L'unica via ancora aperta e percorribile, dice Kant,
è quella critica. Ciò vale anche per colui che amava citare
questa affermazione, Adorno. Vi sono senz'altro innumerevoli motivi per
criticare la sua Filosofia della musica moderna e, forse, vi sono
altrettante vie o metodi (in senso lato) per farlo; tuttavia soltanto un
percorso può condurre a una critica che non si esaurisca in una
mera presa di posizione ma che sia anche, allo stesso tempo, conoscenza,
comprensione e rappresentazione dell'oggetto. Occorre una critica che a
partire dal mero guardare il fenomeno riesca a svilupparne la dialettica
interna, occorre passare attraverso gli estremi della stessa filosofia
della musica di Adorno. La critica dev'essere esecuzione, come insegna
Hegel, e - almeno nel caso di Adorno - l'oggetto stesso richiede tale approccio.
L'unica via che non conduce alla meta è la via di mezzo, secondo
un'affermazione di Schönberg che, se applicata al nostro problema,
significa una critica capace, fin dalle radici, di attuare la dialettica
«particolare» della filosofia della musica di Adorno che, appunto,
non è l'intero. L'intero è anzi quella cattiva essenza (Unwesen)
di fronte alla quale non si dà alcun approccio per
intentio recta;
l'unica via possibile è la intentio obliqua: le vie di scampo
sono vie traverse, vie che aggirano il presunto intero riconducendo la
sua pretesa di totalità alla particolare esperienza che la ispira.
La filosofia della musica di Adorno esige senz'altro vie di scampo ma con
uguale necessità richiede che tali vie la attraversino. Se s'intende
uscirne, andare oltre, bisogna prima avere il coraggio di attraversarne
i luoghi, di percorrerne i passaggi pur impervi, di accondiscendere, vigili,
alle sue seduzioni. Per affrontare la musica del Novecento nonché
la riflessione filosofica sulla stessa, occorre confrontarsi con Adorno
nei modi di una autoriflessione della sua filosofia della musica e riuscire
così a liberare, ove possibile, dall'artiglieria pesante della concettualità
aerea, qualcosa che, parafrasando l'autore, potremmo chiamare figure di
suono (Klangfiguren), momenti di una filosofia della musica nella
quale non manchi sempre una delle due: o la filosofia o la musica. Non
a caso lo stesso Adorno avrebbe voluto mettere come incipit alla sua
Teoria
estetica, rimasta frammento, l'affermazione di Friedrich Schlegel secondo
la quale in ciò che viene chiamato filosofia dell'arte manca sempre
una della due: o la filosofia o l'arte. Il concetto di estetica che Schlegel
propone sembra dunque costituire l'unità di misura per ogni futura
filosofia che voglia trattare in modo proficuo sia dell'arte in generale
sia dello specifico musicale.
Il problema dell'inizio, ovvero il problema di quale via
prendere per entrare nel blocco monolitico della teoria della musica adorniana,
coinvolge alcune riflessioni preliminari. Se si parte dai risultati si
rischia di non poter uscire dalla rete concettuale se non con
un salto,
con una metabasi che non rende giustizia all'oggetto. Se invece si tenta
di trovare qualche esperienza immediata a partire dalla quale sviluppare
la teoria si rischia di rimanere a mani vuote o di non riuscire a ricostruire
la concettualità perché l'immediato non possiede sufficiente
forza. In questo senso può forse essere d'aiuto la
Scienza della
Logica che stabilisce senza mezzi termini che «Nulla
vi è,
nulla nel cielo o nella natura o nello spirito o ovunque sia, che non contenga
tanto l'immediatezza quanto la mediazione» [1]
. L'inizio deve essere scelto in qualcosa che abbia tanto contenuto d'esperienza
quanta energia di mediazione senza che quest'ultima abbia già maturato
dei risultati. Occorre leggere oltre il sistema - anche contro l'antisistema
