Augusto Mazzoni

Prospettive musicologiche nell'estetica di Roman Ingarden

1. L'opera musicale come oggetto puramente intenzionale

Le ricerche svolte da Ingarden nel campo dell'estetica sono scaturite, come detto, da tematiche di ordine squisitamente filosofico, concernenti in primo luogo il dibattito tra realismo e idealismo. Intento principale del pensatore polacco era di confutare quella particolare impostazione del metodo fenomenologico che, almeno apparentemente, aveva condotto il suo maestro Husserl al cosiddetto «idealismo trascendentale»: una problematica che coinvolgeva questioni di natura strettamente ontologica e interessava l'esame dei diversi modi di esistenza degli oggetti. Per Ingarden era di estrema importanza definire, oltre all'ambito ontico degli oggetti reali e a quello degli oggetti ideali, l'ambito proprio degli oggetti puramente intenzionali, cui appartengono a pieno titolo le opere d'arte. Passo iniziale in questa direzione fu un'indagine sullo statuto dell'opera letteraria, i cui risultati sono sfociati nello studio Das literarische Kunstwerk (1931), divenuto poi il più noto tra tutti i lavori di Ingarden. Ma la sfera dell'arte letteraria non ha precluso la considerazione delle altre discipline artistiche, cosicché ben presto si è proposta una riflessione riguardante anche la musica. Da qui ha preso corpo quell'interesse tematico specifico che, attraverso elaborazioni successive, ha condotto infine al saggio sull'opera musicale[1].

 

Nell'affrontare il tema dell'opera musicale Ingarden ha cercato soprattutto di dimostrarne lo statuto ontico di oggetto puramente intenzionale, ossia di oggetto che, per modo di esistenza, non è né reale né ideale. A tal fine egli ha proceduto a distinguerla accuratamente da alcuni oggetti che ad essa sono connessi, ma pure se ne differenziano: l'esecuzione, i vissuti di coscienza, la partitura. L'opera in tal modo si configura come qualcosa che non è riducibile ad altro, in particolare non a quanto abbia carattere di mera oggettività naturale (fisico-acustica) o di mera soggettività psichica. Ciò delinea un'impostazione antinaturalistica e antipsicologistica dell'estetica che vale per Ingarden in generale e caratterizza, del resto, parecchi autori a lui prossimi: tra gli altri allievi di Husserl, per esempio, Waldemar Conrad [2].

La distinzione tra esecuzione e opera musicale si basa sulla constatazione che certe affermazioni valide per l'una non sono valide invece per l'altra. Vi sono cioè caratteristiche rintracciabili nell'esecuzione, ma non nell'opera in quanto tale. Sei i punti fondamentali a questo proposito: 1) l'esecuzione è un processo che possiede una precisa collocazione temporale, mentre l'opera, pur durando nel tempo (infatti, dopo essere stata creata, ha una sua «vita» nella storia), anziché essere un processo, è sovratemporale (quantunque preveda un ordine di successione delle sue parti e manifesti una struttura quasi-temporale); 2) l'esecuzione è sempre di natura acustica, ossia fisico-causale, a differenza dell'opera; 3) l'esecuzione possiede una precisa collocazione spaziale, mentre l'opera no; 4) l'esecuzione si offre agli ascoltatori attraverso aspetti uditivi molteplici, mentre per l'opera non si può parlare di aspetti, se non in senso ideale; 5) l'esecuzione sussiste accanto ad altre esecuzioni della stessa opera, rispetto alle quali presenta sempre qualche differenza qualitativa, mentre l'opera permane comunque una e una sola; 6) l'esecuzione possiede una determinatezza completa delle sue proprietà, mentre l'opera presenta punti di indeterminatezza. Tutto ciò esclude di poter ridurre l'opera a una delle sue esecuzioni, ma pure a un insieme qualsiasi o alla totalità di esse.

Come l'opera musicale non appartiene alla realtà naturale, così essa non appartiene alla realtà psichica. Ingarden vuole escludere ogni concezione che la assimili in qualche modo a un vissuto soggettivo, sia esso dell'autore o di chiunque ne abbia esperienza. Infatti è chiaro che l'opera non può consistere in alcuna delle componenti di un vissuto: non nell'atto di ascolto o di immaginazione sonora, ma nemmeno nei contenuti di un tale atto di coscienza, quali possono essere le sensazioni o i dati uditivi. Nell'atto v'è sì un momento intenzionale che si riferisce all'opera quale suo oggetto, tuttavia non è esso stesso l'opera.

È da distinguere infine l'opera dalla sua partitura, comunque si voglia considerare la questione. Certo essa non è identificabile con la sua partitura ove quest'ultima sia intesa come mero oggetto materiale (carta con macchie di inchiostro). Ma nemmeno è possibile sostenere una tale identificazione ove si intenda più correttamente la partitura come un complesso di segni (in quanto tali immateriali, benché fondati su oggetti fisici). In questo caso infatti bisogna constatare come, nonostante tali segni abbiano la funzione di significare l'opera allorché intervenga un atto intenzionale soggettivo, l'opera sia propriamente l'oggetto cui si riferisce tale intenzione e quindi risulti distinta tanto dall'atto quanto dai segni stessi.

