Livia Sguben

Leibniz e la moderna pratica musicale


Questo saggio è stato edito in "Pratica filosofica 7", numero monografico intitolato Prospettive nell'estetica del Settecento, CUEM, Milano 1995, pp. 83-88.

 
ritratto di Leibniz Le riflessioni di Leibniz sulla musica sono considerevoli e, per molti aspetti, originali, nonostante non siano raccolte in alcun testo specifico. Sono riflessioni intorno agli argomenti più all'avanguardia del tempo, ma che Leibniz affronta quasi marginalmente, per lo più in conversazioni epistolari con matematici e teorici.

 


Ancora giovanissimo, Leibniz si confronta con il teorico gesuita Kircher, discutendo con lui i fenomeni acustici sotto il profilo scientifico [1]. La questione del temperamento della scala musicale è affrontata con il matematico Henfling [2], e quella relativa alla percettibilità degli intervalli musicali è nella corrispondenza con Goldbach [3]. Sono tutti argomenti che denotano la profonda cultura teorico-musicale di Leibniz; un sapere che, tuttavia, sarebbe erroneo valutare prioritario rispetto ad una confidenza con la musica pratica che le stesse mansioni lavorative del filosofo imponevano. In qualità di bibliotecario e storico ufficiale presso la corte di Hannover, infatti, Leibniz forniva le necessarie consulenze per gli allestimenti degli spettacoli di corte. Aveva pertanto rapporti quotidiani con i musici (compositori come lo Steffani e l'Ariosti, cantanti), proponeva l'acquisto di musiche e partiture a stampa, ed era quindi costantemente informato sulla più recente produzione musicale. Partecipava, inoltre, in prima persona, alle questioni d'attualità musicale: si ricordi, per tutte, la posizione di Leibniz nella famosa querelle sull'opera di Amburgo.

La competenza pratica, o comunque l'interesse che Leibniz mostra per le caratteristiche della moderna pratica musicale, si uniscono al sapere teorico. Si fondono così due piani che la tradizione speculativa intorno agli argomenti musicali aveva sempre mantenuto ben distinti. Ciò conduce Leibniz in una ricerca originale che investe non solo le questioni più dibattute del tempo (quelle a cui prima s'accennava), ma anche tematiche di maggiore spessore; quelle che più hanno impegnato il filosofo nell'uso esemplificativo della musica: dal concetto di Armonia universale, al tema dell'espressione (del quale il processo percettivo fornisce un eccellente modello), fino al male, spesso esemplificato con il termine "dissonanza".

Accenneremo ora, brevemente, alle soluzioni leibniziane relative ai temi ricorrenti nella trattatistica coeva, per poi affrontare le questioni più importanti, quelle appunto che impiegano la musica come esempio, evidenziando come siano proprio le caratteristiche della nuova pratica seicentesca ad essere efficaci per questo scopo.

La concezione teorico-musicale barocca continua a dare molto rilievo al simbolismo del numero e alla teoria matematica delle proporzioni, nonostante i forti mutamenti che il clima intellettuale della nuova scienza instaura. Dal Benedetti ai due Galilei, fino a Cartesio, si evidenzia che la direttrice del secolo è empiristicamente orientata. La teoria del numero armonico sopravvive, ma non viene più considerata in termini astratti o mistici bensì sperimentali. In genere si cerca di dedurre fatti psicologici, come ad esempio il piacere che suscita la percezione di una consonanza, da fenomeni descritti in termini di proprietà meccaniche e geometriche dei corpi in moto. Sono ricerche che, pur rimanendo ancora lontane da una considerazione della musica concreta, hanno il merito di aver deposto un'ideale quanto ineffabile armonia delle sfere celesti. Il suono è ora un'entità fisica, scientificamente osservabile, e il teorico (con tutta la dignità riconosciuta al suo sapere) ne osserva le modalità di produzione, indaga le caratteristiche degli intervalli e classifica i diversi stili musicali. Insomma, ancora nel '600, il vero musicista è il teorico, e la differenza fra la musica che viene udita e quella scientificamente concepita è una differenza di valore.

È interessante invece osservare come in Leibniz il continuo riferimento alla effettiva udibilità dei suoni determini la sua stessa ricerca. A proposito dello spettro dei rapporti numerici alla base degli intervalli musicali, Leibniz osserva che quelli troppo complessi non possono essere percepiti dalla sensibilità umana come consonanze portatrici di piacere [4]. Gli intervalli accettabili, dunque, sono quelli fondati sui rapporti dei numeri primi (1, 2, 3, 5, o dei rispettivi multipli). Il problema della consonanza è posto quindi da Leibniz in termini concreti di osservabilità, e non di astratta proporzione, evidenziando come l'esigenza di sistemazione dei fenomeni descritti, si confronti sempre con una verifica sul piano della prassi, anche a costo di semplificazioni. Esemplare in questo senso è la questione del temperamento: confrontatosi con le teorie di Henfling, Sauver e Huygens, Leibniz risolve per il temperamento equabile, pur consapevole che questa soluzione sacrificava le esigenze di assoluta precisione teorica a favore delle necessità della musica pratica [5].

