Carlo Serra
Morfologie dello spazio tra curvatura melodica e linearità scalare
Introduzione a Essai sur les structures mélodiques di Jacques Chailley


 

 

Il saggio di Jacques Chailley che presentiamo in traduzione apparve per la prima volta nella Revue de Musicologie XLIV, déc. 1959 , pp. 139 - 175.

Si tratta di un testo in cui una serie di riflessioni musicologiche sulla strutturazione dello spazio musicale della melodia si intrecciano ad una analisi sull'evoluzione linguistica dello stile musicale, nell'intento di presentare una interpretazione teorica della funzione delle strutture intervallari nella costruzione della scala.

Il testo ha un forte valore programmatico, la cui impronta si fa avvertire nello stile, asciutto e schematico con cui i vari motivi della ricerca vengono evocati. In alcuni paragrafi, l'autore si limita ad accennare ai temi che intende sviluppare in modo talmente rapido da suggerire al lettore la sensazione di trovarsi di fronte ad uno schizzo, o a una mappa tracciata con un sol gesto, quasi a fissare la direzione di future ricerche. Motivi quali il carattere strutturale dell'abbellimento o la metamorfosi della struttura melodica nell'armonia moderna rimangono così semplicemente enunciati, o richiamati come termini che attendono sviluppi in una fase più matura della ricerca, dando al lettore del Saggio l'impressione di addentrarsi in una sorta di laboratorio di ricerca, più che nella struttura consolidata di un testo del tutto autosufficiente.

Dal punto di vista della storia del testo, vi sono elementi che suffragano questa ipotesi: esso si colloca come una prima riflessione conclusiva che raccoglie il portato di due lavori complementari: il Traité historique d'analyse musicale, del 1951, e la stesura del corso del 1953-54, Formation et transformations du langage musical, dedicato all'analisi dell'intervallistica. In questi testi Chailley cerca di rendere complementari gli aspetti legati allo studio dell'armonia con quelli relativi alla scala, che assumono un valore fondazionale. Il Saggio è così una tappa necessaria, per la messa a punto dei problemi che accompagneranno l'autore nella stesura delle opere successive. Al tempo stesso, il progetto che il Saggio elabora accompagnerà la speculazione teorica dell'autore per quasi un trentennio.

Esso può quindi fungere da succinta introduzione ad una speculazione teorica sulla quale, da troppo tempo, grava un silenzio immotivato.

Dal punto di vista dei contenuti, il nucleo della ricerca è un' indagine sulle strutture melodiche, ossia sulle relazioni che legano le altezze nella melodia e sulla funzione strutturale che gli intervalli svolgono nella architettura delle linee melodiche, attraverso la disposizione spaziale delle note.

Tale analisi è affrontata assumendo un punto di vista molto ampio e mette in relazione contesti d'analisi legati ai temi tradizionali della storiografia musicale con tematiche generali di ordine etnomusicologico.

Come in molte indagini di derivazione comparativistica, non mancano richiami al modello del canto infantile o al mondo primitivo, che suggeriscono l'idea di una ricerca che tende ad uscire dall'ambito della musicologia, per radicarsi sul terreno di una riflessione filosofica sul rapporto fra scalarità, melodia e spazio musicale.

Per poter offrire una panoramica meno incompleta del quadro teorico in cui il Saggio è inserito, ricorreremo spesso ad esemplificazioni tratte da Éléments de Philologie Musicale (1985), l'opera che porta a maturazione le tematiche che percorrono in modo già differenziato, ma non ancora risolto, il testo che presentiamo.

§ 1

I contenuti dell'Essai

Allo scopo di rendere più agevole la lettura di questo testo, dall'andamento molto denso, proponiamo una sintesi schematica dei suoi contenuti.

L'oggetto del testo è la formazione delle scale, che si sviluppano in modo progressivo secondo strutture a complessità crescente. Dapprima, esse assumono l'aspetto di sistemi, che raccolgono tra loro strutture tetracordali: in seguito, tali sistemi divengono dei modi. L'assetto di queste strutture è continuamente sollecita da due principi, che confliggono tra loro: la consonanza, principio che garantisce stabilità alle altezze all'interno di una struttura intervallare, e l'attrazione, un principio che tende a modificare gli assetti consolidati nell'organizzazione delle altezze, attraverso l'attrazione che le altezze che occupano nella struttura melodica gradi forti esercitano su quelli meno stabilizzati. Tolleranza ed equalizzazione completano il quadro dei principi che entrano in gioco nell'evoluzione della scalarità.

L'origine delle forme scalari viene analizzata dall'autore, in riferimento alle musiche primitive e al canto infantile:, secondo uno schema che vede un passaggio dal movimento continuo della voce nelle prime forme di canto ad una prima articolazione dello spazio attraverso la selezione di punti sonori, delimitati da intervalli d'incerta intonazione. Il punto d'arrivo di questa fase coincide con il raggiungimento dell'intervallo di quarta (l'estensione del tetracordo), in cui si distinguono dei suoni fissi, che coincidono con gli estremi dell'intervallo e dei suoni mobili, che scorrono al suo interno, caratterizzandolo melodicamente. All'interno della cornice della quarta, il conflitto tra consonanza e attrazione mette capo ai generi diatonico (più stabilizzato), che funge da base per il cromatico e l'enarmonico (deformazioni del modello diatonico determinate da fenomeni attrattivi). Per Chailley, tale modello non vale soltanto per la musica greca, ma può assorbire molti modelli provenienti dalle culture più disparate. L'evoluzione modale dei sistemi porta all'individuazione della finalis, su cui si chiude il modo.

Le strutture melodiche si evolvono seguendo l'ordine stabilito dal circolo delle quinte, formando scale a due, tre, quattro suoni, fino all'eptatonica. Le varianti dell'eptatonica o di altre scale a complessità inferiore sono connesse a fenomeni cromatici che non hanno valore strutturante: si tratta di semplici variazioni dell'organizzazione diatonica.

Nel processo di inclusione reciproca che guida la formazione delle scale, dalla meno complessa a quella a sette suoni, vengono mantenute le gerarchie strutturali legate alle funzioni costruttive dei singoli intervalli. L'evoluzione della scala si sviluppa grazie a funzioni strutturali primitive, cui si affiancano le relazioni determinate dall'introduzione progressiva di nuovi gradi.

Tra gli intervalli che hanno forte peso strutturante, la quinta ha un'evoluzione particolarmente complessa: dal punto di vista della strutturazione melodica ha proprietà diverse che da quella della suddivisione armonica. La conseguenza più importante del differenziarsi delle potenzialità morfologiche dell'intervallo è un modificarsi del modo d'intendere la melodia. La melodia pre-armonica ha riferimento ad un'organizzazione spaziale di tipo orizzontale che non si adatta alla ristrutturazione dell'ottava determinata dall'armonia. Questo aspetto è ampiamente analizzato nel testo, che presenta le varie tipologie di congiunzione melodica e armonica, soffermandosi in particolare sull'analisi della finalis gregoriana, e del suo trasformarsi in tonica.

L'Essai si conclude analizzando la rinascita delle tendenze melodiche, che indeboliscono l'organizzazione armonica basata sulla terza, con un paragrafo dedicato ad una critica alla morfologia spaziale su cui si organizzano le strutture dodecafoniche.

§ 2

Le strutture melodiche tra circolo delle quinte e risonanza.

Ogni autore ha presupposti ideologici, che orientano le sue ricerche. Nel caso di Chailley tali presupposti sono particolarmente ingombranti e dichiarati esplicitamente fin dall'inizio del Saggio, mettendo, per così dire, il lettore di fronte al fatto compiuto.

Il presupposto ideologico del musicologo francese è una interpretazione di tipo storico - evoluzionistico del fenomeno fisico della risonanza, in termini di una teoria della relazionalità intervallare.A questo tema si affianca un rimando, sulle prime piuttosto problematico, ad una teoria generale sulla formazione della scala, che presuppone un'interpretazione, sempre evoluzionistica, del circolo delle quinte. I richiami al termine evoluzione sono quindi molto esibiti, e richiedono di essere approfonditi, come, del resto, merita di venir chiarita la relazione che intercorre fra risonanza e circolo delle quinte. Cercheremo allora di esporne in modo succinto i fondamenti, rimandando alle note presenti nel testi i primi approfondimenti tecnici.

In primo luogo, distinguiamo fra nota e suono musicale: prendiamo una stessa nota, ad esempio un Do che vibri a 440 Hertz e 880 Hertz oppure ripetiamola ad un intervallo di 1200 cents (entrambe le misure indicano l'ottava): avremo una sola nota e due suoni.

In generale, i suoni musicali, non sono suoni puri: ogni suono musicale è un inviluppo fra una frequenza principale e un corteggio d'armonici che l'accompagna.

Fra la frequenza della fondamentale e quelle dei suoi armonici esiste un rapporto matematico, che fissa il valore numerico delle frequenze come multipli di quello della fondamentale. Si tratta di una legge fisica, scoperta dal fisico Saveur, che aveva portato Rameau nelle Generations Harmoniques (1737) ad affermare che l'origine della perfezione delle consonanze sia legata al fatto che esista un ordine numerico che permetta di attribuire loro un valore numerico fisso.

Possiamo aggiungere che tale aspetto, che permetteva di coniugare gli aspetti matematici alle componenti fisiche del suono, ha grandemente affascinato i teorici moderni: mediante questa teoria, Rameau aveva potuto collegare le componenti cartesiane di tipo matematico al modello fisico della risonanza, offrendo una cornice coerente alla propria teoria del basso fondamentale, anche se fin dai primi passi il modello fisico degli armonici si imbatte in alcuni rompicapo caratteristici, quale l'altezza del settimo armonico.

Sul piano musicale, i multipli delle frequenze indicano delle altezze, che stabiliscono con la fondamentale dei rapporti intervallari: esiste perciò, nel risuonare di ogni nota, una serie di multipli della frequenza n, pari a 2n, 3n e così via. A tali multipli corrispondono, sul piano musicale, degli intervalli fra l'altezza della fondamentale e quella determinata dal suo multiplo: avremo così un intervallo d'ottava, seguito da uno di quarta, una quinta e così via, fino all'intervallo di dodicesima. La teoria della risonanza trascura gli armonici che succedono alla dodicesima, in quanto non avvertibili: esso si collocano in una dimensione amorfa tra il timbro e il rumore.

Ora, nell'interpretazione di Chailley, la teoria degli armonici mostra che tutto il linguaggio musicale è dominato dalle relazioni intervallari, in quanto il suono musicale è, per essenza, relazione fra altezze. Per il musicologo francese, la componente fisico-matematica della teoria degli armonici è solo il lato visibile, e misurabile, di una più generale affinità relazionale che lega tutti i suoni musicali e trova un primo fondamento nel vibrare del suono musicale nello spazio.