Se l'opera si distingue dalle sue esecuzioni, da qualsiasi vissuto di coscienza e dalla sua partitura, quale risulta essere dunque il suo modo di esistenza? Si è già anticipato come Ingarden abbia voluto dimostrare con le sue argomentazioni l'appartenenza dell'opera musicale all'ambito ontico degli oggetti puramente intenzionali. Ciò deriva dalla sua irriducibilità a un oggetto reale naturale o psichico, ma altresì dall'esclusione che si tratti di un oggetto ideale, in quanto oggetto che non è atemporale, bensì che è creato e sorge nel tempo storico. Ogni oggetto puramente intenzionale è, per essenza, onticamente eteronomo, dipende cioè, nella sua esistenza, dagli atti di un soggetto che si dirige intenzionalmente verso di esso. L'opera musicale nasce a partire dagli atti creativi del suo autore, il quale di solito la fissa, sia pure soltanto in modo inevitabilmente schematico, in una partitura, affinché sia poi riproducibile nelle esecuzioni. Partitura ed esecuzioni divengono pertanto fondamenti ontici dell'opera stessa (fondamenti, per l'appunto, e non mai componenti, a qualunque titolo, di essa) poiché è per il loro tramite che essa può continuare a esistere quale correlato degli atti intenzionali di altri soggetti: esecutori e ascoltatori che talora vivono in stretta compartecipazione l'esperienza della musica [3].

I risultati teorici cui perviene Ingarden in merito alla tematica musicale coincidono con quelli da lui raggiunti nel campo letterario e artistico in generale. Nel suo modo di esistenza l'opera musicale è simile a ogni altro tipo di opera d'arte: oggetto puramente intenzionale, caratterizzato quindi dall'eteronomia ontica. Ed è con l'opera letteraria, in particolare, che condivide parecchie proprietà: sovratemporalità e insieme struttura quasi-temporale, fondamento in un testo scritto ecc. Quale sua peculiarità l'opera musicale possiede però la caratteristica di non essere costituita da una pluralità di strati, come invece avviene per l'opera letteraria, nonché per le opere delle arti figurative (tranne la pittura astratta, ma proprio perché non rappresentativa) o per l'opera di architettura. Per Ingarden, che considera per ragioni di metodo il campo specifico della musica strumentale, l'opera musicale, pur presentando oltre al momento delle formazioni sonore anche altri momenti non-sonori, si rivela comunque monostratificata. Infatti tali momenti non-sonori (struttura quasi-temporale, fenomeno del «movimento», «forma», qualità emozionali, qualità di validità estetica, eventuali «motivi rappresentativi») risultano strettamente impiantati nel substrato sonoro dell'opera [4].

Le riflessioni sulla musica sono parte relativamente modesta delle ricerche che Roman Ingarden ha dedicato all'estetica e alla filosofia dell'arte. Condensate principalmente in un saggio che ha per tema lo statuto dell'opera musicale, esse trovano corollario in pochi altri brevi scritti, peraltro poco conosciuti: certo nulla di paragonabile alla mole di studi da lui riservati invece alla sfera dell'arte letteraria. Eppure le sue considerazioni hanno influito, come già sulla scienza della letteratura, altresì in campo musicologico. Si tratta, per molti versi, di un influsso solo superficiale o indiretto, anche perché Ingarden si è rivolto all'argomento musicale essendo guidato non da motivazioni specialistiche, bensì piuttosto da un interesse di squisita natura filosofica: quello stesso interesse, del resto, che ha nutrito, quale impulso fondamentale, ogni suo lavoro nel campo dell'estetica. È innegabile però che alcune sue idee si sono mostrate rilevanti proprio per la loro portata di ordine teoretico e hanno riscosso l'attenzione (anche in senso critico) di chi ha affrontato l'indagine musicologica dal punto di vista sistematico. Il riferimento ad alcune problematiche sollevate da Ingarden ha riguardato dapprima gli ambienti della musicologia polacca o di area tedesca, dove i suoi testi erano di accesso immediato sotto il profilo linguistico, per poi diffondersi ulteriormente man mano che si sono aggiunte le traduzioni del saggio sull'opera musicale nelle diverse lingue. Ne è sorto un nucleo di discussione che ha coinvolto in misura apprezzabile la musicologia più recente.Roman Ingarden

2. Alcune osservazioni di Zofia Lissa

Si è visto come le ricerche di Ingarden abbiano soprattutto una valenza ontologica. Definire l'opera musicale come oggetto puramente intenzionale significa riconoscerne uno specifico modo di esistenza e quindi attribuirne l'appartenenza a uno specifico ambito ontico: una problematica che è affrontata da Ingarden in termini eminentemente eidetici, guardando alle caratteristiche essenziali degli oggetti in questione e prescindendo da considerazioni sul mero piano empirico. Ma come si pone una simile concezione quando si passi a una sua verifica sul piano dell'effettività storica? Tra coloro che si sono posti la domanda spicca Zofia Lissa, musicologa polacca (peraltro già allieva dello stesso Ingarden) che ha dedicato alcune osservazioni critiche in proposito [5].

Secondo Lissa la validità universale della teoria di Ingarden sarebbe smentita da numerosi dati di fatto nella storia della musica, laddove sono rintracciabili alcuni tipi di opera che non presentano affatto tutte le proprietà attribuite dal filosofo alle opere musicali in generale. Ciò riguarda principalmente tre diversi generi di produzione musicale: quello della musica elettronica e concreta, quello della musica aleatoria, quello della musica improvvisata. In tutti e tre i casi si manifestano opere che sembrano contraddire parecchie delle affermazioni di Ingarden, anche perché, bisogna invero aggiungere, rappresentano fenomeni artistici relativamente recenti (a parte ovviamente il caso dell'improvvisazione) e perciò forse a lui non ben noti quando ha elaborato le proprie riflessioni.

