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Livia Sguben |
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Leibniz e la moderna pratica musicale |

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Le riflessioni di Leibniz sulla musica sono considerevoli e, per molti aspetti,
originali, nonostante non siano raccolte in alcun testo specifico. Sono riflessioni
intorno agli argomenti più all'avanguardia del tempo, ma che Leibniz affronta
quasi marginalmente, per lo più in conversazioni epistolari con matematici
e teorici. |
Ancora giovanissimo, Leibniz si confronta con il teorico gesuita Kircher, discutendo
con lui i fenomeni acustici sotto il profilo scientifico [1].
La questione del temperamento della scala musicale è affrontata con il matematico
Henfling [2], e quella relativa alla percettibilità
degli intervalli musicali è nella corrispondenza con Goldbach [3].
Sono tutti argomenti che denotano la profonda cultura teorico-musicale di Leibniz;
un sapere che, tuttavia, sarebbe erroneo valutare prioritario rispetto ad una confidenza
con la musica pratica che le stesse mansioni lavorative del filosofo imponevano.
In qualità di bibliotecario e storico ufficiale presso la corte di Hannover,
infatti, Leibniz forniva le necessarie consulenze per gli allestimenti degli spettacoli
di corte. Aveva pertanto rapporti quotidiani con i musici (compositori come lo Steffani
e l'Ariosti, cantanti), proponeva l'acquisto di musiche e partiture a stampa, ed
era quindi costantemente informato sulla più recente produzione musicale.
Partecipava, inoltre, in prima persona, alle questioni d'attualità musicale:
si ricordi, per tutte, la posizione di Leibniz nella famosa querelle sull'opera
di Amburgo.
La competenza pratica, o comunque l'interesse che Leibniz mostra per le caratteristiche
della moderna pratica musicale, si uniscono al sapere teorico. Si fondono così
due piani che la tradizione speculativa intorno agli argomenti musicali aveva sempre
mantenuto ben distinti. Ciò conduce Leibniz in una ricerca originale che
investe non solo le questioni più dibattute del tempo (quelle a cui prima
s'accennava), ma anche tematiche di maggiore spessore; quelle che più hanno
impegnato il filosofo nell'uso esemplificativo della musica: dal concetto di Armonia
universale, al tema dell'espressione (del quale il processo percettivo fornisce
un eccellente modello), fino al male, spesso esemplificato con il termine "dissonanza".
Accenneremo ora, brevemente, alle soluzioni leibniziane
relative ai temi ricorrenti nella trattatistica coeva, per poi affrontare le questioni
più importanti, quelle appunto che impiegano la musica come esempio, evidenziando
come siano proprio le caratteristiche della nuova pratica seicentesca ad essere
efficaci per questo scopo.
La concezione teorico-musicale barocca continua a dare molto rilievo al simbolismo
del numero e alla teoria matematica delle proporzioni, nonostante i forti mutamenti
che il clima intellettuale della nuova scienza instaura. Dal Benedetti ai due Galilei,
fino a Cartesio, si evidenzia che la direttrice del secolo è empiristicamente
orientata. La teoria del numero armonico sopravvive, ma non viene più considerata
in termini astratti o mistici bensì sperimentali. In genere si cerca di dedurre
fatti psicologici, come ad esempio il piacere che suscita la percezione di una consonanza,
da fenomeni descritti in termini di proprietà meccaniche e geometriche dei
corpi in moto. Sono ricerche che, pur rimanendo ancora lontane da una considerazione
della musica concreta, hanno il merito di aver deposto un'ideale quanto ineffabile
armonia delle sfere celesti. Il suono è ora un'entità fisica, scientificamente
osservabile, e il teorico (con tutta la dignità riconosciuta al suo sapere)
ne osserva le modalità di produzione, indaga le caratteristiche degli intervalli
e classifica i diversi stili musicali. Insomma, ancora nel '600, il vero musicista
è il teorico, e la differenza fra la musica che viene udita e quella scientificamente
concepita è una differenza di valore.
