Annie Bélis
Le "nuances" nel Trattato di Armonica di Aristosseno di Taranto


A. Bélis, Les "nuances" dans le traité d'Harmonique d'Aristoxène de Tarente

II PARTE

II
Seconda esposizione (Meib. 46.20-52.32)

 Questa seconda esposizione, molto sviluppata, comprende una lunga argomentazione che ha il compito di rispondere allo stupore degli uditori i quali non capiscono come la lichanos possa conservare il proprio nome malgrado la diversità delle sue posizioni, ovvero, nonostante le differenze di estensione degli intervalli mese-lichanos, lichanos-hypate[17]; questa messa a fuoco, senza rompere l'unità dell'argomentazione, ne ritarda lo svolgimento previsto da Aristosseno. L'insieme della dimostrazione, è diviso in quattro parti.

1. Meib. 46.20-47.9: ritorno al metodo che presiede alla definizione delle differenze di genere determinate nel libro precedente: esso si basa sul tetracordo che va dalla mese alla hypate, in cui gli "estremi" sono fissi e gli "intermedi" sono mobili, talvolta l'uno e l'altro, talvolta l'uno o l'altro: "Le differenze fra i generi sono esaminate all'interno di un tetracordo quale quello che va dalla mese all'hypate, in cui, mentre le due note estreme sono fisse, le due medie si muovono o entrambe o solo una delle due" (Meib. 46.20-25). Questa frase preliminare richiama due osservazioni e riassume con estrema concisione i fatti che sono emersi nel libro precedente: la mobilità dei suoni interni del tetracordo, la fissità dei suoni limitrofi. D'altra parte, Aristosseno introduce qui due termini in uso presso i matematici del suo tempo: ta akra ed oi mesoi, per designare due realtà dello spazio musicale[18]. Alla definizione pitagorica dell'intervallo attraverso il sopravanzare di un numero su di un altro (3/2 per la quinta, 4/3 per la quarta, 2/1 per l'ottava, 9/8 per il tono, 256/243 per il limma, ecc.), Aristosseno sostituisce, come dice così bene Porfirio, una definizione "topica" dell'intervallo, riprendendo con un senso nuovo gli stessi termini dei suoi avversari (così egli parla degli "oroi" del tetracordo)[19]. La sua prima preoccupazione è di rideterminare il topos dei due suoni mobili, dapprima quello della lichanos, che serve sempre da riferimento, poi quello della parhypate. Dopo le indicazioni date nel libro precedente, Aristosseno può procedere velocemente: il luogo della lichanos è di un tono, dal diatonico fino al genere enarmonico; il luogo della parhypate è definito dallo scarto minimo e dallo scarto massimo tra la parhypate e l'hypate: esso si estende fino a raddoppiarsi e allora la lichanos più grave confina con la parhypate più acuta:

2. Meib. 47.9-50.14: Excursus sul nome delle note mobili. Ecco il passaggio più lungo del testo che stiamo studiando: si ritiene di rispondere agli interrogativi degli uditori che si domandano come sia possibile che, mentre l'intervallo mese-lichanos diminuisce o aumenta, si possa parlare sempre di lichanos. Essi vorrebbero che si riservasse il nome di lichanos alla sola lichanos a due toni, e che si considerassero come diverse le note che delimitano degli intervalli differenti (Meib. 47.20). Obiezione forte, che non imbarazza affatto Aristosseno; al contrario, egli coglie l'occasione offertagli per giustificare ampiamente i principi delle sue teorie e di ricusare quelle dei suoi avversari. In effetti, ecco che egli spiega il proprio concetto di dynamis degli intervalli; egli prende il caso in cui gli intervalli sono tutti di quinta e sono dunque tutti uguali in grandezza, tuttavia essi hanno una funzione differente: mese-nete, paranete-lichanos, trite-parhypate. Prova, così, a coloro che lo contraddicono, l'assurdità dei loro presupposti. Non contento di questa prima risposta, egli continua la sua argomentazione mostrando che si sarebbe costretti a ricercare un' infinità di nomi se si volessero avere tanti nomi quante note: egli ripete qui che, in effetti, il luogo della lichanos è, in linea di principio, divisibile all'infinito[20]. Il terzo argomento non è da meno: è l'orecchio che identifica i generi in funzione della struttura del tetracordo, senza tener conto della disuguaglianza o dell'uguaglianza degli intervalli, bensì riferendosi alla somiglianza della forma: sono ritenuti "simili", per esempio, i tetracordi con il pycnon, tetracordi che appartengono sia al genere enarmonico, sia al genere cromatico. La formulazione di Aristosseno è fatta per scandalizzare i Pitagorici: la sensazione "dice" - léghei - che si tratta di un genere piuttosto che di un altro, in funzione della "forma" - eidos - del tetracordo; quello che si può dire sulla uguaglianza o sulla diseguaglianza degli intervalli per essa è nulla.