Per quanto concerne la musica elettronica e concreta Lissa fa notare innanzitutto come l'autore fissi la sua opera non mediante una partitura, bensì registrandola su un nastro magnetico. Una simile registrazione, escludendo un procedimento di notazione scritta, elimina il problema di dover interpretare dei segni. Inoltre esclude l'intervento di un esecutore, giacché la realizzazione sonora dell'opera è ottenuta grazie a un'opportuna apparecchiatura. Ciò ha conseguenze notevolissime. L'esecuzione infatti è pur sempre ripetibile (come anche sono riproducibili copie molteplici della registrazione), ma ogni volta è la medesima, invariata nelle sue proprietà sonore. Essa dipende direttamente dalle intenzioni creative dell'autore e le realizza comunque pienamente e in maniera del tutto adeguata. Non si può dunque parlare, almeno in riferimento al substrato sonoro dell'opera, di una sua schematicità e indeterminatezza.

Anche per la musica aleatoria si profila un rapporto tra creazione ed esecuzione dell'opera che Lissa ritiene essere assai differente da quanto emerge dalla concezione di Ingarden. Qui però si tratta di qualcosa di opposto alla completa determinatezza dell'opera nella registrazione e quindi di opposto all'assoluta invariabilità dell'esecuzione. L'introduzione di procedimenti aleatori in musica, con modalità talora molto differenti a seconda delle varie opere, demanda all'arbitrio dell'esecutore la scelta di alcune proprietà fondamentali, che la partitura, avvalendosi spesso di una notazione ad hoc, lascia appositamente indeterminate: per esempio l'ordine di successione delle parti. Ne consegue una totale variabilità tra esecuzione ed esecuzione, che può giungere fino al limite di una cospicua dissomiglianza fra le concrete realizzazioni sonore. Orbene, si chiede Lissa, è corretto continuare a parlare, di fronte a esecuzioni fra loro diversissime, di un unico e identico oggetto intenzionale come concepito da Ingarden?

Il medesimo interrogativo si impone anche per numerosi generi di musica improvvisata, propri sia delle culture europee che di quelle extraeuropee, dove parimenti sembra venir meno il sussistere di un unico oggetto intenzionale, identico attraverso le molteplici esecuzioni. Lissa non si riferisce semplicemente a quella variabilità che deriva a un certo tipo di musica dalla mancanza di una registrazione scritta. In effetti il ricorso alla notazione aiuta a fissare l'opera, ma non è affatto necessario, come del resto riconosce lo stesso Ingarden che menziona tra i motivi per scartare l'identificazione tra opera e partitura proprio l'esistenza di opere del repertorio popolare tramandate oralmente. Tuttavia in merito alla musica improvvisata si possono citare parecchi esempi in cui la pratica di chi canta o suona non sembra costituire in alcun modo l'esecuzione di un autentico oggetto intenzionale, bensì soltanto di un modello stereotipo comune che orienta l'attività estemporanea dell'improvvisatore (Lissa accenna in particolare al maqam della musica araba ). E questo certo risulta estraneo al quadro teorico tracciato da Ingarden.

Il complesso di queste obiezioni non si limita agli aspetti più specifici, ma evidenzia altresì una critica di ordine metodologico. Sul piano generale Lissa contesta la validità di una ricerca che, indipendentemente dall'effettività storica, pretenda di individuare un'essenza universale delle opere musicali, ritenendo piuttosto che un'indagine di questo tipo conduca soltanto a risultati relativi e provvisori, destinati comunque a essere smentiti dal corso storico successivo. È chiaro che la visione di Ingarden è completamente opposta. Egli propugna con convinzione il metodo eidetico, sostenendo, a sua difesa, che un'analisi concernente proprietà essenziali non si propone di formulare previsioni fattuali e quindi non può essere inficiata dalla semplice comparsa di nuovi casi nel procedere effettivo della storia. In sede ontologica ogni relativismo storicistico è da rifiutare: questo anche nel campo delle opere d'arte, dove potranno semmai registrarsi casi particolari, al limite delle varie categorie essenziali, ma non certo la trasformazione ontologica delle categorie in sé.

Roman IngardenIn una replica diretta Ingarden precisa come, al di là delle questioni di metodo, anche le obiezioni più specifiche siano, a suo parere, da respingere [6]. Innanzitutto non è corretto pensare che nella musica elettronica e concreta esista una specie di coincidenza tra esecuzione e opera. In verità la mancanza di una notazione scritta e la registrazione diretta su nastro magnetico rendono univoco il rapporto tra esecuzione e opera solo apparentemente. Infatti le diverse realizzazioni sonore della medesima registrazione, anche quando si tratti dello stesso supporto fisico, comportano necessariamente alcune piccole infinitesime differenze, che possono dipendere da accidentalità concernenti l'effettivo funzionamento dell'apparecchiatura elettromagnetica oppure da mutate condizioni dell'ambientazione acustica. Si tratta pertanto di esecuzioni distinte qualitativamente, oltre che numericamente. Certo tra di esse sussiste una somiglianza strettissima, assai maggiore di quella che distingue le varie esecuzioni ottenute mediante l'intervento umano e senza l'ausilio di un macchinario. Ciò tuttavia non elimina il fatto che il rapporto tra esecuzioni e opera continui a rimanere quello tra una pluralità di processi sonori reali e un unico e identico oggetto intenzionale, quelli essendo pienamente ma differentemente determinati nelle loro qualità sonore, questo essendo almeno parzialmente indeterminato.