È interessante invece osservare come in Leibniz il continuo riferimento
alla effettiva udibilità dei suoni determini la sua stessa ricerca. A proposito
dello spettro dei rapporti numerici alla base degli intervalli musicali, Leibniz
osserva che quelli troppo complessi non possono essere percepiti dalla sensibilità
umana come consonanze portatrici di piacere [4].
Gli intervalli accettabili, dunque, sono quelli fondati sui rapporti dei numeri
primi (1, 2, 3, 5, o dei rispettivi multipli). Il problema della consonanza è
posto quindi da Leibniz in termini concreti di osservabilità, e non di astratta
proporzione, evidenziando come l'esigenza di sistemazione dei fenomeni descritti,
si confronti sempre con una verifica sul piano della prassi, anche a costo di semplificazioni.
Esemplare in questo senso è la questione del temperamento: confrontatosi
con le teorie di Henfling, Sauver e Huygens, Leibniz risolve per il temperamento
equabile, pur consapevole che questa soluzione sacrificava le esigenze di assoluta
precisione teorica a favore delle necessità della musica pratica [5].
Per comprendere a fondo questa scelta (che appare
quasi una scelta di carnpo, tra l'altro inusuale, considerando l'impostazione della
trattatistica seicentesca), bisogna inquadrarla nei principi fondamentali del pensiero
di Leibniz: nel principio di gradualità continuistica che caratterizza il
suo sistema e nella visione organica dell'universo dominato dall'unità e
dall'idea di relazione. I1 piano estetico sensibile, quello quindi del manifestarsi
concreto, udibile, di una struttura musicale, comporta delle differenze dal piano
della speculazione teorica o, più in generale, da quello della riflessione.
Tuttavia non sono differenze d'essenza, non vi sono fratture incolmabili, ma di
gradi espressivi.
La questione risulta molto chiara nella descrizione del processo percettivo.
Secondo Leibniz, ascoltare la musica equivale alla nascosta attività aritmetica
di un animo che non è consapevole di effettuare un calcolo, ma che ne percepisce
il risultato in termini di piacevolezza [6].
Sicché il piacere musicale è la risultanza della struttura interna
che caratterizza la composizione. Più precisamente, è l'accordo delle
proporzioni numeriche che intessono questa struttura, e del modo in cui esse vengono
ordinate[7]. Il piacere traduce sul piano sensoriale
la perfezione di questi rapporti. Immediatamente, quindi, l'ascoltatore coglie,
per via estetica, il manifestarsi di questa struttura, attraverso le cosiddette "piccole
percezioni". Percezioni chiare nel senso che si avverte con certezza ed evidenza
il piacere, ma confuse per quanto riguarda la capacità di distinzione degli
elementi all'origine del piacere stesso. Giungere allora alla consapevolezza del
piacere che produce la musica, significa cogliere il carattere complesso e relazionale
della struttura compositiva Oggi si parlerebbe di "ascolto strutturale",
ossia della capacità di cogliere e penetrare i diversi strati della composizione
e comprenderne il ruolo. Ma questa capacità è già insita al
piacere estetico, è già all'interno di questo piano espressivo che
mostra la complessità dell'ordinamento compositivo e delle sue relazioni.
Certo, è un mostrarsi che suscita passione (il piacere si subisce, si patisce).
Tuttavia è da questo piano, un arnbito in cui la struttura è già
completa e manifestata, che può sorgere un atteggiamento riflessivo. Il piacere
estetico è suscettibile di miglioramento per quanto riguarda la capacità
di distinzione degli elementi, e può quindi dar luogo ad un piacere di grado
superiore, mentale, capace di cogliere la complessità dei rapporti e il loro
interagire nella composizione. Questa differenza espressiva fra il piacere estetico
e quello mentale, conduce necessariamente ad una diversa considerazione della musica
pratica: dato che il numero agisce sempre, anche nel gioco delle percezioni (seppure
a livello inconscio), crolla la necessità allegorica del riferimento ad una
musica che non sia percepibile all'orecchio.