di Adorno - per coglierne il contenuto di verità. Un primo approccio
in questo senso può essere costituito da un'affermazione di Adorno
che egli, negli scritti pubblicati in vita, non ha mai sviluppato fino
in fondo, ovvero l'affermazione secondo la quale il modo di procedere compositivo
di Beethoven assomiglierebbe in molte parti e soprattutto nella sua essenza
alla struttura riflessiva della dialettica hegeliana. Questa tesi è
altrettanto forte e foriera di ulteriori sviluppi quanto viene detta in
sordina, cioè senza esecuzione o sviluppo (Durchführung),
perché nasce da una genuina intuizione ancora priva di un'armatura
concettuale. Tale idea inoltre acquista ulteriore peso se si considera
come Adorno, durante tutta la vita, abbia quasi ininterrottamente e in
modo instancabile preso appunti per un libro mai scritto su Beethoven -
note, queste, da lui stesso definite come un diario delle esperienze con
la musica del compositore. Fin dal 1937, infatti, il trentaquattrenne scrive
su svariati quaderni, a volte tenuti parallelamente, frammenti per questo
saggio, annunciato più volte, in un lungo arco di tempo, nelle sue
lettere a conoscenti e amici fino all'abbandono definitivo del progetto
nel 1966 cioè tre anni prima della morte. La causa del lento distacco
prima, e del definitivo abbandono poi, del progetto di tutta una vita è
forse anche da mettere in relazione al fallimento del tentativo di interpretare
la Missa Solemnis nel saggio apparso nel 1957 [2]
. Un nodo essenziale che la critica deve affrontare potrebbe nascondersi
qui e forse non si erra se lo si cerca in un'aporia di fondo dell'impostazione
interpretativa. Per avvicinare, almeno in parte, i punti nevralgici di
un'impostazione critica adeguata al suo oggetto, prendiamo in esame non
già gli scritti pubblicati, bensì proprio la raccolta di
tutti i frammenti su Beethoven che Adorno ha accumulato e che Rolf Tiedemann,
l'instancabile curatore delle Gesammelte Schriften, ha pubblicato
nel 1993 assieme a tutti i saggi già apparsi durante la vita dell'autore [3]
. I frammenti e i testi contenuti in questo libro sono stati raccolti in
dodici capitoli e un'appendice, accompagnati da un esteso apparato critico.
L'ordine, deciso dal curatore, segue una logica che non pretende di rispecchiare
quella del libro mancante, anche perché, come si sa, Adorno rimaneggiava
continuamente e profondamente i suoi scritti prima di darli alla stampa.
Si tratta di un ordine che cerca, seguendo un procedimento benjaminiano,
di creare una costellazione tra i singoli frammenti che permetta che essi
si illuminino a vicenda diventando in tal modo leggibili. L'immensa vastità
dei frammenti e la moltitudine di problemi che toccano impediscono una
lettura lineare, cosicché i singoli elementi possono creare diverse
costellazioni più o meno leggibili. La seguente esposizione ruota
intorno alla costituzione e alla critica della forma-sonata, forma tradizionale
che nell'opera di Beethoven viene ricreata da parte della soggettività
spontanea ed emancipata. Tale forma partecipa dell'apparenza estetica ed
è come tale suscettibile di critica dell'ideologia in quanto la
totalità trascendente appare in un'opera particolare immanente,
ovvero le singole parti che costituiscono un movimento finito raggiungono
l'intero infinito, qualcosa di simile dunque a ciò che Benjamin
ha definito come aura: apparizione unica di una lontananza per quanto sia
vicino ciò che la provoca. Tuttavia, qualsiasi critica dell'ideologia
nel caso dell'arte deve tener conto di un problema insito in modo essenziale
al fenomeno: non si dà arte senza l'insieme di totalità oggettiva,
rappresentata da forme e linguaggi tradizionali, e soggettività
libera che, penetrando la forma, le dà vita.