Secondo il parere di Ingarden, come la musica elettronica e concreta, anche la musica aleatoria non sembra costituire un caso eccezionale, tale da mettere in discussione la sua teoria. Qui il problema sta solo nel comprendere esattamente quale sia il ruolo giocato dalla partitura. Bisogna riconoscere infatti che quanto è indicato da essa non è un'unica formazione sonora, bensì un'intera classe di formazioni possibili, tra le quali è chiamato a scegliere l'esecutore: non lo schema relativo a un'unica opera, bensì una molteplicità indefinita di opere potenziali. Quando pertanto, in occasione delle scelte che via via sono assunte dall'esecutore, si hanno esecuzioni diversissime tra loro, ciò va riferito all'esecuzione di opere parimenti diverse, anche se notate mediante una medesima partitura. Il rapporto tra singola esecuzione e opera corrispondente non muta sotto alcun riguardo rispetto al solito, se non per il fatto che la ripetizione dell'esecuzione di una stessa opera, possibile solo quando ci sia una ripetizione delle stesse scelte esecutive, sarà vincolata al comportamento estemporaneo dell'esecutore [7].

Quanto alla musica puramente improvvisata, Ingarden riconosce di buon grado che ci siano pratiche musicali in cui non si può rintracciare la permanenza di un'opera identica attraverso molteplici esecuzioni. Questo però non costituisce nulla di problematico per la sua concezione. Innanzitutto non si può argomentare che nell'improvvisazione opera ed esecuzione di fatto coincidano, giacché in essa, benché ideazione e realizzazione sonora siano pressoché contemporanee, sussiste tuttavia un momento creativo mediante il quale l'improvvisatore si riferisce a un oggetto intenzionale. L'impossibilità di identificare una stessa opera in una pluralità di esecuzioni non rappresenta parimenti una difficoltà teorica. Ingarden sottolinea infatti come la questione dell'identità dell'opera abbia occupato le sue riflessioni in quanto problema particolare. Egli però non ha inteso proporre l'identificabilità nelle diverse esecuzioni quale marca essenziale di un'opera musicale in senso generale.

 

 

3. L'identità dell'opera musicale

Il problema dell'identità dell'opera musicale si pone soprattutto a proposito del repertorio scritto, allorquando esista una partitura che consenta di verificare in modo obiettivo la permanenza di uno stesso oggetto intenzionale attraverso una molteplicità di esecuzioni [8]. La questione riguarda come possa avvenire che tale opera, permanentemente unica e identica, sembri soggetta, d'altra parte, a una lenta ma sensibile mutazione durante la sua esistenza storica, in virtù dei diversi modi di eseguirla o di comprenderla e valutarla. Essa pare avere una sua «vita» nella storia, ossia un percorso attraverso il quale, col passare delle varie epoche, alcune sue qualità, in certa misura, si modificano.

Per comprendere come ciò possa accadere, Ingarden richiama nuovamente l'attenzione sulla correlazione tra opera e partitura. L'opera, in riferimento a come risulta fissata per iscritto dall'autore, possiede dei punti di indeterminatezza che le derivano non solo dalla sua natura di oggetto puramente intenzionale, ma anche dall'inevitabile schematicità della notazione musicale. In effetti la notazione, almeno quella tradizionale, riesce a fissare con precisione gli elementi fondamentali dell'opera, ma non può indicare tutte le più piccole sfumature agogiche, dinamiche, timbriche ecc. che invece caratterizzano una qualsiasi esecuzione. Ciò che si correla alla partitura è pertanto un semplice schema, una formazione per alcuni aspetti lacunosa e incompleta. Tale formazione schematica garantisce l'identità dell'opera nella storia, stabilendo quanto debba rimanere immutato nelle diverse esecuzioni. Essa però non sembra dire alcunché di concreto in merito alle differenti realizzazioni esecutive nelle quali lo schema si completa.

La partitura, fondamento ontico dell'opera, rappresenta il mezzo irrinunciabile con cui si può stabilire se l'esecuzione è stata effettuata entro opportuni termini di correttezza. Ci si potrebbe chiedere tuttavia se, al di là del rapporto con l'opera-schema, non sia possibile pensare a un rapporto più determinato che riferisca l'esecuzione a un oggetto estetico ideale e che riguardi di conseguenza l'individuazione dell'esecuzione migliore in assoluto. In tal modo non si porrebbe una questione di semplice correttezza, bensì di adeguatezza a un limite di perfezione, quello costituito dalla realizzazione ottimale dell'opera nella pienezza dei suoi valori. Ma a che cosa sarebbe opportuno ricorrere in questo caso? Ingarden esclude che si possa far appello in qualche modo all'autore, giacché persino un'eventuale sua esecuzione dell'opera non darebbe comunque alcuna garanzia di essere veramente perfetta. In mancanza di altri saldi punti di riferimento che consentano di giudicare dell'originarietà o dell'autenticità dell'esecuzione (è chiaro che Ingarden non darebbe troppo credito agli argomenti di una filologia della prassi esecutiva che avesse pretese di validità estetica assoluta), un oggetto estetico ideale sembra perciò inattingibile.

