John Alcorn | L'ispirazione
Le numerose fonti d'ispirazione di Alcorn per i suoi lavori commerciali, il legame con la vita in famiglia e la maturazione delle idee
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Il mondo in cui Alcorn lavorava era quello della comunicazione di massa, un mondo regolato dai ritmi del commercio e dalle relative scadenze. Inoltre, era un mondo in cui l’artista traeva ispirazione da stimoli che erano quasi interamente generati dall’esterno. La natura e contenuto dell’incarico, sul quale il grafico aveva poco controllo, fornivano l’impeto creativo. Dovette fare affidamento proprio a questi stimoli esterni per quanto riguarda l’ispirazione; infatti, la stragrande maggioranza dell’arte che realizzò era concepita in diretta risposta a un incarico. I vincoli di tempo e quelli della produzione (a quei tempi, le possibilità dei processi di riproduzione con la gamma di colori completa erano rare e sporadiche) gli richiedevano di essere efficiente e pieno di risorse e di pensare concettualmente, ideando uno stile che si sarebbe rivelato così seducente da invogliare il pubblico a guardare le immagini ripetutamente.

Guardando alla produzione di Alcorn, particolarmente quella dei primi anni della sua carriera, si nota come l’ambiente che creò per la sua famiglia si riflesse nel suo lavoro. Il più ovvio e abbondante di questi riferimenti è l’omaggio a sua moglie Phyllis, la sua musa. La sua presenza nell’opera di Alcorn costituisce l’espressione più eloquente dell’unione tra arte e vita che coltivò così fermamente.

La storia dell’arte è sempre stata una delle più importanti fonti di ispirazione nel lavoro di Alcorn: fin da quando era poco più che ventenne, aveva l’inclinazione a guardare indietro nel tempo e a prendere spunti dalla storia dell’arte. Grazie al ricco archivio, è possibile analizzare quasi tutta la sua produzione e ipotizzare i riferimenti culturali nei suoi lavori.

L’origine delle opere migliori della sua giovinezza, ad esempio, può essere rintracciata nel cubismo sintetico di Picasso, in particolare nella coppia di dipinti monumentali intitolati Tre Musici (1921), che aveva visto e ammirato nella mostra monografica allestita nel 1957 al Museo di Arte Moderna di New York, di cui conservò il catalogo. Il fatto che abbia tratto ispirazione dal cubismo sintetico, il più strutturato e formale tra i linguaggi pittorici, rivela aspetti del suo temperamento, e lo è soprattutto il fatto che lo fece alla fine degli anni ’50, nel periodo che più tardi sarebbe diventato noto come la primavera dell’espressionismo astratto. La mostra di René Magritte al Museo di Arte Moderna di New York tra il 1965 e il 1966 ispirò nuove soluzioni nella crescente sperimentazione pittorica di Alcorn nella metà degli anni ’60: la sua affinità con l’artista è accennata, per esempio, in due copertine per Anthony Powell e nel volume illustrato di Ogden Nash.

Ma fu il primo viaggio in Italia nel 1969 ad espandere esponenzialmente il suo vocabolario di disegnatore, portando a notevoli svolte nel suo uso eloquente del chiaroscuro e a una crescente abilità nel calibrare testo e immagine. La convergenza tra storia, commercio, arti applicate e la routine quotidiana di cui Alcorn fece esperienza in Italia portò nei suoi disegni un peso e una solidità dalla nuova e tangibile freschezza. I ritmi e le forme amorfe dei tardi anni Sessanta presto lasciarono lo spazio a una sensibilità decisamente più concreta, più legata al sano e sostanzioso pragmatismo degli artigiani fiorentini piuttosto che agli intrighi di New York.

Il lavoro che Alcorn realizzò negli anni trascorsi in Italia riflette da un lato la sua infatuazione verso una mitica terra pastorale sull’orlo della modernità e dall’altro un fascino per la venerabile storia dell’arte del Paese, in particolare per i pittori fiorentini del Cinquecento.

La sua abilità artistica nel reinterpretare creativamente queste suggestioni in opere altamente comunicative e commercialmente interessanti, si nota ad esempio in alcune copertine che realizzò per Rizzoli.