I. Musica e Concetto
Contrariamente a quanto sostiene Hegel nella sua
Estetica,
Adorno afferma che non è la poesia a convergere nella filosofia,
bensì la musica e ciò in particolar modo nell'opera di Beethoven,
in cui si è di fronte allo stesso problema della filosofia hegeliana:
come è possibile la creazione di un intero senza che si faccia violenza
ai singoli elementi che lo costituiscono? Anche il
modus procedendi,
la logica inerente e le forme sono simili in quanto la musica costituisce
un gioco con forme logiche pure - posizione, identità, similitudine,
contraddizione, parte e tutto - utilizzate anche dalla filosofia.. La differenza,
tuttavia, tra musica e filosofia consiste nel fatto che in musica la sintesi
si costituisce senza giudizio (Urteil, ovvero separazione, divisione
originaria); la sintesi musicale non si struttura come subordinazione,
bensì come costellazione degli elementi che la costituiscono. Ciò
tuttavia non va a discapito della logica musicale come se, rispetto a quella
discorsiva, fosse meno stringente; al contrario, essa costituisce una logica
necessaria e oggettiva che costruisce un intero stringente attraverso la
reiterazione e la ricreazione delle sue forme da parte del soggetto particolare
e libero. Così come la processualità filosofica di Hegel,
anche la dinamica musicale di Beethoven rappresenta il processo di comprensione
e interpretazione del mondo. Ciò che per Hegel è il sensibile,
è per Beethoven il tema, ovvero la mera immediatezza e astrattezza.
Lo spirito, l'intero hegeliano, corrisponde alla forma musicale tradizionale
come intero. Tra questi due estremi si svolge la mediazione, il lavoro
del concetto e lo sviluppo (Durchführung) musicale; il lavoro
alienato del soggetto corrisponde alla creazione e la variazione sviluppante
(entwickelnde Variation) ed è per Beethoven ciò che
la negazione determinata è per Hegel. Da tale analogia tra il momento
negativo della dialettica e il principio dello sviluppo nella forma-sonata
scaturisce l'ulteriore analogia dell'immanenza della forma che vale per
entrambi nel senso che i risultati della mediazione non potranno mai provenire
dall'esterno, ma unicamente dall'interno della processualità compositiva
o dialettica, ossia dal lavoro creativo o concettuale. Rispetto al
modus
procedendi però la realtà permane eteronoma e l'idealismo
non la penetra. La riconciliazione che conclude il sistema idealistico
hegeliano con il sapere assoluto trova il suo riscontro nella ripresa dove
il nuovo si rivela essere già contenuto nel vecchio, cioè
alla fine della forma-sonata viene presentato sotto forma di un nuovo risultato
lo stesso materiale tematico dell'esposizione. La prima triade della
Scienza
della Logica non costituisce una
creatio ex nihilo, la contrapposizione
tra essere e nulla non significa alcunché se posta al di fuori della
loro sintesi nel divenire e, allo stesso modo, i due temi per Beethoven
sono privi di significato senza lo sviluppo. Il divenire hegeliano viene
dunque rappresentato in musica dalla sonata e anch'essa afferma il vero
come intero, ossia l'immediatezza dei temi iniziali può essere inverata
soltanto attraverso il loro sviluppo, attraverso il lavoro motivico. La
forma logica di fondo sulla quale tutta la struttura di queste analogie
poggia è quella dell'identità che in Hegel si stabilisce
alla fine tra soggetto mediatore e oggetto mediato, e che in Beethoven
è costituita dalla forma come totalità identica nata da un
movimento che procede per contrapposizioni. Identità e totalità
si costituiscono dunque anche nella forma-sonata come risultati della mediazione,
ovvero, come dice Schönberg, la forma è la storia di un tema.
Il sistema idealistico di Beethoven, dice in sostanza
Adorno, consiste nel fatto che la sua opera è il sistema tonale
auskomponiert
e perciò comprendere Beethoven significa fondamentalmente comprendere
il sistema tonale. Egli sussume i singoli momenti sotto il concetto astratto
del sistema tonale; tuttavia l'intero scaturisce soltanto dal divenire
e dall'interazione dei singoli. L'identità del divenire tonale si
costituisce infine come una totalità delle connessioni che ha come
conseguenza la negazione dei momenti singoli; nonostante fosse stata posta
fin dall'inizio, la tonalità si stabilisce alla fine come risultato,
similmente a quanto avviene per l'intero hegeliano.
Ma è nell'analisi dettagliata del materiale musicale
concreto che Adorno cerca di identificare i modi in cui si realizzano,
attraverso il procedimento compositivo, alcuni momenti del «sistema
idealistico» di Beethoven. Il momento negativo, per esempio, si manifesta
nell'apertura dell'Eroica
(Terza Sinfonia in mi bemolle maggiore,
op. 55) alla settima battuta, dove i violoncelli suonano un do diesis che
non appartiene alla scala base di mi bemolle maggiore.