Secondo Ingarden non resta che tornare a considerare la partitura, per quanto essa si limiti a delineare l'opera schematicamente senza indicare un'esecuzione ottimale di essa. Questa volta però va sottolineato che non si deve pensare a un mero schema vuoto al quale inerisca un completamento qualsiasi. Al contrario i punti di indeterminatezza valgono proprio come luoghi cui pertiene, nel loro complesso, la possibilità di un riempimento appropriato. Infatti tra le potenzialità molteplici ve ne sono alcune che, conducendo a una completezza coerente di determinazioni sonore (incluse tutte le più piccole determinazioni agogiche, dinamiche, timbriche ecc.), corrispondono a un'esecuzione convenientemente valida. La «vita» dell'opera nella storia si basa appunto su questo. Essa consiste nel processo con il quale si scoprono e realizzano forme potenziali ogni volta nuove a seconda delle diverse epoche. Ogni periodo storico tende a eleggere una forma prediletta di attualizzazione dell'opera tanto sul piano strettamente esecutivo quanto sul piano della comprensione e della fruizione estetica. Si giunge così alla costituzione di un oggetto estetico di ordine intersoggettivo che riguarda un'intera comunità musicale. Tale oggetto estetico vale tuttavia solo in relazione a un preciso momento culturale e col procedere della storia è soggetto a una progressiva trasformazione.

Le riflessioni di Ingarden, come si può immediatamente scorgere, toccano argomenti assai vicini alle problematiche della Rezeptionästhetik (a cominciare dalla Scuola di Costanza). E non è affatto casuale che, anche in ambito musicologico, le sue osservazioni abbiano interessato chi si occupa di tematiche simili [9]. In proposito risulta particolarmente importante il concetto di concretizzazione dell'opera. Per concretizzazione Ingarden intende la forma concreta attraverso cui l'opera, nella singola esecuzione, si presenta all'ascolto. Tale forma concreta non è sempre la stessa, giacché l'opera appare inevitabilmente attraverso una sorta di scorcio prospettico, dipendente in buona misura, oltre che dall'esecuzione, anche da chi ascolta. Da questo punto di vista per ogni esecuzione possono esserci concretizzazioni diverse in ragione non soltanto dei molteplici aspetti uditivi relativi al processo fisico-acustico, bensì anche dei molteplici fattori psichici, culturali e spirituali che riguardano individualmente gli ascoltatori. L'afferramento percettivo dell'opera può svilupparsi in un'attività soggettiva alquanto complessa, che a un livello ulteriore di esperienza porta alla costituzione di un oggetto estetico. Lo studio della percezione musicale interessa, di conseguenza, un cospicuo numero di problematiche filosofiche, che è necessario considerare in rapporto alla questione dello statuto dell'opera. Per Ingarden ciò significa inserire l'esame della percezione musicale non tanto all'interno di un'indagine psicologica, quanto piuttosto nel corpo stesso dell'ontologia dell'arte, ma poi anche della gnoseologia e dell'estetica.

 

 

4. L'opera musicale tra esecuzione e concretizzazione

Cracovia - la città natale di IngardenNelle riflessioni di Ingarden è di primaria importanza la distinzione tra l'opera d'arte e il suo fondamento ontico. Ciò riguarda tutte le maggiori discipline artistiche. L'opera letteraria va distinta dal suo testo scritto e dalle eventuali sue esecuzioni; l'immagine pittorica, intesa come opera, va distinta dal quadro che ne è il supporto materiale; l'opera architettonica va distinta dall'edificio. La situazione, come già si è potuto vedere, non è differente per la musica, dove l'opera va sempre distinta sia dalla partitura che dalle sue esecuzioni. In generale però vale per Ingarden un'altra fondamentale distinzione, ossia quella tra l'opera stessa e la sue concretizzazioni. Per un'unica opera letteraria si danno molteplici concretizzazioni possibili da parte del lettore, per un'unica opera pittorica o per un'unica opera architettonica molteplici concretizzazioni possibili da parte del fruitore. Si è appena accennato al fatto che questo vale altresì per la musica, giacché per la medesima opera musicale, anche in una singola esecuzione, si danno diverse possibili concretizzazioni da parte dell'ascoltatore. A una sola, identica opera corrispondono innumerevoli esecuzioni, a ogni esecuzione innumerevoli concretizzazioni possibili.

Nel rapporto tra l'opera e le sue concretizzazioni l'arte cui sembrerebbe maggiormente somigliare la musica è senz'altro la letteratura. In entrambi i casi il fondamento ontico consegnato dall'autore è costituito di solito da un testo scritto. L'opera ne è il correlato intenzionale e si presenta come formazione schematica con alcuni punti di indeterminatezza da completare attraverso svariate esecuzioni e concretizzazioni. A ben vedere tuttavia tra i due ambiti artistici sussistono alcune differenze fondamentali, che concernono soprattutto la funzione dell'esecuzione dell'opera. In letteratura la concretizzazione è un oggetto che il lettore può raggiungere intenzionalmente direttamente dal testo. Nella musica invece essa dipende pressoché necessariamente da una realizzazione esecutiva. Inoltre, se è vero che anche di un testo letterario è sempre possibile realizzare un'esecuzione (mediante una recitazione ad alta voce o, per i lavori teatrali, una rappresentazione scenica), questa inevitabilmente attualizza solo in parte l'opera: spesso addirittura uno strato soltanto di essa, lo strato delle formazioni vocali. L'esecuzione musicale, al contrario, almeno quando è svolta correttamente, attualizzando il substrato sonoro dell'opera ne realizza se non proprio tutte le determinazioni, certo quelle di gran lunga più importanti, giacché formano la struttura portante dell'unico suo strato.