[E' evidente che nessuno di questi procedimenti corrisponde al modo di rappresentazione della percezione sensibile, perché essa dice i generi enarmonico e cromatico, considerando la somiglianza di una certa forma, non la grandezza di un certo intervallo] [21].

Da dove, dunque, la sensazione trae la capacità di percepire il carattere proprio di ciascun genere e le diverse colorazioni che esso può prendere? Se le grandezze cambiano, ciò non è dovuto né all'ethos del genere, né al genere stesso, né alla dynamis delle note, perché la forma del tetracordo resta la stessa: [Ma la forma del tetracordo è la stessa...] (Meib. 49.20). Alla fine di questo passaggio, che sconvolge le teorie del suo tempo, Aristosseno invita i suoi avversari a non lottare più contro l'evidenza ( [combattere contro i fenomeni]) ( Meib. 49.32), e ad ammettere come lichanos il suono intermedio più acuto e come parhypate il suono intermedio più grave, le cui denominazioni sono, per l'appunto, relative (Meib. 50.10).

Con questa lunga discussione, Aristosseno enuncia alcune delle sue idee più innovatrici: è vano considerare le realtà musicali in termini di grandezze misurabili e di regolarsi unicamente sulla estensione degli intervalli; bisogna invece rimettersi al giudizio dell'orecchio e teorizzare solo ciò che si percepisce; da qui il nuovo concetto di tetracordo, da qui il concetto di somiglianza e di non somiglianza () che detronizza quello di eguale e diseguale ().

3. Meib. 50.15-52.33: Particolarità delle sfumature. Solo dopo aver situato la sua riflessione e aver risposto ai suoi obbiettori, Aristosseno è infine pronto a offrire il calcolo preciso delle sei colorazioni, per poi fare il bilancio delle sei lichanoi e delle quattro parhypates.

Notiamo che il termine generico con il quale Aristosseno designa le sue colorazioni è: differenze (diaireseis) del tetracordo mostrando bene così che non si tratta tanto di parlare dell'estensione degli intervalli quanto della disposizione relativa dei gradi gli uni rispetto agli altri: posizione della lichanos in rapporto alla mese, posizione della parhypate in rapporto all'hypate, scarto tra i due gradi mobili.

Egli esamina successivamente i tre generi (dall'enarmonico al diatonico) dando di volta in volta l'estensione del pycnon allorquando ce n'è uno e quella del "resto della quarta" :
 Nome della diairesis Estensione dei primi due intervalli  Resto della quarta.
I  Enarmonico  Semitono (pycnon)  Ditono
II Tre divisioni cromatiche:

Cromatico molle

 

Cromatico emiolico

 

Cromatico tonico

 

Le due minime diesis cromatiche (pycnon)


Una volta e mezza il pycnon enarmonico (pycnon)


Pycnon di due semitoni (B)

 

 

Il resto è espresso in due unità di misura ossia un semitono preso tre volte ed una diesis cromatica presa una volta sola (A)

 


