Note
[1]
Queste pagine traggono spunto dalla lettura del libro di Silvia Vizzardelli,
L'esitazione del senso. La musica nel pensiero di Hegel (Roma, Bulzoni
Editore 2000; d'ora innanzi citato con la sigla SV) - un lavoro
accattivante, e tuttavia rigorosamente analitico; uno di quei libri che fa
piacere leggere, malgrado la materia ardua (e non esisteva nulla di altrettanto
impegnativo in Italia sul tema).
La sigla E sta per la
trad. it. dell'Estetica di Hegel, a cura di N. Merker, Torino, Einaudi
1967.
[2]
Cfr. Saggi sulla letteratura, l'arte e il linguaggio, vol. I, trad. it.
di S. Daniele, Torino 1969, p. 185.
[3]
E. Bloch, Soggetto-Oggetto, trad. it. e cura di R. Bodei, Bologna 1975,
pp. 298 e 299.
[4]
«Se noi in generale possiamo già considerare l'attività nel regno del bello come
una liberazione dell'anima, come uno sciogliersi da ogni costrizione e
limitatezza, perché l'arte addolcisce con teoretico formare anche i destini
tragici più violenti e li fa divenire oggetto di godimento, la musica spinge al
culmine più alto questa libertà» (E 999).
[5]
SV 13.
[6]
Silvia Vizzardelli dice di una «espressività non referenziale» che attribuisce
«all'intima normatività della forma la facoltà di far nascere presso di sé
significati 'inclusivi'» (SV 27).
[7]
Esemplificando, tra le tante note affermazioni hegeliane: «L'arte presenta alla
coscienza la verità sotto forma sensibile» (E 118); «nell'arte abbiamo a
che fare non con un congegno meramente piacevole o utile», bensì «con un
dispiegarsi della verità» (E 1381).
[8]
E con ciò stesso, sempre paradossalmente, la musica sembra la sola arte «cui, a
rigore, possa essere riconosciuto il carattere della classicità» (SV 88).
[9]
Heimsoeth, Hegels Philosophie der Musik, in «Hegel-Studien», 2 (1963), p.
180.
[10]
SV 230; e cfr. 194: «Quanto più la musica è vera musica, (...) tanto più
Hegel la vede incamminata lungo il sentiero del disimpegno, di un perverso
alleggerimento della solidità etico-spirituale. (...) Quando cioè la sensibilità
estetica rivela, nella musica, il suo vero volto, è già iniziato il processo di
'decadenza'. Come se l'arte in senso pieno cominciasse a 'morire' proprio nel
pieno della sua affermazione».
[11]
V. rispettivamente Bloch, Soggetto-Oggetto, cit. p. 292; e SV 122.
[12]
SV 104, 161, 187; e cfr. 198 («il sentimento ha bisogno della cosa stessa»,
che non coincide con «la luminosità morente del suono, bensì con densità del
significato»).
[13]
Hegel, Lezioni di estetica, trad. e introd. di P. D'Angelo, Bari 2000, p.
261: un mondo di puri rapporti tra suoni «non soddisfa lo spirito». La
«determinazione originaria» della musica è il discorso. E tuttavia «può anche
divenire autonoma», come accade «in epoca moderna, in cui essa erige gli edifici
architettonici dell'armonia, che soddisfano soltanto i conoscitori. In
nessun'altra arte succede in eguale misura che soltanto uno studio intellettuale
possa assicurare il soddisfacimento». Quanto più la musica «diventa autonoma,
tanto più essa viene ad appartenere solo all'intelletto, ed è una mera
artificiosità, che esiste solo per il conoscitore ed è infedele allo scopo
dell'arte». E cfr. G. Biller, Zur Frage der funkionalen Aktualität Hegelscher
Musikästhetik, «Giornale di Metafisica», 1-2/XXXI, 1976, p. 63. Sopravvive
in Hegel un retaggio del passato: della nota svalutazione della musica, e in
particolare della musica strumentale, tipica per lo più dell'estetica
settecentesca.
[14]
E che pur intuisce ad es. nelle sinfonie di Mozart (E 1031: «una
concertazione drammatica, una specie di dialogo»); Cfr. K. Schütthauf, Melos
und drama. Hegels Begriff der Oper, «Hegel-Studien», Beiheft 27 (1986), p.
