Cinema e musica “classica”: il caso di Bach nei film di Pasolini*

Dall’ascetismo di Accattone alla fisicità opulenta e decadente di Salò, il cinema di Pasolini sembra compiere un percorso inverso a quello che Vittore Branca individua nel Decameron, dove, nella distanza che va dalle gesta libertine di Ser Ciappelletto alla tragica santità di  Griselda, lo studioso riconosce, in controtendenza con parte della critica, una visione del mondo e una poetica di Boccaccio ancora in parte legate all’ascetismo medievale.

La prima fase del cinema pasoliniano (il ciclo “nazional-popolare”) si presenta come uno studio dell’èpos degli umili, degli emarginati, incentrandosi su una rappresentazione delle borgate sottoproletarie che Pasolini, con spirito agiografico laico e gramsciano, tende a “sacralizzare”, giovandosi anche dell’apporto della musica “sublime” di Bach. Questo periodo si apre con la “Passione” di Accattone e si chiude con quella del Vangelo secondo Matteo. Molti sono i temi e i motivi che legano le due opere e i loro protagonisti; isomorfismo reso ancora più evidente dal comune utilizzo di alcune pagine bachiane, e in particolar modo dal Coro finale della Matthäus Passion.

Nell’universo cinematografico (e poetico tout court) pasoliniano, la componente musicale è un dato tutt’altro che trascurabile. Pasolini dà grande importanza alla musica, come si può capire anche dalla lettura delle sue sceneggiature, che presentano diverse indicazioni “musicali” nelle didascalie: il film nasce, già in fase di scrittura, con un’idea musicale di fondo. Alla musica da film, inoltre, egli dedica un breve ma significativo scritto, una sorta di dichiarazione poetica, un piccolo vademecum della musica cinematografica. [1]

Ma è in primo luogo dalla visione dei suoi film che ci si rende conto della grande ricchezza di spunti musicali presenti, e dell’importanza che Pasolini attribuisce al commento musicale. Egli, utilizzando in gran parte musica preesistente, di repertorio, fa riferimento a tradizioni diverse e variegate, senza alcun tipo di pregiudizio estetico o culturale; si rivolge così ai repertori di musica popolare (anche extra-europea) come a quelli di musica colta, passando per la canzonetta e brevi incursioni  nell’universo popular. [2]

La presenza di brani del repertorio bachiano è, come accennavo in precedenza, uno degli elementi peculiari (oltre che di “rottura” linguistica) della prima fase del cinema pasoliniano.

Una tale scelta musicale risponde a un preciso gusto estetico dell’autore: quella di Bach è la musica prediletta da Pasolini, che aveva imparato a conoscerla e amarla dai tempi della sua formazione giovanile.

L’avvicinamento alla musica di Bach

Nel settembre del 1943 Pasolini, da poco chiamato alle armi, giunge a Casarsa della Delizia, in Friuli, il paese natio della madre, dove trova rifugio dopo essere riuscito a sfuggire alla cattura da parte dell’esercito tedesco; [3] da questo momento si stabilisce qui per diversi anni, che risulteranno decisivi per la sua formazione idelogico-culturale e per la sua visione poetica del mondo.

Anche per quanto riguarda la musica, quelli friulani sono anni di straordinaria importanza, nei quali si va forgiando il grande interesse di Pasolini per le forme e i modi della cultura popolare, accanto alla scoperta di Bach, che, nel panorama della sua esperienza ricettivo-poetica, assume il carattere di una vera e propria “folgorazione”, e che, nel suo cinema “nazional-popolare”, costituirà una delle linee direttrici più dense di significato. Si può attribuire il merito di tale scoperta a Pina Kalc, violinista slovena, anch’essa rifugiata a Casarsa (e poi a Versuta, una frazione del centro frulano) in quei momenti tragici della guerra. Di lei Pasolini parla in diversi passi degli scritti risalenti a quegli anni:

P. [Pina] con la sorella, il cognato e un nipotino, Gianni, era sfollata anch’essa a V. [Versuta]; sembrava una coincidenza cercata da ambedue e dalle nostre famiglie. […] Era P. soprattutto che mi offriva l’occasione di riscattarmi dalla mia < > o, per dirlo in termini più chiari, dalla mia bassezza: P. e il suo violino. […] Ma che Domeniche dolcissime passammo quell’inverno e quella primavera in grazia della poesia friulana e della musica di P.!

Io e mio cugino N. [Nico] le ricordiamo come le più belle che abbiamo mai trascorso. [4]

Fra la Kalc e Pier Paolo si crea subito un rapporto particolare, di grande affetto ed empatia. Egli descrive con enfasi poetica la viscerale attrazione che su di lui esercita il violino dell’amica, e i loro incontri gli diventano indispensabili. La spasmodica attrazione verso la musica assume nei suoi confronti una veste ancillare, agendo su di lui a livello istintivo e sensuale. In un altro passo dei Quaderni Rossi, Pasolini presenta in questi termini Pina e la sua musica:

Aveva trent’anni ma pareva una giovinetta. […]. La conobbi nel febbraio del ’43. subito dopo mi divenne necessaria per il suo violino; mi suonò dapprima il moto perpetuo di Novacek [Janacek] che divenne quasi un motivo del nostro incontro, e si ripeté in molte occasioni. La ricordo perfettamente nell’atto di suonarlo, con la gonna blu e la camicetta chiara. Ma presto cominciò a farmi udire Bach: erano le sei sonate per violino solo, su cui emergevano, ad altezze disperate, la Ciaccona e il Preludio della III; il Siciliano della I. [5]

Si tratta, con esattezza, della serie delle Tre Sonate e Tre Partite per violino solo (BWV 1001-1006), che il musicista tedesco compose negli anni in cui fu Kappelmaister a Köthen. Pasolini si riferisce, con qualche imprecisione, alla Siciliana della I Sonata BWV 1001, alla Ciaccona della II Partita BWV 1005 e al Preludio della III Partita BWV 1006. Queste opere per violino non accompagnato sono fra le pagine più belle e giustamente note di Bach; non stupisce dunque il fatto che Pasolini ne rimanga fortemente colpito, esprimendo in modo assai chiaro e affascinante gli effetti di tale folgorazione:

Bach rappresentò per me in quei mesi la più forte e completa distrazione: rivedo la stanzetta dei Cicuto, il leggio aperto alla luce della finestra, P[ina] che dà la pece all’arco, e lo spartito delle “sei sonate”…rivedo ogni rigo, ogni nota di quella musica; risento la leggera emicrania che mi prendeva subito dopo le prime note, per lo sforzo che mi costava quell’ostinata attenzione del cuore e della mente. La piccola stanza spariva, sommersa dall’argento freddissimo e ardentissimo del Siciliano: io lo ascoltavo e lo svisceravo, particolare per particolare; avevo scritto degli “studi” […]. Era soprattutto il Siciliano che mi interessava, perché gli avevo dato un contenuto, e ogni volta che lo riudivo mi metteva, con la sua tenerezza e il suo strazio, davanti a quel contenuto: una lotta, cantata infinitamente, tra la Carne e il Cielo, tra alcune note basse, velate, calde e alcune note stridule, terse, astratte… come parteggiavo per la Carne! Come mi sentivo rubare il cuore da quelle sei note, che, per un’ingenua sovrapposizione di immagini, immaginavo cantate da un giovanetto. E come, invece, sentivo di rifiutarmi alle note celesti! È evidente che soffrivo, anche lì, d’amore; ma il mio amore trasportato in quell’ordine intellettuale, e camuffato da Amore sacro, non era meno crudele. [6]

Manoscritto autografo di Bach della “Siciliana” dalla Sonata per violino solo n. 1 in sol minore BWV 1001

  J.S. Bach, “Siciliana”, dalla Sonata per violino solo n. 1 in sol minore BWV 1001


Ci si trova qui di fronte a una pagina pasoliniana dove la musica occupa una posizione di primo piano; essa viene, innanzitutto, elevata a oggetto di osservazioni formali (anche se a uno stato ancora embrionale). In un secondo momento, si traduce in elemento introspettivo. Salta agli occhi, infatti, la spiccata capacità pasoliniana di descrivere gli effetti di senso musicale, e ancor più affascina il modo pieno di grazia con il quale egli si “immedesima” nel testo musicale, attribuendo a esso dei contenuti che sembrano ritagliati a arte sopra il proprio vissuto, ma che nel contempo risultano estremamente convincenti per chi ascolta il brano in questione, questa splendida, straziante Siciliana dalla I Sonata BWV 1001. La disperata lotta fra “Carne” e “Cielo”, il sofferto amore di cui parla in queste pagine, trovano riscontro negli avvenimenti biografici di quel periodo. Pasolini vive la propria sessualità in modo sofferto, risente di forti sensi di colpa. Nel periodo in cui il rapporto con Pina è più stretto, e maggiore è la familiarità e la frequentazione con la musica bachiana, egli è innamorato di un giovinetto, suo allievo nella povera scuola allestita nella casa di Versuta. [7] Ma è un amore che non gli dà pace, è un amore sofferto e combattuto, nel quale, accanto alla costante e sensuale attrazione fisica, convive un violento senso di colpa nei confronti del giovane compagno. Assillante è il terrore di averlo “traviato” ormai irrimediabilmente, ineffabile è lo sgomento di fronte a un possibile giudizio divino che in modo contraddittorio si fa largo nei pensieri del poeta, che procede nel delineare quel sentimento del Sacro che, indissolubilmente unito alla sensualità che possiede il corpo, costituisce uno dei tratti più interessanti della sua visione del mondo. [8] La contraddittorietà dei suoi pensieri si traduce dunque nelle immagini di Carne e Cielo, con una bella traslazione figurativa: il doppio registro del violino, che nelle note gravi incarna il corpo, illustra la Carne, in quelle disperatamente alte tende invece al Cielo, [9] per poi incontrarsi negli intervalli patetici di sesta, e continuare ancora questo straziante, irrisolvibile dialogo-scontro.