Per comprendere a fondo questa scelta (che appare quasi una scelta di carnpo, tra l'altro inusuale, considerando l'impostazione della trattatistica seicentesca), bisogna inquadrarla nei principi fondamentali del pensiero di Leibniz: nel principio di gradualità continuistica che caratterizza il suo sistema e nella visione organica dell'universo dominato dall'unità e dall'idea di relazione. I1 piano estetico sensibile, quello quindi del manifestarsi concreto, udibile, di una struttura musicale, comporta delle differenze dal piano della speculazione teorica o, più in generale, da quello della riflessione. Tuttavia non sono differenze d'essenza, non vi sono fratture incolmabili, ma di gradi espressivi.

La questione risulta molto chiara nella descrizione del processo percettivo. Secondo Leibniz, ascoltare la musica equivale alla nascosta attività aritmetica di un animo che non è consapevole di effettuare un calcolo, ma che ne percepisce il risultato in termini di piacevolezza [6]. Sicché il piacere musicale è la risultanza della struttura interna che caratterizza la composizione. Più precisamente, è l'accordo delle proporzioni numeriche che intessono questa struttura, e del modo in cui esse vengono ordinate[7]. Il piacere traduce sul piano sensoriale la perfezione di questi rapporti. Immediatamente, quindi, l'ascoltatore coglie, per via estetica, il manifestarsi di questa struttura, attraverso le cosiddette "piccole percezioni". Percezioni chiare nel senso che si avverte con certezza ed evidenza il piacere, ma confuse per quanto riguarda la capacità di distinzione degli elementi all'origine del piacere stesso. Giungere allora alla consapevolezza del piacere che produce la musica, significa cogliere il carattere complesso e relazionale della struttura compositiva Oggi si parlerebbe di "ascolto strutturale", ossia della capacità di cogliere e penetrare i diversi strati della composizione e comprenderne il ruolo. Ma questa capacità è già insita al piacere estetico, è già all'interno di questo piano espressivo che mostra la complessità dell'ordinamento compositivo e delle sue relazioni. Certo, è un mostrarsi che suscita passione (il piacere si subisce, si patisce). Tuttavia è da questo piano, un arnbito in cui la struttura è già completa e manifestata, che può sorgere un atteggiamento riflessivo. Il piacere estetico è suscettibile di miglioramento per quanto riguarda la capacità di distinzione degli elementi, e può quindi dar luogo ad un piacere di grado superiore, mentale, capace di cogliere la complessità dei rapporti e il loro interagire nella composizione. Questa differenza espressiva fra il piacere estetico e quello mentale, conduce necessariamente ad una diversa considerazione della musica pratica: dato che il numero agisce sempre, anche nel gioco delle percezioni (seppure a livello inconscio), crolla la necessità allegorica del riferimento ad una musica che non sia percepibile all'orecchio.

È con Leibniz che la secolare distinzione fra la musica humana e mundana, o fra la diversa dignità riconosciuta alla teoria musicale nei confronti della prassi, non ha più ragione d'essere. Non stupisce, quindi, che Leibniz impieghi spesso termini musicali per esemplificare i concetti fondamentali dei suo pensiero. La musica, infatti, è un riferimento privilegiato per spiegare il concetto di Armonia, come unità nella varietà, come riconduzione del molteplice e del diverso al più pieno accordo. L'Armonia, quindi, esprime una relazione fra elementi eterogenei, contempla in sé la pluralità; lo stesso male, o spiacevole, occorre in quanto elemento finalizzato alla realizzazione dell'Armonia stessa. Ed è sorprendente notare la puntualità esemplificativa non solo dei termini musicali, ma di un'intera modalità compositiva: quella nuova pratica musicale che andava affermandosi e definendosi come "moderna" lungo il XVII secolo. L'Armonia, così come viene definita da Leibniz nel suo sistema, sembra davvero porsi come principio ordinatore alla base del moderno sistema compositivo barocco, delle nuove funzioni armoniche, e delle forme musicali.

