Annie Bélis
Le "nuances" nel Trattato di Armonica di Aristosseno di Taranto


A. Bélis, Les "nuances" dans le traité d'Harmonique d'Aristoxène de Tarente

"Revue des Etudes grecques", 95, 1982, 54-73"
Traduzione di Matilde Battistini


Introduzione

Le Chroai o Chroiai sono, nella teoria armonica greca, le diverse varianti che ogni genere ammette per la posizione delle due note interne mobili del tetracordo: la lichanos e la parhypate. I musicografi ammettono tre generi (enarmonico, cromatico e diatonico) e, in generale, sei "nuances" o, se si vuole tradurre con più esattezza il termine greco, sei "colorazioni"[1]. Aristosseno di Taranto, autore del più antico Trattato d'armonia che ci sia pervenuto in buono stato, è anche il primo ad aver introdotto in musica la nozione di genere (génos) e il primo ad averne fissato le specie[2]: le colorazioni. È noto che Aristosseno costruisce un sistema musicale i cui principi e il cui metodo si oppongono a quelli dei Pitagorici. Ora, lo sforzo dei Pitagorici (in particolar modo di Filolao e di Archita) consisteva nella definizione dei rapporti numerici degli intervalli di quarta, di quinta, d'ottava e di tono (differenza tra la quinta e la quarta), ma non nel calcolo degli intervalli di un tetracordo di riferimento, colorazione per colorazione, genere per genere: in effetti, essi lasciavano ai musicisti empirici, a coloro che si affidavano al loro orecchio - una cura inutile, visto che non riguardava gli intervalli sopra elencati[3].

Ma il calcolo delle sfumature non è in contraddizione con le teorie dello stesso Aristosseno che rimprovera ai maestri di musica di regolarsi sugli strumenti ed ai Pitagorici di procedere per calcoli? Come definisce Aristosseno le "colorazioni"? In che cosa egli resta fedele ai suoi principi e al suo metodo nella determinazione delle sei colorazioni?

Il Trattato d'armonia esamina in due riprese la questione delle colorazioni dei tre generi; una prima volta, nel libro I (Meibom, 21.32) sotto la denominazione di [differenze dei generi], la seconda volta nel libro II, [divisione del tetracordo] (Meibom, 46.20). Perché ritornare due volte sullo stesso soggetto? Si tratta di una ripetizione pura e semplice, o è il metodo espositivo che si rinnova?

I
Prima esposizione (Meib. 21.32-27.14)

I commentatori non hanno l'abitudine di considerare questo lungo testo nella sua interezza, ma si limitano solamente al particolare delle "colorazioni" (Meib. 24.15-26.14). Ora, sembra indispensabile comprendere sino in fondo il percorso d'insieme che conduce Aristosseno al suo calcolo, così come alle conclusioni che ne trae; in breve, avere una visione generale delle sue dimostrazioni.

In questo libro I, egli cerca di determinare "da dove ed in che modo nascano le differenze di genere",[4]. Per prima cosa egli constata che il primo degli intervalli consonanti comprende quattro suoni in cui i suoni mobili e i suoni fissi sono in ugual numero, qualunque sia il genere. Egli sceglie di prendere per tetracordo di riferimento quello che va dalla mese all'hypate.

Perché questa scelta? Aristosseno apre qui una breve parentesi per giustificarla: tra tutti i tetracordi, questo è il più conosciuto da tutti coloro che si occupano di musica; come tale, è indispensabile (anankaion) osservare in che modo esso sia toccato dalle differenze di genere. Servirà quindi da paradigma. Per il momento, lo si constata, Aristosseno non si propone altro che di procedere attraverso una sorta di processo induttivo, fondato sulle osservazioni fatte a partire da un esempio particolare. Tuttavia, egli subito afferma di vedere negli spostamenti della lichanos e della parhypate "la causa dei generi" :

[Il tendere e l'allentare le note naturalmente mobili sono causa delle variazioni dei generi][5].

Egli è il primo musicista ad attribuire una "causa" ai generi e a identificarla: si tratta per lui di un fatto evidente, che non ha bisogno di essere argomentato e che è sufficiente riconoscere (faneron).

