Andrea Melis
Tempo, texture e genesi formale: le Variations Aldous Huxley in memoriam di Igor Stravinsky


Il 17 aprile 1965, a Chicago, furono eseguite in pubblico le Variations di Igor Stravinsky, dedicate alla memoria dello scrittore Aldous Huxley - amico del Compositore - allora da poco scomparso. Le Variations, scritte fra il 1963 e il 1964, sarebbero poi rimaste l’ultima composizione per grande orchestra realizzata da Stravinsky.

Questo lavoro, tutto sommato poco conosciuto, come del resto la maggior parte della produzione dell’ultimo Stravinsky, si incunea problematicamente in un periodo musicale denso di ricerche ed elaborazioni teoretico-pratiche, quando la fase più aggressiva e iconoclasta che aveva caratterizzato l’Avanguardia degli anni ’50 cominciava a lasciare il posto da un lato a un ulteriore riesame dei materiali e delle strutture del comporre e d’altro canto a quell’atteggiamento, radicalmente negativo verso l’elemento strutturante, che esaltava sommamente il «gesto», spesso esaurientesi in se stesso.

Considerando l’età avanzata (82 anni) di Stravinsky all’epoca delle Variations, si sarebbe indotti ad accostare idealmente la sua posizione a quella del vecchio Strauss, che nel 1948, l’anno in cui Boulez componeva la Seconda Sonata, sembrava prendere congedo da un mondo che gli era ormai estraneo realizzando l’ultimo capolavoro, i Vier Letzte Lieder, splendida e affascinante testimonianza di un passato che non poteva non apparire lontanissimo, un prezioso «relitto tardo-romantico» pervenuto dal secolo trascorso e arenatosi alla soglia temporale della modernità. Eppure per le Variations le cose stanno in maniera affatto diversa.

Alcune premesse teoriche e metodologiche

1) Stravinsky aveva adottato da ormai vent’anni la tecnica dodecafonica, riuscendo a piegarla totalmente alle esigenze del proprio linguaggio e realizzando mediante essa una solida trama di forme melodiche e armoniche, polarizzate e ricorsive. Queste dovevano sostituire, in senso lato, le funzioni modal-tonali caratteristiche delle composizioni realizzate nel corso delle «fasi» precedenti. Le Variations rappresentano, in questo senso, un esempio estremamente interessante ed efficace dell’impiego armonico della serie dodecafonica, secondo la personalissima ottica di Stravinsky. È questo un punto di estremo interesse ma anche di portata tanto vasta da rischiare di allontanarci dall’approfondimento delle tematiche preposte [1] . Aggiungerò soltanto, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che la profondità della speculazione e il ricercato impiego delle strutture dodecafoniche sgombrano nei fatti il campo da qualsiasi illazione sulla «sincerità» dell’orientamento seriale dell’ultimo Stravinsky. Tali questioni potrebbero porsi esclusivamente in presenza di una poiesis debole nei risultati, di un linguaggio esitante e incoerente o, in ultima analisi, di un lavoro privo di vera forza espressiva, frutto di una tecnica non compiutamente integrata rispetto alla sostanza poetica. Tutto ciò, nelle ultime composizioni di Stravinsky, non si pone minimamente, né basterebbe tutto il «mestiere» di un artigiano scaltro e consumato a celare simili incongruenze, qualora fossero realmente presenti.

2) Un analogo discorso potrebbe, almeno in parte, essere condotto sull’interpretazione stravinskiana del concetto di klangfrarbenmelodie e di puntinismo sonoro. Certamente Stravinsky non era sordo alle esperienze e alle sperimentazioni linguistiche di quegli anni e nelle sue stesse composizioni resta una traccia inconfondibile di alcuni cliché sonori tipici del periodo. Tuttavia nelle Variations l’assimilazione di nuove modalità di rapporto con la sostanza sonora si integra perfettamente con inclinazioni espressive già abbondantemente presenti nella precedente musica di Stravinsky.

A proposito della «klangfarbenmelodie» lo stesso Stravinsky aveva più volte minimizzato l’importanza e la consistenza di tale «scoperta» (riferendosi soprattutto agli epigoni della dodecafonia) considerandola - di fatto - un dato abbondantemente acquisito all’interno della propria esperienza compositiva. Tale affermazione non è affatto sorprendente se si considerano i termini della questione entro la prospettiva stravinskiana. In Webern e nei «viennesi» in genere, l’esasperazione dell’articolazione e della differenziazione timbrica procede quasi sempre di pari passo con la messa in evidenza, al massimo grado possibile, dei nessi tematici e motivici soggiacenti alla struttura compositiva. La «sensualità» sonora, quand’anche si imponga all’ascolto, non è mai dissociata da una severa e rigorosa disamina ed evidenziazione delle relazioni strutturali poste a un livello più profondo. In questo senso potremmo dire che l’orchestrazione weberniana del Ricercar a 6, (dall’Offerta Musicale di Bach) è anche una straordinaria testimonianza di «analisi» della costruzione tematica della fuga in questione.

Uno sguardo alla produzione di Stravinsky, a partire dai primissimi lavori, rivelerà l’uso di una vera e propria scienza dei pesi, dei modi d’attacco, dell’ «attivazione» di texture [2] statiche [3] , di colorazione delle traiettorie anacrusiche, di animazione della figura sonora. Tale «scienza» è nella sostanza assai affine a quella weberniana. Il punto di divergenza consiste nel fatto che l’oggetto della prassi costruttiva in Stravinsky non sembra essere tanto la cellula (con tutte le sue potenzialità germinative) quanto la definizione dell’oggettualità densamente corporea dell’evento sonoro, il suo imporsi fisicamente all’attenzione dell’ascoltatore. Ciò che qui si pone in gioco è la definizione «tattile» delle qualità, dei contorni e del «volume» dell’evento. La nozione di «materiale» sonoro non potrebbe essere assunta in maniera più pertinente e radicale. Tale prospettiva di delineazione dell’oggetto comporta, come vedremo, una serie di conseguenze sul piano dell’articolazione formale.