Nelle pagine finora riportate si trovano diverse considerazioni sui moduli della musica di Bach, che, malgrado il carattere lapidario e stringato, offrono numerosi spunti di analisi. Ma per capire quanto effettivamente il poeta di Casarsa amasse “Il Siciliano”, che la Kalc non esita a scegliere come “colonna sonora” di quel periodo, [10] insieme agli altri brani delle “sei sonate”, è necessario arrivare a quegli Studi sullo stile di Bach che egli compose proprio in quegli anni. [11] Si è già accennato ai quotidiani incontri fra Pier Paolo e Pina; nelle ore passate insieme egli parlava a lungo di stile e di arte poetica, di Leopardi e di Pascoli; si discorreva di Freud e dei suoi Tre saggi sulla sessualità, che Pina “leggeva in tedesco e Pier Paolo, in stralci, su dispense universitarie”; [12] ma soprattutto, il maggiore centro di attenzione di quegli incontri era il violino, quello stesso strumento al quale Pasolini si era avvicinato negli anni dell’adolescenza, ma che aveva appreso a suonare in modo piuttosto superficiale. È assai probabile che l’effetto sortito su di lui dalla musica di Pina lo avesse portato a riprendere in mano lo strumento con la volontà di migliorare le proprie capacità tecniche. Pertanto Pina gli impartiva lezioni, e insieme eseguivano esercizi e “qualche duetto, portato a termine con visibile emozione”. [13] Tuttavia, come ricorda la stessa violinista, egli si stancava piuttosto in fretta degli esercizi, dello studio normativo, e insisteva affinché Pina suonasse da sola, [14] smaniava per ascoltare e riascoltare le note bachiane. Assuefatto dalla bellezza di questa musica, concentrandosi su di essa con tutto lo sforzo della mente, egli seguiva le note sulla partitura, e con tutta probabilità cominciava a buttare giù gli appunti e a elaborare le idee che sarebbero state alla base del suo saggio. [15] Ecco, in breve, come nasce questo breve trattato, e le considerazione in esso espresse.           
All’inizio del 1945 si costituisce a Versuta l’ Academiuta di lenga furlana, una sorta di circolo culturale il cui scopo era la valorizzazione della lingua e della cultura friulana. Di essa facevano parte, oltre a Pasolini, il pittore Rico di Rocco, il cugino Nico Naldini, Cesare Bortotto, Renato Castellani, la Kalc stessa, e un nutrito gruppo di ragazzi, uditori delle lezioni che Pasolini teneva nella scuola improvvisata fra le mura domestiche. [16] Essi si riunivano nella stanza di una casa, la domenica pomeriggio; i membri dell’Academiuta leggevano i propri scritti, e – come ricorda Nico Naldini –, durante una di tali riunioni, Pasolini lesse uno studio sulle “sei sonate” per violino di J.S.Bach, pezzi che spesso Pina eseguiva nel corso di quelle “domeniche dolcissime”. [17] Con certezza Naldini fa riferimento al saggio in questione.

Pasolini non era particolarmente esperto di teoria musicale. Inutile aspettarsi dal suo scritto un’analisi approfondita in questo senso. Inoltre, a tratti, carica la musica e la figura di Bach di tinte romantiche (così come fortemente romantica appare in questo frangente la sua prosa) che, come afferma Roberto Calabretto, “fanno sorridere la nostra sensibilità ormai abituata a un rigore filologico ed interpretativo che evita questo modo di avvicinarsi alla musica di Bach”. [18] Ma questa mancanza di attenzione filologica, questa “destorificazione” che in pratica il poeta di Casarsa compie nei confronti della musica bachiana, non gli impediscono di avvicinarsi ad essa con grazia e sensibilità inimitabili, integrando con pensieri e idee più compiute e risolte le considerazioni che su di essa aveva già espresso, e rendendo più poetico e immaginifico il suo approccio alla musica. [19] La Kalc stessa si rende perfettamente conto di ciò, e di quanto profonda fosse l’immagine che scaturiva dalle parole espresse dalla penna di Pier Paolo. [20] Pasolini stesso, comunque, esordisce denunciando i propri limiti in campo musicologico, sgravandosi così da ogni obbligo di oggettivazione:

confesso senz’altro che non solo conosco rozzamente la biografia di Bach, ma ben poco il suo tempo, cioè i rapporti con la storia. E questo sarebbe ancora nulla in confronto alla mia quasi assoluta ignoranza di tutta la sua opera musicale, eccettuate le sei sonate per violino solo, che io conosco limitatamente alle mie capacità di conoscere musica, cioè alle mie capacità di esprimere criticamente quel poco che capisco. [21]

Procede dunque nella sua analisi nel ricercare degli equivalenti fra musica e poesia, spostando leggermente il discorso su un terreno a lui più congeniale. Qui egli dimostra come il punto in comune fra i due linguaggi artistici consista nei rapporti fra ritmo e sintassi, e nel modo – peraltro comune ad ogni forma artistica – di entrare immediatamente nel cuore del discorso:

Prima il silenzio, poi il suono, o la parola. Ma un suono e una parola che siano gli unici, che ci portino subito nel cuore del discorso. Discorso, dico. Se c’è un rapporto tra musica e poesia questo è nell’analogia, del resto umana, di tramutare il silenzio in discorso. [22]

Dopo tale preambolo Pasolini entra nel vivo del proprio lavoro, che incentra essenzialmente sulla contrapposizione fra il Siciliano (dalla I Sonata) e il Preludio (dalla III Partita). Egli considera il Preludio come un’opera perfettamente risolta, classica per antonomasia nella sua misura e compostezza. Di contro, nel Siciliano egli vede un sintomo di “crisi” in Bach; in questo movimento esprime un “contrasto, cioè dramma”, esemplificato dalle due voci, una grave, umana, carnale, “calda”, l’altra acuta, celeste, eterea, “fredda”.

Continuando a leggere ci si rende conto che il discorso di Pasolini insiste su motivi simili. L’interesse di Pasolini si concentra sugli effetti di senso che la musica ha sull’ascoltatore, pertanto, malgrado alcune imprecisioni nella terminologia, la qualità delle considerazioni che egli esprime rendono il suo lavoro molto interessante almeno dal punto di vista semiologico-musicale, se non proprio da quello musicologico: un esempio per tutti è l’acume con il quale egli individua gli effetti sinestetici che coinvolgono gli altri sensi, oltre all’udito, nella decifrazione del messaggio del testo musicale. Una frase musicale dai toni gravi, con andamento antitetico (v. batt. 1), [23] richiama elementi sensoriali visivi e tattili, simboleggia la “Carne”, dà l’idea del “caldo”. Un’altra, formata da note acute (batt. 2), dà l’idea del “Cielo”, del “freddo”: un suono, quanto più è acuto, tanto più perde la sensazione di fisicità che noi di esso percepiamo. [24]

Ma, al di la di tutto, questo testo vive una propria intensa e viva poeticità, un inno quasi alla capacità di evocare sensazioni e immagini partendo da un testo musicale; un tentativo di drammatizzazione di un testo musicale, basato sull’immaginazione (vista proprio come facoltà di creare immagini) scaturita da una sensibilità poetica. L’attività estetica dell’ascoltatore, filtrata da un punto di vista come quello pasoliniano, diviene attività poetica, atto di creazione tout court.

Matthäus Passion e altre reminiscenze bachiane nel cinema di Pasolini:
Accattone e
Il Vangelo secondo Matteo.

Tali presupposti di carattere estetico e biografico fanno dunque da preludio alla scelta di brani del repertorio bachiano adottata da Pasolini nei suoi film, da Accattone a Salò, primo e ultimo capitolo della sua produzione cinematografica. [25] Tale presenza, e in particolare l’utilizzo del corale finale della Matthäus Passion, si concentra però soprattutto in Accattone e nel Vangelo secondo Matteo.

Se nel Vangelo l’utilizzo della Matthäus Passion appare logico, e quasi scontato il richiamo ad un precedente basato sullo stesso soggetto, in Accattone assume invece le tinte di una contaminazione stilistica dall’impatto fortemente straniante. Ma è proprio la musica che innalza Accattone, povero Cristo, pappone di borgata, dalla miseria in cui lui e la sua gente si trovano confinati; è la musica che lo mostra al mondo, col suo coraggio e la sua viltà, innalzandolo al cielo in punto di morte, dalla polvere in cui ha sempre vissuto. I titoli di testa, in cui già troviamo il Coro finale della Matthäus Passion, vero e proprio Leit-Motiv del film, si chiudono con alcuni endecasillabi del Purgatorio dantesco:

l’angel di Dio mi prese e quel d’inferno

gridava: “O tu del Ciel, perché mi privi?