Il resto è un tono e mezzo

III.Due divisioni diatoniche:

Diatonico molle



Diatonico teso

 

H - Ph = Un semitono (C)
Ph - L = Tre dieseis enarmoniche

H - Ph = Un semitono
Ph - L = Un tono

 


L - M = Cinque dieseis

 

L - M = Un tono (D)

 

H = Hypate; Ph = parhypate ; L = lychanos; M = mese

Questa tabella impone quattro osservazioni:

  • A. Perché misurare in due volte il resto della quarta nel cromatico molle, successivamente per "tre volte un semi-tono e una volta una diesis"? La sua estensione è dunque di tre semitoni + un terzo di tono, o ancora un tono e mezzo e un terzo di tono, o, in totale, un tono e cinque sesti di tono. Si tratta di un intervallo non-composto, pertanto, per definizione, non è divisibile in due intervalli più piccoli, poiché non c'è suono tra la lichanos e la mese. Tutto l'imbarazzo di Aristosseno si trova in questo punto: in effetti, un intervallo di 11/6 di tono è difficile da sistemare tra gli intervalli che l'orecchio può distinguere, per esempio, da un ditono, se non attraverso la sensazione che esso dà di essere vicinissimo a questo ditono. In ogni caso si tratta di un intervallo che Aristosseno non riconosce come melodikos () stricto sensu: bisogna che un intervallo sia commensurabile al tono per essere adatto a entrare nella melodia (è quello che ci dicono gli Elementi ritmici di Aristosseno, che colmano fortunatamente il passo perduto del Trattato d'armonia). Dunque gli 11/6 di tono in questione nel cromatico molle infastidiscono tanto Aristosseno che egli preferisce scomporli in due misure, dal momento che esse sono razionali: il semitono e la diesis cromatica. Il calcolo elude la difficoltà senza risolverla.

  • B. Il cromatico tonico, quarta colorazione, segna una svolta nelle forme del tetracordo: in effetti, esso si scompone in due semitoni, per l'intervallo composto hypate-lichanos, e in un tono e mezzo per l'intervallo semplice restante; esso comporta dunque un pycnon, che sarà l'ultimo della serie; d'altra parte, a partire da questa colorazione, la parypate non si sposterà più: essa resterà a un semitono dall'hypate. Ci saranno dunque in tutto sei lichanoi e quattro parypates solamente. Di conseguenza, sottolinea Aristosseno, l'apparire del genere diatonico coincide con la scomparsa delle forme a pycnon. Così dicendo, egli conferma la possibilità per la sensazione di identificare il genere in cui si trova una colorazione, qualunque essa sia.

  • C. A causa della scomparsa del pycnon, Aristosseno scompone il suo tetracordo in un modo nuovo, intervallo per intervallo: egli utilizza le misure che gli sono comode, per esempio la diesis enarmonica per misurare l'intervallo parhypate-lichanos del diatonico molle. È senza dubbio un'azione fatta contro voglia in mancanza di una diesis diatonica, che è inconcepibile: il più piccolo intervallo semplice di questo genere è il semitono, irriducibile ai 3 terzi di cui egli ha qui bisogno.
  •  D. Invece di spezzare gli intervalli parhypate-lichanos e lichanos-mese, Aristosseno si accontenta di dire che gli "intervalli che rimangono" sono di un tono.

 Tavola riepilogativa delle sei di Aristosseno

 
le misure vengono effettuate in dodicesimi di tono
2 toni e mezzo = 30 dodicesimi di tono

Misure in frazioni di tono

Enarmonico
1/4 1/4

2
Cromatico molle 1/3 1/3 1 e 5/6
Cromatico emiolico 3/8 3/8 1 e 3/4
Cromatico tonico 1/2 1/2 1 e 1/2
Diatonico molle 1/2 3/4 1 e 1/4
Diatonico teso 1/2 1 1