Per quanto concerne l’emergere di un certo carattere «puntinista» le cose non sono essenzialmente diverse. Se l’impulso è sempre stato, per Stravinsky, l’elemento su cui fondare sia la costituzione dell’identità materica degli oggetti, sia il loro stagliarsi e differenziarsi all’interno dell’organismo sonoro, il puntinismo, non eccessivamente rarefatto e filtrato attraverso un minimo comune denominatore di scansione isocrona del tempo, può essere assunto in quanto variante di una pratica consolidata.

Se dunque la matrice della scienza dei pesi timbrici e del silenzio presenta affinità in Webern e Stravinsky, nel primo essa si qualifica come strumento al servizio di una musica rivolta verso la continuità concentrica del flusso temporale, nel secondo concorre a marcare la presenza dell’oggetto sonoro individuale. In questo senso la musica di Stravinsky è talvolta alquanto affine a quella di Varése, con la specificità che in quest’ultimo l’oggetto, pure nella sua cristallinità, tende quasi sempre a presentarsi come massa.

3) Stravinsky è indubbiamente uno degli antesignani nell’uso della cosiddetta moment form ovverosia di quella specifica modalità di organizzazione della strutture temporali contraddistinta da un carattere di sviluppo non lineare, per cui il flusso temporale è scandito dall’alternarsi di cosiddetti «pannelli» sonori autonomi, all’apparenza meramente giustapposti. Si è talvolta parlato - soprattutto da parte di Adorno, con connotazione negativa - di un carattere di spazializzazione del tempo che contraddistinguerebbe la musica di Stravinsky. Tale affermazione appare oggi inficiata e viziata, tanto all’origine quanto nelle conclusioni che ne seguono, da una fondamentale incapacità di identificare i nessi che garantiscono l’unità e la coerenza formale delle composizioni stravinskiane. È minata da un pesante pregiudizio estetico e da un’irritante e autoritaria tentazione di prescrittività poetica e stilistica. Essa ha sostanzialmente il limite di assumere ipostaticamente gli elementi costruttivi e strutturali di una sola prassi musicale, storicamente e geograficamente identificata: quella europea, e soprattutto tedesca. Un complesso di dati storici finisce per divenire una forma archetipica astorica e intemporale. Eppure tale asserzione sulla «spazializzazione del tempo», (spogliata dalla moralistica accusa secondo cui la dimensione temporale reificata si ergerebbe contro il soggetto defraudato di essa) contiene, sotto il profilo della forma espressiva, un elemento utile alla nostra indagine. È evidente che un’estetica fondata sull’emergere del complesso sonoro nella sua imponente oggettualità comporta, per accentuare al massimo la propria connotazione espressiva, una caratterizzazione e una definizione degli oggetti talmente forte e pregnante da spingersi fino alle soglie di un’immagine temporale discontinua entro la quale si stagliano oggetti sonori fortemente individuati, la cui singola specificità è sommamente esaltata nel gioco delle contrapposizioni. È tale gioco, che nell’alternarsi, spesso vertiginoso, di eventi sonori densi e «voluminosi» determina l’impressione «spaziale» del tempo, inteso come dimensione del succedersi di corpi sonori dislocati entro uno spazio virtuale, generato e proiettato dalla violenta e fisica irruzione degli eventi.

La marcata e attenta articolazione del timbro, come abbiamo già detto, è componente fondamentale per la completa estrinsecazione dell’intenzionalità espressiva. La chiara e individuata collocazione degli eventi entro la trama sonora e temporale unitamente al silenzio (la sconvolgente scoperta di Webern, secondo Boulez) progettato come principio di segregazione e identificazione delle individualità acustiche, rappresentano l’altra controparte coessenziale. Su questi presupposti, lo spazio si materializzerà anche a seguito di un uso radicale del vettore-densità: l’addensamento estremo o, all’opposto, l’estrema rarefazione. Sono queste alcune delle chiavi per interpretare i fattori che impongono, a seguito di opzioni opposte soprattutto sul piano della densità, lo spazio quale dimensione fondante nella musica di Stravinsky e Webern o, attraverso altri percorsi, di Stockhausen e Nono.

4) Resta ora da identificare quali siano, all’interno delle Variations in particolare ma anche nella musica di Stravinsky più in generale, quei fattori coesivi che garantiscono e determinano l’unità percettiva (e stilistica) dell’opera, seppur nei limiti di un contesto di estrema diversificazione degli eventi e delle componenti fondanti la compagine formale.

I fattori di continuità si collocano a livelli molteplici:

a) Sul piano macro-formale, la ricorsività dei diversi «pannelli» sonori, crea una sorta di contrappunto diacronico di immagini sonore, un iter trasversale che si articola su piani di sviluppo differenti, in continua successione fra loro. Significativa, da questo punto di vista una frase di Stravinsky a commento dell’Orfeo.

Qui ho tagliato la fuga con un paio di forbici...ho introdotto questa breve frase dell’arpa, quasi un accompagnamento di due misure. Quindi i corni riprendono la loro fuga, come se niente fosse accaduto. Lo ripeto a intervalli regolari..... Eliminando queste interruzioni d’arpa sola e incollando insieme le parti della fuga, ne scaturirà un pezzo unico. [4]

Stravinsky decompone e frammenta traiettorie temporali e musicali differenti per ricomporle poi, in fasi alterne e discontinue, entro lo stesso scenario. La tecnica appare affine a un montaggio cinematografico di narrazioni parallele. Talvolta dal piano della giustapposizione di fasi texturali si passa addirittura alla sovrapposizione di texture differenti. La compressione degli elementi entro un unico scenario produce un’immediata amplificazione ed estensione dell’impressione spaziale, determinata dalla «collisione» di strati sonori eterogenei.