Tu te ne porti di costui l’eterno

per una lacrimetta che’l mi toglie

[Purg. V 104-107]

Buonconte da Montefeltro, pentitosi in fin di vita, viene salvato dalla dannazione eterna. È dunque lo stesso Pasolini ad anticipare, con questa citazione, la conclusione del film, fornendo una chiave di lettura dell’epilogo: una sorta di apoteosi del miserabile, realizzata anche con l’aiuto del Sublime bachiano. Come Buonconte, Accattone si salva, non già acquistando la salvezza eterna, ma piuttosto riacquistando una giusta, umana dignità che fino a quel momento la vita gli aveva negato. La musica sottolinea tutto ciò, dando spessore e colore alle immagini e alle emozioni.
Nella sequenza della lotta fra il protagonista e il cognato, una delle più celebri del film, la contaminazione degli stili di cui ho parlato poco prima assume i tratti più evidentemente ossimorici: una volgare zuffa nella polvere di uno “spiazzo miserabile”, commentata da una musica sublime, diventa una lotta epica, sacrale. [26] La musica si alterna così alla parlata popolare, alle urla iper-espressive dei personaggi, in un gusto per il pastiche che coinvolge anche il piano visivo, dove gli umili scenari, i miserabili protagonisti sono ripresi dalla macchina in pose frontali, ieratiche, composizioni pittoriche di impronta masaccesca. [27] Il film ne ricava una coerenza espressiva difficilmente immaginabile, una natura di estremo rigore stilistico e strutturale, malgrado le frequenti incursioni attraverso i vari registri linguistici e stilistici. La contaminazione degli stili è, come è noto, sintesi espressiva della poetica pasoliniana. Anche Il Vangelo secondo Matteo non sfugge a questa regola, benchè le strategie narrative siano decisamente differenti rispetto al primo film. Nel narrare la vita e la Passione di Cristo, materia sublime per essenza e definizione, Pasolini rinuncia a un facile e banale descrittivismo, [28] che già, implicitamente, aveva condannato ne La ricotta.
 Nel Vangelo, al Coro della Matthäus Passion, affianca, senza timori o pregiudizi, il “Gloria” dalla Missa Luba congolese, con la sua percussiva carnalità: alla manifestazione di una religiosità sublime, raccolta, colma di dolore, celeste, affianca quella di una religiosità tutta terrena, espansiva e coreutica, spiccatamente popolare. Allo stesso modo sfugge alla tentazione di rappresentare le scene della Passione con un gusto estetizzante da tableau vivant, e, rispetto al suo primo film, in cui dominava un senso visivo improntato alla fissità, alterna l’uso di grandangoli e zoom per lo stesso dettaglio, piani fissi e camera a mano. Tutto ciò prende forma nella variante marcatamente pasoliniana di mescolanza di stile sublimis e stile piscatorius, ripresa dagli studi di Erich Auerbach, che, nel suo saggio Mimesis, [29] riconosceva nella mescolanza stilistica uno dei principi della rappresentazione letteraria realistica.
Nonostante la sostanziali differenze stilistiche fra i due film, il commento musicale (e nella fattispecie l’utilizzo del corale bachiano) è certamente sotteso a una funzione non dissimile, traccia di un legame intertestuale che unisce le due opere. In Accattone esso compare fin dai titoli di testa e accompagna diverse sequenze, fino a quella finale, con la morte di Accattone; destino già scritto, tragedia che conclude il dramma. Ciascuna di queste sequenze rende in qualche modo l’idea dell’incedere di questo tragico destino, lascia un segno del suo passaggio. Il Coro è dunque un vero e proprio Leit-Motiv della morte, di un destino tragico già scritto. Con la stessa funzione ricorre più volte nel Vangelo, a segnare alcuni momenti drammatici nella vita di Cristo. Anche nel testo, e non solo nell’impianto musicale, il brano evidenzia una certa referenzialità. Wir setzen uns mit Tränen nieder; la musica, le parole ci portano alla fine della Passione di Cristo, al pianto corale, al lamento ai piedi della croce. Niente, dunque di più adatto per la premonizione della morte di Cristo. Ma elemento di ulteriore interesse è il valore che il brano assume in relazione al suo utilizzo in Accattone, in una prospettiva intertestuale e autoreferenziale. La musica che, ferale, annuncia il destino di Accattone è la stessa che conta le ore della vita del Cristo. Scrive Auerbach che Cristo “era un uomo [...] uscito dall’infimo gradino sociale”, che “si muoveva entro la vita ordinaria del popolino palestinese, parlava con pubblicani e con prostitute, con poveri, con ammalati, con fanciulli”. [30] Nessuna affermazione potrebbe adattarsi meglio al Cristo pasoliniano, visto in tutta la sua umanità, col carico forte della sua predicazione marcatamente sociale, e ora indirettamente, proprio attraverso la musica, accostato a un emarginato sottoproletario. Accattone si dimostra un film “agiografico” sui generis, spogliato da ogni facile retorica e ricoperto del velo sublime della grande tradizione musicale. Una simile contaminazione non è dunque solamente una scelta estetica, né tantomeno un vezzo intellettualistico. È anche un’operazione morale e politica, di riscatto sociale e umano. La musica sacra di Bach, tradizionalmente emblema di una classe colta borghese, applicata al mondo della borgata, crea un punto di rottura con la convenzionalità descrittiva imperante nel cinema, che prevedeva musiche popolari per commentare scene di gente comune, musiche di chiesa per scene “religiose” etc. Strategia “eversiva” che accredita Pasolini come uno dei principali artefici del rinnovamento linguistico e dell’abbattimento dei cliché che investe il cinema d’autore negli anni Sessanta.
Se la Passione secondo San Matteo costituisce senza dubbio l’elemento musicale di maggiore interesse nei due film, la presenza di altri brani bachiani offre comunque molti spunti di analisi. In Accattone i movimenti lenti dei primi due Brandeburghesi contrappuntano il rapporto del protagonista con i personaggi femminili del film; i due brani commentano, infatti, tutte le scene in cui Accattone si trova in compagnia di Maddalena o di Stella: la musica, placida ma carica di pathos, dolore e colore, con gli strumenti solisti (flauto, violino, oboe) che dialogano amabilmente, diviene proiezione sonora dei sentimenti dei protagonisti, sostenendo alla perfezione il ritmo delle immaguni. Ne è esempio la sequenza del primo incontro con Stella, nello spiazzo delle bottiglie: l’“Andante” dal Secondo Brandeburghese, con il suo carattere mesto, estremamente meditativo, rappresenta l’amore di Accattone per Stella, ma proietta nello stesso tempo un’ombra tragica su questo rapporto.

Nel Vangelo la musica di Bach non è una costante quasi esclusiva come in Accattone, ma scorre accanto ad altre musiche di grande importanza tematica, con le quali convive in perfetta armonia. L’importanza delle sue musiche sta anche nell’alternarsi alle altre presenti nella colonna sonora, negli interventi ravvicinati del Coro della Matthäus Passion e del Gloria africano, o del Dona nobis pacem che segue immediatamente il blues distorto di Blind Willie Johnson. Splendida è, ad esempio, la sequenza delle tentazioni nel deserto, e raffinato è il modo in cui Pasolini utilizza il “Ricercare a sei” dall’Offerta Musicale, nella trascrizione per orchestra di Webern. Il puntillismo che sta alla base della ricerca timbrico-melodica di Webern risponde a un criterio di scomposizione, di disgregamento del suono, che stabilisce un collegamento simbolico con il paesaggio vulcanico, lunare in cui Pasolini identifica il deserto evangelico, che la macchina da presa inquadra in campi lunghi e lunghissimi. La forma stessa del brano, quella della fuga, dove i nuclei tematici si rincorrono senza mai incontrarsi, ricalca inoltre il dialogo-scontro fra Cristo e il Diavolo. [31]
Ancora più interessante è l’utilizzo del “Dona nobis pacem” dalla Messa in si minore bachiana. La sequenza è quella della guarigione dello storpio, e il commento musicale è inizialmente affidato al blues dal significativo titolo Dark Was the Night di Blind Willie Johnson. Nel momento in cui l’uomo, inquadrato di spalle, getta le stampelle, solenne entra la musica di Bach, a dare notizia del miracolo. A uno stile visivo minimale, costruito per sottrazione, fa da contrappunto una musica che racconta di più, che diffonde il messaggio, che produce uno “sfondamento” nelle immagini (per usare un termine caro a Pasolini), costruendo un nesso emotivo e narrativo.