Alcuni esempi: il male, nel sistema di Leibniz, propriamente parlando non esiste. Corrisponde ad un punto di vista particolare, è una sorta di deformazione prospettica, incapace di considerare la realtà in modo sufficientemente comprensivo, vale a dire in grado di cogliere la molteplicità delle relazioni in un contesto unitario. La musica strumentale seicentesca, soprattutto nei paesi di lingua e cultura tedesca, può ben esemplificare questo concetto di male "irrisolto", chiuso sul piano dei gradi espressivi della monade, con la nozione di libera dissonanza irrisolta. Si pensi, per esempio, alla "Battalia" di Biber, in cui l'intenzione descrittiva dell'autore permette l'invenzione di un episodio (il secondo), in cui le voci non intonano, bensì strillano contemporaneamente canti diversi. È un episodio dissonante, terribilmente sgradevole, in cui l'incontro volutamente difforme di linee melodiche che vengono lasciate nella loro differenza, suggerisce un clima di distorsione, attento anche al difforme, tipico del gusto barocco. E' sempre la prassi musicale del tempo a suggerire sul piano artistico, l'idea leibniziana di realtà ampia, ricca di relazioni. Relazioni intuite e sperimentate che offrono visioni inconsuete, che giocano sul moltiplicarsi dei punti di vista spostando i punti di fuga prospettici. Vogliamo considerare in quest'ottica la "scordatura". Questa tecnica indica un'accordatura diversa degli strumenti ad arco[8], e contempla in sé tutte le possibili sperimentazioni, anche quelle più inusitate sul piano timbrico e tecnico, grazie al capovolgimento, tutto barocco, delle normali prospettive e principi di costruzione. È la rappresentazione dell'altro, del diverso, di ciò che non viene risolto o ridotto, ma mantenuto nella sua differenza. Un discorso simile vale per l'uso di libere dissonanze non risolte. Si pensi alla "Battalia" e quel clima di deformazione a cui prima s'accennava.

Invece la dissonanza che risolve sulla consonanza è lo spiacevole che tende alla risoluzione. Usando termini leibniziani, è il male che occorre alla realizzazione dell'Armonia. Rappresenta, quindi, un grado espressivo più elevato, proprio perché coglie il carattere attivo e relazionale dell'Armonia, e l'Armonia non si coglie in modo istantaneo, ma nella continuità.

Musicalmente il concetto di relazione si afferma con il definirsi delle nuove funzioni armoniche del sistema tonale. La gerarchizzazione dei suoni della scala e degli accordi che su di essi si possono costruire, permette l'esplicitazione di significati e valenze espressive. Il brano tonale classico si fonda su un giro armonico preciso (I – IV/II – V/VII – I), che conferisce alla composizione un senso costruttivo basato sulla relazione fra staticità-tensione e risoluzione. Così le dissonanze perdono un po' del carattere espressivo, del pathos, che avevano nella polifonia cinquecentesca, per assumere un valore funzionale a questa nuova logica: la dissonanza deve essere adeguatamente preparata e risolvere sulla consonanza. Sono accordi che significano nel loro dinamico rapportarsi, in un movimento di tensione e risoluzione. In questo senso cogliere l'armonia è un fatto di continuità e non d'istantaneità. La percezione della moderna musica tonale si espleta in una dimensione temporale di continuità. Anche dal punto di vista metrico e ritmico, le forme musicali seicentesche (soprattutto le danze), esaltano l'idea di relazione. Sorge una concezione del tempo basata sul principio di accentuazione, e sul movirnento temporalmente orientato. I periodi tendono alla simmetria, configurandosi spesso come domanda e risposta. Si vengono così a creare, sul piano percettivo, delle aspettative relative al futuro, a qualcosa che non si dà istantaneamente, ma nella continuità. L'armonia musicale, quindi, è costitutivamente la risultanza di più componenti, risultanza che anzitutto si manifesta nel tempo e nella relazione.

Ancora più significativa in questo senso e per il riferimento all'idea leibniziana di Armonia universale, che ha guidato le nostre riflessioni, è la nascita della forma del concerto. I1 termine concerto non indica all'origine una forma precisa (come invece si definirà sul finire del secolo nelle forme del concerto grosso e solista), ma in generale un'aggregazione armoniosa, un gruppo numerico e ben accordato di voci e strumenti. Il concerto è sinonimo di "concento", e traduce sul piano percettivo l'idea di Armonia. L'essenza del concerto-concento è l'accordo dei molti in uno. È interessante allora sapere che, all'origine, "il concerto più perfetto, secondo il modello che si credeva angelico, è quello che risulta dall'accordo o alternanza fra uguali. Questo, naturalmente, si verifica solo al vertice della liturgia, nella salmodia monastico-canonica a due semicori alla quale appunto è affidato il compito di instaurare in terra la spiritualità della aequalitas[9].