Resta tuttavia aperto l’interrogativo su quali siano i fondamenti unificanti di tale prassi. Se è chiaro il senso di tale modo di procedere (ved. punto 3) non è invece sufficientemente chiaro quali relazioni intercorrano fra gli elementi prescelti per il «montaggio».

b) Sotto il profilo delle altezze e delle strutture armoniche vi sono degli elementi-perno comuni ai diversi complessi strutturali. All’esame di tali elementi dovrebbe essere dedicato uno studio specifico.

c) Vi sono significative relazioni nel campo delle tipologie di texture (contrappuntistiche, accordali, monodiche ecc.) e dei contrasti determinati dal loro avvicendarsi e sovrapporsi. Bisogna notare che la cristallizzazione tipologica delle texture comporta un uso piuttosto fisso e univoco (nei comportamenti e nell’assemblaggio) dei gruppi e delle famiglie strumentali che vengono «unilateralmente» associate e contrapposte in modo da connotare efficacemente il carattere sonoro di ciascun «pannello». Attraverso queste polarizzazioni timbriche, Stravinsky costruisce percorsi di articolazione formale estremamente coerenti. Approfondirò questi punti nel corso dell’esame delle Variations.

d) Vari studi hanno dimostrato la costante significatività dei rapporti proporzionali sussistenti fra le durate dei moments e dei submoments parziali che costituiscono le sezioni dell’intera arcata formale del brano [5] . Questa importante osservazione riguarda l’intera arcata formale nei suoi aspetti architettonici e pertanto concerne primariamente il processo mnemonico di ricostruzione dell’unità e del bilanciamento formale su vasta scala.

e) Riducendo la «scala» di osservazione del fenomeno temporale, un ruolo importante è svolto dai rapporti fra unità di scansione (tactus) delle differenti sezioni. Un attento esame delle mutazioni agogiche potrebbe mettere quasi sempre in rilievo una lucida e strutturale programmazione del processo di trasformazione, con evidenti ripercussioni sul piano formale, dovute a una rete complessa di nessi ricorsivi e, anche in questo caso, di rapporti proporzionali preferenziali fra tactus.

f) A un grado scalare di osservazione ancora più ridotto, e lo si vedrà chiaramente nelle Variations, notiamo che l’unità minima di scansione e articolazione è mantenuta costante. Spesso essa è elaborata additivamente per raddoppio e triplicazione nelle forme metriche delle differenti sezioni. Questo, all’ascolto, è il fattore di unificazione percettiva ed espressiva maggiormente pregnante. Ciò anche in ragione del fatto che la musica di Stravinsky procede per intervalli temporali densamente «pulsati». Stravinsky predilige pertanto un’immagine temporale «atomizzata» e punteggiata, letta attraverso un reticolo entro il quale la discontinuità, determinata dal frazionamento puntuale, è complementare rispetto alla continuità dell’impulso omotetico.

Si aggiunga anche che Stravinsky tende a preservare la riconoscibilità e la ricorrenza di un’unità di scansione isocrona, polarizzata, evitando quasi totalmente le divisioni irregolari e comunque circoscrivendone l’uso in modo che non interferiscano - generando indesiderati tactus secondari - col tactus principale. La forma e il carattere del movimento temporale è così affermata energicamente.

g) Per concludere questa prima disamina, non bisogna trascurare il ruolo fondamentale delle articolazioni sonore, che rappresentano le radici fonetiche del linguaggio stravinskiano. Parallelamente si osserverà l’uso prevalentemente fisso delle dinamiche e la marcata separazione, in funzione prospettica, dei piani dinamici. Crescendo e diminuendo sono prevalentemente realizzati mediante processi di accumulazione e rarefazione.

A conferma degli ultimi tre punti sopra esposti, cito lo stesso Compositore che risponde a una domanda intorno ai problemi principali nell’esecuzione della sua musica:

Quello principale è il tempo. Un mio pezzo può resistere a tutto, tranne che a un tempo sbagliato o incerto..... Il problema dell’esecuzione stilistica nella mia musica è un problema di articolazione e di dizione ritmica. La sfumatura dipende da queste. L’articolazione è soprattutto separazione... [6]

Le Variations [7]

Qualsiasi osservazione intorno alle Variations non può non muovere da un interrogativo preliminare intorno al titolo: qual è la concezione stravinskiana della «variazione»?

Veränderungen - alterazioni o mutazioni, il termine di Bach per le Variazioni Goldberg - potrebbe parimenti essere usato per descrivere le mie Variations, salvo il fatto che io ho alterato o diversificato una serie anziché un tema o un soggetto. [8]

La serie impiegata da Stravinsky è la seguente

Il Compositore non intende in alcun modo un processo speculativo di sviluppo di elementi tematici o motivici. La sua idea di mutazione e diversificazione ha molto più a che vedere, e non solo per quanto concerne la serie, con un concetto di permutazione caleidoscopica di quegli elementi polarizzati su cui la musica è costruita.

Come abbiamo osservato sopra (ved. 4, f) il punto su cui fare leva nella costruzione delle unità sonore elementari è rappresentato dalla «pulsazione» isocrona. Nelle Variations, la costruzione dei rapporti metrici e di scansione temporale si snoda a partire dal ruolo unificatore svolto dal tactus la cui velocità metronomica è stabilmente fissata a 80 battiti.

Alcuni di noi pensano che il ruolo del ritmo sia più ampio oggigiorno che in qualsiasi periodo precedente, ma in ogni caso, data l’assenza della modulazione armonica, esso deve svolgere una parte importante nella delineazione della forma. E più che mai in passato, il compositore deve essere sicuro nell’edificare l’unità ritmica nella varietà. Nelle mie Variations, il tempo è una variabile e la pulsazione una costante. [9]

È chiaro dunque che la variazione o mutazione di unità additive variabili e cangianti poggia su un denominatore costante, stabile in tutte le undici variazioni di cui il pezzo è costituito (ved. tav. 1).