Ora che i principi generali sono posti, la dimostrazione può cominciare. E immediatamente, essa si situa nel cuore del sistema di Aristosseno: per determinare le colorazioni, si procederà definendo il luogo (topos) delle note mobili[6], cioè assegnando dei limiti alle "tensioni e agli allentamenti", che sono le due forme del movimento subito dai due gradi interni del tetracordo.

Per cominciare, il luogo della lichanos: esso è contenuto nei limiti di un intervallo di un tono (Aristosseno si riferisce qui alla definizione di tono, dato nel paragrafo precedente lo studio dei generi). Segue la spiegazione: la lichanos non può allontanarsi dalla mese per meno di un tono né per più di due toni. Conformemente al procedimento induttivo, al quale Aristosseno invitava il suo pubblico più colto, egli si richiama all'esperienza dei musicisti per far loro ammettere la lichanos ditonica, e promette loro una dimostrazione ulteriore[7]. Di passaggio, egli attacca fortemente le perversioni della musica del suo tempo, che assimila al genere cromatico delle combinazioni, le quali non sono adeguate né alla struttura né alla natura della musica: si vede qui che ad Aristosseno preme di non uscire dal ruolo di teorico dei generi, e di criticare quei musicisti che snaturano la melopea introducendovi l'anarchia, la quale non può costituire l'oggetto delle leggi armoniche.

Viene poi il luogo della parhypate (Meibom 23.24). Esso si estende su un diesis elachiste, cioè un quarto di tono: la parhypate non può avvicinarsi all'hypate più di un diesis, né allontanarsene più di un semitono. Qui entrano in gioco due nozioni peculiari al sistema di Aristosseno, tramite le quali egli si oppone alle teorie dei suoi predecessori: per prima cosa, l'affermazione che il tono sia divisibile in due parti uguali, e Aristosseno è certo il primo a introdurre in musica l'espressione: la metà del semitono (to emisu emiseos tonou)(Meib. 23.29); inoltre il concetto di sunaphe: quando si parla di note mobili e dunque dei loro spostamenti, e nel caso in cui queste note siano vicine, allora accade, come in questo caso, che i loro luoghi abbiano in comune uno stesso limite: questo limite sarà, dice Aristosseno, quello della lichanos più bassa e della parhypate più alta. Tutta la dimostrazione è condotta in funzione delle acquisizioni precedenti: distinzione dei suoni fissi e dei suoni mobili, divisioni del tono. È noto che i Pitagorici non ammettevano che il tono fosse divisibile in due parti eguali, perché il rapporto 9/8, che si ottiene sottraendo una quarta da una quinta, "non ha metà"[8]: in effetti, il semitono giusto sarebbe la radice quadrata di 9/8, in modo che, moltiplicata per se stessa, essa dia il rapporto 9/8 che definisce il tono intero. D'altra parte, come indicato nel piano del suo preambolo (Meib. 4.26-32), Aristosseno definisce innanzitutto gli spostamenti dei gradi mobili, che sono la causa dei generi, e l'estensione del loro luogo, prima di analizzare i generi e le colorazioni che ne sono la realizzazione[9]. Si noterà che Aristosseno non pretende di procedere dimostrativamente in questo primo libro: è per questo motivo che egli scrive, a ogni tappa della sua esposizione: "Questo dunque si ammetta..." (Meib. 22.13); "...sia dato così" (Meib. 23.25); " Si stabilisca che..."(Meib. 24.3): così facendo, egli agisce in conformità con il metodo progressivo che si è dato, il quale parte da un esame generale (katholou) dei fatti, che ricevono delle definizioni sommarie, fino alla dimostrazione delle leggi armoniche, una volta ridefiniti e distinti i fatti con precisione[10]. L'esposizione che noi leggiamo nel libro I illustra esemplarmente questo principio metodologico mettendo in gioco le nozioni che maggiormente scuotono le teorie dei Pitagorici.