Nel cinema pasoliniano, in alcuni casi (come nella sequenza appena descritta), la musica (e quella di Bach in particolare) è, a mio avviso, una delle tracce per l’individuazione di uno stile trascendentale, così come è stato teorizzato da Paul Schrader nel suo saggio sullo stile trascendentale nel cinema. [32] Per tentare di rappresentare il Trascendente, e le sue manifestazioni, il cinema classico (soprattutto quello holliwoodiano) si è sempre servito di strategie immanenti, effetti speciali e spettacolari. Schrader, invece, dimostra che autori come Bresson o Ozu, mettendo in atto una sorta di de-spettacolarizzazione, portino avanti una strategia di rappresentazione per sottrazione, convinti che il non dire e  il non mostrare siano più validi. Per Pasolini, sempre in un’ottica di contaminazione degli stili, la vita quotidiana, bassa e miserabile, è costellata di piccoli eventi a loro modo sacri, di “ierofanie”, per dirla con Mircea Eliade. Ecco che la Matthäus Passion in Accattone assume anche questo significato: il Sacro e sublime entra in diretto contatto con l’umile, profano e volgare. Il Coro è appunto una “ierofania”, una manifestazione del destino ferale di Accattone, ma anche il preludio del suo riscatto, e interviene a commentare sequenze che assumono così un significato diverso, se vogliamo in un ottica “finalistica”. La musica anticipa, dunque, ciò che ancora non viene mostrato o detto dalle immagini.

Pasolini concepisce il film come uno spettacolo “multimediale” completo, che rappresenta la realtà attraverso una sintesi di mezzi e forme espressive mutuate dalle altre arti. Come è stato scritto, egli è “uno straordinario uomo orchestra, un re Mida che dominava i materiali espressivi più eterogenei, trasformandoli al minimo contatto” [Brunetta 1998: 217]. Il confronto con la più alta tradizione, l’utilizzo della musica di Bach nel nostro caso, assume perciò un significato molto particolare. Entra infatti in gioco la questione dell’utilizzo di materiale musicale preesistente. Il classico e inossidabile Bach entra in contatto col contemporaneo, in un meccanismo di scambio reciproco, di osmosi. La sua musica, da un lato, dà rilievo al film, lo rende sicuramente più interessante, ricco di significato,  più bello. Ma dall’altro, adattata a una situazione diversa dai contesti tradizionali, trae nuova linfa vitale, dimostrandosi perfetta anche in ambiti difficilmente immaginabili.

Scriveva così Filippo Sacchi, recensore del film, che nel 1961 fu uno dei pochi a non storcere il naso per l’ardito accostamento del Kantor al mondo sottoproletario:

Curiosamente, Accattone è stato sonorizzato con musiche di Bach. L’andante in re minore del II Concerto Brandeburghese, messo a fare da sfondo ai colloqui fra Stella e Vitto’, tra un’inquadratura dei magnaccia al baretto e un campo lungo delle passeggiatrici in attesa, ha l’aria di un ticchio da discomani snob, e invece, pare impossibile, è perfetto. Perché Bach è eterno, come il sole, la luna, il mare, il vento. Va bene con tutto. [33]

Da un presupposto simile, con una più profonda lucidità d’analisi, parte Hans Werner Henze, che scrive:

Questa musica perdona noi poveri diavoli e ci promette una nuova felicità, piange per noi con tutta l’anima. Wir setzen uns mit Tränen nieder, con essa, per essa. Colui che comprese benissimo questo nesso fu Pier Paolo Pasolini, che attorno al 1960 nel suo film Accattone – che trattava della vita e della sofferenza del sottoproletariato romano, disoccupato e criminalizzato – ricorse all’aiuto di musiche dalle Passioni bachiane. Muovendo dal suo punto di vista estetico e politico, aveva lo scopo di promuovere ancora una volta il messaggio protocristiano comunista dell’amore per il prossimo e della solidarietà, di dimostrare quanto la musica di Johann Sebastian Bach fosse adatta a prendere la parola in un contesto reale del gemere, e quanto irrilevante il pericolo di equivoci su questa musica o di un suo cattivo uso. Questa musica sta, come il suo autore, dalla parte del popolo, degli umiliati e degli offesi, e parla la loro lingua. Tutti i martiri del mondo si possono riconoscere e ritrovare in queste richieste di soccorso e lamentazioni. [34]


Analisi degli interventi del coro della Matthäus Passion in Accattone e nel Vangelo secondo Matteo.

I brani di Bach che intervengono a commento delle immagini di Accattone sono, come si è detto, quattro. È Pasolini stesso, come sovente accade, a spiegare in prima persona alcune scelte espressive adottate nei suoi film, sollecitato dalle domande degli intervistatori o dalle critiche e dalle problematiche sollevate durante dibattiti e conferenze. Nell’analisi della componente musicale di Accattone, si può partire dalle funzioni che l’autore assegna a ogni brano, nel corso di un’intervista il cui testo è apparso sulle pagine di Filmcritica immediatamente dopo l’uscita di Mamma Roma: [35]

Lì [in Accattone] avevo scelto due o tre motivi da Bach: uno era il “motivo d’amore” che appariva sempre nei rapporti fra Accattone e Stella; un altro, che era La Passione secondo S. Matteo, rappresentava il motivo della morte ed era il motivo dominante, (una morte più o meno redenta); poi c’era l’Actus Tragicus che era il motivo del “male misterioso” e l’ho impiegato nel momento in cui Accattone ruba la catenella al figlio, nel momento in cui Amore fa la spia in prigione… [36]

A ogni brano viene perciò assegnata una funzione “tematica”. Il tema d’amore di Stella, dal II Brandeburghese, quello della morte, il tema della violenza verso la protetta (l’Adagio del I Brandeburghese, non citato nelle pagine riportate sopra) etc. Ho deciso però di soffermarmi, in questo lavoro, sul Corale della Passione, il tema di morte, proprio per l’interesse intertestuale e autoreferenziale che ricopre all’interno dell’universo pasoliniano. [37]

Il brano in questione, coro n. 68 della Passione bachiana, è il primo intervento musicale presente in Accattone. È un pezzo dai toni estremamente toccanti, che si colloca alla fine dell’opera, a lenire il dolore profondo di Maria. Il dramma si è concluso, rimane solo la tragedia. Ai piedi della croce restano pianto e profonda contrizione. Il canto trasporta subito l’ascoltatore in un clima emotivo di commossa tristezza; Alberto Basso lo descrive in questi termini:

Un autentico tombeau [musica commemorativa] finale è, invece, il grande coro finale Wir setzen uns mit Tränen nieder (n. 68), che sostanzialmente è un’aria col 'da capo' liberamente inteso, recante alcuni passaggi in cori 'spezzati'; accorato è il tono perché dolorosa è la circostanza della sepoltura, ma l’invocazione del riposo e l’augurio, anzi, la certezza di poter chiudere gli occhi nel sonno celeste, costituiscono un affabile messaggio di fede sublimato da una scrittura mottettistica essenziale e calda, ariosa e benedetta dalla notte apportatrice della quiete”. [38]

Il primo elemento da notare nel brano è l’andamento sinusoidale della melodia, la cui frase d’esordio, che inizia nella tonalità di Do minore, è costituita da un dolce antitheton, che armonicamente porta al passaggio al Si naturale dell’accordo di dominante della seconda battuta. Un modulo di domanda e risposta accorato dunque, che si potrebbe definire piuttosto tranquillizzante se non intervenisse al continuo un’appoggiatura sull’accordo di sottodominante, che crea una forte dissonanza (batt. 2). La melodia scorre fino all’ingresso del coro con un andamento sinusoidale, e l’unisono della doppia orchestra rende in maniera assai pregnante l’idea di un dolore “omofono”, corale, un dolore quasi topico, che accomuna tutti i presenti. Il tessuto melodico è portato avanti dai due flauti, dall’oboe I e dal violino I, sostenuti dagli altri strumenti e dal continuo, ora in un caldo abbraccio, ora con forti dissonanze che esprimono un intenso dolore.

Ricorrenze:

1) Titoli di testa.