 

tavola 1

Variazione

tempo

n° di tactus (mm. =80) *

texture

organico

I

49

(196)

accordale

Archi, ott., legni, pf/arpa

monodia (klangf.)

archi, legni, pf./arpa

II

43 (172)

isor. a 12/fascia

12 vn.

III

31 (124)

contrapp. a 2 - 4

legni

IV

48 (192)

isor. a 12/fascia

10 v.le + 2 cb.

V

32,25 (129)

contrapp. a 3

legni

accordale

archi, ott., legni

VI

16,5 (66)

accordale

archi, ott., legni, pf./arpa

contrapp. a 3

ottoni

VII

15 (60)

contrapp. a 2 - 4

archi, ott., legni

VIII

12

(48)

accordi ribattuti

ottoni

monodia (klangf.)

legni

accordale

archi, ott., legni

IX

51 (204)

fugato a 3

archi (+ legni, pf.)

X

46 (184)

isor. a 12/fascia

legni, cr.

XI

27 (108)

accordale +

monodia

archi, ott., legni, pf./arpa

* indico tra parentesi la quantità di unità minime di scansione/pulsazione (in questo caso a mm. = 320, ovverosia in rapporto quadruplo rispetto al tactus = 80)

La struttura formale delle Variations può essere individuata a partire dal fattore metrico-temporale, dall’osservazione delle tipologie texturali su cui è costruito il pezzo e dal ruolo svolto dalle famiglie strumentali. Ogni variazione è chiaramente delimitata dalle doppie stanghette e, quasi sempre, da una corona e da una pausa.

Le tipologie texturali sono sostanzialmente tre e si individuano a partire da due comportamenti texturali fondamentali: accordo e melodia (una o più voci).

La prima variazione è caratterizzata da un inizio accordale e da una successiva monodia orchestrata, una klangfarbenmonody, secondo la definizione dell’Autore. Entrambi i «comportamenti tipo» sono subito presentati e giustapposti per essere poi variamente elaborati e mutati nel corso del pezzo. Il carattere binario della prima variazione si ripresenta, in modo chiaramente affine, nella var. VI e nella var. XI, disegnando così una traiettoria formale simmetrica, costruita attorno all’asse della var. VI (che divide il pezzo in due parti) e racchiusa nell’«involucro esterno» delle var. I e XI (ved. tav. 2). La simmetria è completata dal fatto che nella var. XI l’ordine (accordalità-melodia) della var. I è specularmente capovolto, per cui il pezzo termina con alcune figure accordali, come era iniziato.

La seconda configurazione texturale si evidenzia nelle var. II, IV e X. È caratterizzata dalla sovrapposizione di dodici linee melodiche eteroritmiche (una sorta di mottetto isoritmico a 12), la cui dinamica è fissata sul pp. A ogni riproposizione della variazione, l’identità ritmica di ciascuna delle linee è mantenuta, mentre mutano le altezze e l’orchestrazione. Il metro è scandito dal succedersi di battute di 4 - 3 - 5 ottavi. All’ascolto, l’impressione è quella di una fascia sonora cangiante, relativamente caotica e costantemente, seppure delicatamente, pulsata. Essa si cristallizzata su una dinamica statica ed entro un registro e un ambito ben identificati in ciascuna delle tre variazioni.

La terza configurazione texturale (var. III, V, VII, IX) è di natura spiccatamente contrappuntistico-lineare, con eccezione della parte conclusiva della var. V che «anticipa» il carattere accordale della variazione che segue.

Osservando la tav. 2 si potrà notare che la posizione di ciascuna configurazione-tipo entro la struttura formale crea sia una simmetria speculare quasi perfetta, attorno all’asse della var. VI, sia una simmetria diretta entro ciascun emi-ciclo (I - VI e VI - XI). Tale ordine di rapporti è spezzato soltanto dalla brevissima var. VIII che «sostituisce» la tipologia texturale di secondo tipo (fascia sonora). La var. VIII rappresenta una sorta di sintesi, estremamente concisa, di tutte le configurazioni alternatesi fino a quel punto. Essa prepara la terna conclusiva delle variazioni («specchio» formale delle prima terna) che si apre col climax contrappuntistico del fugato (var. IX).

Le differenti tipologie texturali si caratterizzano inoltre per la strategia di distribuzione delle famiglie strumentali.

La struttura texturale di primo tipo (var. I - VI - XI) si distingue per l’impiego dell’intera compagine orchestrale, per il rilievo degli ottoni nella parte accordale e per il ruolo peculiare, percussivo, svolto dal pianoforte e dall’arpa, «trattati come una coppia», come sottolinea l’Autore. Particolarmente pregnante la colorazione timbrica della monodia. Questo assetto timbrico non muta al riproporsi delle var. VI e XI - pur mutando le figure sonore - seppure all’interno della tipologia delineata sopra.

La texture di secondo tipo, costante e «univoca» da un punto di vista della figuralità, è soggetta a una traslazione timbrica dagli archi del primo ciclo (var. II e IV) verso i legni (var. X) della seconda parte. Da notare anche la traiettoria definita dall’ambito e dal registro. Nella var. II il registro e l’ambito sono ristretti ai violini. Nella var. IV (10 v.le e 2 cb.) l’ambito si amplia e il registro è lievemente traslato verso una regione più grave. La var. X vede una netta espansione del registro e dell’ambito, dilatazione che si proietta anche nella più variegata colorazione, determinata dall’uso della famiglia dei legni, cui si aggiunge il corno.