Il momento negativo ostacola la forza dell'intero, all'inizio
crea un conflitto con lo spirito oggettivo della tonalità base,
ma è proprio grazie al superamento di questo momento negativo che
la forza del movimento tonale può svilupparsi. Il momento negativo
è dunque parte essenziale del movimento tonale stesso, ed è
necessario affinché quest'ultimo possa trarre forza dalla negazione
dei momenti particolari. L'intima mediazione tra i due temi può
essere esemplificata dalle battute 1-3 (primo tema) e 51-54 (secondo tema)
del primo movimento dell'Appassionata
(Sonata per pianoforte
in fa minore, op. 57).
Battute 1-3:
Battute 51-4:
I due temi sono in realtà identici così
come, nella Scienza della Logica, lo sono essere e nulla. Come nel
sistema hegeliano ogni singolo particolare è falso in quanto viene
negato dal momento successivo, Beethoven dequalifica i momenti singoli
per aumentare la loro fungibilità all'interno dello sviluppo dell'intero.
In tal modo viene a crearsi una processualità musicale molto simile
al movimento hegeliano della Aufhebung che non solo toglie il momento
particolare ma, allo stesso tempo, lo eleva e lo conserva. Ciò tuttavia
è possibile soltanto se, fin dall'inizio, il materiale tematico
è intimamente mediato in sé e quasi non mostra proprie caratteristiche
particolari, come accade per i temi del primo movimento della
Sonata
per pianoforte e violino in re maggiore, op. 12, n. 1 che vengono in
pratica dedotti dall'accordo. Tuttavia, sebbene queste caratteristiche
della tecnica compositiva avvicinino Beethoven alle intenzioni sistematiche
hegeliane di costruire l'intero secondo cui solo la ricreazione soggettiva
della sostanza oggettiva nella sua totalità può essere vera,
Beethoven è più vero di Hegel. Egli infatti non solo ricrea
a partire dalla sua soggettività artistica la forma musicale oggettiva,
ma critica anche l'immanenza totalizzante della forma e la trascende sprigionando
al suo interno - e non con espedienti esteriori - l'energia necessaria
al superamento della forma stessa. A partire dalla battuta 284 dell'Eroica
fa il suo ingresso un terzo tema in mi minore che viene dedotto dal processo
musicale precedente ma che, allo stesso tempo, lo trascende contrapponendo
al reale della ripresa il possibile, il non-identico che scaturisce dal
movimento della logica identificatoria musicale e che è espressione
di speranza.
L'identità artistica si autodenuncia come apparenza
e non pretende di ricostruire il reale. Nell'arte ciò è possibile
perché, contrariamente alla logica autosufficiente del pensiero
discorsivo, essa presuppone come costitutivo il dualismo tra opera e fruitore.
Nella logica stringente della sua struttura interiore l'arte rinvia sempre
anche all'altro da sé e con ciò spezza la costrizione all'identità
assoluta e totale.
II. Sistema tonale e ricreazione della forma
Il sistema tonale costituisce il linguaggio della collettività
che, di fronte al soggetto singolo, rappresenta la totalità. All'interno
di tale concetto di totalità, tuttavia, è possibile differenziare
la totalità del reale - ossia la società borghese con i suoi
rapporti socio-economici solo parzialmente organizzati dalla razionalità
- dalla totalità utopica che potrebbe nascere dalla conseguente
attuazione delle potenzialità contenute nella totalità reale.
Benché in questo approccio riecheggino elementi della teoria del
rispecchiamento, Adorno non la concepisce in modo piano, come se il mondo
delle forme e dei linguaggi artistici fosse soltanto una riproduzione,
un effetto della base materiale della società. La dialettica artistica
si attua all'interno della comunicazione che si instaura tra il soggetto
creativo che cerca espressione e l'oggettività di forme e linguaggi
già precostituiti dalla tradizione, tra il soggetto Beethoven e
il sistema tonale che non ammette momenti singoli melodici che non scaturiscano
dai meri rapporti tonali fondamentali. In questo senso, prima ancora che
il soggetto cominci a cantare, la sua melodia, i temi, sono spinti dalla
tonalità a divenire l'intero, a ricreare la forma oggettiva, precostituita.