I titoli di testa del film, ventitré cartelli, semplici (scritte nere su fondo bianco), sono accompagnati per tutta la loro durata da questa pagina della Passione secondo San Matteo. Il brano attacca dall’inizio e si protrae fino alla dodicesima battuta, momento in cui il coro inizia a cantare. A questo punto viene operato un taglio, e la musica riprende dalla battuta 25, e si protrae fino alla 36, per tutta la durata del secondo intervento strumentale, per poi riprendere ancora da capo, per pochi secondi soltanto. La durata di questo intervento musicale è all’incirca di 1’50”. L’ultimo cartello dei titoli riporta i già citati versi del Purgatorio dantesco :

La musica stacca esattamente nel momento in cui il cartello della citazione dantesca scompare; una dissolvenza di apertura dal nero introduce effettivamente nella prima sequenza del film.
È molto significativo il fatto che Pasolini scelga dunque il “motivo della morte” come “ouverture”, per accompagnare i titoli di testa; le musiche di commento ai titoli di testa hanno nel film, solitamente, una funzione assai importante. Tramite una particolare scelta sonora (ad esempio attraverso l’utilizzo del Leit Motiv) si possono anticipare alcuni elementi del film; ancora, si può creare da subito un particolare clima emotivo, o evocare un particolare contesto storico-sociale etc. Un bravo autore di cinema, cosciente di tutti i mezzi espressivi e di tutte le strategie di significazione del linguaggio filmico, si rende perfettamente conto di ciò. Ne sono prova gli esempi dedotti dal cinema di Stanley Kubrick, che pone a commento delle sequenze iniziali dei propri film musiche assai significative dal punto di vista referenziale o emotivo (o entrambi contemporaneamente). [39]

Il brano, si è detto, è il motivo del destino, “della morte” appunto, e già dai titoli getta un’ombra tragica sull’intera storia, assumendo la sua funzione primaria, di anticipazione dell’epilogo tragico. Altre tuttavia, e non meno importanti, sono le funzioni di cui questa pagina bachiana si carica. La prima è quella di rimando intertestuale, una funzione di tipo sostanzialmente referenziale: la musica rimanda a un testo ben preciso. Il contenuto testuale del coro della Matthäus Passion, (anche se in questo intervento, come nella maggior parte di quelli che seguiranno, è citata solo la parte strumentale) assume un significato preciso all’interno del tessuto stesso, in un contesto di ordine metalinguistico. Nell’analizzare i possibili significati che assume all’interno del film, non si può dunque prescindere da tali contenuti testuali:

Wir setzen uns mit Tränen nieder, und rufer dir ihm Grabe zu: Ruhe sanfte, sanfte Ruh! Ruht, ihr augesognen Glieder! Euer Grab und Leichenstein Soll dem ängstlichen Gewissen ein bequemesRuhekissen und der Seele Suhstatt sein, hochst vergnügt Schlummern da die Augen ein. [40]

Sono parole di dolore, di commozione; ma è tuttavia un dolore tragico, non drammatico. L’idea principale è che tutto sia già avvenuto, che ogni cosa sia compiuta; il destino è già scritto. Musicalmente esso si può tradurre nelle sublimi note bachiane, che accompagneranno, vigili, ogni drammatico passo del protagonista del film. Anche chi non conosce la Matthäus Passion tende a entrare nel clima emotivo di tristezza da essa tradotto. Il brano scuote e commuove l’ascoltatore; esso può influenzare uno stato d’animo, assumendo pertanto una funzione attivatrice di emozioni: lo spettatore inizia a vedere il film con una sensazione particolare, data dalla musica appena sentita. [41]

2) Il Napoletano, compare di Ciccio, si trova davanti alla bicocca di Maddalena, e chiede di Accattone. [42]

La musica attacca nel momento in cui compare Salvatore, il Napoletano, chiedendo a Nannina di Accattone. Il “motivo della morte” accompagna questa sequenza per evidenziare la tragicità della comparsa di Salvatore e dei “mariuoli” partenopei. Il personaggio in questione è il compare di Ciccio, il precedente compagno-protettore di Maddalena, da lei denunciato e fatto arrestare per lasciare posto a Vittorio. Salvatore e i suoi compagni vengono ora a fare giustizia del torto subito dall’amico. Egli è il carnefice, Maddalena la vittima. Ma le conseguenze delle violenze subite dalla compagna ricadranno anche sopra Accattone. L’intervento musicale inizia alla battuta 25 e prosegue fino al primo tempo della 36, poco prima dell’attacco del coro (batt. 37). Accompagna tutto il dialogo fra Salvatore e Nannina, la moglie di Ciccio, e risuona ancora sui passi di quest’ultima che rientra in casa per chiamare Accattone. Si interrompe bruscamente, sul Si naturale della batt. 36, nel momento in cui Accattone solleva la testa di scatto, come improvvisamente risvegliato dai propri pensieri profondi, per chiedere a Nannina chi è l’uomo che chiede di lui. Il gesto di Accattone può dunque far pensare a un livello mediato: [43] la musica sembra infatti essere la traduzione dei pensieri del protagonista; cessa infatti nel momento in cui questi viene richiamato all’attenzione, e cessano i suoi pensieri: l’arrivo improvviso di questo “estraneo” è per lui motivo di grande preoccupazione. [44] Per causa sua, con un risvolto imprevisto della trama, [45] egli rimarrà senza il suo unico mezzo di sostentamento.

3) Maddalena paga il suo debito coi napoletani. [46]

Maddalena è sulla strada con Amore quando viene avvicinata dai tre compagni di Salvatore (già si erano visti nella sequenza precedente) che la invitano a seguirli nella loro macchina. Maddalena obbedisce, “cauta e professionale”, [47] li segue e sale nella macchina. Si vede ora, inquadrato di spalle, Salvatore, che immediatamente si gira. Sul suo movimento attacca la musica, che accompagna brevemente la sequenza, giunta quasi alla fine, per la durata del primo intervento strumentale (con il taglio di una breve frase alla battuta 9, quasi impercettibile perché il montaggio è molto preciso). Salvatore mette in moto e il gruppo si allontana in auto. La scena cambia. Siamo nella radura dell’Acquasanta, introdotta da una panoramica da sinistra. Nel piano seguente la macchina avanza lentamente fino a fermarsi nella radura: è un paesaggio scarno, brullo. Solo sassi e terra nuda; ricorda vagamente i paesaggi spogli della pittura quattrocentesca, di autori come Piero della Francesca o Paolo Uccello: il suo aspetto non è per niente invitante, e Maddalena lo fa notare senza mezzi termini. Tuttavia i napoletani non le prestano ascolto. A livello sonoro, un abbaiare feroce (o disperato) di un cane sembra avvertire dell’imminenza di un pericolo, contribuendo a condensare un senso di ansia e angoscia nella sequenza. Maddalena, visibilmente intimorita, si allontana con Gennarino. Durante l’attesa uno dei compagni canta e fischietta la melodia di Fenesta ca lucive. [48] Quando i due tornano Salvatore ha ormai perso la pazienza, e la tensione accumulata nella sequenza sfocia nel violento pestaggio della malcapitata. La Matthäus Passion compie un altro intervento nel film, questa volta a sottolineare la violenza e la brutalità subite da Maddalena. Il brano ricorre ancora nell’introduzione strumentale, in corrispondenza della panoramica (uguale a quella che apriva la sequenza) che stacca dalle immagini del pestaggio. La MDP torna successivamente su Maddalena, mentre i napoletani si allontanano con la macchina, lasciandola sola, malconcia e disperata, a implorare inutilmente aiuto. Bisogna ricordare che la scena segna un’altra tappa degli atti tragici della vita di Accattone. Maddalena andrà in prigione per falsa testimonianza (avendo accusato del pestaggio il giovane Cartagine), e da qui lo denuncerà dopo aver scoperto di essere stata tradita: questo porterà Accattone al noto epilogo.

4) Lotta tra il fratello di Ascensa e Accattone, che viene picchiato e cacciato via. [49]

Accattone, saputo dell’arresto di Maddalena e forse intimorito dalle parole “profetiche” di Renato, decide di chiedere aiuto alla moglie, Ascensa, che ha da tempo abbandonato. La va dunque a cercare, e sulla strada incontra il ladro Balilla. Questi è il personaggio che, all’interno dei nodi relazionali di Accattone con i “ragazzi di vita”, lo spinge lontano dalla possibile redenzione (al contrario del fratello buono, Sabino). [50] Non sembra dunque casuale che l’incontro sia accompagnato da un suono di campane a morto, che sottolinea la tragicità del rapporto del protagonista con Balilla.
Vittorio raggiunge la moglie al lavoro (canticchiando una canzoncina popolare romana), [51] in uno “spiazzo miserabile”, dove si raccolgono e si mettono a posto bottiglie di vetro. Mentre la attende conosce Stella (in una scena accompagnata dall’“Andante” del II Concerto Branceburghese). L’incontro con Ascensa “ha una triplice dislocazione: parte dallo spiazzo davanti alla bottiglieria […] prosegue in un piano-sequenza piuttosto lungo (1’50”) con Accattone che, preceduto da un carrello, viaggia accanto ad Ascensa cercando di parlarle; si conclude davanti alla casa di Ascensa”. [52] Qui accade il fatto centrale della sequenza. Accattone, non sopportando più le ingiurie che gli rivolge Giovanni, fratello della moglie, da lei chiamato per far allontanare il marito, gli si lancia contro, pieno di rabbia repressa. Ne nasce una furiosa lite, che tuttavia, anche grazie all’intervento della musica, dà tutt’altro che l’impressione di una volgare rissa. I due contendenti cadono per terra e si avvinghiano in una stretta d’acciaio, determinati a non mollare la presa. I movimenti sono pochi, lenti e composti. Si ha quasi l’impressione di assistere a una lotta eroica, fra due guerrieri che si contendono un premio. E invece è una zuffa nella polvere di un quartiere miserabile, di una periferia dimenticata, è una lotta che è un abbraccio nella miseria, l’urlo e la violenza di una vita millenaria di sottomissione e emarginazione. Accattone perderà anche qui: egli è tragicamente una vittima, anche nella sua società emarginata. Il coro n. 68 fa il suo ingresso dalla battuta n. 13. Troviamo ora, prima e unica occasione nel film, l’intervento delle voci del coro, che rendono la scena, a mio avviso, ancora più toccante dal punto di vista emotivo. Spiega Pasolini, a proposito di questa sequenza:

La Passione secondo Matteo di Bach, nel momento della rissa di Accattone, assume prima di tutto questa funzione estetica. Si produce una sorta di contaminazione fra la bruttezza, la violenza della situazione, e il sublime musicale. E' l'amalgama (il magma) del sublime e del comico di cui parla Auerbach. […] la musica assolve, come dicevo, una funzione estetica, al limite “estetizzante”, ma nel contempo ha una funzione didattica. Per esempio, nella scena di Accattone […], si rivolge allo spettatore e lo mette in guardia, gli fa capire che non si trova di fronte a una rissa di stile neorealista, folklorica, bensì a una lotta epica che sbocca nel sacro, nel religioso. [53]

Salta agli occhi, ora più che in tutti gli altri momenti, il gusto per il pastiche e per la contaminazione degli stili, noto leit motiv della poetica pasoliniana. [54] Da notare infine, a proposito di tali parole, il richiamo di Pasolini alla doppia funzione della musica, di “concettualizzare (sintetizzandoli in un motivo) i sentimenti e di sentimentalizzare i concetti”. [55]

5) Accattone viene dileggiato dagli amici del baretto perché ha lavorato: ne nasce un violento battibecco. [56]
Accattone rientra a casa dopo la sua prima e unica giornata di lavoro. Stremato e umiliato (mentre l’occhio ceruleo della guardia lo segue con attenzione), passa davanti ai “ragazzi di vita” del baretto senza neanche degnarli di un sguardo. Questi “ironizzano” sul momento difficile che il loro amico sta attraversando. Accattone se la prende a male, e ne nascono botte furiose. Deciderà in seguito, un po’ per la propria inadeguatezza, un po’ per il timore del giudizio del branco, di smettere di lavorare e guadagnarsi da vivere rubando: scelta tragica, che lo avvicinerà al compimento del suo fatale epilogo. La musica (batt. 25-36), che interviene dunque a sottolineare un altro momento di violenza fisica, reale, accompagna tutta la sequenza, nella tonalità di MIb Maggiore.

6) Accattone sogna il suo funerale. [57]
Questa sequenza – una delle più efficaci del film – ha uno dei suoi punti di forza nello straordinario uso espressivo che Pasolini fa dei silenzi nel suo cinema. [58] Nel sogno infatti domina essenzialmente il silenzio (luogo topico nella rappresentazione dell’esperienza onirica al cinema; l’opera di cineasti come Bergman, Buñuel o Lynch è particolarmente densa di esempi simili). È comunque brevemente introdotto dalle note bachiane, ancora nella tonalità di Mib Maggiore, nella scena in cui vediamo Accattone dormire (batt. 25-32; si interrompe bruscamente al Do del terzo tempo, quando la MDP stacca dal viso di Accattone e ci mostra il suo sogno, come se stesse penetrando nell’inconscio del protagonista). Il suo sarà un sogno di morte, premonitore del suo destino: ecco spiegato il breve intervento della musica.

7) Sequenza finale: Accattone decide che lavorare non fa per lui, e per consentire a Stella una vita dignitosa, decide di andare a rubare: finirà tragicamente. [59]
La prima parte della sequenza, quella del furto, è sostenuta dall’Andante del II Concerto Brandeburghese. Accattone e compagni camminano per le strade della città e, senza rendersi conto di essere osservati, compiono il piccolo furto che vale per loro il salario di una giornata lavorativa. Nel momento in cui il fatto viene scoperto dalle guardie, attacca il coro n. 68: il destino è ormai segnato, l'ora del tragico epilogo è giunta, senza che nessuno possa farci niente. Accattone tenta una fuga disperata, si sente, fuori scena, il rumore di uno scontro. Tutti accorrono verso il luogo da cui proviene il rumore. La MDP inquadra Accattone che, agonizzante, pronuncia queste parole: “Aaaah…mò sto bene”. Il film si chiude sull'immagine del ladro Balilla che “meccanicamente e senza emozione” si fa il segno della croce. [60] La musica attacca alla batt. 25 e scorre fino al Sol della 32; con un abile montaggio torna ancora alla batt. 25 e arriva fino alla 36 (con un breve taglio dalla batt. 32 a 34). È dunque trattata ancora nella tonalità di Mib Maggiore.

Il film si chiude perciò così come era iniziato, coi titoli di testa, sulle note di questo coro finale della Matthäus Passion. Questo tema, che, di pari passo all’ ombra dell’inevitabile destino che accompagna Accattone, attraversa tutto il film ricorrendo in diverse occasioni, rivela ora la composizione ad anello dell’opera, la sua struttura circolare, dimostrandoci ancora una volta che l’epilogo era scritto già dal primo momento,e che nulla si sarebbe potuto fare per cambiarne il corso.
La morte di Accattone, come quella di Cristo, è una morte annunciata, e non è un caso che il suo leit-motiv (tale può essere considerato, in fin dei conti, il brano) sia una musica tratta da un’opera sacra sulla Passione. Pasolini ci suggerisce così apertamente il binomio Accattone/Cristo, e, tramite esso riesce a sublimare la morte di Accattone, restituendogli, nell’atto estremo, la dignità che la società non gli riconosceva in vita, relegandolo nel suo mondo senza cultura.

Ricorrenze nel Vangelo secondo Matteo

Come si è già accennato, in questo film, quella di Bach non è una presenza esclusiva come in Accattone, ma scorre accanto ad altre musiche di grande importanza tematica, con le quali convive in perfetta armonia. L’importanza dei brani del Kantor sta anche nell’alternarsi agli altri presenti nella colonna sonora, negli interventi ravvicinati del sublime coro della Matthäus Passion e del Gloria africano, o del Dona nobis pacem che segue immediatamente il blues distorto di Blind Willie Johnson. E anche nel dividere i compiti di “priorità” narrativa con la Maurerische Trauermusik di Mozart, che accompagna i passi di Cristo verso il Golgota (con evidente funzione processionale: i passi di Cristo verso la condanna sono accompagnati dalla marcia funebre di Mozart) dopo averlo presentato agli occhi dello spettatore sulle rive del Giordano. [61]

In ogni caso la musica di Bach conserva un’importanza, a mio avviso, maggiore, anche perché è quella che ricorre più spesso nel film. Sono infatti presenti in colonna ben sei brani.


Anche in questo film Pasolini affida al coro finale della Matthäus Passion la funzione di tema ferale, di morte. Nella sceneggiatura lo cita, in diversi punti, come “motivo profetico”, motivo dunque del destino, strettamente legato all’Adagio del Concerto BWV 1042, vero e proprio tema di morte, nella sua compassata tragicità.  Passiamo all’analisi delle sue ricorrenze.

1) Titoli di testa.

La scelta delle musiche costituisce qui un perfetto esempio di applicazione dei principi stilistici sui quali l’autore ha fondato il film. I titoli sono formati da 22 cartelli (del tipo che già abbiamo visto in Accattone). I primi 11 sono accompagnati dal “Gloria” della Missa Luba, che, grazie alle sue sonorità forti e all’impianto fortemente ritmato, introducono in un clima di gioia, di esultanza, proprio di un tipo di religiosità ludica e popolare. Ma dopo circa un minuto la musica si ferma, e interviene una breve pausa. Segue il cartello con le indicazioni della colonna sonora, e, nel momento esatto in cui questo compare, subentra il tono fortemente commosso del coro finale della Matthäus Passion, limitato alla prima strofa cantata (batt. 13-24). Passiamo così, con una “botta” improvvisa e inaspettata, da un’atmosfera festosa, di invito alla danza e alla liberazione – coreutica si potrebbe definire – a un’altra di pathos e malinconia. Provando, per assurdo, a immedesimarsi in uno spettatore (magari “contemporaneo” ai film) che vede per la prima volta Accattone e Il Vangelo, si potrebbero immaginare due reazioni distinte, ma non dissimili, nei confronti dell’aspetto musicale, già a partire dai titoli di testa: a) la reazione di fronte all’uso di una musica di Bach, sacra, di stile sublime, è (verosimilmente) di straniamento, se si pensa che il film che è appena iniziato parla della vita emarginata e miserabile di un sottoproletario delle borgate romane; [62] b) di contro, ancora più strana potrebbe apparire la presenza di sonorità come quelle della Missa Luba; lo standard musicale dei film religiosi è, generalmente, un illustrativismo di maniera, banale, che non “sfonda le immagini piatte, o illusoriamente profonde, dello schermo”. [63] Ciò che qui mi interessa dimostrare è che lo spettatore potrebbe apprezzare o meno queste scelte musicali, ma ciò che conta è che molto probabilmente, in entrambi i casi, egli ne rimarrà colpito, sia per il valore emotivo delle musiche, che per l’ideologia che sta alla loro base. [64] Qui infatti Pasolini accosta con mano sicura due musiche, entrambe sacre, o per meglio dire, “sacrali”. Quella di Bach – lo sappiamo – è per lui la “musica assoluta”, già artefice della sacralizzazione di un Accattone, un povero Cristo, anzi, per dirla con Auerbach, una figura Christi. La Missa Luba invece è identificativa di una religiosità viva, sentita e vissuta, libera dalle sovrastrutture e dalle logiche di potere, una religiosità del popolo, comune a tutti i popoli oppressi, a ogni sottoproletariato, classe sociale a cui il Cristo di Pasolini apparteneva. [65] Ecco dunque come due brani così diversi possono coesistere armoniosamente. Vediamo come lo scontro delle opposizioni di una contaminazione dai limiti del parossismo giunga a una risoluzione perfetta e neutra: il viscerale coro africano e quello sublime di Bach si possono considerare come le due facce di una stessa medaglia, che porta incisa la “magmatica” Weltanschauung del poeta. Siamo di fronte solo al primo di una lunga serie di “accostamenti originali”, in cui sono innegabili “la suggestione dell’insieme e il suo significato di universalità”. [66]