Gli indici numerici, di per sé, non indicano nulla: acquistano invece senso in una teoria relazionale dell'intervallo, e quindi, in senso lato, in una teoria della spazialità, delle organizzazioni discrete che l'intervallo musicale proietta all'interno della continuità dello spazio musicale.Ciò che viene in primo piano, al contrario, è la tendenza relazionale fra suoni, che si connette, fin dall'origine, alla loro natura fisica, che la consonanza traduce in dimensione percettiva.

La relazionalità è quindi il presupposto della traduzione matematizzante: la riprova, per il nostro autore, sta nella vicenda della ricettività della coscienza nei confronti dell'intervallistica musicale.Sul piano storico, l'attività del compositore è attratta in modo decisivo dall'analisi intervallare, che costituisce la grammatica segreta di ogni pratica compositiva e che ha un fondamento nascosto nella coscienza umana: allo stesso modo, l'ascoltatore individua nelle relazioni intervallari l'essenza di uno stile musicale. A fungere da intermediario fra il livello della costruzione e della fruizione, stanno le relazioni spaziali che l'intervallo traduce in termini musicali, attraverso la selezione delle consonanze. Per dar ragione di questi parallelismi, Chailley deve dare un'interpretazione della funzione delle relazioni intervallari all'interno di una sorta di analisi della ricettività musicale nell'ascolto.Tale posizione implica che le componenti operanti nella formazione dei vari idiomi musicali secondo un modello di complessità crescente che trova la propria radice nel fenomeno fisico della risonanza degli armonici.

Così, nella teoria del nostro autore, al fenomeno fisico della risonanza corrisponde il fenomeno della consonanza, che traduce su piano psicologico l'intuizione del rapporto preferenziale che esiste fra intervalli che tengono in contatto suoni affini: due suoni in un rapporto di quinta avrebbero, sul piano recettivo, un'affinità maggiore di due suoni in rapporto di sesta, perché la quinta è un intervallo che viene individuato nella successione degli armonici prima della sesta. Di conseguenza, la consonanza traduce sul piano psicologico e musicale quei rapporti che la Risonanza descrive nella successione degli armonici sul piano fisico. La consonanza è perciò un principio statico che garantisce rapporti stabilizzati, sui quali si esercita il gioco delle tendenze attrattive, legato all'introduzione di nuovi intervalli.

Il rapporto fra una nota fondamentale ed i suoi armonici ha conseguenze anche sul piano funzionale, ossia su quel piano che cerca di organizzare le relazioni possibili che i suoni possono avere tra di loro: ogni fondamentale ha il valore di tonica, rispetto alla quale si organizzano tutti i suoi armonici: il rapporto fra suono fondamentale e gli armonici che da essa derivano è così, fin dall'inizio, un sistema di relazioni ordinate, matematicamente esprimibili in termini di multipli rispetto ad un valore di riferimento.

Ma il termine tonica ha dei significati che risalgono ad una tradizione musicale consolidata. Se apriamo un dizionario musicale, ci verrà subito detto che il termine tonica generalmente si indica la prima nota di una scala maggiore o minore nel sistema tonale. Tale nota individua la tonalità di un brano musicale, è la nota fondamentale, che funge da riferimento per tutte le altre in senso armonico.Chailley usa, in realtà, il termine in una accezione molto più ampia, anche se potremmo osservare che un richiamo così forte al sistema tonale e alla funzione della triade crea qualche imbarazzo terminologico.

Secondo Chailley la finalis dei modi ha già una funzione di tonica. In questo senso, qualunque nota abbia il significato di chiudere un sistema ha questa funzione. L'equivocità sematica tradisce una componente ideologica dell'autore: ricordiamo che con l'indebolimento della nozione d'accordo perfetto, si può parlare un concetto di tonalità molto allargato che guida l'evoluzione della musica europea.. Sembra che lo scopo del testo sia quello di liberare la tonalità dal presupposto funzionale della triade, per fluidificarne le componenti grammaticali.

Si tratta di un atteggiamento familiare anche al contesto culturale che circondava Chailley:esiste tutta una tradizione musicale francese, da Maurice Emmanuel a Ravel, da Poulenc a Messiaen (cui Chailley dedicherà il suo Traité Historique d'analyse harmonique), per non parlare, fuori della Francia di Strawinskij, Bartòk, Hindemith che percorre queste vie fino a compositori quali Enesco o Martinu.Tuttavia, in Chailley non vi è un interesse teso a giustificare pratiche compositive, ma una ricerca teorica, che si avvale anche dei contributi dell'etnomusicologia, sulle strutture relazionali dello spazio musicale.

In effetti, il suono risuonante della fondamentale è, in questa prospettiva, il punto di partenza, da cui prendono forma gli elementi che organizzano la linea melodica o l'ambientazione armonica delle varie forme musicali. Lo sviluppo delle relazioni orizzontali e verticali è quindi retto dallo stesso principio: il che non impedisce che i due criteri d'orgaizzazione dello spazio musicale si avvalgano di funzioni strutturali diverse nell'utilizzo dei medesimi intervalli.

Applicare la funzione di tonica permette di dar ragione a morfologie spaziali diversificate. Nella musica primitiva, la nota fondamentale di un canto a due note, generalmente posta nella regione più grave, funge da pedana d'appoggio, ha cioè una funzione di tonica per un elementare sviluppo melodico, mosso solo ritmicamente.Potremmo indicarla come il piolo cui si appoggia la voce quando comincia ad organizzare una strutturazione melodica dello spazio in cui si muove: tale spazio, che ha come riferimento un suono più o meno fisso, ha una strutturazione melodica, anche se molto elementare. La tonica potrà essere, ad esempio ribattuta ritmicamente o presentata quasi di sfuggita, come se la voce vi si appoggiasse sopra dopo aver fatto le proprie escursioni lungo l'estremo più alto dell'intervallo.. Vi sarà così una prima interazione fra ritmo e melodia, che mi presenterà delle variazioni apprezzabili nelle relazioni di durata fra questi due suoni, modificandone l'espressione.

All'interno di questo quadro, come abbiamo già visto, la funzione della consonanza opera come mediatrice fra l'opera del compositore, che storicamente ne seleziona un creto numero per costruire il proprio linguaggiocompositivo, per ambientare un suono nella architettura del proprio spazio musicale, dove giocano le componenti espressive della musica.

Il fondamento nascosto di tutto questo discorso, naturalmente, sta nella coscienza, che è da sempre condizionata dalla strutture intervallari, che sono la linfa nascosta del suono musicale. La coscienza è conforme alla natura del suono: nel suo inconscio giacciono, appena sopite, tutte quelle relazioni intervallari che innervano il rapporto fra fondamentale e armonici. E' evidente che il percorso evolutivo è tutto basato su questa forma di ricettività, che sigilla l'attività della coscienza musicale.

Chailley trae da tutto ciò una conseguenza di tipo evoluzionistico:lo sviluppo armonico del linguaggio musicale si adegua storicamente alla natura relazionale del suono. Così, la funzione degli intervalli assume valore epocale: esiste un periodo primitivo in cui la consonanza più importante è l'ottava, poi una fase melodica giocata sulla quarta e la quinta, una fase moderna legata alla terza. In ognuna di queste sezioni, l'intervallo che caratterizza la fase storica assume significati grammaticali fondamentali nell'elaborazione del linguaggio e della spazialità musicale del periodo in questione.

Esiste quindi la possibilità di costruire una grammatica storica della funzione delle consonanze nel linguaggio musicale.

E' possibile rappresentare questa catena di relazioni in una tavola, suddividendola in sezioni che ci permettano di individuare i rapporti fra fondamentale ed armonico. In una prima sezione, si incontra l'unisono (principio d'identità) e l'ottava, (intervallo basato sul principio d'identità) in una seconda sezione la quinta e la quarta, e così via, seguendo l'ordine di apparizione degli armonici.

Tale constatazione viene tradotta in direzione di una reinterpretazione storica del concetto di consonanza: secondo Chailley, nell'evoluzione del linguaggio musicale si assiste ad una assimilazione istintiva della tavola, come se ciascuna delle sezioni si aggiungesse alle precedenti per formare delle consonanze di base. Esse verranno dapprima utilizzate in senso melodico, successivamente, verrano leggermente modificate dalla polifonia, ove cominciano ad ambientare verticalmente l'intrecciarsi di linee melodiche diverse e infine, solo nella tradizione occidentale, avranno un peculiare sviluppo in senso armonico.

L'evoluzione segue un andamento processuale in cui l'utilizzazione di un armonico suppone sempre la presenza, espressa o sottintesa, di tutti quelli che lo precedono. Si tratta di un processo evolutivo irreversibile: la conseguenza di tutto ciò è che più si avanza nel terreno dell'evoluzione armonica, tanto più gli armonici antecedenti sul piano storico e strutturale, si radicano ed assumono una funzione di rinforzo dal punto di vista della consonanza. L'interpretazione del fenomeno fisico della risonanza si trasforma prima in una struttura psicologica, si risolve in una storia della ricettività musicale per diventare un motore dell'evoluzione storica del linguaggio musicale.

Osserviamo quest'immagine e vediamo come funziona il processo storico di acquisizione e consolidamento di una consonanza: prendiamo come esempio la consonanza di terza.

 

 

La base del triangolo rappresenta la fondamentale: i vari triangoli indicano le varie consonanze, legate all'emissione degli armonici. La figura indica l'evoluzione storica del linguaggio delle consonanze.

La consonanza di terza appare in B, dove è ancora una consonanza debole, appena formata. Ma la consonanza di terza si rinforza in EF quando il processo evolutivo della consonanza, arriva alla settima, in C. La terza si stabilizza ancora di più in rispetto a GH, quando la consonanza, in D, raggiunge la nona. In tali modificazioni, diviene la base per nuove evoluzioni linguistiche. In tutte queste trasformazioni il nostro autore si appella al concetto d'abitudine: ogni consonanza si installerebbe nella grammatica del linguaggio musicale grazie al consolidarsi d'abitudini d'ascolto.

Tale argomentazione suona, a dire il vero, piuttosto equivoca, dato che lo schema sviluppato da Chailley ha di mira un'analisi delle strutture e della loro morfologia.

L'esame della funzione strutturante della consonanza ha legami tenui con il concetto soggettivo d'abitudine, di evidente derivazione empiristica. Esso non riesce a spiegare come si arrivi ad inserire una nuova consonanza, nè le componenti grammaticali che permettono di modificare le strutture che si connettono ad una nuova ambientazione sonora dei suoni musicali.