La texture di terzo tipo, rispetto alla seconda, segue timbricamente una traiettoria inversa. Essa esordisce coi legni nella prima parte (var. III e V) e culmina espressivamente nell’intenso fugato della var. IX. Le texture di secondo e terzo tipo presentano un percorso incrociato e inverso, quasi uno scambio, sotto il profilo timbrico, mentre seguono traiettorie parallele, in crescendo, dal punto di vista della differenziazione e intensificazione espressiva.

Il quadro generale si definisce attraverso un delicato gioco di contrappesi fra elementi che variano ed elementi ricorsivi, stabili.

Texture A: ricorsiva timbricamente, variabile nelle figurazioni, intensità relativamente costante/decrescente.

Texture B: variabile timbricamente, ricorsiva/immobile nelle figurazioni, intensità relativamente crescente (per espansione dell’ambito e differenziazione timbrica).

Texture C: variabile timbricamente e nelle figurazioni, intensità crescente (aumento delle parti reali ed incremento timbrico/fonico/dinamico).

Se dunque la texture A rappresenta il principio di stabilità ricorsiva sul piano timbrico, la texture B cristallizza stabilmente la componente figurale. Su questi «pilastri» la massima mobilità viene assegnata all’invenzione contrappuntistica (texture C).

A ciò si aggiunge la mutazione sul piano dell’intensificazione espressiva: A: lievemente decrescente - B: lievemente crescente - C: marcatamente crescente. Si noti che la differenziazione dell’intensità si evidenzia in modo spiccato nella seconda parte, dopo l’ «interludio» della var. VIII, a partire dal fugato, che rappresenta il climax dell’intera forma.

La «strategia» temporale di Stravinsky è indissolubilmente connessa a quanto abbiamo fin qui rilevato sulla partizione delle aree texturali. Il fattore temporale può essere delineato secondo tre direttrici fondamentali.

  1. L’isocronia del tactus, come abbiamo già osservato, rappresenta l’asse portante dell’intera composizione, il principale garante dell’unità formale.

2) La durata delle singole variazioni (ved. tav. 3), dopo una zona di relativa stabilità (var. I - II - III) segue un profilo di estrema contrazione del tempo. Tale precipitazione conduce, per contrasto estremo, all’improvvisa dilatazione del fugato, che rappresenta la variazione di maggior respiro e durata. Essa da sola dura più dell’insieme delle tre variazioni che la precedono. Il convulso succedersi di scenari texturali differenti, sempre più concisi, ha una funzione anacrusica e preparatoria: esso crea quel risucchio instabile e vertiginoso che esalta il carattere tetico e assertivo del fugato e ne dilata virtualmente le proporzioni. È in questa chiave che si spiega anche la «sostituzione», alla var. VIII, della texture B con una texture «mista» e instabile. Tale configurazione in ragione del proprio «carattere» (la più statica, continua e costante dell’intera composizione) sarebbe stata inadeguata a concorrere allo «slancio» verso il fugato. A ciò si aggiunga che a ciascuna apparizione, il pannello B si presenta con durate complessive pressoché identiche, a conferma del fatto che Stravinsky intendeva «congelarne» quasi completamente la natura, senza sottoporla a mutazioni, incluse quelle temporali. In effetti, la fissità del piano dinamico assestato su un lontano pp, il tenue pullulare contrappuntistico, la lenta trascolorazione timbrica e la quasi identica ricorsività dell’intervallo temporale che ne delimita la durata, fanno di questa texture quasi un orizzonte distante di riflessione e «risonanza» dell’intera composizione, fornendo all’organismo sonoro una sua profondità prospettica.

3) Un ulteriore fattore di accentuazione del processo di «precipitazione» temporale verso il fugato è determinato, come si può scorgere all’osservazione della tav. 1, dalla parallela contrazione dell’unità minima di scansione. Ferma restando l’isocronia del tactus sul valore di 80 pulsazioni al minuto, l’unità di scansione più piccola e di maggiore frequenza si dimezza ripetutamente, riproducendo sul campo del «tempo primo» il fenomeno di contrazione degli intervalli temporali.

Bisogna infine notare, confrontando le tavv. 2 e 3 come la simmetria fra la terna iniziale delle variazioni e quella conclusiva sia di tipo speculare per quanto concerne la tipologia texturale (A B C - C B A) e di tipo diretto per quanto concerne la grandezza della durata di ciascuna variazione entro le rispettive terne (A B C - A B C). Ciò si giustifica sul piano formale con l’intento di non lasciar spegnere la carica propulsiva del climax in fugato, snaturandone la posizione gerarchica. La massima differenziazione timbrica raggiunta della texture B (var. X) ne dinamizza la valenza di scia sonora iridescente, distante e tenue, quasi pulviscolare, rispetto alla spigolosa e timbrata sagomatura del fugato, caratterizzantesi anche per le dinamiche, fra f e ff. La minore durata della var. XI rispetto alla prima - di cui è «specchio» - ne conferma il ruolo di sintesi ricapitolativa: dopo un accordo con l’unica dissoluzione orchestrale in diminuendo dell’intero pezzo, dopo alcune figurazioni cadenzali e gli accordi degli ottoni affini a quelli dell’inizio (batt. 2 - 4), la traiettoria formale si ripiega circolarmente su se stessa e il suono riconverge laddove era scaturito.

A conclusione di queste osservazioni sulla partitura aggiungiamo che con l’eccezione significativa segnalata poco sopra, nel pezzo sono quasi totalmente assenti figure in crescendo o diminuendo. Le individualità sonore si presentano sempre su livelli definiti inequivocabilmente e polarizzati sul ff o sul pp, coerentemente con quell’ottica di profondità virtuale e dislocazione prospettica dei moduli sonori.

Alcune osservazioni conclusive
(e qualche riflessione a margine)

Qualora si voglia compiere uno studio delle strutture formali e dei principi di organica coesione che agiscono all’interno delle composizioni stravinskiane (ma a ben vedere non solo in esse) non è possibile, in linea di principio, dissociare sistematicamente e permanentemente lo studio delle strutture temporali da quello delle tipologie texturali, con le rispettive ricorrenze interne alla forma. La disamina delle strutture texturali comporta poi una serie di valutazioni ad ampissimo raggio sui fattori costruttivi della trama sonora complessiva nei suoi molteplici e sinergici aspetti.