Con prudenza, prima di iniziare l'esposizione delle differenti sfumature, Aristosseno precisa che dirà più tardi se "la quarta è misurata da uno degli intervalli più piccoli, oppure se essa non è commensurabile ad alcuno"[11], ed aggiunge: "dal momento che è evidente che essa consta di due toni e mezzo, assumiamo che tale debba essere la sua estensione"[12]. Senza far polemica, Aristosseno afferma qui qualcosa che scandalizza i suoi avversari: che la differenza tra la quarta e il ditono sia un semitono, sia una evidenza, cioè una evidenza per l'orecchio; laddove i Pitagorici elaborano calcoli per determinare l'estensione che deve avere il resto della quarta (dal nome eloquente di limma), Aristosseno fa il contrario: egli si regola sull'evidenza dell'orecchio e respinge tutte le teorie che non si accordano ad essa[13].

Ultimo preliminare prima della determinazione delle colorazioni: la definizione di pycnon: "il complesso di due intervalli la somma dei quali forma un intervallo più piccolo dell'intervallo restante della quarta"[14]; da qui questo termine che esprime a meraviglia l'idea del restringimento degli intervalli all'interno del tetracordo.

La determinazione delle sei sfumature viene condotta in tre momenti;

  1. estensione dei pycnon a partire dalla posizione della lichanos: senza analizzare in dettaglio le posizioni rispettive della lichanos e della parhypate, Aristosseno esamina solamente ogni colorazione per determinare se essa possiede un pycnon o no (Meib. 24.15-25.11);
  2. calcolo comparato in parti di tono degli scarti che separano le lichanoi nelle diverse sfumature (Meib. 25.11-26.9);
  3. luoghi delle lichanoi (Meib. 26.9-14)

1. I commentatori non hanno detto nulla a proposito delle strane incoerenze di questi testi: le classificazioni non concordano all'interno dei due primi paragrafi; nel momento in cui Aristosseno si prende cura di numerare le sfumature che egli si accinge successivamente a studiare, le sue due esposizioni divergono:
 

Posizione testo: Meib. 24.16-31 Posizione testo: 24.31-25.11
1-2

[il più piccolo pycnon: di due minime diesis, enarmoniche o cromatiche]


[Le lichanoi, quella dell'armonia, quella del colore]

I-II

[Le lichanoi che delimitano i due primi pycnon sono state già nominate]

3

[Il terzo pycnon...]

III
[la lychanos che limita il terzo pycnon ed genere cromatico, al quale appartiene, è detto cromatico emiolico]
4

[un quarto pycnon: tonico]

IV  

[la lichanos che limita il quarto pycnon è cromatica, ed il genere cromatico, al quale appartiene, è detto cromatico tonico]

5

[Quinta scala: quella formata da un semitono e da una volta e mezza un semitono]

V

[La lichanos che limita la quinta scala considerata... è la diatonica più grave]

6

[La sesta scala formata da un semitono e da un tono]

VI

[La sesta scala : la (sua) lichanos è la diatonica più alta]

Come dimostra questa tavola, Aristosseno passa sotto silenzio la terza combinazione del pycnon: si ignora l'estensione del suo pycnon (colonna di sinistra); d'altra parte, sopraggiunge una inversione tra il cromatico tonico e il cromatico emiolico, rispettivamente 4 e 5 nella colonna di sinistra, e IV e III nella colonna di destra. Di conseguenza, il genere cromatico emiolico succede indebitamente al cromatico tonico nello studio dell'ampiezza dei pycnon. Sempre, in questo primo studio, contrariamente alle apparenze, non è la terza colorazione che manca, bensì, di fatto, la quinta: diatonica grave, che ritrova la sua posizione legittima nell'enumerazione del nome delle sei colorazioni. Questo è anche il primo sistema privo di pycnon, poiché le due parti della quarta (Hypate-lichanos/lichanos-mese) sono tutte e due uguali a un tono e un quarto. Dopo le indicazioni di Aristosseno in questo primo testo, si danno le seguenti combinazioni:

  Pycnon (Hypate-Lichanos) resto della quarta
Enarmonico 2/4 di tono 2 toni
Cromatico grave 2/3 di tono
1 tono + 5/6 di tono
Cromatico emiolico 3/4 di tono 1 tono + 3/4 di tono
Cromatico tonico 1 tono 1 tono e mezzo
  Hypate-Lychanos resto della quarta
Diatonico grave 1 tono +1/4 di tono 1 tono e mezzo
Diatonico teso 1 tono + 1/2 tono 1 tono

Per il momento Aristosseno non dice niente dei due intervalli che formano il pycnon, e non calcola il resto della quarta, di cui si deduce l'estensione sottraendo dai due toni e mezzo della quarta le diverse grandezze dei pycnon.