L'esecuzione musicale incarna l'opera corrispondente ben più di quanto non possa invece l'esecuzione di un'opera letteraria. Sotto questo riguardo emergono piuttosto cospicue affinità tra musica e architettura, arti ambedue prevalentemente non rappresentative. Come nota Ingarden, la caratteristica di non effettuare un rimando rappresentativo comporta che in entrambi i casi il dato concreto non debba essere oltrepassato o trasceso, bensì debba essere afferrato direttamente [10]. È pur vero che l'opera architettonica è incorporata nell'edificio fisico, mentre l'opera musicale non è legata a un unico processo sonoro individuale. Tuttavia per ottenere una concretizzazione dell'opera musicale basta percepire i suoni di una singola esecuzione, cogliendoli in alcune delle loro proprietà intrinseche, senza andare al di là di essi.

L'opera musicale è, per così dire, ogni volta del tutto immanente a ciascuna delle sue esecuzioni. Ma la distinzione essenziale tra opera ed esecuzione non può essere dimenticata, poiché si riflette significativamente sullo statuto della concretizzazione. In verità non esattamente tutte le proprietà effettive dei suoni risultano pertinenti all'ottenimento di una concretizzazione dell'opera. Se ciò vale senz'altro per qualità come l'altezza, il timbro, l'intensità e la durata, lo stesso non può dirsi di altre qualità acustiche che riguardano i suoni nella loro realtà. Durante l'ascolto chi intende percepire l'opera, e non soltanto l'esecuzione quale mero processo fisico-acustico, deve trascurare alcune particolarità dei suoni: la loro collocazione nello spazio reale, la loro determinazione temporale obiettiva, la loro origine causale ecc. Qui Ingarden non vuole sostenere che l'ascoltatore ha come compito di ricostruire per astrazione la formazione schematica delineata dalla partitura, giacché la concretizzazione costituisce comunque una forma concreta dell'opera e non più un oggetto lacunoso con vuoti da colmare nelle sue determinazioni. Tuttavia, anche se la concretizzazione comprende un riempimento dei punti di indeterminatezza rispetto all'opera-schema, resta parimenti un oggetto intenzionale che non possiede l'intrinseca pienezza di determinazioni di un oggetto onticamente autonomo. Soprattutto non le ineriscono quelle proprietà che invece appartengono all'esecuzione in quanto oggetto reale e assolutamente indipendente. Eventualmente le competono qualità ulteriori, per esempio sul piano assiologico.

Come risulta dalle riflessioni di Ingarden, tra le concretizzazioni dell'opera rivestono un significato particolare le concretizzazioni estetiche. Qui bisogna distinguere il semplice ascolto che si limita a cogliere l'opera nei suoi elementi sonori e non-sonori, dall'ascolto che viceversa porta alla costituzione di un oggetto estetico. La concretizzazione estetica implica, secondo Ingarden, uno specifico atteggiamento da parte dell'ascoltatore. A partire da un'emozione originaria, in cui si compie una sorta di derealizzazione contemplativa rispetto al mondo reale, egli è mosso a ricercare un accordo armonico tra alcune formazioni e qualità rilevanti dell'opera. Ne consegue infine il riconoscimento complessivo del valore estetico (positivo o negativo) e una corrispondente risposta emotiva. Nel caso della musica la percezione estetica si basa su un'attività che tende a connettere momenti succedentisi uno dopo l'altro nella struttura quasi-temporale dell'opera. In ciò l'esperienza estetica della musica ha una certa affinità con quella della letteratura, benché certo risulti meno complicata [11].

È opportuno rimarcare come, nel decorso fruitivo ora descritto, i valori si configurino come qualità inerenti all'oggetto estetico che così giunge a costituzione. Essi pertanto sono relativi a una particolare concretizzazione dell'opera e non propriamente all'opera in sé. Su questa considerazione Ingarden fonda una distinzione tra siffatti valori estetici e i valori artistici. Se si guarda all'opera fuori da una viva esperienza estetica, se non si passa dunque a una concretizzazione di essa, bisogna parlare, in termini rigorosi, non di valori estetici ma di valori artistici. Tali valori emergono soprattutto da una valutazione dell'opera quale correlato della partitura e da un suo esame critico obiettivo. Ciò non significa peraltro che attengano alla nuda schematicità dell'opera. Al contrario, essi riguardano piuttosto la ricchezza potenziale di riempimenti (e quindi, in ultima analisi, di concretizzazioni e di valori estetici) che lo schema stesso consente.

 

 

5. La percezione dell'opera musicale

Alla varietà di concretizzazioni possibili dell'opera musicale corrisponde la varietà di decorsi percettivi ai quali esse si correlano intenzionalmente. Secondo quanto già accennato, la percezione musicale dipende da molteplici fattori oggettivi e soggettivi. Innanzitutto, anche in presenza della medesima esecuzione, diversi sono gli aspetti uditivi che si offrono agli ascoltatori. Al di là poi del fondamento strettamente sensibile della percezione, diversi possono essere gli atteggiamenti di ascolto. In relazione a condizioni mutevoli di attenzione e di interesse, oltre che in relazione a fattori personali, culturali e spirituali di chi percepisce, le formazioni e le qualità dell'opera sono afferrate, comprese e valutate di volta in volta diversamente. Ciò contribuisce a rendere assai difficile il terreno di indagine per chi intenda dedicarsi allo studio della percezione musicale.