Per quanto concerne poi i fattori di unificazione e coesione, bisogna forse rammentare che nelle pagine della sua Poetica della Musica, Stravinsky afferma di ritenere la tonalità un fenomeno specifico entro cui si estrinseca un assai più ampio e comprensivo principio di polarità. Come abbiamo più volte osservato, Stravinsky, a partire da una prassi che esalta l’oggetto sonoro, tende a stabilire forme di polarizzazione entro tutte le dimensioni sonore (quasi ancor prima che musicali), primariamente sul versante intervallare e delle altezze [10] , ma anche su quello temporale dell’isocronia e delle durate, sul piano timbrico, su quello dinamico-articolativo e dell’abbinamento delle famiglie strumentali. Queste polarizzazioni, spesso elementari, sono l’autentica «materia prima» della costruzione.

Un raffronto con molta della musica dell’avanguardia di quegli anni non può non evidenziare la straordinaria vitalità e inventiva musicale del Compositore ottuagenario. Laddove gran parte dei compositori mostrava di procedere per dissociazione dei parametri, per un loro agire attraverso vettori individuali, vorrei dire l’un l’altro sordi, secondo un criterio permutativo troppo astratto per essere attingibile percettivamente, Stravinsky continuava, fedele alla propria indole poetica, a porsi in relazione fattiva e concreta rispetto al materiale, facendo comunque scaturire da esso, a partire dal riconoscimento di una alterità fenomenica, le modalità organizzative. Questo assunto quanto mai attuale, che nega ogni tentazione demiurgica e ogni velleità fittizia di unificazione del materiale, non rappresenta affatto un momento di alienazione, conflitto o contrapposizione bruta, ma un’istanza di verifica. Ipoteticamente ammesso e nient’affatto concesso il presunto e tanto biasimato «oggettivismo» stravinskiano, una chiave di lettura di esso potrebbe sperimentalmente rivelarsi riconoscendo nell’obiectum, in ciò ci si pone dinanzi - o che il compositore sceglie di porsi di fronte - un’alterità viva, un’opportunità per ricomporre, non senza un faticoso e serrato confronto, la continuità fra istanze interne (e interiori) e il mondo delle forme esperite, un’occasione per innescare feconde spirali immaginative e sfuggire alla palude autistica del procedimento feticizzato, maschera ipocrita, frastuono di istanze comunicabili solo attraverso i programmi di sala (quando non si ammanti il vuoto con ieratici silenzi). Con ciò non si vuole affatto contrapporre frontalmente la musica dell’ultimo Stravinsky all’intera esperienza musicale del secondo dopoguerra, contrapposizione che lo stesso Stravinsky avrebbe nettamente rifiutato, quanto piuttosto far valere alcune riflessioni critiche esemplari e ancor oggi assai attuali nella misura in cui, mutatis mutandis, un certo approccio segnato da una forte preminenza del «procedimento compositivo» rispetto al dato percettivo, mostra non solo di sopravvivere, ma di essere ancora largamente condiviso, perpetuando quello iato fra suono, segno e progetto che, al di là del suggestivo grafismo di molte partiture, continua troppo spesso a sussistere quale eredità ideologica negativa. La questione si pone pertanto sul terreno di una valutazione dell’attuale incidenza di tale eredità metodologica e di pensiero, e non certo sul piano di una polemica inattuale e sterile nei confronti, ad esempio, del serialismo integrale. [11]

L’interesse ancora attuale delle Variations si evidenzia inoltre in almeno altri due aspetti. Il primo è direttamente connesso alle ultime considerazioni proposte sopra. Ogni oggetto artistico, - e la musica non fa eccezione - propone se stesso unitamente a (ed entro) una prospettiva «preferenziale» di fruizione che rappresenta la controparte percettiva e immaginifica di un pensiero, di una progettualità ben definita. In molta musica del Novecento, l’accento sull’elemento «architettonico» del macro-processo fa sì che la configurazione locale divenga sovente un dato quasi residuale, quando non meramente statistico, rispetto all’insieme. Questo potrebbe istintivamente essere in gran parte attribuito al venire meno dei riferimenti tonali. Tuttavia è difficile pensare che siano primariamente le trasformazioni del linguaggio a determinare profondi mutamenti nella concezione poetico-estetica e non viceversa, almeno in sostanziale prevalenza. In realtà dunque anche il venire meno del riferimento tonale non può non essere considerato come estrinsecazione parziale di un più globale processo di spostamento del punto focale. In Stravinsky il «prezzo» di questa trasformazione non viene pagato così pesantemente sul piano delle configurazioni locali. Ferma restando l’importanza del progetto dall’ ampio respiro - e se ne è data prova inoppugnabile - la definizione del dettaglio sonoro non depaupera l’ascolto dell’attenzione, tutta empirica, rivolta al dato immediato. Ciò spezza quell’ascesi intellettualistica [12] che avrebbe voluto, a tutti i costi, far consumare all’ascoltatore il divorzio definitivo fra pensiero e dato contingente a esclusivo vantaggio del primo.

Il secondo punto di interesse attuale riguarda invece la durata complessiva delle Variations: cinque minuti.