Esiste poi un altro problema teorico, che illumina solo parzialmente le osservazioni sui nessi abitudinari: in questo schema, infatti non si parla mai di dissonanze, ma di intervalli più o meno consonanti. La dissonanza è solo un fenomeno negativo, che consiste nel rifiuto di includere un intervallo nella zona di fusione ammessa globalmente dall'orecchio: ma tutte le dissonanze sono all'interno di una zona mobile storicamente parlando, dai confini incerti, che dipendono da fattori soprattutto culturali.

Non esistono dissonanze in assoluto, esistono dissonanze a cui l'orecchio può progressivamente abituarsi, attraverso una progressiva contestualizzazione in un tessuto di consonanze variabili. Il linguaggio musicale assorbe i vari tipi di consonanza, da quelle più morbidi a quelle meno semplici (dissonanze), secondo una linea che accelera sensibilmente, mentre si avvicina all'epoca moderna, dove le dissonanze più complesse vengono avvicinate dal linguaggio musicale, che permette all'orecchio dell'ascoltatore di familiarizzarsi sempre più con esse. Tale accelerazione è certamente sospetta.

Il processo è conflittuale. Nella costruzione teorica di Chailley la funzione della dissonanza è proprio quella di diventare un confine mobile, in uno spazio musicale percorso da tensioni consonanti. La dissonanza, o meglio la minor consonanza, è un elemento che deve entrare nel ciclo, stabilire relazioni funzionali con gli intervalli, ed infine integrarsi.

Alle consonanze, come alle dissonanze, ci si abitua, mentre i linguaggi musicale dissolvono tale distinzione: una attitudine soggettiva, che viene rinforzatadall'evoluzione, è in grado di assimilare forme di spazialità sempre più evoluta. Come questo accada, tuttavia, rimane in sospeso: il musicologo parigino presenta una ricca serie d'esempi che mostrano il modificarsi delle relazioni strutturali fra consonanze e fa quindi ricadere tutto questo processo all'interno di un'evoluzione linguistica.

Se questo schema regge lo sviluppo del linguaggio armonico, che dire della scala musicale, l'elemento che sta, originariamente, alle spalle di qualunque sintassi musicale? Un criterio come quello della risonanza deve trovare una conferma all'interno di una teoria della scalarità. Da qui, la necessità di fondare un percorso analitico che dia ragione della formazione delle scale. Da, qui, il richiamo al circolo delle quinte. Così per quanto riguarda scale emelodie, al criterio d'ordine legato alla risonanza se ne deve integrare un altro, quello connesso al circolo delle quinte. Il Saggio parla proprio di questa vicenda, ipotizza un modello in cui i due criteri interferiscono fra loro nella costruzione di un linguaggio musicale.

E' evidente che enunciare una simile teoria ad apertura di Saggio potrebbe avere un effetto scoraggiante: sembra che questa impostazione orientata ad una interpretazione della filosofia della storia della musica in termini così perentori, possa far venir voglia di chiudere subito Saggio, scuotendo la testa. Al tempo stesso, potremmo subito chiederci cosa ne sia del timbro, del ritmo, delle distinzioni fra rumore e suono, insomma di tutte quelle tematiche cui deve guardare una teoria relazionale della musica. Tuttavia, prima di interrompere la lettura, conviene forse cercare di cogliere l'obbiettivo che si nasconde dietro a queste dichiarazioni, così generali e, in fondo, lontane, dall'attuale modo di intendere le componenti analitiche nel discorso musicologico. Potremmo, anzi, essere colti da un certo imbarazzo di fronte a teorie che non si vergognano di esibire portate così generali, e lontane dalla neutralità che permette al musicologo l'esercizio dell'analisi.

Tuttavia, se teorie generali come quelle che stiamo enunciando hanno il difetto d'essere strumenti di lavoro ingombranti, esse presentano il pregio di una grande chiarezza, e, soprattutto, di tentare d'aprire un discorso ampio e ricco di teoria, come vedremo tra poco.

Venendo al Saggio, potremmo chiederci che cosa si intenda per struttura melodica. Sostanzialmente, quei modelli di melodia che riportano a tipologie significative di scalarità. Questa definizione, molto generica, è ricca di implicazioni: la prima è che esistano dei tipi melodici che diventano paradigmatici per l'elaborazione i modelli scalari significativi, ed altri che lo sono meno. E' chiaro che dobbiamo definire in che modo una struttura melodica può diventare indice di una organizzazione scalare incisiva.

Secondo il nostro autore, il criterio a cui si deve guardare è la funzione degli intervalli nella melodia e il destino storico di quelle strutturazioni intervallari nella vicende storiche connesse all'evoluzione del linguaggio musicale, che qui viene inteso come un fenomeno unitario di portata universale, in grado di obbedire alle stesse regole in qualunque contesto culturale. Siamo quindi di fronte ad una posizione che ha molte analogie con le ricerche etnomusicologiche volte alla individuazione di universali musicali, in una prospettiva infraculturale.

In generale, in una melodia non tutte le altezze hanno il medesimo peso: la funzione strutturante degli intervalli è determinata dalla loro capacità di attrarre attorno a sè le altre altezze e di selezionare delle posizioni nello spazio musicale della curva melodica che verranno occupate da quei suoni che hanno una funzione strutturale più debole. Tali meccanismi attrattivi sono destinati a trasformarsi, con la selezione di nuovi intervalli che modificheranno l'assetto melodico, e, di conseguenza, l'assetto scalare che potrà esserne dedotto.

Per questo motivo, l'attenzione di Chailley è volta sopratutto all'architettura lineare della melodia, al modo in cui essa si costituisce attorno alle posizioni fissate dagli intervalli di quarta e di quinta, che sono inteso come un tronco da cui si dipartono le varie efflorescenze melodiche. Tutti gli aspetti, ritmici, timbrici e cromatici dell'elaborazione melodica passano attraverso questo filtro: la scelta esclude, di principio, tutte le melodie ad una sola nota, che assumono consistenza solo grazie all'aspetto ritmico, o quelle componenti timbriche che riportano all'onomatopea. L'interesse è evidentemente di tipo architettonico-intervallare.

Tradizionalmente, il circolo delle quinte, è la procedura attraverso cui si cerca di costruire la scala attraverso l'intervallo di maggior consonanza: l'intervallo di quinta viene proiettato all'interno dell'intervallo d'ottava per dedurre l'ampiezza delle altezze. Questa procedura, di origine pitagorica, è in realtà diffusa in molte culture e l'etnomusicologia ha analizzato vari metodi di concatenazione delle quinte nelle varie culture. Questa sua generalità fa sì che il musicologo francese la interpreti come un modello che mostra la direzione di strutturazione diatonica dell'ottava attraverso la selezione degli intervalli appropriati. Il circolo delle quinte, garantendo il modello diatonico della scala, va assunto come un modello universale, attraverso cui si possa, storicamente, dar ragione della selezione delle tipologie scalari.

Il circolo, nella tradizione occidentale, non si chiude: una volta che vengono definiti gli intervalli della scala diatonica, esso prosegue cogliendo le alterazioni: in tal modo, esso presenta la struttura continua dello spazio musicale. Questo dato, secondo il musicologo parigino va interpretato, come l'indice delle tendenze attrattive e deformanti che alterano gli intervalli dell'ottava in senso melodico. Il portato teorico di questa interpretazione è che lo spazio musicale sia sostanzialmente spazio della melodia, che altera e deforma gli estremi degli intervalli che la inquadrano. In altri termini, il magma dei suoni e delle alterazioni sempre più piccole che vengono colte, dell'ordine della frazione di tono, indicano quel curvarsi della melodia su nuovi intervalli, che verranno corretti ed integrati nella scala. In quanto tali, le alterazioni degli intervalli non hanno carattere strutturale. Tuttavia, sono indicatori dell'attività attrattiva che modifica continuamente gli assetti stabilizzati della consonanza. Ecco perchè l'interesse teorico della vicenda melodica porta una immediata uscita dalla prospettiva offerta dal temperamento equalizzato.

L'intepretazione del circolo delle quinte vorrebbe dare un fondamento relazionale al tema della continuità dello spazio musicale: l'alterazione è, in sostanza, fenomeno melodico, portato dell'intonazione e di altri fattori deformanti.

I presupposti di questo discorso sono fortemente ideologici e ci interessano per la loro rivendicazione di una analisi dello spazio musicale in cui la continuità implica sempre componenti vettoriali.

Per questo motivo la scala, oltre che una struttura formale, è un precipitato culturale in cui si condensano i risultati di scelte espressive, con cui una pratica musicale ha selezionato intervalli, determinandone l'ampiezza. Ogni tradizione cerca un movimento espressivo nello spazio musicale, in cui si riconosce.. Se il criterio vale per ogni cultura musicale, è necessario indagare sulla base di quali fondamenti grammaticali si opera sullo spazio musicale, indicare i fattori comuni che operano nelle suddivisioni.

Fin dai primi paragrafi, Chailley presenta una serie di diagrammi che devono dar ragione della genesi delle strutture melodiche, prima dal flusso informe della voce, e poi dall'uso degli intervalli, secondo un modello a complessità crescente: si va dalla scala più semplice, una ditonica modellata su una melodia a due suoni, sino alla scala diatonica. Ad ogni passaggio, la struttura melodica si fa più complessa, assorbendo un maggior numero di gradi, e trasformando al suo interno le relazioni fra intervalli, che mostrano sempre nuove funzioni. Diagramma per diagramma, Chailley mostra lo specializzarsi delle funzioni intervallari, i nuovi aspetti dell'ottava che esse mettono in mostra con nuove suddivisioni.

Sul piano metodologico, Chailley fissa alcuni parametri preliminari (consonanza, attrazione, tolleranza, equalizzazione), che entrando in conflitto fra loro nell'elaborazione della melodia, danno luogo a profili in cui è possibile distinguere fra gradi forti, ben stabilizzati, come la quarta o la quinta, in gradi di costituire dei portanti attorno cui si stabilizzano i gradi più deboli, che, in modo progressivo, vengono assorbiti dalla struttura scalare, modificandola.

Lo spazio musicale è tutto attraversato dalla tensione bipolare che fa scontrare i movimenti attrattivi che avvicinano i suoni con la tendenza alla staticità propria della consonanza. Il gioco è reso più complesso dall'interferire della tolleranza, ossia la possibilità di poter stabilire l'assimilazione soggettiva del suono, che è sempre variabile, a suoni definiti in modo esatto (limando le differenze fra componente soggettiva e misura oggettiva) e con la tendenza all'equalizzazione, cioè ad una correzione dell'intonazione naturale per adattarla alle varie codificazioni matematiche dei sistemi musicali che si susseguono storicamente. Il temperamento musicale nasce come mediazione fra i due principi.