Il sistema tonale sottopone la musica alla logica discorsiva che non ammette
che qualcosa rimanga all'esterno dei rapporti precostituiti. Le relazioni
tra accordi identici significano sempre lo stesso; vi è un principio
di identità anche nella musica e di conseguenza anche un principio
di contraddizione ovvero una dialettica musicale. I temi particolari costituiscono,
attraverso il divenire contraddittorio dello sviluppo, l'intero della forma
tradizionale. Il vero, anche nella musica, è l'intero, la riconferma
che l'inizialmente posto, ovvero i temi, contenga già il risultato,
la ripresa.
La musica di Beethoven realizza questa dialettica tonale
nella contrapposizione tra ciò che egli ha definito come principio
maschile e principio femminile. Il soggetto comunica con la collettività
facendo proprio in modo completo il suo linguaggio precostituito, ricreandolo
a partire da una impostazione soggettiva autonoma che cerca di trovare
una propria espressione. Il principio maschile rappresenta l'estremo soggettivo
che, nella poetica di Beethoven, pone le sue richieste nei confronti dell'estremo
oggettivo, ovvero del principio femminile che resiste. Nel linguaggio musicale
tale contrapposizione si realizza nel rapporto tra l'intervallo di seconda
da un lato e l'accordo dall'altro e quindi nella dialettica tra il canto
lirico e la tonalità. A partire da questa contrapposizione fondamentale
Beethoven costruisce i rapporti tra intervalli piccoli, riconducibili al
principio maschile, e intervalli grandi derivanti dal principio femminile.
Laddove quest'ultimo soltanto pone la tonalità in sé come
precostituita, l'altro principio crea un movimento dinamico tramite accenti,
sincopi, nuances
e sforzati che rappresentano una caratteristica
particolare del procedimento compositivo beethoveniano. In termini dialettici,
il principio maschile rappresenta in certo modo il momento negativo, come
si è visto nel caso delle prime battute dell'Eroica, la negazione
cioè della tonalità inizialmente posta in sé da parte
del principio femminile. Il genio naturale di Beethoven si manifesta nel
sapiente impiego dell'accordo e nel suo scioglimento attraverso la settima
diminuita. Il momento soggettivo, ovvero la sua espressività e gestualità,
si appropriano del momento oggettivo, della logica e della tecnica tradizionali,
per potersi manifestare; ne risulta una dialettica profondamente radicata
nella stessa concezione musicale di Beethoven, nella quale Adorno vede
la giustificazione del proprio approccio teoretico.
A partire da una dialettica musicale così concepita
diventa infine anche possibile spiegare perché il momento oggettivo
dovesse risultare insufficiente, specie nelle composizioni mature e perché
l'ultimo Beethoven si sia necessariamente trasformato nel critico del Beethoven
classico. Il sistema tonale dialettico rende infatti possibili sia la costruzione
della forma sia la resistenza alla stessa, trasformando il differire dallo
schema nella sostanza reale della musica tonale. Tale sostanza è
già contenuta in essentiam nella stessa forma-sonata che
costituisce un insieme dialettico di necessità e libertà
perché lo stesso schema oggettivo tradizionale obbliga a un'attuazione
(Durchführung), che passa però attraverso il soggetto
che può predisporre i temi e costruirne lo sviluppo. Il compositore
realizza la dialettica della forma-sonata senza mai cedere alla schematicità
di una forma assunta come struttura oggettiva; tenta di mediare l'estraneità
dello schema formale rispetto al soggetto, la sua esteriorità e
schematicità reificata senza che tuttavia perda in oggettività
e carattere vincolante. Nell'Appassionata Beethoven costituisce
la forma oggettiva a partire dalla soggettività, attuando così
in certo senso nella musica una svolta copernicana analoga a quella operata
da Kant nella filosofia. Innanzitutto crea due temi che, come si è
visto, sono praticamente identici, ovvero allo stesso tempo rispetta e
trasgredisce la regola. L'identità dei temi diminuisce la tensione,
pur mantenendola formalmente, e ciò conferisce alla soggettività
libera maggiore spazio espressivo all'interno della forma oggettiva. Ciò
rende possibile anche una strutturazione dell'intero primo movimento che
si scosta leggermente da quella classica. È infatti possibile considerare
l'esposizione come una prima strofa e lo sviluppo dei temi - che è
sostanzialmente la ripetizione dell'esposizione con identica successione
dei temi ma, questa volta, in forma auskomponiert - come seconda.