Altra fonte di stupore: non è curioso che Aristosseno parli di un intervallo "emiolico", di cui non cita altrimenti l'estensione? In effetti, questo termine appartiene al vocabolario aritmetico-musicale dei Pitagorici: il rapporto emiolo designa per loro la quinta (3/2). Di fatto Aristosseno utilizza qui questo termine nel suo senso etimologico (il tutto e la metà del tutto) cosa che significa qui che bisogna aggiungere al primo semitono "una volta e mezzo" un semitono: cioè in tutto 5/4 di tono; contro tutte le aspettative questo intervallo emiolo appartiene al genere diatonico grave (quinta colorazione) e non al genere cromatico "emiolico", di cui non si conosce nulla di preciso in questo testo.

2. Posizione delle lichanoi secondo le sei sfumature. È un passaggio molto importante per comprendere la distinzione che Aristosseno fa tra intervalli musicali e intervalli inaccettabili in musica (amelódeta): in effetti, la lichanos cromatica più grave si allontana dalla lichanos enarmonica di un sesto di tono verso l'acuto (a): la lichanos del diatonico grave è più alta della più grave delle lichanoi cromatiche di un semitono e di un dodicesimo di tono (b). In effetti, egli spiega, tra la più grave lichanos diatonica e la lichanos del cromatico emiolico c'è un semitono (c), dalla lichanos emiolica all'enarmonica, una diesis (enarmonica) (d), dalla lichanos enarmonica alla cromatica più grave, 1/6 di tono (e), dalla lichanos cromatica più grave alla cromatica emiolica , un dodicesimo di tono (f). Così Aristosseno dimostra che esiste un semitono e un dodicesimo di tono tra la lichanos diatonica grave e la lichanos cromatica grave: la lichanos diatonica più acuta è più alta della lichanos diatonica più grave di una diesis (g):

La lichanos enarmonica serve da riferimento e questi calcoli, che un commentatore di Aristosseno definisce, non a torto, "laboriosi"[15], hanno la funzione di verifica delle posizioni. Malgrado queste numerazioni acrobatiche, manca sempre una lichanos: la lichanos cromatica tonica, da nessuna parte menzionata in questo passaggio.

A cosa mira Aristosseno? Oltre l'interesse rappresentato dalla comparazione tra le posizioni adottate dalla lichanos in ogni nuance, vi è la distinzione tra intervalli musicali e intervalli amelódeta. Aristosseno scrive più avanti che sono ammessi in musica il quarto di tono, il terzo di tono e il semitono. Tutti gli intervalli inferiori al quarto di tono vengono rifiutati[16], e due fra questi tre intervalli caratterizzano un genere per ciascuno. Il quarto di tono si chiama, nel Trattato di Aristosseno, il terzo di tono si chiama ; quanto al semitono, esso è il primo intervallo del tetracordo nelle due sfumature diatoniche, ma anche nelle cromatiche toniche. Se Aristosseno è spinto a parlare in questo passaggio di sesto di tono (Meib. 25.21), perfino di dodicesimo di tono (Meib. 25.16), è a titolo di grandezza teorica, che non serve se non nel calcolo, per paragonare le distanze che separano una sola e medesima nota nelle diverse colorazioni, e non per lo scarto reale che separa due note distinte di un sistema musicale. Per terminare il suo studio dei generi e delle colorazioni, Aristosseno afferma che in potenza il numero delle lichanoi è infinito: [il numero delle lichanoi va considerato illimitato] (Meib. 26.14). Ed ecco ciò che dà un senso nuovo al concetto di luogo delle note mobili: il loro topos è tale che non ha alcuna importanza in che punto di questo luogo una lichanos o una parhypate possono collocarsi. Quando Aristosseno scrive che "non esiste il vuoto" nel luogo della lichanos, egli si spiega immediatamente: questo significa che non esiste punto che non sia capace di ammettere una lichanos (Meib. 26.19). Il teorico ha dunque il compito di determinare rigorosamente i limiti dei luoghi dei suoni mobili, e ha il diritto di fissare, all'interno di questi limiti assoluti, le posizioni che preferisce per ogni sfumatura. Ma non si tratta affatto di leggi universali: l'unica regola generale che bisogna rispettare è che l'intervallo hypate-parhypate debba essere inferiore o uguale all'intervallo parhypate-lichanos.