L'interagire continuo di questi quattro principi, modificando la importanza dei gradi e la sensibilità nei confronti delle consonanze, riorganizza gli assetti scalari nello spazio sonoro e guida dall'interno l'evoluzione del linguaggio musicale. La nozione di spazio musicale si organizza per continui contrasti interni.

Se all'inizio si incontrano i semplici movimenti della voce nella continuità dello spazio musicale, l'articolazione della melodia è legata al fissarsi degli intervalli, che, come compassi tracciano strutture attraversate dal continuo conflitto tra i parametri nella ricezione della melodia e dalla magmaticità attrattiva fra direzioni vettoriali nello spazio musicale. Il conflitto tra attrazione e consonanza è perciò il più importante.

Sul piano teorico, la costituzione delle prime strutture melodiche si lega ad una prima organizzazione della continuità musicale grazie a quattro fasi principali. All'inizio vi sarà semplicemente una modulazione continua, secondo un andamento glissante che non seleziona gradi. Lo spazio musicale è sostanzialmente inteso come movimento in uno spazio omogeneo, in cui non viene selezionato alcun grado di riferimento. Lo spazio è, in qualche modo, privo di differenziazioni, e la voce vi si muove con la massima libertà. Siamo, in fondo, nella preistoria della forma : la predominanza della continuità e della omogeneità viene definita come fase dell'attrazione pura.

Successivamente, nel modello teorico elaborato dal nostro autore, si fa avanti una introduzione di elementi discontinui nel canto. Tale fenomeno di discretizzazione rompe l'omogeneità dello spazio musicale, selezionando dei gradi. Avremo così una prima articolazione per salti, intorno a dei gradi di riferimento. Si tratta di una forma di differenziazione e di selezione di segmenti privilegiate, che rompe l'omogeneità e l'indifferenziazione originaria dello spazio. In questo modo si rompe la continuità direzionale che caratterizza la fase precedente. Lo spazio comincia ad avere una prima organizzazione e delle discontinuità interne.

Segue la fase in cui viene scelta una nota fissa, intorno a cui oscillano suoni indeterminati. Questo introduce nella struttura discreta un ulteriore elemento di gerarchizzazione, in quanto è possibile selezionare all'interno delle aree privilegiate un punto determinato ed organizzare intorno ad esse delle strutture mobili, che si appoggino sulla nota scelta. Abbiamo così una articolarsi della suddivisione spaziale che assume una prima strutturazione in cui sono chiaramente individuabili dei punti di orientamento interni, ed una distinzione fra elementi primari e secondari. Ma la distinzione non deve far dimenticare che alcuni suoni che oscillano intorno alla nota fissa hanno comunque una capacità attrattiva, e così possono assumere un peso crescente. Fin dall'inizio, possiamo allora riscontrare una dinamismo relazionale fra suono principale e suoni indeterminati, che vengono attratti e possono esercitare una loro influenza.

L'agganciarsi di due note su di un intervallo determinato rappresenta il raggiungimento l'ultimo momento di una efficace suddivisione dello spazio musicale dell'ottava e lo sviluppo di una serie di reazioni che si articoleranno attraverso il rapporto gerarchico fra intervalli.La posizione nello spazio implica una staticità, un arrestarsi del movimento della voce intorno a punti privilegiati, gli estremi dell'intervallo. Da questo momento si può introdurre una distinzione fra nota e intervallo: l'intervallo è uno spazio, un segmento fra due punti, mentre la nota è ciò che delimita i due punti. Le note sono gli estremi del'intervallo.

La scelta di questa strategia argomentativa sottintende, per Chailley, una decisione importante: l'analisi di una struttura formale qual'è quella della scala deve svilupparsi dalla fase di massima fluidità dei materiali, nel momento in cui non esiste ancora una forma, ma soltanto delle direzioni nello spazio musicale, percorse da una voce che è, per essenza, trascinata da un movimento di tipo continuo. Al tempo stesso, non si può negare l'influsso del modello delle storie naturali, che si fa avvertire in modo consistente sull'elaborazione metodologica del problema della scalarità, proponendo una sorta di storia modello che deve giustificare presupposti teorici di un metodo analitico.

In questo modo di approssimare le relazioni fra spazio musicale e scalarità si fa avanti una opzione teorica legata in modo trasparente alla concezione aristossenica dello spazio musicale come struttura continua cui la voce attribuisce forma ritagliando un'area discreta, attraverso la selezione di un intervallo da riempire attraverso un disegno melodico.

Per comprendere meglio come funziona il modello proposto da Chailley, commentiamo brevemente i diagrammi che descrivono il passaggio da scala ditonica a scala tritonica. Il modello delle circolo delle quinte permette di disporre le note per quinte o per quarte, per assistere alla formazione di scale a complessità crescente, che si presentano in progressione gerarchica, dalla ditonica all'eptatonica.

Partiamo dal Fa. La prima scala che possiamo costruire è una ditonica: il Fa incontra il Do come prima nota nel circolo delle quinte.

Tra le due note si stabiliscono subito relazioni molto semplici: se partiamo dal Fa, avremo una quinta Fa - Do, mentre partendo dal Do, si ottiene una quarta, Do - Fa. Si possono disporre gli intervalli secondo un ordine che va dalla quarta (Do - Fa ) alla quinta Fa Do all'ottava superiore, individuando due tipi d'ottava a tre note: Do - Fa -Do e Fa - Do - Fa. La prima forma di organizzazione scalare esibisce, anche a livello superficiale, una immediata corrispondenza fra gli aspetti dell'ottava (due) e la cifra del sistema, che in questo primo caso è a due note. Ovviamente, va approfondita l'individuazione delle proprietà che il sistema scalare può esibire, attraverso il progressivo farsi avanti delle sue articolazioni costitutive.

Il sistema può svilupparsi in senso ascendente attraverso la quinta, ed in senso discendente attraverso la quarta. Ma l'esistenza dell'ottava non è il rapporto caratteristico che pone due suoni in relazione fra di loro. I veri rapporti su cui stiamo costruendo sono la quinta e la quarta. Otteniamo una prima discretizzazione nello spazio musicale e due componenti vettoriali, ascendenti e discendenti. La pregnanza delle struttura si fa evidente rispetto al modello delle linee di canto che si possono costruire con questi primi elementi.

L'ottava, ad esempio, viene ora intesa attraverso un arricchimento procedurale che la individua in due modi diversi: attraverso la dislocazione della stessa nota sull'intervallo, oppure come somma di una quinta ad una quarta, e viceversa. Rimane tuttavia la sua funzione di spazializzazione, di ambientazione sonora dello sfondo che l'interazione di quinta e di quarta organizzano strutturalmente

 

 

Seguendo il circolo delle quinte (nella forma quinta sopra/quarta sotto) al Fa ed al Do si giungerà al Sol. Possiamo passare ad un'ulteriore suddivisione dello spazio musicale, attraverso una scala a tre toni (tritonica).

I tre suoni: Fa - Do - Sol, disposti sull'ottava, la dividono secondo l'ordine Do Fa Sol Do Fa Sol (all'ottava superiore). Individueremo così tre tipi d'ottava: a partire da Fa, avremo un tono + una quarta + una quarta (Fa - Sol = 1 tono; Sol - Do = 1 quarta; Do - Fa = 1 quarta). Allo stesso modo, partendo da Do, avremo Do- Fa cioè una quarta + Fa -Sol, cioè un tono, e poi Sol - Do, che è ancora una quarta. Incontreremo, proseguendo in questo modo, tre aspetti d'ottava (a quattro note: Fa - Sol - Do - Fa eccetera, due aspetti di quinta a tre note ed un nuovo intervallo melodico, il tono (204 cents), che risulta essere un intervallo melodico di base, non composto, e non la somma di due semitoni, come accade all'interno del temperamento equalizzato.

Nella prima organizzazione gerarchica fra due scale presa in considerazione da Chailley viene conservato ciò che era anteriore, ed in qualche modo arricchito sul piano relazionale, quanto alla sua individuazione (si osservi come cambia il modo in cui si costruisce la quinta).

La nostra ricostruzione deve prendere le mosse dal piano concreto delle esemplificazioni musicali. Il passaggio da ditonica a tritonica, posto come un semplice allargamento del circolo delle quinte, non ci dà ragione di come il tono, cioè il Sol, possa essere assorbito all'interno della ditonica, e mutarne la struttura.

Per dar ragione di come questo nuovo elemento entri in gioco, e per giustificare in generale il passaggio da una scala meno complessa ad un'altra più strutturata , Chailley ricorre alla nozione di pien: il pien è una nuova nota che muta l'aspetto della scala. Si tratta di un grado debole, che si manifesta in modo piuttosto incerto all'interno delle melodie, tanto sotto il profilo ritmico che sotto quello melodico, fin quando non assume un valore strutturale, modificando in modo irreversibile la gerarchia intervallare della scala. La mutazione dell'assetto scalare è graduale: il nuovo suono si presenta, sul piano melodico, in modo timido, sotto forma ornamentale, con incertezze d'intonazione. . L'idea, sviluppata dagli studi etnomusicologici di Constantin Brâiloiu è complementare alla valorizzazione della funzione strutturale dell'abbellimento in senso melodico. La stabilizzazione del pien ed il suo assorbimento è quindi un procedimento per tentativi ed errori, ed in questo caso è la stabilizzazione del concetto di tono che deve acquistare sempre più forza, resistendo al combinarsi degli influssi di attrazione, consonanza ed equalizzazione.

Ultimato questo processo, che orienta teleologicamente la valenza strutturale all'abbellimento allo sviluppo di una struttura scalare, il pien (ed il tono) ci presentano un quadro relazionale molto diverso. La funzione dell'abbellimento che possiamo ricostruire dall'analisi della melodia, ha valore strutturale che si radica nell'ambito della spazializzazione musicale: esso può indicare una tendenza o una opposizione alla curva melodica che prepara il terreno ad un modificarsi degli assetti scalari per l'introduzione d'un nuovo grado. Insomma, anche un piccolo fregio come l'abbellimento porta con sè le tracce della conflittualità che incurva i percorsi melodici.

L'organizzazione gerarchica della scala non si limita a cogliere nuovi intervalli, più o meno composti, ma tende ad arricchire le possibilità relazionali di ogni intervallo attraverso la sua posizione spaziale.Le ricadute di questa trasformazione strutturale non si faranno attendere: passiamo infatti dalla divisione dell'ottava in quinta + quarta, ad una divisione dell'ottava secondo l'ordine Do Fa Sol Do, ovvero una quarta (Do - Fa), un tono (Fa - Sol), ed ancora una quarta (Sol - Do). L'ottava risulta divisa attraverso quattro note, che in direzione discendente si dispongono fra di loro secondo due intervalli di quarta: Do - Sol e Fa - Do. Secondo Chailley, questo indica una organizzazione dello spazio dell'ottava secondo gli estremi di due tetracordi (gradi forti che attirano su di sé i gradi più vicini).