La lunghezza (durata) è inseparabile dalla profondità e/o altezza (contenuto). Ma quantunque piene, parzialmente piene o vuote, le espressioni musicali sono concise - o almeno così preferisco ritenere - piuttosto che brevi. Qualsiasi cosa se ne pensi, esse sono in radicale contrasto con la prolissità della musica che rappresenta l’alimento della nostra vita concertistica; e qui risiede una difficoltà, mia nei vostri confronti non meno che vostra nei miei. [13]

La concisione, in questo caso, non ha nulla a che vedere con un’estetica dell’aforisma. La complessità strutturale e la densità di eventi fanno delle Variations una composizione la cui grandiosa proiezione formale determina un’impressione di imponenza architettonica, a dispetto della contenuta durata cronometrica. Il fatto interessante consiste proprio in questa sensazione di imponenza collegata a una durata complessiva tanto breve. Questa concisione caratterizza tutti gli ultimi lavori di Stravinsky, e sono incline a vedere in essa non tanto una mera modalità attuativa quanto una componente essenziale della stessa sostanza poetica dell’ultimo Stravinsky. Tale dato, in controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza delle composizioni novecentesche e dello stesso Stravinsky, rivela un’acutissima sensibilità rispetto ai dinamismi temporali, sensibilità che eccede i confini del musicale, ed è tanto pronunciata da consentire al Compositore di avvertire il profilarsi, oggi più che mai palese, di una mutazione culturale, concettuale - qualcuno direbbe antropologica - del dimensionamento temporale della comunicazione in tutte le sue modalità.

Adorno, nel suo saggio su Mahler sentenziava che chi non aveva tempo per le durate immense dell’opus Mahleriano aveva in realtà smarrito ogni tempo, ogni durata. Se tale modo di confrontarsi col problema della temporalità e del «presente» fosse stato generalizzato e accolto fino in fondo, fino al consueto e logoro richiamo alle «estreme conseguenze», l’alternativa si sarebbe delineata - e per molti, in buona sostanza, fu proprio così - piuttosto chiaramente e tutto sommato semplicisticamente: si trattava di optare per un atteggiamento di consapevolezza critica, seppure dolorosa, il cui unico esito non poteva che essere il silenzio, in contrapposizione a un’opportunistica opzione di pavida e alienata acquiescenza.

Tuttavia il limite palese di tale posizione consiste nel confondere la fine di un mondo con l’estinguersi di qualsiasi orizzonte possibile. Una metafisica della storia fondata antinomicamente sull’assolutizzazione ipostatica di una sola fase della stessa storia, umana e artistica, è insanabilmente condannata a porsi in contrasto con se stessa. Né può valere un inconseguente richiamo a istanze fenomenologiche (ma una buona volta, di quale fenomenologia si tratta?) a salvarla, a celarne la natura contraddittoriamente astratta, per legittimare infine un’operazione di sostanziale riduzione dell’esperienza musicale a epifenomeno sintomatico. E non avrebbe potuto essere altrimenti, nel momento in cui il dato musicale effettivo fu falsificato e degradato a fattore residuale, persino trascurabile rispetto all’infaticabile esercizio esegetico volto alle imperscrutabili epifanie dello «Spirito del Mondo».

D’altro canto, oggi, volendosi emancipare da contrapposizioni in larga parte inutili e inattuali, si deve tuttavia, con pari lucidità, diffidare delle amnesie di comodo che obnubilano tanto il ricco e problematico percorso segnato dalla traiettoria stravinskiana, quanto il lucido e sconvolgente confronto con la modernità. Attraverso una stucchevole agiografia, tutta all’insegna del disincanto, si rischierebbe di fare del Compositore russo un alibi facilmente spendibile sul mercato della «globalizzazione» dei contenuti, nel nome del peggiore sincretismo linguistico e di motivazioni non più discernibili, per non dire inconfessabili. Anche per questa ragione, l’ultima produzione di Stravinsky si propone quale feconda e ancor scarsamente valorizzata fonte di riflessioni, quanto mai attuali e urgenti.

Andrea Melis
melisand@tiscalinet.it

 

 

 


* Le fotografie di Strawinsky presenti in questo saggio sono state tratte dall'archivio immagini della Bibliothèque Nationale de France


Note

[1] Sull’argomento, oltre ai testi ed ai saggi citati alla nota 7, ved. anche il saggio di Milton Babbitt, «Stravinsky’s verticals and Schoenberg’s diagonals: a twist of fate», in «Stravinsky Retrospectives», edited by Ethan Haimo and Paul Johnson, Univ. of Nebraska Press, Lincoln and London 1987, pagg. 15-35. Per alcune interessanti riflessioni sulle «radici russe» della prassi seriale nell’ultimo Stravinsky, ved. la monumentale opera di Richard Taruskin, «Stravinsky and the Russian Traditions», Oxford Univ. Press, 1996, vol. II, pag. 1649 e sgg.

[2] Il termine inglese texture, potrebbe essere tradotto in italiano - seppure con più debole pregnanza - con «trama sonora». La texture è una struttura complessa e multidimensionale la cui identità è costituita da molteplici fattori sia d’ordine quantitativo - numero delle parti reali, densità temporale, ampiezza dell’ambito, densità verticale ecc. - sia di natura qualitativa - direzionalità delle parti (omo- etero- e contro-direzionalità), grado di sincronizzazione e interdipendenza ritmica delle parti, rapporto fra densità totale (numero delle componenti) e numero delle parti reali, intervallarità, timbratura, intensità, registro, compressione/dissonanza ecc. Sebbene le variabili siano molte e i fattori rappresentino delle entità non necessariamente statiche, è tuttavia possibile individuare alcune tipologie principali di texture. Sull’argomento ved. soprattutto l’ottima disamina di Wallace Berry, «Structural functions in music», Dover Pub. New York 1987 (repr.).

