver tenuto vivo il lumicino della critica adorniana anche negli anni più bui, è senz'altro da accogliere con gratitudine e sollievo, ma non fa che scalfire di un lascito critico e filosofico che rimane ancora tutto a scoprire. Certo, è senz'altro più comodo delegittimare l'operazione in quanto tale senza dilungarsi in noiosi particolari, eppure non ci sembra che la domanda "leggere o non leggere" possa essere oggetto di opinione. Fatta salva la sacrosanta libertà di ciascuno, decidere d'ufficio senza troppe storie quale parte di un'opera sia via e quale sia morta (nel caso del drastico Piana: quale morta e quale moribonda) non può e non deve essere ritenuto legittimo. Non sono queste opzioni da abbandonare all'arbitrio di un singolo, soprattutto se non particolarmente ben disposto.
Tanto più che decretare la damnatio memoriae ad una fetta della produzione adorniana che comunque quasi nessuno legge è una trouvaille degna di nomi illustri»

La citazione è un po' lunga ma è stato necessario proporla per intero al mio lettore, perché egli possa rendersi direttamente conto sia del tenore di scrittura dell'autore, sia del contenuto della critica che mi viene rivolta. Né sull'uno né sull'altro ho nulla da eccepire essendomi già espresso con chiarezza sulla questione sollevata ed  avendo questa mia postilla alla postilla di Peri il solo scopo di segnalare un'alternativa alle mie opinioni su Adorno e l'adornismo, che naturalmente trovarono a suo tempo ed evidentemente trovano tuttora - debbo ammettere: sempre più raramente -  aperti e franchi dissensi. Mi preme tuttavia sottolineare che nel mio saggio non vi è nemmeno l'ombra di un veto a fare o a dire alcunché: i veti furono messi dagli adorniani ad ogni livello, persino nella programmazione dei concerti ed in ambito editoriale: e un veto assai pesante nei miei confronti viene formulato anche in questo testo del Peri. Desidero inoltre segnalare che tra Alessandro Arbo e me vi è sempre stata amicizia e stima condivisa, che non è stata minimamente incrinata dalle nostre eventuali diverse opinioni su questo o quell'argomento.
Certo, non posso infine evitare di esprimere la mia estrefazione di fronte al fatto che uno studioso che ha quarant'anni meno di me, in questi  tempi così ricchi e così densi di pensieri e di attività musicali, si arrovelli ancora su Adorno e ne riproponga l'attualità quando io consideravo già inattuali le considerazioni svolte in quel mio articolo scritto poco meno di vent'anni fa; ma, come si dice, a ciascuno il suo destino.

Giovanni Piana
 

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