La nuova suddivisione tetracordale dell'ottava, la valorizza in senso melodico: infatti il tetracordo diventa l'unità di divisione melodica dell'ottava in due gruppi discendenti, perfettamente omogenei tra di loro, che possono quindi essere ricombinati in vari modi. I due tetracordi possono essere separati nell'ottava in modo perfettamente simmetrico, secondo l'ordine discendente (Mi Re Do Si La Sol Fa Mi), due tetracordi verranno definiti come disgiunti oppure venir fusi assieme su di un tono (Re Do Si Bem. La Sol Fa Mi), con la perdita del carattere di ottava, che viene sostituita da sette note.

Una conferma di questo atteggiamento ci viene offerto dal modello con cui Chailley propone l'evoluzione delle strutture scalari nel mondo greco. Le fasi in cui si articola tale processo sono quattro:

1) glissare intorno ad intervalli arbitrari

2) un soffermarsi intorno ad un unico suono fisso, attorno cui si raccolgono delle note deboli

3) il determinarsi di un intervallo attraverso due suoni fissi, che diventano i limiti di uno spazio musicale al cui interno possono muoversi alcune note, fisse o mobili (tetracordi) fino al

4) congiungersi dei tetracordi per congiunzione o per disgiunzione in un sistema (termina che in greco indica la scala).

L'operare attraverso un filtro così forte trova un contrappeso nella una grande varietà empirica di scale, tratte da melodie, che si possono ricondurre a questa modellizzazione. L' ambizione dichiarata del Saggio è poter ridurre la varietà empirica delle molteplici strutture melodiche a pochi modelli, determinabili attraverso un numero esiguo di parametri. L'aspetto teorico della ricerca è quindi molto più ricco di quanto la vastità del tema non faccia intendere, anche perchè Chailley connette lo sviluppo della dimensione orizzontale ad un'accrescersi progressivo della sensibilità musicale.

Abbiamo già notato che il nostro autore ha una concezione teleologica della storia del linguaggio musicale che presuppone l'esistenza di una struttura preordinata, che dovrebbe guidare tutta l'evoluzione dei linguaggi musicali, appoggiata alla vicenda dell'evoluzione gerarchica degli intervalli nella strutturazione delle scale e nell'evoluzione della tavola degli armonici. Lo schema che sostiene tale sviluppo si chiarisce solo attraverso l'analisi delle funzioni delle consonanze nei vari linguaggi musicali che si susseguono dal punto di vista storico.

Sappiamo che il Saggio, rispetto a questo schema, vuol fare un passo indietro, collocandosi sul piano dell'analisi della funzione della melodia nel tracciare la scala. Avremo allora la possibilità di guardare alla suddivisione del medesimo intervallo, secondo due criteri che lo individuano strutturalmente in modo diversi: dal punto di vista della Risonanza, la quinta viene divisa dalla terza minore, mentre viene individuata come la somma di un tono ad una quarta (ricordiamo che nella musica greca, il tono viene individuato come differenza: tono = una quinta - una quarta).

In questo modo sarà possibile distinguere fra costruzione melodica armonica e non armonica, cui appartiene, ad esempio, la musica gregoriana. L'evoluzione della musica gregoriana, il cui nucleo è modale, si lega ancora alla struttura determinata dalla tensione fra i due estremi fissi: avremo una direzione ascensionale che va verso la repercussio, la nota cioè attorno a cui si sviluppa la melodia che più tardi diverrà la dominante, ed una progressiva tonicizzazione dell'estremo inferiore, in cui la finalis su cui si chiude la composizione assumerà sempre di più la valenza di tonica.

Anche in questo caso, l'attrazione fra gradi si coordina all'aspetto spaziale: non si tratta esclusivamente di una fatto direzionale, ma di tendenze alla risoluzione che connettono un suono fondamentale (il grado del modo) alle attrazioni che lo attirano verso l'estremo della quinta, per consonanza.

L'evoluzione successiva, in cui la quinta verrà determinata come somma di una terza maggiore ad una terza minore, cioè in direzione esplicitamente armonica, vedrà l'inizio di una lenta assimilazione delle componenti melodiche a quelle armoniche. Da questo momento, l'evoluzione melodica dovrà sempre più strettamente commisurarsi con quella armonica, e si svilupperanno conflitti di ordine diverso fra organizzazione verticale ed orizzontale.

Già a questo primo livello di lettura, possiamo cominciare a sottolineare una dualità che tormenta il testo che stiamo analizzando. La dualità è fra il movimento curvilineo della melodia, che individua le relazioni fra consonanze e l'andamento regolare della scala. Chailley sollecita il lettore ad andare oltre la regolarità melodica della scala, per leggervi all'interno le torsioni nascoste, quei movimenti continui che possono fissarsi stabilmente all'interno degli estremi intervallari, o spingere verso una deformazione della struttura. Ma i movimenti possono anche essere interni alla struttura dell'intervallo, facendo loro assumere la funzione di una cornice all'interno della quale la linea melodica si muove cromaticamente.

Tali considerazioni suggeriscono che la scala, struttura melodica caratterizzata da una forte regolarità, capace di cantare anche se la dimensione armonica tende a far trascurare questo aspetto, è il punto d'arrivo e di rettificazione di movimenti molto meno lineari. Il movimento della melodia, infatti, avviene per congiunzione melodica: tende a coprire un intervallo ampio, attraverso un salto e poi a tornare indietro, per recuperare i gradi lasciati indietro, secondo un moto per torsione.

Per il nostro autore diventa così necessario ricostruire un modello teorico dell'evoluzione storica dell'intervallistica musicale, guardando soprattutto al modo in cui gli intervalli e le loro funzioni architettoniche vengono definiti dal modello teorico del circolo delle quinte. L'ordine con cui gli intervalli si concatenano per dar luogo all'organizzazione diatonica della scala deve essere lo stesso che guida l'utilizzo delle consonanze nell'evoluzione della vicenda storica di tutta la musica. In questo modo, anche il circolo delle quinte racconta la storia cifrata dell'evoluzione del linguaggio musicale, evoluzione che conduce implacabilmente alla forma diatonica.

Come abbiamo già detto, lo schema, cui stiamo accennando in termini molto generici, si presta immediatamente a molte critiche, nel suo riproporre una sorta di inveramento storico del modello fisico della sequenza degli armonici. Il tentativo di coprire con una analogia di ordine funzionale l'equivocità dell'accostamento potrebbe spingerci fin dall'inizio ad abbandonare un discorso che si presenta debole sul piano strutturale.

Il ricorso al circolo delle quinte sposta solo il problema, ma condivide con lo schema appena evocato la stessa, pericolosa genericità e l'idea che esista una sorta di grande coscienza musicale collettiva che scrive, in qualche modo la sua storia a partire dalla traduzione musicale di dati fisici e matematici.

Non a caso, quando Chailley parla dei conflitti storicamente verificabili nell'uso degli intervalli melodici all'interno del linguaggio armonico, non resiste all'idea di chiamare in causa un concetto fumoso qual'è quello di subcosciente. Allo stesso modo, parla di un istinto armonico, espressione che ha forti margini di ambiguità. Nè meno problematica è la scelta di ridurre la grande morfologia delle scale letta attraverso la funzione melodica ad un modello di tipo diatonico. Tutti gli altri modelli scalari sono deformazioni di quella impronta generale, deformazioni per attrazione.

Ma cosa dire, ad esempio, di una scala melodica che incorpora elementi cromatici che sollecitano una forte cantabilità, qual'è la scala musicale indiana? Può essere davvero considerata una deformazione della struttura diatonica o siamo di fronte ad una melodicità che, fra le sue irregolarità, implica un potente richiamo alla cantabilità del modello scalare, grazie alle efflorescenze melodiche che alternano piccole aree dove predomina una continuità di tipo melodico, che entra a pieno titolo nei caratteri strutturali di quella scala?

Non si tratta di opporre ad un modello generale una critica che rintracci nella letteratura etnomusicologica tipologie scalari che lo schema generale di Chailley esclude come ha fatto, ad esempio, Jean Jacques Nattiez nel suo Il discorso musicale. Per una semiologia della musica, proprio nel momento in cui riconosceva al nostro autore la dignità d'una grande speculazione sulle strutture scalari: si tratta, invece, di contrapporre un modello a cui la definizione di modificazione attrattiva di un andamento diatonico risulta poco illuminante per quanto riguarda i meccanismi funzionali connessi all'increspatura melodica del piccolo intervallo. L'andamento melodico a piccoli passi, piccoli intervalli di quella scala va davvero piallato e riportato al modello del diatonismo? Qui, forse, la teoria di Chailley, lascia aperti degli spiragli per una riflessione diversamente orientata sul significato strutturale di un andamento melodico, fatte salve le osservazioni sul cromatismo che andremo ad analizzare tra poco.

D'altra parte l'intuizione che vi sia la necessità di un'analisi delle varie forme di scalarità sottintese nella costruzione delle melodie è davvero felice. Ogni tradizione musicale, secondo Chailley, utilizza una propria morfologia dello spazio musicale: le relazioni intervallari e la loro capacità di costruire suddivisioni gerarchicamente organizzate dello spazio musicale nascono da esigenze espressive, tentativi di razionallizzazione della grandezza degli intervaali, vari modi d'intendere il conflitto fra consonanza e dissonanza apparente, all'interno del meccanismo d'assorbimento della dissonanza, che sembra nascondere più di un motivo polemico nei confronti del concetto di «emancipazione della dissonanza». Lo spazio musicale, sembra suggerire Chailley, può essere rimodellato, fino ad assorbire i conglomerati accordali più spinosi. Basta mantenere l'ampiezza, la fluidità del movimento nell'ottava. Le implicazioni teoriche connesse al problema del concatenarsi delle quinte in un circolo che non riesce mai a chiudersi verranno utilizzate proprio per sviluppare una polemica in questa direzione.

§.3

La neutralizzazione delle strutture melodiche in ambiente armonico. Il cromatismo

All'interno dell'evoluzione del linguaggio musicale, gli intervalli melodici che svolgono una funzione strutturale sono ottava, quarta, quinta, tono, terza minore, terza maggiore, semitono e tritono: i limiti spaziali dei loro estremi possono venir sollecitati e spostati da fenomeni attrattivi o da forme d'equalizzazione, che accompagnano lo svilupparsi delle strutture scalari secondo architetture sempre più complesse. Parallelamente, la morfologia delle linee melodiche può mutare anche all'interno delle strutture intervallari.