194.
[15]
D'Angelo, Simbolo e arte in Hegel, Bari 1989, p. 227.
[16]
SV 192, 217. E il rendere autonomi i suoni, sappiamo, non è per Hegel
«propriamente conforme all'arte» (E 1011).
[17]
Osserva giustamente Fulvio Papi che la «morte dell'arte» in Hegel significa «che
l'arte non è più la rappresentazione sensibile di un'altra sostanza spirituale,
il mondo greco o quello del cristianesimo, ma deve misurarsi ora con la propria
possibilità di verità, e in questa prova, ovviamente può anche fallire e
diventare, come Hegel stesso aveva veduto, il luogo del futile, dell'arbitrario,
del gioco» (Per un'estetica propositiva, «Agorà», IV, 2000, p. 486).
[18]
Come Hegel già denunciava a proposito della pittura olandese, in cui «i mezzi
della rappresentazione divengono fine per se stessi, cosicché l'abilità
soggettiva e l'applicazione del mezzo artistico si elevano a tema oggettivo
dell'opera d'arte» (E 670).
[19]
«Anzi, specialmente nella musica incontriamo questa semplice analisi
intellettuale per la quale nell'opera d'arte non c'è altro che la abilità di un
virtuosismo» (E 1011). Nella musica autonoma Hegel intravede il rischio
di una «esasperazione della perizia tecnica, cui spetta il compito di risarcire
la povertà interiore con la delimitazione specialistica delle competenze» (SV
231).
[20]
Perciò Hegel annota che i musicisti professionisti «sono spesso le persone
spiritualmente più insignificanti» (E 1039).
[21]
Sono parole di Cosima, ma che ben sintetizzano il pensiero del marito (C.
Wagner, La mia vita a Bayreuth 1883/1930, trad. it. Milano 1982, p. 178).
[22]
A Boito nel 1881 scrive: «Io credo che in teatro, come nei maestri è lodevole
talvolta il talento di non far musica, e di saper s'effacer, così nei
poeti è meglio qualche volta più del bel verso, la parola evidente e scenica» (Carteggio
Verdi-Boito, a cura di M. Medici e M. Conati, Parma 1978, p. 31).
[23]
Un frutto pervertito di una simile tendenza ( a voler essere cattivi) può esser
forse rintracciato nella soddisfazione con cui qualcuno negli anni del nazismo
osservava che «forse mai come adesso l'Anello di Wagner è stato sentito
così poco come godimento e tanto come compito e servizio» (cit. da da Hans
Mayer, Richard Wagner a Bayreuth 1876-1976, trad. it. Torino 1981, p.
104).
[24]
Cfr. E 1030: «la voce umana contiene la totalità ideale dei suoni», «può
esser percepita come il suono stesso dell'anima»; e ancora: «nel canto l'anima
sgorga dalla propria carne».
[25]
Il legame tra il tema della «fine dell'arte» e opera nelle riflessioni hegeliane
è rilevato anche da A. Gethmann-Siefert, Das «moderne» Gesamtkunstwerk: die
Oper, «Hegel-Studien», Beiheft 34 (1992), p. 165.
[26]
Cfr. Schütthauf, op. cit., pp. 185, 190. Sui rapporti tra Hegel e la
musica del suo tempo in generale cfr. C. Dahlhaus, Hegel und die Musik seiner
Zeit, «Hegel-Studien», Beiheft 22 (1983), pp. 333-50.
[27]
Cfr. E 181-182; Schütthauf, op. cit., pp. 188, 190.
[28]
Sui rapporti tra Wagner e Hegel cfr J. Söring, Hegel un die Roman-Theorie
Richard Wagners, «Hegel-Studien»«»Beiheft 27 (1986), pp. 195-212; Schütthauf,
op. cit., p. 193.
[29]
Su questi temi v. Dahlhaus, Il realismo musicale, trad. it. Bologna 1987,
pp. 43-61 (su Hegel e Weber le pp. 48-51). V'è qui una certa consonanza col
rifiuto di Rosenkranz, nell'Estetica del Brutto, della nascente opera
nazionale tedesca e italiana: di Marschner, di Spohr ad es., ma anche di
Donizetti.