Lo studio di questo passaggio del primo libro del Trattato di armonica mostra, nello stesso tempo, il rigore del metodo di Aristosseno e i limiti che esso stesso si dà. Essere rigoroso significa essere fedele al metodo che ispira l'insieme del trattato nel suo procedere: rimettersi al giudizio dell'orecchio per il quale il tono si divide realmente in due semitoni uguali; ma significa anche scoprire la causa prima di descrivere il fatto: se esistono dei generi, significa che i due suoni intermedi del tetracordo sono, per natura, mobili, mentre i due suoni limitrofi sono, per natura, fissi. Infine, "essere rigoroso" significa saper assegnare un limite alle regole fissate. Così Aristosseno non impone autoritariamente le sue sei sfumature: egli le propone e le giustifica - l'essenziale essendo per lui, lo si è visto, determinare con precisione il luogo dei suoni mobili. Tre le innovazioni maggiori: la definizione del genere; la definizione di pycnon; la definizione del concetto di luogo. È chiaro che nel libro primo del Trattato, le colorazioni sono oggetto di una definizione per procedimento induttivo, fondato sulla descrizione delle differenti forme che prende il tetracordo scelto come paradigma: mese-lichanos-parhypate-hypate. Queste forme sono funzione di due criteri: posizione della lichanos ed esistenza o meno di un pycnon.Che cosa succede ora della teoria delle colorazioni nel libro II?

 

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N
ote

L'articolo che presentiamo in traduzione italiana è apparso per la prima volta in "Revue d'Études Grecques", 95, del 1982. Di alcuni dei testi, citati in greco dall'Autrice, si fornisce la traduzione tra parentesi quadre per agevolare la lettura. Per quanto riguarda l'Armonica di Aristosseno, ci siamo rifatti alla traduzione di Rosetta da Rios, Aristosseno, L'Armonica, ed. R. Da Rios, Roma 1954.

[1] I termini utilizzati in musica come chroa o chroia , chroma e altri come parakechrosmena mele (Aristotele, Politica, VIII, 7, 1342 a 24) si richiamano all'immagine: sono infatti improntati al vocabolario del colore (si veda il Peri Chromaton aristotelico). Il chroma starebbe alla chroa come il genere alla specie, la regola alla variazione. Da qui la traduzione proposta di "colorazione" (si veda J. Chailley, La musique grecque antique, Paris 1979, p. 32; Louis Laloy, Aristoxène de Tarente, disciple d'Aristote, et la musique de l'Antiquité, Parigi 1904, p. 205).

[2] L'eidos del tetracordo è in funzione della disposizione dei tre intervalli che lo compongono:

 

Genere enarmonico

1/4-1/4-2

Genere cromatico

1/3-1/3-1 5/6

Genere diatonico

1/2-1/2-1 1/2

           

L'hypate e la mese sono dei suoni fissi; la parhypate e la lichanos sono mobili. Il genere (genos) appartiene di diritto alla teoria musicale; i Pitagorici (Archita, Filolao) li descrivono, ma non si occupano delle colorazioni, essendo queste a discrezione dei musicisti. Cleonide, nella sua Introduzione armonica, esprime molto chiaramente i rapporti tra il genere e la colorazione (non va dimenticato che egli è il più fedele dei seguaci di Aristosseno):

Meib. 10, c. 7, in Musici scriptores Graeci, ed. C. von Jan, p. 190).