Anche a una prima lettura che la ricerca intrapresa da Chailley si differenzia profondamente da una semplice analisi comparativa di dati o da una semplice ricognizione di tipo storico: la tensione che percorre tutto il testo è volta all'individuazione di regole strutturali che possano indicare delle costanti nell'elaborazione musicale dell'organizzazione intervallare nella melodia.

Siamo così di fronte ad un'indagine sullo strutturarsi di quell'insieme di relazionali funzionali che presiedono all'evoluzione delle varie scale, e quindi all'organizzazione dello spazio musicale dell'ottava, in particolar modo nelle forme pre-armoniche. Se questa prospettiva è corretta, potremmo concluderne che il vero oggetto di questo Saggio è la strutturazione dello spazio musicale, rispetto alle gerarchie intervallari che si susseguono nell'evoluzione della melodia, e, di conseguenza, delle scale. Lo spazio musicale è, nella sostanza, tutto percorso da un fremito melodico legato all'azione attrattiva degli intervalli, e dal loro bilanciamento.

Lo studio dei modelli scalari non è certo una novità: lo stesso Maurice Emmanuel, maestro di Chailley, si era dedicato allo studio delle strutture melodiche,e l'ambiente della Schola Cantorum, che Chailley conosceva bene, era percorso da un vivace interesse nei confronti dello studio comparativo delle scala. Ciò che differenzia Chailley rispetto a questa tradizione, e a quella di Sachs, è proprio nel volgere una particolare attenzione alle varietà morfologiche dello spazio musicale: per questo motivo, il richiamo all'osservazione dell'apprendimento infantile della musica è centrale e si accosta ad un ricco terreno di esperimenti musicali, che Chailley andava sviluppando in quel periodo. Di questi aspetti, il Saggio conserva molte tracce.

L'ambito dell'analisi melodica, e dei modelli scalari che da questa si possono trarre deve riconquistare un terreno originario, in cui l'insieme di relazioni che strutturano lo spazio musicale dell'ottava possano essere analizzate astraendo dalle morfologie che l'analisi armonica mette in gioco. A tal scopo, Chailley prende le mosse dal livello più elementare possibile, quello della direzionalità della voce nelle forme di canto meno elaborate, dal suo oscillare attorno ad alcuni intervalli privilegiati, creando le prime aree di discretezza nella continuità del movimento glissante, per svilupparsi poi in direzione dell'analisi delle prime teorie intervallari, connesse alla strutturazione pitagorica dell'ottava.

Nel mondo greco, ad esempio, il movimento dei gradi interni, che dà origine ai generi, è connesso al modo in cui viene affrontata la costruzione dell'arco melodico fra gli estremi delle note fisse. I punti su cui si muove la voce all'interno degli estremi del tetracordo, cioè all'interno della quarta giusta, nel tracciare il disegno melodico, vengono avvicinati o allontanati, generando una ulteriore suddivisione dell'intervallo in sottointervalli più piccoli, a seconda della plasticità della linea di canto. Pur rimanendo fissi i limiti della cornice offerta dagli estremi del tetracordo, il modo di riempirlo muta sotto la spinta di nuove esigenze espressive.

L'influsso di questi fattori si fa avvertire anche nel passaggio da sistema a modo, su cui Chailley si sofferma per poter affrontare il delicato nodo teorico della funzione dell'ottava e quella della tonica melodica, che coincide con l'affermarsi della funzione conclusiva della nota finale che chiude l'ottava: questa strutturazione dell'ottava si fa avvertire soprattutto nell'organizzazione della struttura modale, che segna un'evoluzione rispetto al sistema tetracordale, dove cominciano a mettersi in luce la funzione di finalis e di dominante.

In queste trasformazioni del sistema scalare, e della organizzazione melodica, muta naturalmente anche il modo di avvertire il peso dei singoli intervalli nell'elaborazione delle linee di canto, specie in riferimento alla polifonia, dove il modo di ambientare i suoni impone uno specializzarsi della funzioni della quinta, rispetto allo spazio sigillato dagli estremi dell'ottava. Da qui le deformazioni caratteristiche di questo intervallo rispetto alla quarta, anche rispetto all'emergere del tritono. Un' ulteriore evoluzione sarà quella connessa all'evoluzione della terza, in senso armonico.

E' possibile osservare che l'aver sviluppato la propria ricerca in direzione della costituzione delle strutture melodiche che stanno a fondamento della scala, permette a Chailley di recuperare alcune nozioni generalmente trascurate dall'analisi verticale delle strutture musicali. Il valore strutturale della direzionalità all'interno della costruzione della scala, basata su quinte ascendenti e quarte discendenti. Viene così riproposta l'antica procedura che permetteva al pitagorismo antico di definire la correttezza dell'intonazione attraverso la proiezione sull'ottava della concatenazione delle quinte. Inoltre, all'interno di questa prospettiva il tono è essenzialmente un intervallo melodico, prodotto dalla differenza di quarta e quinta, e non unione di due semitoni.

Il riferimento alla funzione del tono pitagorico nell'elaborazione della tipologia tetracordale della musica greca è emblematico di un approccio che ha di mira la natura melodica della scala, il suo proporsi come struttura che, in qualche modo, già canta.

La funzione melodica del tono nell'elaborazione del sistema musicale greco estende la portata melodica della scala all'intervallo d'ottava, raggiunto mediante il disgiungersi dei tetracordi. Chailley insiste molto nel mostrare il carattere non originario dell'intervallo d'ottava: lo scopo è duplice: mettere in mostra il tema della suddivisione per quarta e quinta, e delle direzionalità ad essa collegate e valorizzare il tema delle ricadute espressive che si legano alla selezione di un determinato sistema scalare.

Tale stile d'analisi verrà fatto valere anche per il concetto di polifonia, pensato in stretta relazione alla costruzione di una sorta di ambiente sonoro il cui fulcro sono ancora le consonanze di quarta, quinta e ottava. Simili osservazioni, che a tutta prima possono persino apparire ovvie, hanno in realtà la funzione di attirare l'attenzione del lettore sull'aspetto orizzontale dell'intervallo, cercando così un radicamento su un terreno più originario di quello dell'armonia classica.

Il nostro autore non si impegna a stilare giudizi di valore sulle varie tradizioni musicali che va presentando: gli interessa, piuttosto, cercare di chiarire come le relazioni intervallari modifichino l'assetto scalare, ricadendo pesantemente all'interno della pratica musicale. Nella sua interpretazione, ogni tradizione si ritaglia un proprio ambito musicale, attraverso la selezione espressiva e funzionale degli intervalli: il concetto di filiera ha qui un significato tecnico, che si riferisce al tessuto di pratiche attraverso cui ogni tradizione musicale mette a punto una propria nozione d'ottava.

Come abbiamo visto per la quinta, la doppia strutturazione dello spazio musicale, in senso armonico e prearmonico, modifica tutti i comportamenti degli intervalli. Ciòsi fa avvertire in modo particolare nell'evoluzione della terza, da intervallo melodico (terza minore) del circolo delle quinte a intervallo armonico (terza maggiore), che implica una serie di riaggiustamenti nella posizione delle altezze all'interno della scala, connessi al tema del temperamento. Il temperamento, a sua volta, nasce dal bisogno di una razionalizzazione matematizzante della posizione delle altezze, che non ha più un legame diretto con la natura delle relazioni spaziali originarie. Esso occulta, attraverso una nuova definizione dell'ampiezza degli intervalli, l'originaria funzione di tutti gli intervalli melodici.

Chailley cerca così di riportare alla luce temi molto tradizionali, che nella sua ricostruzione acquistano un significato decisamente originale. Se il temperamento decide solo dell'esattezza della posizione di un'altezza musicale, esso si fa carico di una mitizzazione matematizzante della nozione di natura. Un problema pratico qual'è quello della accordatura degli strumenti tende così, nell'interpretazione del nostro autore, a trasformarsi in una struttura ideologica non indagata, il cui esito definitivo sarà l'idea di serie dodecafonica. Questa posizione, certamente molto forte, ha il merito di riportare la nostra attenzione sulle componenti speculative non dichiarate che una fetta consistente del fisicalismo musicale eredita dalla tradizione ramista.

Dello stesso tenore, sono le osservazioni che il Saggio dedica a Platone e alla speculazione pitagorica. Si tratta di una rivendicazione, non sempre limpida, delle componenti intuitive contro una intepretazione meramente matematizzante delle componenti relazionali del discorso musicale: da questo punto di vista, nell'intepretazione di Chailley esiste un unico filone, che comincia con il pitagorismo e finisce con Xenakis, che ripropone continuamente la centralità del tema della misurazione, trascurando gli aspetti intuitivi della pratica musicale. E' evidente che questa posizione tende tende ad estremizzarsi nel mondo moderno, in particolare dopo Rameau. La stessa idealizzazione delle componenti intuitive nella teoria aristossenica, partecipa del tono di questa polemica.

Di fronte a questi problemi, il nostro autore cerca di trovare un appoggio per la rivendicazione della centralità delle strutture intervallari nella vicenda storica dell'evoluzione della musica in una reinterpretazione della storia del concetto di cromatismo.

I fenomeni cromatici, e le alterazioni, sono in generale legate a fenomeni d'attrazione e di consonanza: si tratta di spostamenti di gradi deboli nell'area d' influenza di un grado più forte, un estremo di un intervallo, ad esempio, rispetto ad un grado debole o di scarso valore strutturale, all'interno della scala o del modo. In questo senso, il cromatismo non ha valore strutturale nella costruzione di una scala o di una melodia: esso è un fenomeno secondario.

La teoria musicale moderna, basata sui presupposti fisico-matematici che trovano la loro origine nell'interpretazione ramista dell'accordo perfetto, ha individuato nella successione di due semitoni temperato il paradigma del movimento cromatico. In questo modo, secondo Chailley, essa ha immaginato che la continuità cromatica fosse il fondamento non dichiarato da cui viene ritagliata la struttura scalare, mettendo in secondo piano l'evoluzione legata agli intervalli. Per il nostro autore, si tratta di una autentica neutralizzazione delle componenti melodiche dall'elaborazione teorica dello spazio musicale dell'ottava. Se la vicenda delle strutture melodiche ci mette di fronte a scale che sono il prodotto di una serie di operazioni non neutrali, legate alla forza con cui l'intervallo si impone all'interno della linea di canto o dell'ambientazione di un suono musicale, la suddivisione matematica dell'ottava in semitoni cancella in un sol colpo una vicenda secolare, applicando un semplice criterio numerico, basato sull'idea di esattezza, al terreno sempre cangiante dell'ottava melodica.