È con Leibniz che la secolare distinzione fra la musica humana e
mundana, o fra la diversa dignità riconosciuta alla teoria musicale
nei confronti della prassi, non ha più ragione d'essere. Non stupisce, quindi,
che Leibniz impieghi spesso termini musicali per esemplificare i concetti fondamentali
dei suo pensiero. La musica, infatti, è un riferimento privilegiato per spiegare
il concetto di Armonia, come unità nella varietà, come riconduzione
del molteplice e del diverso al più pieno accordo. L'Armonia, quindi, esprime
una relazione fra elementi eterogenei, contempla in sé la pluralità;
lo stesso male, o spiacevole, occorre in quanto elemento finalizzato alla realizzazione
dell'Armonia stessa. Ed è sorprendente notare la puntualità esemplificativa
non solo dei termini musicali, ma di un'intera modalità compositiva: quella
nuova pratica musicale che andava affermandosi e definendosi come "moderna"
lungo il XVII secolo. L'Armonia, così come viene definita da Leibniz nel
suo sistema, sembra davvero porsi come principio ordinatore alla base del moderno
sistema compositivo barocco, delle nuove funzioni armoniche, e delle forme musicali.
Alcuni esempi: il male, nel sistema di Leibniz,
propriamente parlando non esiste. Corrisponde ad un punto di vista particolare,
è una sorta di deformazione prospettica, incapace di considerare la realtà
in modo sufficientemente comprensivo, vale a dire in grado di cogliere la molteplicità
delle relazioni in un contesto unitario. La musica strumentale seicentesca, soprattutto
nei paesi di lingua e cultura tedesca, può ben esemplificare questo concetto
di male "irrisolto", chiuso sul piano dei gradi espressivi della monade,
con la nozione di libera dissonanza irrisolta. Si pensi, per esempio, alla "Battalia"
di Biber, in cui l'intenzione descrittiva dell'autore permette l'invenzione di un
episodio (il secondo), in cui le voci non intonano, bensì strillano contemporaneamente
canti diversi. È un episodio dissonante, terribilmente sgradevole, in cui
l'incontro volutamente difforme di linee melodiche che vengono lasciate nella loro
differenza, suggerisce un clima di distorsione, attento anche al difforme, tipico
del gusto barocco. E' sempre la prassi musicale del tempo a suggerire sul piano
artistico, l'idea leibniziana di realtà ampia, ricca di relazioni. Relazioni
intuite e sperimentate che offrono visioni inconsuete, che giocano sul moltiplicarsi
dei punti di vista spostando i punti di fuga prospettici. Vogliamo considerare in
quest'ottica la "scordatura". Questa tecnica indica un'accordatura diversa
degli strumenti ad arco[8], e contempla in sé
tutte le possibili sperimentazioni, anche quelle più inusitate sul piano
timbrico e tecnico, grazie al capovolgimento, tutto barocco, delle normali prospettive
e principi di costruzione. È la rappresentazione dell'altro, del diverso,
di ciò che non viene risolto o ridotto, ma mantenuto nella sua differenza.
Un discorso simile vale per l'uso di libere dissonanze non risolte. Si pensi alla
"Battalia" e quel clima di deformazione a cui prima s'accennava.
Invece la dissonanza che risolve sulla consonanza è lo spiacevole che
tende alla risoluzione. Usando termini leibniziani, è il male che occorre
alla realizzazione dell'Armonia. Rappresenta, quindi, un grado espressivo più
elevato, proprio perché coglie il carattere attivo e relazionale dell'Armonia,
e l'Armonia non si coglie in modo istantaneo, ma nella continuità.