Si potrebbe credere che l'esame di tutte queste differenti modalità percettive debba interessare esclusivamente la psicologia. E all'interno dell'ambito psicologico si pensa perlopiù a una ricerca scientifica impostata secondo metodi empirico-sperimentali, che sappia raccogliere la più vasta casistica. Ingarden viceversa ritiene che le indagini psicologiche, di per sé comunque legittime, comportino il rischio di disperdersi prevalentemente in una considerazione di dati associativi soggettivi, perdendo di vista alcuni problemi fondamentali di ordine eminentemente teorico. Egli propone pertanto di affrontare la questione della percezione musicale secondo un'impostazione che, come detto, concerne, anziché la psicologia, discipline quali l'ontologia dell'arte, la gnoseologia e l'estetica [12].

Il tema principale che emerge dalle osservazioni di Ingarden è quello dell'adeguatezza e dell'appropriatezza della percezione musicale. A proposito della percezione di un'opera, quando si può affermare che essa si è compiuta in maniera convenientemente adeguata o appropriata? Va detto innanzitutto che all'interrogativo non si può rispondere senza chiarire e definire alcuni presupposti che condizionano il senso stesso della questione. La domanda infatti non si pone in termini assoluti, ma va affrontata differentemente a seconda dell'oggetto e del compito che si voglia attribuire alla percezione stessa. Adeguatezza e appropriatezza si rapportano sempre a un termine ben preciso: a uno scopo di cui si persegue il raggiungimento. Nella fattispecie esse sono da riferire al modo con il quale ogni singola esperienza percettiva ottiene alcuni risultati circa un certo suo oggetto e un certo suo compito.

Quanto al secondo dei due punti, Ingarden individua due principali direzioni verso le quali si può guardare: una prospettiva gnoseologica e una prospettiva estetica. Nel primo caso la percezione va considerata in relazione all'ottenimento di una conoscenza dell'opera. Il decorso percettivo può essere giudicato adeguato o appropriato nella misura in cui, attraverso di esso, l'ascoltatore riesce a guadagnare una giusta presa conoscitiva sulle varie formazioni e qualità dell'opera. Nel secondo caso invece la percezione va considerata in relazione al compimento del vissuto estetico. Il decorso percettivo è da ritenersi adeguato o appropriato quando i valori dell'oggetto estetico costituito durante l'ascolto e la relativa risposta emotiva risultano convenientemente corrispondenti ai valori artistici dell'opera. Due sono pertanto le principali accezioni di adeguatezza e di appropriatezza che si profilano nei confronti della percezione musicale: un significato gnoseologico, concernente la teoria della conoscenza, e un significato squisitamente estetico.

Quanto a che cosa debba intendersi per oggetto della percezione musicale, la questione sembra, a prima vista, assai più univoca, per non dire banale. Oggetto della percezione di un'opera musicale è appunto nient'altro che l'opera stessa. Ma la risposta non può ignorare i risvolti che si nascondono dietro il concetto di opera e deve tener conto di tutte le conclusioni a cui giunge un'approfondita ricerca nel campo dell'ontologia dell'arte. Bisogna di nuovo richiamarsi alle precisazioni di Ingarden e distinguere tra opera, esecuzione e concretizzazione. La percezione musicale ha come correlato immediato una concretizzazione, ossia una forma concreta dell'opera. La concretizzazione però dipende da un'esecuzione, nella quale si realizza il riempimento della formazione schematica delineata dalla partitura. Dunque si vede bene che il problema di giudicare in merito all'adeguatezza e all'appropriatezza della singola percezione rispetto all'opera non può essere risolto direttamente, poiché insieme ad esso si intreccia il problema di giudicare sulla correttezza e sulla convenienza dell'esecuzione.

Anche qui rientra in causa necessariamente la partitura, alla quale, ammesso che dell'opera vi sia una registrazione scritta e che questa corrisponda sufficientemente alle intenzioni creative dell'autore, si deve senz'altro ricorrere. La partitura invero non solo si presenta come punto di riferimento privilegiato per stabilire la correttezza e convenienza dell'esecuzione, ma costituisce altresì un mezzo indispensabile per esaminare criticamente la singola concretizzazione e quindi il decorso percettivo che ad essa si correla, giacché la sua decifrazione consente l'unico accesso alternativo all'ascolto capace di giungere conoscitivamente all'opera. La lettura attenta della partitura, oltre a fornire un elemento comparativo rispetto alla percezione uditiva immediata, peraltro, basandosi sul codice culturale della notazione, ha il vantaggio di offrire uno strumento di controllo di ordine intersoggettivo. Con ciò però non si perviene a una soluzione completa del problema circa l'adeguatezza e l'appropriatezza della percezione musicale. Non si può dimenticare infatti quanto già è risultato dalla questione dell'identità dell'opera, ossia che quale correlato intenzionale della partitura v'è una formazione schematica, la quale, benché richieda e suggerisca in senso potenziale un riempimento delle sue lacune, tuttavia non è pienamente determinata. Si deve concludere perciò che, come non si può stabilire in termini assoluti quale sia l'esecuzione ottimale dell'opera, così non si può nemmeno individuare un oggetto estetico ideale. E non potendo dire con precisione estrema quale sia l'opera nel pieno dispiegamento delle sue proprietà e dei suoi valori, non si può neanche esprimere un giudizio sicuro e definitivo intorno all'adeguatezza e all'appropriatezza della percezione musicale, sia sul piano gnoseologico che sul piano estetico.