In realtà, osserva Chailley, il movimento cromatico non è sinonimo di movimento per semitoni: la stessa teoria greca, che vuol misurare il movimento attrattivo all'interno del tetracordo, prende in considerazione l'intera struttura tetracordale, che si espande oltre il semitono.

In effetti, se diamo un'occhiata ai diagrammi tracciati da Chailley relativi al circolo delle quinte, per incontrare il semitono Fa - Mi, partendo da Fa dobbiamo salire di 5 quinte. Inoltre, il Mi che incontriamo sarà diverso, tendenzialmente più ampio di quello temperato a cui siamo abituati. L'individuazione del semitono, nell'ambito del circolo delle quinte, risulta legata alla differenza tra la quarta e la terza maggiore o tra la terza minore ed il tono. Nel mondo Greco, il semitono veniva così indicato dall'espressione limma, che significa resto, in quanto differenza fra due intervalli preesistenti. Questa espressione conferma, secondo il nostro autore, che si tratta di un intervallo complementare ed irrazionale, cioè privo di una sua caratterizzazione strutturale.

In tal modo, Chailley non attribuisce alcun valore strutturale al semitono: ciò lo spinge a sostenere che il cromatismo non ha una funzione strutturale per la formazione delle scale, almeno in forma diretta. La sua azione si trova a dipendere dalla possibilità attrattiva degli altri intervalli.

L'osservazione ha conseguenze notevoli. In primo luogo, il cromatismo avrà origine dallo spostamento interno dei gradi per attrazione, non sarà quindi un fenomeno che determina la suddivisione dello spazio musicale nella scala, ma una sua conseguenza.. In una prospettiva legata all'evoluzione della scala, in senso melodico, il cromatismo appare un criterio di misura dell'intervallo. Ma l'intervallo che viene misurato, dipendendo dall'attrazione, è solitamente più ampio del tono diatonico. Quando poi si incontra il semitono, dobbiamo ricordare che nel mondo musicale greco il cromatismo riguarda gli intervalli determinati dall'attrazione esercitata dai gradi esterni (forti) del tetracordo su quelli interni (deboli): in questo senso, il cromatismo esprime una misura dello spostamento degli intervalli, e non un criterio di successione.

Originariamente il grande intervallo appartiene al cromatismo non meno del piccolo. Il cromatismo non influenza in modo diretto la suddivisione scalare, anche se è un fenomeno che ha a che vedere con modificazioni qualitative connesse a dinamismi interni alla melodia.

Questa variabilità della componente cromatica, questa permeabilità estrema al mutamento, ha delle ricadute storiche: nella musica medioevale e fino al sedicesimo secolo l'intervallo cromatico è molto più ampio, in modo conforme alla teoria pitagorica, che fissa l'ampiezza del semitono cromatico come maggiore di quello diatonico. Molte progressioni cromatiche che si incontrano nella polifonia medioevale, ad esempio, sono semplicemente movimenti melodici che terminano su un'altezza e ricominciano su quella adiacente. In questo caso, non vi è continuità fra nota ed alterazione, ma la chiusura di un movimento discreto, seguita dall'apertura di un nuovo movimento. Qui il cromatismo è una semplice conseguenza dell'attrazione melodica.

Di conseguenza, l'interpretazione strutturale della funzione del semitono all'interno del circolo delle quinte è una semplice illusione ottica. In realtà, anche il semitono temperato è il prodotto artificiale d'una pratica d'accordatura. Lo stesso cromatismo wagneriano è un fenomeno attrattivo che tende a indebolire i nessi cadenzali della tonalità, alla stessa stregua dei contromovimenti melodici che costellano le sonate di Mozart (§18). Tuttavia, proprio perchè legato alla componente melodica, che si fa largo attraverso l'appoggiatura che altera la simmetria nell'ordine cadenzale della triade, il cromatismo del compositore tedesco indebolisce il linguaggio tonale. E lo fa con la forza della melodia, con il ripresentarsi delle tendenze centrifughe e tensive dell'intervallo melodico. Il passaggio è legato alla ricerca d'una nuova qualità d'espressione, che si differenzia da quella del linguaggio classicista.

La ricostruzione teorica di questa vicenda storica permette a Chailley di far valere due istanze, fra loro collegate: a livello più superficiale egli può attaccare i presupposti teorici che vedono nel semitono l'elemento strutturante lo spazio musicale dell'ottava: in sé, il semitono è solo il prodotto di un'opera di razionalizzazione e suddivisione dello spazio musicale, e non ha una funzione costruttiva. In secondo luogo, ad un livello più profondo, egli può rivendicare i caratteri attrattivi di uno spazio musicale, popolato di gradi «ipnotizzatori e di gradi ipnotizzati», come scriverà ventidue anni dopo, contro una evoluzione discretistica, come quella della dodecafonia. Se il grande intervallo appartiene al cromatismo fin dalle origini, e la sua sistematizzazione in senso armonico-tonale come successione di semitoni un'illusione ottica legata alla tastiera del pianoforte, si può aprire un'indagine sulla continuità dello spazio musicale, astraendo dalle varie forme di razionalizzazione che valgono come semplici presupposti teorici, per tornare a cercare il senso dell'azione strutturante dell'intervallistica nell'elaborazione delle varie morfologie dello spazio musicale.

Va quindi rivendicato il peso strutturale della figura melodica sulla semplice suddivisione dello spazio musicale. La posta in gioco è la vettorialità e tutte le varianti intervallari che la riduzione dell'andamento cromatico alla semplice successione di due semitoni comporta.

Non meno equivoca è, per il nostro autore, la concezione moderna dell'armonia, qualora sia privata di una interpretazione teorica che sappia fare i conti con le teorie pre-armoniche. Sappiamo, infatti, che il nostro autore vede il fulcro della evoluzione intervallare, che condurrà alla suddivisione armonica dell'ottava, nel continuo conflitto fra la posizione dell'altezza nella continuità dello spazio musicale e la tendenza della stessa ad essere attratta e spostata da alcuni intervalli caratteristici.

Tale sviluppo procede così attraverso metamorfosi e deformazioni, mediante il fissarsi di alcuni modelli che, anche per contingenze storiche cedono e si ripresentano sotto forme nuove. Il conflitto più evidente fra armonia e modalità si lega al modificarsi del modo d'intendere la terza, perché ha una pesante ricaduta sulle funzioni intervallari di quarta e di quinta , la cui morfologia viene a mutare anche per quanto attiene la natura delle relazioni teoriche: esiste crisi e discontinuità fra le relazioni intervallari orizzontali e il sovrapporsi della funzione della terza nell'accordo perfetto. In altre parole, il concetto di accordo perfetto su cui si appoggia la tradizione ramista va reindagato a partire da tutte quelle strutture attrattive e intervallari che il linguaggio tonale tende a cancellare, per sviluppare la propria grammatica della consonanza.

L'evoluzione dell'armonia, che Chailley definisce come armonia della risonanza, porta ad una vera rivoluzione nel modo d'intendere ed analizzare l'intervallistica. Se la verticalità non è più il prodotto dell'aggregazione determinata dall'incontro fra le direzioni di due o più movimenti melodici, ma viene considerata come «blocco sonoro omogeneo», che emana dal risuonare del basso fondamentale, tutta la strutturazione dello spazio melodico, e del modo d'intenderne la forma, muta di senso. Il nuovo criterio di costruzione s'articolerà guardando alle relazioni analitiche fra acccordo e basso sottinteso. Ne deriva un nuovo atteggiamento analitico, per cui, ad esempio, tutte le ottave si equivalgono, a differenza dei sistemi precedenti ove la dislocazione d'ottava mutava le relazioni intervallari nella struttura melodica. Il movimento viene così ristretto, deve commisurarsi con nuove regole nella disposizione delle voci.

Il movimento melodico s'impoverisce, riducendosi ad una emanazione del basso fondamentale. La storia dell'armonia è così, nella concezione del musicologo parigino, la storia di un progressivo staticizzarsi delle componenti melodiche attorno alle ossificazioni della triade fondamentale: la rinascita di queste componenti è interna al linguaggio tonale, e non compare solo durante la crisi della tonalità, ma si fa avanti come un rovello fin dalle forme più canoniche del linguaggio classico. Ma il peso della strutturazione melodica si fa riavvertire più compiutamente quando cominciano a corrodersi i fondamenti del sistema tonale.

Questa vicenda, secondo Chailley, impone un nuovo studio sistematico di quelle funzioni accordali particolarmente instabili, che, secondo il nostro autore non possono essere semplicemente catalogate come dissonanti. Nascoste tra le pieghe della loro irriducibilità armonica alla triade, si nascondono tutte le tendenze attrattive che la selezione della terza come intervallo privilegiato ha cancellato. La conseguenza implicita che ne trae il musicologo francese è che vi sia un profondo conflitto fra il modo d'intendere la musica in senso verticale o in senso orizzontale, un conflitto che il concetto di modulazione neutralizza solo in parte. In tal modo viene indebolita la distinzione fra accordo e aggregato, puntando l'indice contro la problematicità della nozione di accordo perfetto sul piano teorico, specie per quanto attiene il problema della terza minore.

Al tempo stesso, la dodecafonia elaborando il concetto di serie che attribuisce valore strutturale al semitono, e mettendo al bando l'ottava, discretizza lo spazio musicale in modo eccessivo, operando su strutture irrigidite e depurate da qualunque fenomeno attrattivo fra altezze. Certamente è difficile condividere il livore polemico con cui Chailley bersaglia la teoria dodecafonica, nel suo insieme, in quanto costruzione assolutamente artificiale sul piano delle relazioni fra altezze, intellettualistica e quindi priva di qualunque possibilità di sviluppo o di correzioni sulla base del modello d'articolazione dello spazio musicale, condiviso dalla tradizione occidentale. Qui la presa di posizione è clamorosa e anticipata dalla ricostruzione della vicenda del cromatismo: negare al semitono potenzialità strutturali implica che l'equiparazione dei semitoni non possa garantire un felice criterio costruttivo.

Non ci soffermeremo su tali componenti polemiche, che sollevano comunque una discussione teorica storicamente chiusa in maniera troppo frettolosa, abbandonando in modo brutale la partita sulla natura delle relazioni fra altezze e conclusasi con una tacita emarginazione dell'autore dall'orizzonte musicologico contemporaneo.

Tale discussione, al contrario meritava di essere approfondita, senza entrare necessariamente in una valutazione estetica dell'opera dei viennesi: non è un caso se il problema delle altezze ritornerà a sollecitare la curiosità di autori dall'approccio molto diverso, certamente non tutti amati dal nostro autore, quali gli spettralisti, l'ultimo Schaeffer o, con ricca articolazione teorica, Olivier Messiaen, per riferirci solo all'ambito francese. Fra l'altro dobbiamo notare che negli stessi anni, un teorico come Costère cercava di trovare una fondazione dell'atonalità proprio in una rifluidificazione dei portati teorici della risonanza, non trascurando affatto la posizione del nostro musicologo.