2) Domanda di Erode. [67]
3) Avvertimento dell’Angelo.
[68]

In entrambe le sequenze la musica della Passione è posta a commento delle immagini. Nella prima (batt. 25-36, Mib Maggiore) sottolinea la domanda di Erode, che chiede ai sacerdoti dove nascerà il Re dei Giudei. La risposta di uno dei sacerdoti è una citazione tratta dal libro del profeta Michea, [69] mentre in colonna scorre il “motivo profetico”. Probabilmente non è altro che una coincidenza, che è comunque curioso far notare. Nella sceneggiatura è presente l’indicazione musicale. [70]

Nella seconda sequenza ritorna il motivo dell’apparizione dell’Angelo nel sogno di Giuseppe. Come già ha fatto nella prima sequenza del film, Pasolini decide di rappresentare il momento del sogno con totale asciuttezza stilistica, abbattendo in un certo modo l’iconografia tradizionale della rappresentazione onirica nel cinema, rendendolo assai simile a una qualsiasi scena di normale quotidianità. L’elemento di spicco della prima parte della sequenza è la consueta connotazione a-sonora, l’assenza di rumori di fondo, quel silenzio irreale che già si era visto nel sogno di Accattone. [71]

Nella seconda parte, troviamo ancora il coro finale della Matthäus Passion a commento delle immagini, [72] cui fa da pendant il silenzio di Maria, i cui occhi parlano più di mille parole: è l’espressione di significato per sottrazione verbale alla quale si faceva riferimento poco sopra. È naturale che in questi casi la musica ricopra un ruolo ancora più importante, in quanto unico elemento della colonna sonora. È la seconda volta che la troviamo nel film, oltre ai titoli di testa; si inizia così a tessere la fitta trama di rimandi intratestuali tipica del cinema pasoliniano, che si aggiunge a quella del richiamo intertestuale. Essendo questa la musica “profetica”, del destino, se vogliamo, mi pare particolarmente adatta a illustrare lo stato d’animo di Maria, secondo la categoria di livello empatico illustrata da Michel Chion. [73] Forse è ipotizzabile anche la funzione di livello mediato, se si considera la musica in primo piano come proiezione mentale dei primi piani di Maria. Un altro elemento degno di nota è la presenza della voce fuori scena, la voice off (che finora nei film di Pasolini non aveva mai fatto la sua comparsa), assimilabile, per molti versi, alla voce dell’evangelista. [74]

4) L’arresto nel Monte degli Ulivi. [75]

Anche in questa sequenza ricorre il coro finale della Matthäus Passion,  che interviene, nella sua introduzione strumentale, sull’arrivo dei soldati per l’arresto di Cristo. La scena, assai concitata, ha il suo momento più toccante nel bacio di Cristo a Giuda. Il rapporto di Cristo con colui che fa sì che il suo destino si compia non poteva essere commentato se non dal “motivo profetico”, ancora il tema ferale.

Un utilizzo di musica classica che supera un semplice “naturalismo sonoro”, ovvero una semplice illustrazione realistica della componente sonora nel film, o che non sia dettato solo dall’intenzione di dare un tocco di raffinatezza al film: questo è in sostanza il meccanismo che Pasolini fa suo nei propri film. Quello che interessa evidenziare è dunque un uso della musica classica non convenzionale, non illustrativo, che apra orizzonti di senso capaci di dare al film sfumature particolari: una musica “che sfonda le immagini piatte, o illusoriamente profonde, dello schermo, aprendole sulle profondità confuse e senza confini della vita”. [76] Un simile uso della musica richiede, da parte dell’autore cinematografico, prima ancora di una particolare competenza in campo musicologico, grandi capacità poetiche, che gli consentano di accostare in maniera efficace, funzionale e sensata due linguaggi e due codici differenti. Il fascino esercitato dal connubio film-musica classica consiste proprio nell’accostamento, mai scontato e sempre carico di senso, di modi linguistici così diversi, lontani nei secoli, eppure inaspettatamente in sintonia. Bresson, Tarkowskij, Godard, Herzog, Visconti, Kubrick (solo per citare alcuni nomi): non è un caso che tutti utilizzino musiche di repertorio; si può parlare a lungo della liceità di tali operazioni, ma in certi casi i fatti parlano da sé. Un autore cinematografico, capace di creare un’opera d’arte compiuta e originale, deve sapersi confrontare con la tradizione. Il cinema, con il suo “potere di unificare”, [77] è una forma d’arte piena di vitalità, che trova nella multimedialità (ovvero nella sua facoltà di unire forme e linguaggi anche mutuati da altre arti) forse la sua prerogativa principale; e, proprio nell’ottica di un incontro con la grande tradizione culturale, sia essa figurativa, letteraria o, come in questo caso, musicale, si aprono profonde prospettive di analisi e campi di senso da esplorare.


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Murri 1994

Serafino Murri, Pier Paolo Pasolini, Milano, Editrice Il Castoro, 1994.

Naldini 1984

Nico Naldini, Nei campi del Friuli. La giovinezza di Pasolini, Milano, Scheiwiller, 1984.

Naldini 1986

Nico Naldini, “Cronologia”, in Pier Paolo Pasolini, Lettere. 1940-1954, Torino, Einaudi, 1986, pp. XI-CXXXII.

Naldini 1989

Nico Naldini, Pasolini. Una vita, Torino, Einaudi, 1989.

Pourier 2001

Alain Pourier, “Le funzioni della musica nel cinema”, in Enciclopedia della musica, diretta da Jean-Jaques Nattiez, Vol. I, Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, pp. 622-648.

RI

Pier Paolo Pasolini, Le regole di un’illusione, a cura di Laura Betti e Michele Gulinucci, Roma, Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, 1991.

RR 1

Pier Paolo Pasolini, Romanzi e racconti.1946-1961, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Mondadori, 1998.

Sacchi 1961

Filippo Sacchi, “Bassifondi romani con musiche di Bach”, Epoca, XII, 594, 10/12/1961.

Schrader 2002

Paul Schrader, Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer, Roma, Donzelli Editore, 2002.

SDC

Pier Paolo Pasolini, Il sogno del centauro, a cura di Jean Duflot, Roma, Editori Riuniti, 1993 (I ediz. 1983. Ediz. orig. Les derniers paroles d’u impie, Pierre Belfond, 198).

Siciliano 1981

Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1981 ( I ed., Milano, Rizzoli Editore, 1978).

SLA

Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Mondadori, 1999, 2 vol.

VSM

Pier Paolo Pasolini, “Il Vangelo secondo Matteo”, in Pier Paolo pasolini. Per il cinema, a cura si Walter Siti e Franco Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, vol. 1, pp. 485-682 (I ediz. Il Vangelo secondo Matteo, a cura di G. Gambetti, Milano, Garzanti, 1964).



* Questo saggio, basato sull’argomento della mia tesi di laurea, segue di poco un mio breve lavoro (tratto da una relazione che ho tenuto durante il IX Seminario di Musica e Filosofia, Maratea 26-31 luglio 2004: Cadoni 2004), di cui riprende l’argomento, ampliandolo in diverse direzioni.

[1] Questo breve lavoro (leggibile in Bertini 1979: 154-155) viene scritto da Pasolini per le  note di copertina di un LP che raccoglie le musiche originali scritte da Ennio Morricone per alcuni dei suoi film.

[2] A dimostrazione del grande interesse dei rapporti di Pasolini con la musica sono da ricordare, fra le altre cose, due importanti monografie: Magaletta 1997 e la fondamentale Calabretto: 1999. Un bel saggio di Luciano De Giusti ha di recente aggiunto interessanti osservazioni a questo capitolo (De Giusti 2001).

[3] Siciliano 1981: 96-97.

[4] RR 1: 150-151. È questo un brano tratto dai Quaderni Rossi, diari che il poeta tenne negli anni friulani, dal 1943 al ’49, pubblicati per la prima volta in Naldini 1989, ma ancora parzialmente inediti. In esso si narrano sostanzialmente gli stessi fatti che si trovano, in forma di romanzo, in Atti impuri (AM), pubblicato da Garzanti per la prima volta nel 1982. In entrambi gli scritti la figura di Pina (che verrà chiamata Dina nella versione romanzata) ricopre un ruolo tutt’altro che marginale.

[5] Dai Quaderni rossi, in Naldini 1986 XLIV-XLV.

[6] Dai Quaderni rossi in RR 1: 152-153.