Ai primordi del concerto, anche il coro musicale comincia con una divisione in due cori spezzati che richiamano l'uguaglianza dei semicori canonici. Ma fuori dal coro canonico, l'uguaglianza si vena subito di varietà. L'interesse alla vicenda dei due gruppi porta rapidamente a fare del coro spezzato due cori veri e propri, e dal sobrio principio dell'alternanza si passa ad una crescente varietà di effetti, di combinazioni sintattiche e timbriche. Ed è a questo punto che emerge l'altra componente del concerto, quella che deriva dal latino con-certare, ovvero lottare insieme, gareggiare, che presuppone addirittura l'idea di opposizione. Fra questi elementi è necessario trovare una relazione che armonizzi il contrasto, non che lo annulli o lo dissolva. L'eterogeneità iniziale va concertata secondo regole e ordine. Questo pluralismo, musicalmente investe sia l'organico strumentale che lo stile, riguarda il rapporto "fra voce e strumenti, solisti con ripienisti, un coro con un altro, ma anche uno stile di canto con un altro, uno stile strumentale di sapore danzereccio con un segmento di recitativo o un episodio madrigalesco"[10].

Si pensi, per concludere, al Monteverdi della "Selva morale e spirituale", un vero compendio delle tendenze stilistiche dell'epoca. In quest'epoca confluiscono, in testi di destinazione liturgica, stili originariamente da camera (il madrigale) e d'opera (monodie accompagnate). I procedimenti imitativi sono variamente concertati, nel duplice senso del "concento" (unità nella varietà) e del concerto (mantenimento del contrasto) con effetti di straordinaria efficacia e magnificenza sonora davvero barocchi. Il concerto è una forma costitutivamente plurima, discontinua e composita. Caratteristiche senz'altro adeguate per gli scopi esemplificativi di Leibniz, ma che potrebbero aver funzionato anche come motivi d'ispirazione per quei concetti che il filosofo andava maturando.


Note

[1] P. Friedländer, Athanasius Kircher und Leibniz. Ein Beitrag zur Geschichte der Polyhistorie in XVII Jahrhundert, in "Atti della Pontificio Accademia romana di archeologia - sez. B: rendiconti". freccia

[2] Leibniz a Conrad Henfling, in Der Briefwechsel zwischen Leibniz und Conrad Henfling, a cura di R. Haase, Klostermann, Frankfurt a M. 1982 (BLH). freccia

[3] Leibniz a Chirstian Goldbach, Hannover, 6.10.1712, pp. 242-243, Epistolae ad diversos, a cura di C. Kortholt, Breitkopt, Leipzig 1738-1742. freccia

[4] A. Luppi, Lo specchio dell'Armonia Universale, Estetica e musica in Leibniz, Franco Angeli, Milano, 1989, p. 88. freccia

[5] "Ayant consideré un jour et examiné par les Logarithmes l'ancienne division de l'octave en 12 parties egales qu'Aristoxene suivoit deja; et ayant remarqué combien ces intervalles egalement pris approchent des plus utiles de ceux de l'echelle ordinaire; j'ay cru que pour l'ordinaire on pourroit s'y tenir dans la practique; et quoyque les Musiciens et les oreilles delicates y trouveront quelque defaut sensible, presque tous les auditeurs n'en trouveront point, et en seront charmés". Leibniz a Conrad Henfling, aprile 1709, in BLH, p. 147. freccia

[6] "La Musique nous charme, quyoque sa beauté ne consiste que dans la convenance des nombres, et dans le compte dont nous ne nous appercevons pas, et que l'ame ne laisse pas de faire, des battemens ou vibrations des corps sonans, qui se recontrent par certains intervalles. Les plaisirs que la vue trouve dans les proportions, sont de la meme nature; et ceux qui causent les autres sens, reviendront à quelque chose de semblable, quoyque nous ne puissons pas l'expliquer si distinctement". In Die Philosophischen Schriften von G.W. Leibniz, a cura di C.I. Gehrard, W. Lorenz, Leipzig 1932 (GP) 6., pp. 605-606. freccia

[7] "Tutto quello che risuona ha in sé una specie di fremito o di movimento in qua e in là, come si nota negli strumenti a corda; e così tutto quanto risuona, produce dei battiti impercettibili; quando tutto questo non procede in modo confuso, bensi in maniera ordinata e si combina secondo determinate alternanze, risulta piacevole". Frammento E (preparatorio per la Scientia Generalis) in GP 7°, pp. 86-87. freccia

[8] Heinrich Ignaz Franz Biber, Die Rosenkranz Sonaten , 15 Mysterien aus dem Leben Mariae, 15 Sonate e Passacaglia per violino e continuo (c.a 1676). freccia

[9] G. Stefani, Musica barocca. Poetica e ideologia, Studi Bompiani, Milano 1974, p. 80. freccia

[10] L. Bianconi, Il Seicento, EDT 5, Torino 1991, p. 37. freccia

 

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