[3] In compenso, ai neopitagorici starà a cuore formulare la loro propria teoria delle colorazioni; lo attesta Tolomeo che ne distinguerà otto (si veda Porfirio, ad Ptol. Harm. Comm., p. 157, 1. 21-29 ed. I. Düring): cinque diatoniche, due cromatiche e una enarmonica. Lui stesso utilizza la distinzione genere/specie () per distinguere i tre generi di colorazioni (ibid. riga 21)

[4] Meib. 21.32:

[5] Meib., 22.23. Si noterà che Aristosseno imputa ad un fatto naturale, dunque necessario, la mobilità dei due suoni medi del tetracordo e la fissità dei suoni che lo limitano. Questa idea, da parte di un filosofo aristotelico, non è affatto sorprendente. D'altra parte, le due modalità dello spostamento della parhypate e della lichanos sono descritte con i termini greci anéseis (allentamento, abbassamento: si tratta di un movimento che è discendente e porta dall'acuto al grave) ed epitàseis (tensione, movimento ascensionale dal grave all'acuto), definiti precedentemente da Aristosseno (Meib. 10.24 sgg.), di cui "nessuno ha mai detto nulla" prima di lui (Meib. 3.31). A quanto sembra Aristosseno è il primo musicista ad aver distinto la tensione all'acuto e l'abbassamento al grave. Questo è, in ogni caso, quello che egli dice: acutezza e gravità stanno alla tensione e all'abbassamento, come la causa sta all'effetto. Tensione e rilassamento implicano che la corda o la voce siano in movimento; acuto e grave presuppongono l'arresto di questo movimento.

[6] Non solo prima di Aristosseno nessun teorico della musica si era accorto della mobilità della parhypate e della lichanos, egli è anche il primo a introdurre in musica la nozione di topos (vicino al nostro concetto di luogo geometrico), cioè di spazio descritto da un mobile. I Pitagorici non potevano inventare una tale teoria: essa sarebbe stata estranea ai loro principi, che li portavano a identificare gli intervalli caratteristici dei generi a rapporti numerici immutabili. Per Aristosseno, tutta la teoria della musica consiste nella distinzione di ciò che è mobile da ciò che è fisso:

[Non possiamo trascurare che la comprensione della musica è (comprensione) immediata delle parti stabili e di quelle mobili, e che tale carattere comprende gran parte della musica e, in breve, ogni sua componente] (Meib. 33.28-32).

[7] Meib. 22.30-23.3:

[Il più piccolo fra tali intervalli non è conosciuto da quelli che hanno familiarità con il genere diatonico: se vi saranno condotti, lo ammetteranno, coloro che non lo hanno ancora compreso. Il più grande è riconosciuto da alcuni, da altri no: per quale causa accada questo, si spiegherà più tardi].

[8] Si veda la Sectio Canonis di Ps.-Euclide, prop. g, Musici scriptores graeci, von Jan, p. 152 (=Meib. 25): "Di un intervallo espresso da un rapporto epimoro, non si danno né uno né più medi in proporzione geometrica" (tr. it. di Luisa Zanoncelli, La manualistica musicale greca, Guerini studio 1990). Quello che è dimostrato per il rapporto epimoro (4/3) è vero, per conseguenza, della quarta, che è espressa da questo rapporto – Ps.-Euclide, § 16, von Jan, p. 161: " Il tono non è divisibile in due o più parti fra di loro uguali...E così il tono non può essere diviso in parti uguali". Si veda anche Plutarco, De anim. procr. in Tim., c. 17, p. 1020 E; Teone di Smirne, Conoscenze matematiche utili alla lettura di Platone, p.112, ed. Dupuis: "il tono non è divisibile in due". Per la scuola pitagorica, lo si vede, non sono divisibili in due parti uguali, né la quarta, né il tono, né l'ottava, né la quinta. Per Aristosseno, la metà del tono esiste, essa è un fatto di evidenza sensibile: è il semitono giusto; la quarta è anch'essa divisibile in due intervalli uguali (1 tono 1/4+1 tono 1/4). L'impossibile ed irraggiungibile metà del tono corrisponderebbe infatti alla radice quadrata del rapporto 9/8 che esprime l'intervallodi un tono: i Pitagorici non la conoscevano. Così ne approssimavano il valore dotando il tono di due parti ineguali, il limma (256/243, dove il valore approssimato della radice quadrata di 9/8 è 17/16 secondo Platone) e l'apotome, di rapporto 2187/2048, che è la differenza tra il tono e il limma. Aristosseno nega qualsiasi valore reale a questi calcoli: egli obbietta ai loro autori che non c'è motivo di rimproverare alla sensazione, che non è capace di percepire questi intervalli la sua imperizia; in effetti questi calcoli non hanno alcuna realtà e alcun senso in musica:

[E di queste cose noi cerchermo di dare dimostrazioni cche si accordino con i fenomeni, a differenza dei nostri predecessori, perché alcuni dicono delle assurdità, sdegnando di riportarsi alla percezione, per la sua inesattezza,(...) facendo discorsi quanto mai estranei e contrari ai fenomeni] (Meib. 32. 19-29).