La ripresa costituisce la terza strofa, alla quale però segue una
quarta, cioè la coda, che inverte la successione dei temi ottenendo
così la possibilità di chiudere l'intero movimento con il
primo, che è quello tragico. Beethoven fonde la forma-sonata oggettiva
con una forma drammatico-poetica libera e sposta così impercettibilmente
il centro di una forma tradizionale della quale comunque rispetta tutte
le regole. L'elemento formale drammatico-poetico libero appare potentemente
all'inizio dello sviluppo quando a battuta 78 compare il primo tema in
mi minore sotto i sedicesimi.
Già qui, come poi nel quarto movimento del
Quartetto
d'archi in fa maggiore op. 135, soltanto la decisione soggettiva (Der
schwer gefaßte Entschluß) crea il movimento oggettivo dello
sviluppo. L'intero della forma diventa possibile unicamente a partire dalla
libertà soggettiva.
Dal punto di vista strettamente estetico il fattore temporale
permette di distinguere, all'interno della produzione beethoveniana, due
tipi di sonata. Il primo è il tipo intensivo basato fondamentalmente
sulla contrazione, il dominio e l'abbreviazione del tempo attraverso lo
sviluppo di motivi identici apparentemente privi di tempo. Si tratta dell'espressione
di quiete attraverso il movimento ed è alla base dell'idea sinfonico-dinamica
che ispira i primi movimenti della Terza,
Quinta,
Settima
e Nona Sinfonia, nonché dell'Appassionata.. Nel periodo
medio-tardo della sua produzione Beethoven approda a un primo momento di
critica che in seguito costituirà una parte essenziale dello stile
maturo. Il secondo tipo può essere definito estensivo-epico e anticipa
momenti dello stile compositivo di Gustav Mahler. Qui il tempo viene liberato
e la mediazione tra i singoli motivi retrocede dando luogo a uno svolgimento
meno dinamico e a un tempo più geometrico; nell'arte del tempo irrompe
lo spazio sciogliendo l'immanenza della forma. La tensione che era legge
fondamentale del primo tipo viene ora distribuita su gruppi motivici più
lunghi, lo sviluppo spesso viene lungamente introdotto, una volta avviato,
si conclude velocemente e la musica, a volte, quasi si arresta. Nello
Scherzo
dell'Eroica le prime sei battute costituiscono un'introduzione
non vincolante di un tema vincolante; tuttavia, l'intero
Scherzo rimane
come sospeso nell'aria e sembra che non accada nulla.
Il tipo estensivo-epico della forma-sonata viene esemplificato
soprattutto dal Trio per pianoforte, violino e violoncello «dell'Arciduca»
in si bemolle maggiore op. 97, ma anche dai primi movimenti del
Quartetto
Rasumowsky in fa maggiore op. 59 n. 1, della
Sesta Sinfonia «Pastorale»
in
fa maggiore op. 68 e della Sonata per pianoforte e violino in sol
maggiore op. 96. La soggettività espressiva interviene ora immediatamente
nel processo compositivo, non più mediata attraverso i momenti oggettivi
della forma e crea una sottile ambiguità che sarà caratteristica
dello Spätstil. Già a partire dall'Eroica - dove
nel primo movimento compare un terzo tema e dove l'intero Scherzo
rimane ambiguamente sospeso perché realizzato fondamentalmente sulla
base di un unico intervallo - Beethoven giunge ai limiti della forma-sonata
dove il momento oggettivo e l'esperienza soggettiva si dissociano. La critica,
che qui inizia a formarsi, si rivolge innanzitutto contro la totalità
del tempo dominato esteticamente attraverso la forma oggettiva e coinvolge
di conseguenza primariamente i momenti dello sviluppo e della ripresa che
perdono progressivamente il loro senso costitutivo della forma. La totalità
si rivela essere apparenza e il senso della forma non si trova più
nell'attimo fermo del primo tipo, ma nel guardare indietro, nell'indugiare
nostalgicamente e nel carattere epico poi ripreso da Mahler.