4. In conclusione, Aristosseno fa un breve bilancio: ci sono sei lichanoi, in quanto "differenze del tetracordo", e solamente quattro parhypate, essendo due comuni al cromatico e al diatonico. Insomma, ci sono due leggi che reggono gli intervalli di cui si compone il tetracordo nelle sei colorazioni: l'intervallo hypate-parhypate è uguale o inferiore all'intervallo parhypate-lichanos, mai più grande. In compenso, gli intervalli parhypate-lichanos e lichanos-mese possono essere uguali o diseguali (più grandi o più piccoli). Solo la prima regola è efficace perché essa esclude un tipo di figura; tuttavia per Aristosseno essa è sufficiente per distinguere le combinazioni di intervalli (armoniose) dalle combinazioni di intervalli (non armoniose). Egli offre un esempio: se si combina una parhypate del cromatico molle con una lichanos del cromatico tonico (a), si fa una buona combinazione; l'inverso (b) è invece inaccettabile: insomma, la legge del restringimento degli intervalli dall'acuto al grave sarebbe, in questo caso, violata.

 

Divisione
(H-Ph<Ph-L)
Divisione
(H-Ph>Ph-L)

 

È alla fine di questi due lunghi testi, situati l'uno nel Libro I del suo Trattato e l'altro nel Libro II, che Aristosseno fissa le sue sei colorazioni: una per il genere enarmonico, tre per il genere cromatico, due per il diatonico. Questo lavoro si compie attraverso una argomentazione che esce dai limiti angusti di un semplice calcolo degli intervalli che compongono il tetracordo, calcolo al quale si attengono, invece, i commentatori allorquando studiano questi testi. Sarebbe pertanto un abuso isolare questa determinazione numerica dal contesto in cui essa è situata: in effetti, lo abbiamo visto, essa giunge a conclusione delle argomentazioni precedenti, le quali riguardano la distinzione tra suoni fissi e suoni mobili del tetracordo, distinzione che è data da Aristosseno come la causa dei generi, e anche la definizione di "pycnon", fatta per la prima volta in musica; infine esse toccano problemi di denominazione delle note, indipendentemente dall'estensione degli intervalli. Con la sua teoria delle colorazioni Aristosseno dimostra la fondatezza della propria teoria delle forme musicali e delle funzioni armoniche dei suoni, teoria che egli è il primo a enunciare.

Lontano dall'essere una questione vana e senza senso, la dottrina delle colorazioni ha dunque un ruolo nel Trattato di armonica: non tanto un ruolo musicale (dal momento che il particolare delle sei "nuances" suggerito dai musicisti non è, e non può essere altrimenti, che indicativo), ma piuttosto una funzione di esemplarità. Come infatti determinare se questa o quella combinazione sia adatta a entrare nella pratica? La legge della discriminazione elaborata da Aristosseno offre una risposta: è necessario che l'intervallo hypate-parhypate sia inferiore o uguale all'intervallo parhypate-lichanos. Ruolo polemico, d'altra parte, in quanto in occasione della sua esposizione Aristosseno denuncia i principi sui quali si basano le teorie pitagoriche: misure quantitative degli intervalli e ignoranza dei suoni mobili.

Infine, bisogna sottolineare che Aristosseno non è riuscito interamente nella sua impresa di rinnovamento dei metodi musicali. In effetti, egli cade nella sua propria trappola riducendosi ad ammettere come intervallo semplice un intervallo di 11/6 di tono. Certo, egli aggira la difficoltà rimettendola a due misure razionali, ma il male è fatto. Il solo risultato perfetto è che egli dimostra in sei riprese (tante sono le volte in cui egli esamina una colorazione) che il tetracordo, cioè la quarta, si compone di due toni e mezzo, mentre i Pitagorici ne facevano la somma di due toni e un limma (9/8+9/8+256/243), dunque leggermente più piccola di due toni e mezzo. Egli dimostra nello stesso tempo che la quarta è commensurabile al semitono, cosa che i Pitagorici non ammettevano.