[9] Tale è il suo programma, definito a partire dal preambolo del libro (Meib. 7.2).

[10] Meib. 19.12:

[Per ora in questo modo si distingua dalle altre la melodia musicale, pur osservando che la distinzione è stat appena delineata senza entrare nei particolari].

Meib. 4.17-21:

[Definita così per sommi capi la melodia musicale, come è possibile fare senza entrare nei particolari, questa melodia, considerata in generale, si deve analizzare e distinguere in quanti generi sembra si divida].

[11] Meib. 24.6-8:

[Nel capitolo della determinazione degli intervalli per mezzo delle consonanze, è detto in quale modo si deve esaminare la quarta, se è commensurabile con uno degli intervalli più piccoli o se è incommensurabile con tutti].

La dimostrazione è data nel Libro III del Trattato di armonica (Meib. 55-58): si dimostra qui che la quarta si compone di due toni e mezzo, e non di due toni e un limma come pensavano i Pitagorici, grazie a una serie di manipolazioni di intervalli (quarta e tono), disposti da una parte e dall'altra di una quarta. È evidente che la quarta pitagorica (tono + tono + limma, ovvero 9/8 x 9/8 x 256/243) non ha una misura minima comune. Esponendo la dottrina aristossenica del semitono giusto, Porfirio (ad Ptol. Harm., p. 137, ed. Düring) conclude arbitrariamente che Aristosseno divide il tono in tre, quattro, otto parti; così per Aristosseno il numero del tono sarebbe 12, e quello della quarta, 30, come se, Aristosseno, avesse considerato il dodicesimo di tono la misura della quarta: (2 x 12) + 12/2 = 30 dodicesimi di tono. In realtà, ciò che cerca Aristosseno non è la minima misura comune, ma la massima: è dunque il semitono che misura la quarta; una quarta, dirà nel Libro III, si compone di cinque semitoni (Meib. 57.13): [è chiaro che la quarta è composta di cinque semitoni].

[12] Meib. 24.9-10. Secondo il pitagorico Filolao, al contrario, la quarta copre due toni e una diesis (semitono minore): "La sillaba ha due toni ed una diesis" (Nicomaco, Manuale d'Armonica Meib. 17 = von Jan, p. 253 1. 2). Come si vede, le divergenze di contenuto seguono e implicano le divergenze di terminologia: nel sistema di Aristosseno, il termine epogdoon, con il quale i Pitagorici designano ad un tempo l'intervallo di tono e il rapporto numerico 9/8, non ha alcun senso, e non è mai utilizzato; d'altra parte, il nome stesso della quarta non è più lo stesso: come la indica Porfirio (ad Ptol. Harm., citando Élien, p. 94-95 ed. Düring), la è l'accostamento di due note che produce, per prima, una consonanza; testimonianza che riporta ugualmente Nicomaco (Meib. 16); il riferimento alla pratica della lira è evidente, e Aristosseno respinge violentemente il procedimento che consiste nel prendere per criterio qualunque cosa che si rifaccia agli strumenti (Meib. 41-43). Quanto alla diesis, benché il termine appartenga alla terminologia pitagorica e aristossenica, esso non ha il medesimo senso: in Aristosseno, potrà essere enarmonico (1/4 di tono), o cromatico (1/3 di tono), e sarà sempre un intervallo reale del tetracordo, sottomultiplo del tono.

[13] È così che egli accusa i teorici che praticano solo attraverso delle serie di calcoli di "lottare contro l'evidenza": (Meib. 49.32) l'espressione è ripresa da Porfirio (ad Ptol. Harm., cit., p. 139) contro i calcoli di Archita di Taranto, che fu tra i Pitagorici colui che si interessò di più alla musica: [infatti va contro ai fenomeni nella divisione dei tetracordi]

[14] Meib. 24.11-15:

[15] Louis Laloy, cit., p. 215.

[16] Meib. 46.2.

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