III. L'ultimo Beethoven
- Spätstil
Agli occhi di Adorno non è possibile ridurre lo
stile dell'ultimo Beethoven, che si dispiega all'incirca a partire dalla
Sonata
per pianoforte in la maggiore op. 101, né alla sua componente
polifonico-oggettiva né a quella espressivo-soggettiva; vi si possono
trovare elementi sia monodici sia polifonici, un incremento di espressività
soggettiva, ma anche la soppressione di questo stesso carattere espressivo.
Una caratterizzazione generale dello Spätstil potrebbe piuttosto
essere rappresentata da un'affermazione del Goethe maturo sul processo
dell'invecchiamento che si manifesta in un progressivo allontanarsi dal
piano dell'apparenza. Per avvicinarsi a questo stile i tradizionali mezzi
non sono più sufficienti e si tratta piuttosto di procedere in modo
fenomenologico focalizzando l'attenzione su singoli tratti particolari.
Una prima caratteristica è quella dell'emergenza
(Ernstfall); il gioco estetico si fa serio, denuncia il proprio
carattere di parvenza e trascende la forma. Classicamente ogni opera rappresentava,
nella sua interezza, un'individuazione completa, conclusa in sé,
che costituiva un senso. Gli ultimi quartetti di Beethoven non costituiscono
più un'individualità, un'unità in sé completa,
ma trascendono l'immanenza della forma attraverso strette parentele tematiche,
i singoli movimenti possono anche essere accostati in modo diverso dando
luogo a strutture musicali differenti. Gli ultimi quartetti non possono
finire come la Nona Sinfonia di Mahler o il
Concerto per violino
e orchestra in memoria di un Angelo di Alban Berg perché si
rifiutano di costituire un senso all'interno della dimensione estetica
che al suo esterno non sussiste. Consapevole di questo stato d'emergenza
Schönberg aveva risposto a chi in America gli aveva fatto i complimenti
per le sue composizioni: «My music is not lovely!». Le battute
1-4 del primo movimento del Quartetto
in si bemolle maggiore op.
130 e quelle 1-17 del primo movimento del Quartetto
in fa maggiore
op. 135 danno un'idea di che cosa significhi lo stato d'emergenza.
Op. 130:
Op. 135:
Inoltre, nello
Spätstil, Beethoven non dispiega
più i significati lungo l'arco temporale della composizione - il
compositore rinuncia infatti a dominare e quindi strutturare il tempo attraverso
i significati delle singole parti - ma li condensa in piccoli spazi. Il
primo movimento della Sonata per pianoforte in la maggiore op. 101
è a tutti gli effetti un grande movimento ma è lungo appena
due pagine. Il soggetto rifiuta di esprimersi seguendo le regole della
comunicazione e fa un passo indietro rispetto alla propria creazione, come
nel sogno l'io consapevole retrocede rispetto al naturale che spinge verso
un'espressione tale da ingannare la logica e condensare i significati in
pochi segni.
La terza caratteristica consiste nella desensualizzazione
e spiritualizzazione del materiale compositivo. Il momento sensibile, la
dimensione orizzontale, che già prima era stata fortemente predisposta
per essere funzionale alla costruzione della forma, viene ora ulteriormente
ridotto per consentire l'apparizione di qualcosa di spirituale. Il soggetto
interviene in modo diretto e a volte conduce la composizione a risultati
che non nascono dal materiale compositivo oggettivo come nel caso dei crescendi
all'inizio dell'op. 130 (battute 5-7 e 11-13) che vengono, per così
dire, «immessi» al soggetto espressivo. Ne risulta la distruzione
dell'unità simbolica e un modus procedendi che si avvicina
per molti versi all'allegoresi, che costruisce strutture di significato
con l'accostamento di elementi di forme svalutate, strutture fortemente
improntate da un'esperienza soggettiva contrassegnata da morte e decadenza.