Musicalmente il concetto di relazione si afferma con il definirsi delle nuove
funzioni armoniche del sistema tonale. La gerarchizzazione dei suoni della scala
e degli accordi che su di essi si possono costruire, permette l'esplicitazione di
significati e valenze espressive. Il brano tonale classico si fonda su un giro armonico
preciso (I IV/II V/VII I), che conferisce alla composizione
un senso costruttivo basato sulla relazione fra staticità-tensione e risoluzione.
Così le dissonanze perdono un po' del carattere espressivo, del pathos, che
avevano nella polifonia cinquecentesca, per assumere un valore funzionale a questa
nuova logica: la dissonanza deve essere adeguatamente preparata e risolvere sulla
consonanza. Sono accordi che significano nel loro dinamico rapportarsi, in un movimento
di tensione e risoluzione. In questo senso cogliere l'armonia è un fatto
di continuità e non d'istantaneità. La percezione della moderna musica
tonale si espleta in una dimensione temporale di continuità. Anche dal punto
di vista metrico e ritmico, le forme musicali seicentesche (soprattutto le danze),
esaltano l'idea di relazione. Sorge una concezione del tempo basata sul principio
di accentuazione, e sul movirnento temporalmente orientato. I periodi tendono alla
simmetria, configurandosi spesso come domanda e risposta. Si vengono così
a creare, sul piano percettivo, delle aspettative relative al futuro, a qualcosa
che non si dà istantaneamente, ma nella continuità. L'armonia musicale,
quindi, è costitutivamente la risultanza di più componenti, risultanza
che anzitutto si manifesta nel tempo e nella relazione.
Ancora più significativa in questo senso e per il riferimento all'idea
leibniziana di Armonia universale, che ha guidato le nostre riflessioni, è
la nascita della forma del concerto. I1 termine concerto non indica all'origine
una forma precisa (come invece si definirà sul finire del secolo nelle forme
del concerto grosso e solista), ma in generale un'aggregazione armoniosa, un gruppo
numerico e ben accordato di voci e strumenti. Il concerto è sinonimo di "concento",
e traduce sul piano percettivo l'idea di Armonia. L'essenza del concerto-concento
è l'accordo dei molti in uno. È interessante allora sapere che, all'origine,
"il concerto più perfetto, secondo il modello che si credeva angelico,
è quello che risulta dall'accordo o alternanza fra uguali. Questo, naturalmente,
si verifica solo al vertice della liturgia, nella salmodia monastico-canonica a
due semicori alla quale appunto è affidato il compito di instaurare in terra
la spiritualità della aequalitas[9].
Ai primordi del concerto, anche il coro musicale comincia con una divisione in
due cori spezzati che richiamano l'uguaglianza dei semicori canonici. Ma fuori dal
coro canonico, l'uguaglianza si vena subito di varietà. L'interesse alla
vicenda dei due gruppi porta rapidamente a fare del coro spezzato due cori veri e
propri, e dal sobrio principio dell'alternanza si passa ad una crescente varietà
di effetti, di combinazioni sintattiche e timbriche. Ed è a questo punto
che emerge l'altra componente del concerto, quella che deriva dal latino con-certare,
ovvero lottare insieme, gareggiare, che presuppone addirittura l'idea di opposizione.
Fra questi elementi è necessario trovare una relazione che armonizzi il contrasto,
non che lo annulli o lo dissolva. L'eterogeneità iniziale va concertata secondo
regole e ordine. Questo pluralismo, musicalmente investe sia l'organico strumentale
che lo stile, riguarda il rapporto "fra voce e strumenti, solisti con ripienisti,
un coro con un altro, ma anche uno stile di canto con un altro, uno stile strumentale
di sapore danzereccio con un segmento di recitativo o un episodio madrigalesco"[10].