 

Note

[1] Sorto a partire da alcune osservazioni in appendice alle indagini sull'opera letteraria, il saggio di Ingarden sulla musica è apparso in polacco, pubblicato dapprima in forma parziale (Zagadnienie tozsamosci dziela muzycznego, «Przeglad Filozoficzny», XXXVI/4, 1933, pp. 320-364) quindi in forma definitiva (Utwór muzyczny i sprawa jego tozsamosci, in Studia z estetyki, II, PWN, Warszawa, 1958, pp. 169-307, tr. it. di A. Fiorenza, L'opera musicale e il problema della sua identità, Flaccovio, Palermo, 1989). In seguito ne è stata pubblicata una versione tedesca a cura dello stesso autore (Untersuchungen zur Ontologie der Kunst. Musikwerk - Bild - Architektur - Film, Niemeyer, Tübingen, 1962, pp. 3-136, tr. it. parziale di M. Garda, Il problema dell'identità dell'opera musicale, in G. Borio e M. Garda - a cura, L'esperienza musicale. Teoria e storia della ricezione, EdT, Torino, 1989, pp. 51-68).

[2] Cfr. W. Conrad, Der ästhetische Gegenstand. Eine phänomenologische Studie, «Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft», III, 1908, pp. 80-118 in particolare. Per una panoramica complessiva si veda G. Scaramuzza, Le origini dell'estetica fenomenologica, Antenore, Padova, 1976.

[3] Cfr. R. Ingarden, Das schöpferische Verhalten des Autors und das Mitschöpfertum des Virtuosen und der Zuhörer, in Aspecten van Creativiteit, Verhandelingen voorgedragen in een zitting ter herdenking van het 50-jarig bestaan van het Bureau voor Muziek-Auteursrecht, BUMA, Amsterdam, 1964, pp. 29-33.

[4] Nel propugnare la monostratificazione dell'opera musicale Ingarden contesta le affermazioni di Nicolai Hartmann il quale, al contrario, ne ha sostenuto una pluristratificazione (cfr. N. Hartmann, Das Problem des geistigen Seins, de Gruyter, Berlin, 1933, tr. it. di A. Marini, Il problema dell'essere spirituale, La Nuova Italia, Firenze, 1971, pp. 570-572 e 581-582). Per una critica all'idea di monostratificazione dell'opera musicale come sostenuta da Ingarden si veda C. Dahlhaus, Musikästhetik, Laaber, Laaber, 1986, pp. 120-124; nonché C. Dahlhaus e H. H. Eggebrecht, Was ist Musik?, Heinrichshofen, Wilhelmshaven, 1985, tr. it. di A. Bozzo, Che cos'è la musica?, Il Mulino, Bologna, 1988, pp. 152-153.

[5] Cfr. Z. Lissa, Uwagi o Ingardenowskiej teorii dziela muzycznego, «Studia Etestetyczne», III, 1966, pp. 95-114, tr. ted. di E. Werfel, Einige kritische Bemerkungen zur Ingardenschen Theorie des musikalischen Werkes, «International Review of the Aesthetics and Sociology of Music», III/1, 1972, pp. 75-95.

[6] Cfr. R. Ingarden, Uwagi do uwag Zofii Lissy, «Studia Estetyczne», III, 1966, pp. 115-128, tr. ted. di A. Starzenski, Bemerkungen zu den Bemerkungen von Professor Zofia Lissa, «Studia Filozoficzne in Übersetzungen», 4, 1970, pp. 351-363.

[7] Sulle perplessità che comunque tale concezione di Ingarden può suscitare di fronte ad alcuni procedimenti compositivi di computer-music si veda P. M. Simons, Computer composition and works of music: variation on a theme of Ingarden, «Journal of the British Society for Phenomenology», XIX/2, 1988, pp. 141-154.

[8] Per approfondimenti su questo tema si veda G. Scaramuzza, L'identità dell'opera musicale secondo Roman Ingarden, in Cosalità, MAE, Milano, 1991, ora anche con il titolo L'opera d'arte musicale secondo Roman Ingarden, in G. Scaramuzza - a cura, Estetica monacense, Cuem, Milano, 1996, pp. 145-160.

[9] Cfr. H. R. Jauss, Rückschau auf die Rezeptionstheorie - ad usum musicae scientiae, Prolusione al XIV Congresso della Società Internazionale di Musicologia (ISM), Bologna, 1987, tr. it. di G. Borio, Retrospettiva sulla teoria della ricezione - ad usum musicae scientiae, in G. Borio e M. Garda - a cura, L'esperienza musicale, cit., pp. 45-46; M. Garda, Teoria della ricezione e musicologia, in G. Borio e M. Garda - a cura, L'esperienza musicale, cit., pp. 19-22; nonché A. Mertsch, Das musikalische Original als philosophisches Phänomen. Punktualität und Vielschichtigkeit im Ansatz Roman Ingardens, «Beiträge zur Musikwissenschaft», XXXIII/2, 1991, pp. 135-146. In un contesto che riguarda invece la semiologia si veda J. Nattiez, Musicologie génerale et sémiologie, Bourgois, Paris, 1987, tr. it. di F. Magnani, Musicologia generale e semiologia, EdT, Torino, 1989, pp. 54-58.

[10] Cfr. R. Ingarden, Untersuchungen zur Ontologie der Kunst, cit., pp. 268-269.

[11] Cfr. R. Ingarden, Vom Erkennen des literarischen Kunstwerks, Niemeyer, Tübingen, 1968, pp. 236-239.

[12] Cfr. R. Ingarden, O zagadnieniu percepcji dziela muzycznego, in Studia z estetyki, III, PWN, Warszawa, 1970, pp. 129-146.

 

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