Tali strutture non costituiscono mai unioni autosufficienti, ma significano
sempre altro e richiedono, a causa del loro carattere frammentario, di
essere completate dal fruitore. Beethoven riduce la mediazione fino a farla
scomparire per far sì che si aprano gli abissi nella parvenza estetica,
solitamente coperti dalla mediazione. Invece di affermare il sempre identico
in mediazioni estetiche che immettono una parvenza di polifonia nella monodia
del lavoro tematico, che è appunto suddivisione ed elaborazione
progressiva di un'unità pregressa che alla fine viene riaffermata,
si fa sì che il sempre identico ora si esprima in modo astratto.
Un'altra caratteristica è rappresentata dalla polarizzazione
e conseguente dissociazione di elementi compositivi e strati materiali
che la musica classica aveva sintetizzato. Il sistema tonale viene dissociato
nell'estremo polifonico e in quello omofonico che non vengono più
mediati per costruire un'unità all'interno della quale, attraverso
il linguaggio oggettivo, la premessa soggettiva possa venir elevata a risultato
oggettivo. Dal punto di vista armonico, il soggetto si dissocia dal linguaggio
collettivo non mediando più i passaggi da un accordo all'altro e
sostituendo, come poi Schubert, la modulazione con successivi spostamenti
di accordi. Attraverso l'utilizzo di sincopi e accenti ritmici diversi
da quelli armonici si dissocia dalla dimensione armonica anche quella ritmica.
La sostanzialità dell'armonia si riduce al semplice accordo singolo,
il significato dell'intero passa alla parte e l'accordo si sostituisce
in quanto allegoria alla processualità del sistema tonale. Di conseguenza
anche la dimensione orizzontale viene polarizzata e, come poi nel Brahms
maturo, la grande forma si dissocia dal tema. Nella
Nona Sinfonia
Beethoven contrappone infatti in modo duro e aspro il tema più importante
della gioia alla textura del movimento in quanto tale. Si dissocia,
infine, nei suoi estremi anche l'ideale classico di Haydn che aveva unito
la dimensione popolare della musica con la sua dimensione erudita.
La musica non parla più il linguaggio dell'individuo
che nelle cesure della composizione si ritira dall'opera lasciandola parlare
da sola. Nel terzo movimento della Sonata per pianoforte in mi maggiore
op. 109 (battute 1-2 e 153-4) Beethoven aggiunge delle ottave creando l'effetto
di un canto collettivo.
Op.109, batt. 1-2
Op. 109, bat. 153-154
Nel quinto movimento dell'op. 130 (battute 1-9) la tonica
viene anticipata e compare già nell'introduzione creando un effetto
di sospensione e di ambiguità che non lascia la possibilità
al soggetto di dominare il tempo.
Op. 130 - batt. 1-9
La condensazione che carica di immensi significati le
singole parti ridotte le trasforma in convenzioni compositive come i trilli
nella Sonata per pianoforte in do minore, op. 111 o i motivi ripetuti
nelle battute 1-8 del secondo movimento dell'op. 130.
Op. 130 - batt. 1-8
Il materiale tonale s'indurisce, i temi non vivono più
una propria vita e, in quanto convenzioni, si liberano dalla parvenza di
essere dominati dal soggetto. Il problema di come qualcosa di vivo possa
trasformarsi in formula diventa legge formale delle ultime composizioni
di Beethoven: stabilire in qualche modo un rapporto tra le convenzioni
e la soggettività come accade nel primo movimento dell'op. 135 dove
la melodia viene soltanto variamente suddivisa e ripetuta. Il senso non
viene più mediato dalla totalità di ciò che appare
perché nulla di ciò che appare è ciò che sembra
essere. L'allegoresi dello Spätstil si allontana dal piano
dell'apparenza e affonda le sue radici nell'anorganico e nell'amorfo perché
il soggetto ha oramai raggiunto la piena autocoscienza della totale nullità
dell'individuale. Ciò sposta il centro dell'attenzione compositiva
al rapporto con la morte e il soggetto lascia libero ciò che prima
dominava deponendo definitivamente l'apparenza artistica come nella
Cavatina
(quinto movimento dell'op. 130), dove nelle battute 23-30 l'assoluta caducità
della musica viene auskomponiert.
Op. 130 - V, batt. 23-30