Così, il testo che noi abbiamo appena esaminato rappresenta una parte importante della dottrina di Aristosseno il quale non ricade negli eccessi degli Armonisti, qualunque cosa sia stata detta in proposito [22]. Al contrario, essi illustrano il metodo di Aristosseno: il criterio del musicista è la sensazione, criterio efficace e giusto, che è all'origine della teoria musicale.

Per concludere, per quanto la messa in scena delle sei colorazioni possa apparirci così laboriosa, essa è l'indispensabile preparazione all'ultima tappa del Trattato di armonia (Libro III), che enuncia le leggi di combinazione degli intervalli e le concatenazioni dei sistemi: tra i ventisei problemata dimostrativi che ci restano, più di venti prendono le mosse dalle regole definite nei due passaggi che qui abbiamo studiato. In effetti, si tratta allora di determinare, per esempio, quali intervalli possono succedere a un pycnon, oppure se si possono incontrare due ditoni successivi, ecc. In realtà, qui le dimostrazioni procedono per esclusione di combinazioni a partire dai principi indotti nel I e nel II libro: la teoria delle colorazioni testimonia la coerenza del testo e della dottrina di Aristosseno.

                                                                                                  Annie Bélis

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Traduzione di Matilde Battistini

 


Note

[17] Gli scarti tra la lichanos e la mese vanno dal semplice al doppio: da un tono a due toni; ugualmente, gli scarti tra la parhypate e l'hypate vanno dal semplice al doppio: da un quarto di tono a un semitono. Tra i suoni mobili (lichanos e parhypate), l'incremento (auxesis) va dal semplice al quadruplo: dal quarto di tono al tono.

Scarti tra Lichanos e Paryphate
(in dodicesimi di tono)

Ph =Parhypate; L = Lichanos
Enarmonico
3
Ph*-----------*L

Cromatico molle
4
*--------------*
Cromatico emiolico
4,5
*------------------*
Cromatico tonico
6
*-----------------------*
Diatonico molle
9
*-----------------------------*
Diatonico teso
12
*-----------------------------------*

Per gli scarti tra suoni fissi e suoni mobili, vedere la Tabella riassuntiva delle sei Chroai di Aristosseno.

[18] Gli akra sono i suoni fissi che delimitano il tetracordo: i mèsoi ne sono i gradi intermedi. Aristosseno designa dunque queste note in funzione della posizione che occupano in mezzo al luogo, relativamente le une rispetto alle altre. Anche i Pitagorici utilizzavano questi termini per descrivere i numeri che compongono la media armonica: sia la serie dei tre numeri 3, 4, 6; essi formano una serie armonica di cui i numeri 3 e 6 sono gli akra e il numero 4 il mesos. L'ottava è costituita dal rapporto dei termini estremi 6/3 (ovvero il rapporto doppio 2/1); la quarta è costituita dal rapporto 4/3, e la quinta dai numeri 6/4 (ovvero il rapporto emiolo 3/2); di qui il nome di "armonica" attribuito a questa serie, perché attraverso i numeri dei quali è composta, si possono costruire i rapporti che esprimono le tre consonanze. Si veda Iamblicus, in Nicom. arithm., p. 108, 20 ed. Pistelli; Teone di Smirne, Conoscenze matematiche, p. 196, ed. J. Dupuis.

[19] Gli oroi di un intervallo, per i Pitagorici, sono i due numeri che ne formano il rapporto matematico. Stessi riferimenti della nota 18.

[20] Meib. 48.14-15:

[Il luogo della lychanos si distingue in un numero infinito di divisioni].

[21] Meib. 48.21-26.

[22] È Louis Laloy che rivolge questo rimprovero ad Aristosseno: egli parla della sua "mania di misurare" (Aristosseno di Taranto, p. 219), e considera che "tutta questa parte dell'opera di Aristosseno, ispirata troppo direttamente dalle dottrine correnti, è (...) inutile e inesatta" (op. cit., p. 217).

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