[3] Spesso l’aggettivo «statico», riferito alle trame sonore delle composizioni Stravinskiane, è adoperato con singolare disinvoltura. Questo abuso disattento rivela in realtà i residui di una concezione che non ha cessato di porre al centro della propria attenzione il succedersi delle trasformazioni armoniche. Personalmente giudico inappropriato e addirittura bizzarro riferirsi, ad esempio, a progressioni ritmiche serrate o persino travolgenti in termini esclusivi di staticità, quand’anche occorressero cristallizzazioni melodiche e armoniche. La stasi inerisce senz’altro molti aspetti della musica di Stravinsky, ma non in maniera così indifferenziatamente pervasiva.
Bisognerebbe più attentamente valutare il profilo di attività e stasi di ciascuna delle componenti strutturali di un brano o di una parte di esso. A questo scopo, sarebbe auspicabile un’indagine fenomenologica rivolta alla definizione di alcune tipologie texturali fondamentali. Tale ricerca dovrebbe configurarsi dapprima come individuazione preliminare delle componenti strutturali della texture che vada oltre la concezione, ormai inadeguata, dei parametri. In secondo luogo, per ciascuna singola dimensione strutturale, bisognerebbe identificare i fattori di dinamizzazione e cristallizzazione. In un’ulteriore fase si dovrebbe pervenire a una teoria duttile, non rigida, dei processi e delle dialettiche costruttive.
Una simile indagine muoverebbe senz’altro a partire da presupposti teoretici e pratici di ordine meta-storico, ovverosia dal riconoscimento della considerevole autonomia di principio, ovviamente non assoluta, della dimensione percettiva rispetto alle sedimentazioni linguistiche. Questa indagine tuttavia, senza proporsi in alternativa univoca rispetto a una lettura «storica» andrebbe ad affiancarsi ad essa rendendo più efficacemente conto - attraverso i riflessi nella prassi - dei mutamenti estetici e stilistici attraverso la storia ed i linguaggi.

[4] Citato in Edward T. Cone, «Stravinsky: the progress of a method», p. 164, in «Perspectives on Schoenberg an Stravinsky», a c. di B. Boretz e E.T. Cone, Norton, N.Y. 1972

[5] ved. soprattutto i contributi di Jonathan Kremer e in particolar modo «The time of music» Schirmer, N.Y. 1988.

[6] I. Stravinsky e R. Craft, «Colloqui con Stravinsky», Einaudi, Torino 1977, p. 85.

[7] Per un’accurata analisi delle strutture dodecafoniche soggiacenti alle Variations, ved. Paul Schuyler Phillips, «The enigma of the Variations: a study of Stravinsky’s final work for orchestra», Music Analysis 3/1, 1984, pp. 69 - 89.
Sullo stesso argomento ved. anche Claudio Spies, «Notes on Stravinsky’s Variations», in «Perspectives on Schoenberg an Stravinsky», op. cit. pp. 210 - 22; Jerome Kohl, «Exposition in Stravinsky’s orchestral Variations», P.N.M. vol. 18, 1979/80, pp. 391 - 405; Pietr C. van den Toorn, «The music of Igor Stravinsky» Yale Univ. Press, New Haven and London 1983. Per alcune informazioni più generali ved. Roman Vlad, «Stravinsky», Einaudi, Torino 1958 e 1973; Eric Walter White, «Stravinskij», Mondadori, Milano 1983.

[8] I. Stravinsky «Themes and Conclusions», Univ. Of California Press, Berkeley and Los Angeles, repr. 1982, p.62.

[9] Ibid. p. 62 (corsivo mio).

[10] È essenzialmente sul versante intervallare e delle altezze che Stravinsky fa valere la metafora della polarità. Tuttavia la medesima nozione mostra pari forza euristica ed esplicativa anche su altri piani costruttivi della musica di Stravinsky.

[11] Il rischio che il peso di tale deriva si riveli oggi in tutto il suo potenziale negativo può essere valutato appieno se si considera la non remota possibilità che il progredire e diffondersi della tecnologia informatica agisca da moltiplicatore del fattore-complessità e favorisca lo sclerotizzarsi di un approccio alla composizione meramente quantitativo, laddove invece il proliferare esponenziale delle potenzialità costruttive richiederebbe un vaglio vigile del «materiale» sonoro, inteso ora nel suo significato più vasto. Se la «lente» dell’informatica musicale può da un lato rappresentare un potente ausilio quale strumento di focalizzazione e potenziamento di molteplici virtualità espressive, essa rischia, per converso, di agire entropicamente soffocando ogni genuina spinta poetica nella cieca sovrabbondanza delle informazioni. Un segno tangibile di tale potenzialità negativa si manifesta nell’uso dell’informatica proposto in varie composizioni recenti. La «sintesi» e il trattamento del suono sono letteralmente «appiccicati» al corpus sonoro, restando estrinseci ad esso e rivelando inequivocabilmente un pensiero incapace di pervenire a una sintesi integrata dei mezzi a disposizione. L’impiego «indifferente» dell’informatica, superficialmente inteso a mo’ di lacca sonora, svilisce il mezzo fino a farlo scadere a mero viatico verso la «modernità», posticcia certificazione di «presenza» all’appello tecnologico.

[12] Durante gli anni cinquanta, ed anche oltre, si è volentieri adoperato il termine «ascesi» riferito tanto all’ascolto quanto all’atto compositivo. A prescindere dalla fondatezza di alcuni principi estetico-ideoogici che allora furono fatte valere, il termine non potrebbe essere impiegato più a sproposito giacché la parola ascesi (dal greco = esercizio, pratica) non indica uno stato di virginea e incontaminata virtù morale ma un uso puramente strumentale dell’esercizio e della disciplina in vista di uno scopo che le trascenda entrambe. L’autentico asceta è indifferente allo strumento dell’ascesi in quanto tale: se ne serve per altro scopo.
Tornando all’esperienza musicale, quando l’ascesi degenera in astratto - e cupamente moraleggiante - principio di sacrificio, sofferenza e rinuncia, sarebbe più opportuno parlare di «fachirismo» dell’ascolto, della composizione e di quant’altro.....

[13] I. Stravinsky «Themes and Conclusions», op. cit. pag. 63. Il riferimento è sempre alle Variations.
 

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