Lo sforzo di Chailley non si concentra unicamente nel dare fondamento teorico ad una battaglia, che oggi considereremmo assai datata, contro l'impianto teorico della Scuola di Vienna. Il senso della sua polemica è quello di una rivendicazione della dignità di tutte quelle pratiche musicali che fanno della componente melodica l'elemento portante di una ricerca delle proprietà attrattive dello spazio musicale: l'oggetto nascosto di questa polemica è proprio la messa in mora degli aspetti teleologici che stanno coperti dentro l'evoluzione dell'armonia classica. Il fondamento teorico della discussione si appoggia alla morfologia contratta dell'ottava cui mette capo la speculazione teorica di Schönberg. Insomma, esiste per il nostro autore un'asse che congiunge la polifonia della dissonanza, cioè la musica dodecafonica, con i portati statici dell'ambientazione a tre suoni. E questo è forse il vero oggetto polemico, ancora una volta teoricamente orientato, del nostro autore.

Se cerchiamo di inquadrare la questione all'interno di tale angolatura, allora la polemica di Chailley non va più ricollegata ad un miope atteggiamento di tipo conservatore, sulla falsariga delle tante polemiche, di fatto fossilizzate, che accompagnano ancora oggi il dibattito sulla seconda scuola di Vienna. La critica di Chailley è volta contro la rigidità strutturale, il procedere zigzagante, per usare l'espressione presente nell' Essai, e spigoloso che assume la profilatura melodica in quel contesto.

Anche se lo stesso Schönberg raggruppa sottogruppi melodici nella serie, isolandoli con delle graffe, il movimento che le traccia sarà brusco, i contorni assumeranno la forma di un duro ritaglio dai contorni troppo netti, perdendo quel carattere di continuità che il torcersi della melodia su se stessa attraverso la congiunzione melodia riesce a garantire dopo lo scosssone ricevuto dall'armonia a tre suoni. Qui viene avanti il teorico continuista ad oltranza, il cultore del riempimento melodico di tipo aristossenico, che fa della continuità dello spazio musicale la risorsa segreta della pratica compositiva. Il fatto che il mondo poetico espressionista, connesso alla musica dodecafonica non possa nutrirsi di tali suggestioni, non sfiora Chailley. D'altra parte, ancora oggi, il problema rimane aperto, specie dopo le penetranti analisi di Perle.

Se pensiamo che Chailley mostra la medesima indifferenza nei confronti dell'analisi schenkeriana, da lui studiata negli anni trenta e rapidamente abbandonata, possiamo dedurne che l'esigenza continuista è l'ultimo strato ideologico del nostro autore, che dedicherà ad Aristosseno una parte consistente del suo testo storico sulla musica greca, enfatizzando forse con troppa vivacità l'aspetto intuitivo nell'opera del teorico greco. Anche lì vi sarà un profondo fraintendimento del pitagorismo, ed una penetrante analisi della natura melodica della musica greca, polifonia compresa, posizione già adombrata nell'Essai.

§ 4

Morfologie spaziali e Filologia Musicale

Le varie morfologie dello spazio musicale e sulla loro ricaduta su linguaggi storicamente determinati sono importanti anche per quanto riguarda il tema dell'espressione della musica. La ricerca va così assumendo i caratteri di una analisi delle forme della ricettività musicale. Tutti questi aspetti, per il nostro autore, dovranno diventare oggetti di una disciplina specifica in grado di affrontarli in modo unitario, la filologia musicale, alla cui delineazione verrà dedicata nel 1985 la sua opera più ambiziosa, Éléments de Philologie Musicale.

Per poter mantenere un metodo d'indagine unitario, Chailley non si affida solo alla sua vasta erudizione musicale, ma fa proprie alcune metodologie elaborate dalla etnomusicologia a lui coeva, una disciplina che mirava, come abbiamo visto, all'individuazione di universali linguistici in grado di dar ragione del comportamento delle strutture musicali nella loro generalità.

Rivelatrice di tale atteggiamento è la scelta di introdurre il tritono fra le strutture melodiche fondamentali, a causa dell'instabilità espressiva ad esso connessa: negli anni successivi, la sua ricerca di storico della musica medieoevale lo porterà a rifiutare come mitica la proibizione del tritono, di cui parlano, guarda caso, gli storici della musica post-ramisti senza che, a suo dire, si possano trovare nei testi teorici medioevali espressioni quali diabolus in musica o simili. Al contrario, l'instabilità del tritono non implica dissonanza, ma semplice tensione alla risoluzione: si tratta quindi di un intervallo dal particolare valore espressivo, che altre tradizioni utilizzeranno in modo più sistematico. Insomma, sembra che la storia dell'armonia a tre suoni abbia gettato una sorta di cono d'ombra sul modo in cui il linguaggio dei secoli precedenti è stato inteso.

L'idea di una dialettica fra funzione strutturale della scala, che si esplicita mediante l'elaborazione di componenti discrete che disegnano e organizzano una configurazione gerarchizzata dello spazio musicale, che confligge con la tendenza continuista del cromatismo, mediante fenomeni attrattivi fra le altezze, implica infatti che sussista sin dalle prime elaborazioni del linguaggio musicale un conflitto, connesso alla posizione delle note nello spazio, tale conflitto ha evidenti ricadute di ordine espressivo e concettuale.

L'analisi delle strutture melodiche funziona quindi come una sorta di cartografia, in grado di descrivere l'orizzonte di scelte che si nasconde all'interno di ogni singola scala, struttura discreta che ritagliando una propria organizzazione architettonica nel continuum dello spazio musicale è in primo luogo espressione di un gusto e di una mentalità.

L' approccio di Chailley è quindi di grande interesse per chi voglia trattenersi su una indagine sulle strutture scalari ricca di spunti fenomenologici e di connessioni con una sorta di psicologia storica, sul modello di Meyerson. La scala musicale non è mai una strutturazione neutra dello spazio musicale: essa è un oggetto culturale, di cui l'analisi storica delle strutture melodiche mette a nudo le strutture formali e le componenti legate al gusto, all'espressione, insomma ad un tessuto di scelte che l'analisi musicologica deve ricostruire per comprenderne la funzione rispetto alla ricettività musicale di che ne fa, storicamente, uso. Non sorprenderà quindi che l'esito di queste ricerche sarà, negli anni successivi, una indagine sulla funzione delle strutture simboliche in musica.

Potremmo assimilare l'atteggiamento di Chailley a quello di un cartografo che deve indicare punti di convergenza nel conflittuale rapporto che lega gli intervalli alle trasformazioni delle strutture scalari: l'idea di una sorta di cifra (signature) stilistica, che dobbiamo dedurre dalle scale, implica un'approfondimento sulla genesi delle melodie,e sui protagonisti della metamorfosi nella posizione delle altezze.

Su questo terreno, che Chailley traccia in evidente analogia con le teorie aristosseniche, nascono poi le decisioni della teoria musicale, operante sempre in stretta relazione ad una pratica. Il nucleo nascosto dell'ideologia del nostro autore si fa avvertire attraverso una forte sensibilità al continuo interscambio tra teoria e praticache guida la vicenda delle relazioni strutturali che discendono a cascata dalla selezione degli intervalli. Tale aspetto ha un rilevante interesse filosofico, per una indagine sulla funzione espressiva delle strutture e della grammatica dello spazio musicale.

In tutte queste analisi, che spesso nel Saggio vengono appena abbozzate, il concetto di attrazione fra suoni è il riferimento fondamentale da cui muovono tutte le analisi del nostro autore. La continuità dello spazio musicale si manifesta grazie al brulicare di fenomeni attrattivi che costituiscono il sostrato dell'analisi melodica. Da qui, la continua ricerca di assi di simmetria,di funzioni di compensazione interne alle melodia che possano giustificare la derivazione di una scala specifica. Ed è a questa tensione che guardano le pratiche compositive, nel loro continuo tentativo di usare gli intervalli della tradizione come assi di costruzione e nel necessario indebolimento di tali strutture a fini espressivi. Una figura emblematica per descrivere tale atteggiamento, è, nella prospettiva del nostro autore, quella di Claude Debussy, che utilizza la scala per toni interi allo scopo di neutralizzare i vincoli del funzionalismo tonale (cfr. § 19).

In questo modo, il compositore francese può giocare contemporaneamente con due diverse forme di organizzazione dello spazio musicale. La ricaduta sul piano espressivo di tali procedimenti è evidente: indebolendo i legami attrattivi che fanno capo all'organizzazione tonale, è possibile fluidificare il discorso melodico, attraverso un fine ordito di piccole trame melodiche. Nasce così un raffinato gioco linguistico che guarda alla struttura dello spazio musicale da due punti di vista differnziati. In questa operazione non c'è eclettismo, ma una serie di scelte compositive che vanno progettando una neutralizzazione di relazioni consolidate all'interno di un linguaggio, da sempre appoggiato ad una interpretazione dello spazio musicale che pone come centrale il riferimento alla tonica.

Tale strategia assume efficacia solo se riesce a ricostruire un nuovo modo d'ambientare il suono musicale. Un simile approccio alla grammatica dello spazio musicale, che Chailley individua come un nastro che collega fra di loro le varietà delle filiere, è il nucleo più interessante della teoria della risonanza, nell'interpretazione del nostro autore. A questo modo di proporre un'interpretazione reticolare del concetto di spazio musicale, e non ai suoi presupposti evoluzionistici, si può guardare con forte interesse teorico. Forse l'unica analogia possibile, nelle profonde differenze d'approccio, è con l'opera teorica di Hindemith, e con la teoria delle gerarchie intervallari che, per il compositore tedesco, vanno inquadrati in una ricerca generale, che li tratti come universali linguistici.

Abbiamo ricordato che il Saggio ha il carattere dello schizzo, di un testo provvisorio, caratterizzato da forte densità teorica. Chailley avverte il bisogno di esemplificazioni nitide, che possano sostenere l'argomentazione nel modo più chiaro possibile.Per questo motivo, il Saggio articola le componenti teoriche attraverso una ammirevole capacità esemplificativa. Gli esempi musicali presentate da Chailley, infatti meriterebbero una analisi più approfondita di quanto non sia stato possibile fare: spesso, infatti, nei commenti che le accompagnano il teorico si fa piacevolmente prendere per mano dal compositore. I commenti i richiami in nota sono stati ridotti all'essenziale, per non appesantire un testo che fa della agilità della riflessione una cifra stilistica inconfondibile.


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