Si pensi, per concludere, al Monteverdi della "Selva morale e spirituale",
un vero compendio delle tendenze stilistiche dell'epoca. In quest'epoca confluiscono,
in testi di destinazione liturgica, stili originariamente da camera (il madrigale)
e d'opera (monodie accompagnate). I procedimenti imitativi sono variamente concertati,
nel duplice senso del "concento" (unità nella varietà) e
del concerto (mantenimento del contrasto) con effetti di straordinaria efficacia
e magnificenza sonora davvero barocchi. Il concerto è una forma costitutivamente
plurima, discontinua e composita. Caratteristiche senz'altro adeguate per gli scopi
esemplificativi di Leibniz, ma che potrebbero aver funzionato anche come motivi
d'ispirazione per quei concetti che il filosofo andava maturando.
Note
[1] P. Friedländer, Athanasius Kircher und Leibniz. Ein
Beitrag zur Geschichte der Polyhistorie in 17° Jahrhundert, in "Atti
della Pontificio Accademia romana di archeologia - sez. B: rendiconti". 
[2] Leibniz a Conrad Henfling, in Der Briefwechsel zwischen
Leibniz und Conrad Henfling, a cura di R. Haase, Klostermann, Frankfurt a M.
1982 (BLH). 
[3] Leibniz a Chirstian Goldbach, Hannover, 6.10.1712, pp. 242-243,
Epistolae ad diversos, a cura di C. Kortholt, Breitkopt, Leipzig 1738-1742.

[4] A. Luppi, Lo specchio dell'Armonia Universale, Estetica
e musica in Leibniz, Franco Angeli, Milano, 1989, p. 88. 
[5] "Ayant consideré un jour et examiné par
les Logarithmes l'ancienne division de l'octave en 12 parties egales qu'Aristoxene
suivoit deja; et ayant remarqué combien ces intervalles egalement pris approchent
des plus utiles de ceux de l'echelle ordinaire; j'ay cru que pour l'ordinaire on
pourroit s'y tenir dans la practique; et quoyque les Musiciens et les oreilles delicates
y trouveront quelque defaut sensible, presque tous les auditeurs n'en trouveront
point, et en seront charmés". Leibniz a Conrad Henfling, aprile 1709,
in BLH, p. 147.

[6] "La Musique nous charme, quyoque sa beauté
ne consiste que dans la convenance des nombres, et dans le compte dont nous ne nous
appercevons pas, et que l'ame ne laisse pas de faire, des battemens ou vibrations
des corps sonans, qui se recontrent par certains intervalles. Les plaisirs que la
vue trouve dans les proportions, sont de la meme nature; et ceux qui causent les
autres sens, reviendront à quelque chose de semblable, quoyque nous ne puissons
pas l'expliquer si distinctement". In Die Philosophischen Schriften von
G.W. Leibniz, a cura di C.I. Gehrard, W. Lorenz, Leipzig 1932 (GP) 6.,
pp. 605-606.

[7] "Tutto quello che risuona ha in sé una specie
di fremito o di movimento in qua e in là, come si nota negli strumenti a
corda; e così tutto quanto risuona, produce dei battiti impercettibili; quando
tutto questo non procede in modo confuso, bensi in maniera ordinata e si combina
secondo determinate alternanze, risulta piacevole". Frammento E (preparatorio
per la Scientia Generalis) in GP 7°, pp. 86-87. 
[8] Heinrich Ignaz Franz Biber, Die Rosenkranz Sonaten
, 15 Mysterien aus dem Leben Mariae, 15 Sonate e Passacaglia per violino e continuo
(c.a 1676). 
[9] G. Stefani, Musica barocca. Poetica e ideologia, Studi
Bompiani, Milano 1974, p. 80. 
[10] L. Bianconi, Il Seicento, EDT 5, Torino 1991, p.
37. 
Questo
saggio è stato edito in "Pratica filosofica 7", numero monografico
intitolato Prospettive nell'estetica del Settecento, CUEM, Milano 1995, pp.
83-88.
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