[7] Su tali fatti è incentrato il romanzo autobiografico Atti impuri, al quale già si è fatto riferimento. Al centro della storia il rapporto fra l’autore e Nisiuti, il giovanetto. Un terzo personaggio, quello di Dina, ruota intorno a tale rapporto; v. AM: 11-125.

[8] Cfr. AM: 24 e ss. Per un inquadramento generale sul senso della religiosità e del Sacro in Pasolini, la bibliografia è assai vasta, rimando qui al volume Conti Calabrese 1994. Molto interessante è notare, parlando del legame fra Sacro e Corpo, i richiami che dalle pagine e dalle immagini pasoliniane rimandano alle teorie di Girard sul legame rituale fra violenza e senso del sacro (Girard 1980), v. ad es. Angelini 2000. Anche Luciano de Giusti, nelle sue osservazioni proprio sulla musica di Bach in Accattone, mette in luce una cifra esegetica basata su simili intuizioni (De Giusti 2001:191-192)

[9] V. anche RR 1: 194: “In quelle pagine di Bach egli vedeva rappresentata una lotta fra la Carne e il Cielo. La prima cantata da note basse, profonde, velate, quasi da violoncello: veramente carnali. Il secondo espresso da note alte, di testa, celesti e vibranti. Questa drammatica lotta era patita da una figura umana: il Siciliano, un giovinetto bruno e florido che, appoggiato alla Pila di una chiesa barocca, offriva il suo corpo pinguemente e ardentemente terreno in olocausto alle forze celesti” (Appendice a “Atti impuri”).

[10] Cadel 1995: 420.

[11] Pubblicati integralmente per la prima volta in SLA: 77-90. Per una lettura approfondita di questo scritto pasoliniano rimando al saggio di Alessandra Carnevale presente sulle pagine di De Musica, Carnevale 2005.

[12] Siciliano 1981: 109.

[13] Naldini 1986: LX.

[14] Sono da ricordare, a tale proposito, le parole della stessa Kalc: “Se veniva col violino suonava un po’ anche lui. Avevamo delle musichette scritte per due violini che gli davano una grande soddisfazione. Però non studiava, non gli interessava veramente migliorare. Mi diceva: “Ma no, Pina, questo non ha scopo, non ho gran che da riacquistare, e progredire sicuro no, mi suoni Lei, e mi suoni Bach”. Sempre finiva così. Metteva il violinetto nell’astuccio, si metteva a sedere: “Mi suoni Bach”” (evidenziato mio), Cadel 1995: 420.

[15] Cfr. RR 1: 194, dove Pasolini, parlando in terza persona, scrive: “Ella suonava ed egli seguendo sullo spartito l’esecuzione prendeva qualche rapido appunto. Aveva un forte mal di testa perché avendo poco orecchio, l’ascoltare musica era per lui una grande fatica fisica” (Appendice a “Atti impuri”).

[16] Cfr. Siciliano 1981:126-129. Si tratta di un altro nodo fondamentale per la formazione culturale e ideologica pasoliniana, che come si può intuire, trova e elabora nel Friuli gran parte delle proprie radici. La sua attenzione per le identità regionali, per le “Piccole Patrie” si rivelerà infatti decisiva nella sua poetica, a partire dalle questioni linguistiche.

[17] Naldini 1984: 36.

[18] Calabretto 1999: 155.

[19] Proprio quella di “destorificazione” sarà una delle principali accuse mosse contro le scelte musicali dei suoi primi film, v. ad es. Gelmetti 1964. Ma, alla luce della conoscenza del rapporto profondo di Pasolini con la musica di Bach, simili critiche perdono totalmente la propria credibilità.

[20] A questo proposito cfr. le parole di Pina rilasciate in un’intervista del 1984, Cavalleri 1985: “Egli amò Bach al punto da dedicargli due scritti inediti e che conservo: uno Studio sullo stile di Bach e un’analisi del Siciliano, che è il terzo tempo della Sonata n.1 in Sol minore. Le confesso che quando lo lessi, dapprima rimasi abbastanza sconcertata per alcune considerazioni che mi parvero irriguardose e libere nei confronti del maestro e, soprattutto, contrastavano troppo con quello che avevo appreso a scuola. Rileggendoli successivamente, alla luce della critica musicale contemporanea, capii che aveva ragione. Sapeva precorrere i tempi, era più giovane di me, ma lo sentivo tanto superiore e preparato intellettualmente, dotato di straordinaria capacità di intuizione”.

[21] SLA: 77.

[22] SLA: 79.

[23] Un’Antitheton (successione di un’anabasi e di una catabasi), con il suo carattere ad andamento “parabolico”, può rappresentare, in questo caso, la crisi, l’indecisione nella scelta fra Carne e Cielo.

[24] Sul concetto di fonosimbolismo sinestetico cfr. Cano 1985: 47-59.

[25] Questo è l’elenco completo dei brani bachiani utilizzati da Pasolini nei suoi film. Accattone: “Coro n. 68 Wir setzen uns mit Tränen nieder dalla Matthäus Passion BWV 244; “Adagio” dal Concerto Brandeburghese n.1 BWV 1046; “Andante” dal Concerto Brandeburghese n. 2 BWV 1047; “Sonatina” dalla Cantata BWV 106 “Actus Tragicus”; Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo: brani dalla Matthäus Passion BWV 244; Il Vangelo secondo Matteo: “Coro n. 68” dalla Matthäus Passion BWV 244; “Adagio” dal Concerto per violino, oboe, archi e basso continuo BWV 1060; (A. Webern) Trascrizione per orchestra della “Fuga ricercata” dall’Offerta musicale di Johann Sebastian Bach; “Aria n. 39 Erbarme dich dalla Matthäus Passion BWV 244; Dona nobis pacem dalla Messa in Si minore BWV 232; “Adagio” dal Concerto per violino, oboe e basso continuo BWV 1042; Appunti per un film sull’India: “Sonatina” dalla Cantata BWV 106 “Actus Tragicus”; La sequenza del fiore di carta: “Coro n. 68” dalla Matthäus Passion BWV 244; Salò o le centoventi giornate di Sodoma: Pastorale in fa maggiore BWV 590 (eseguita alla fisarmonica).

[26]   “che sbocca nel sacro, nel religioso”, SDC: 109

[27] È nota la grande passione e competenza in campo storico artistico di Pasolini, allievo di Roberto Longhia Bologna durante gli anni universitari. Sui suoi rapporti con le arti figurative si può vedere Galluzzi 1994.

[28] V. CT.

[29] Auerbach 1956.

[30] Auerbach 1956: 81-82

[31] Cfr. Calabretto 1999: 397.

[32] Schrader 2002.

[33] Sacchi 1961

[34] Henze 1989: 391

[35] Il titolo dell’intervista è “Mamma Roma” ovvero, dalla responsabilità individuale alla responsabilità collettiva, leggibile in CPP: 43-62.

[36] CPP: 50-51.

[37] Mi riservo di ampliare in un prossimo studio l’analisi della presenza bachiana nel cinema di Pasolini, che, grazie anche alle aperture e al confronto con altri autori che hanno adottato scelte simili (basti pensare a Tarkovskij), offre spunti preziosi e abbondanti.

[38] Basso 1983: 489.

[39] Sulla componente musicale nei film di Kubrick v. Bassetti 2002.

[40] “Fra le lacrime ci sediamo e a te nella tomba diciamo: riposa dolcemente, fa’dolce riposo! Riposate, membra dissanguate, riposate dolcemente, riposate bene. La vostra tomba e la vostra pietra sepolcrale saranno per la vostra coscienza tormentata dai rimorsi un soffice cuscino, e per le anime un luogo di riposo. Là gli occhi si chiudono in somma beatitudine”, trad. di Magaletta 1997: 217.

[41] Naturalmente le funzioni finora individuate saranno valide anche nelle altre ricorrenze nel film del brano in questione. Sulle funzioni della musica nel cinema rimando, all’interno della vastissima bibliografia, a Cremonini – Cano 1995: 65-110; Chion: 1995.

[42] ACC: 16-17 (seqq. 7-8).

[43] Sergio Miceli nel suo fondamentale volume sulla musica nel cinema, individua, oltre ai due tradizionali “livelli” della musica nel film, che chiama “interno” (musica in scena) e “esterno” (musica fuori scena), un terzo livello, “mediato” appunto, che “è quello che per sua natura assomma in sé le caratteristiche degli altri e al tempo stesso le nega”. In pratica è di livello mediato un brano o un tema strettamente legato a un personaggio, di cui può rappresentare i pensieri, uno stato d’animo o anche una sensazione momentanea, v. Miceli 1982: 223-230.

[44] Salvatore è estraneo non solo in quanto straniero; il suo personaggio, con la sua apparizione così aleatoria, sembra incarnare qualcosa di alieno. È anche lui, a mio avviso, un emissario del “destino ferale” di cui parla Lino Micciché (Micciché 1999: 86-88).

[45] L’arresto di Maddalena per falsa testimonianza, ACC: 41-44, seqq. 20-21.

[46] ACC: 27-33 (13-15)

[47] ACC:28.

[48] È interessante notare come Pasolini, già nella sceneggiatura, sia attento a descrivere accuratamente questo canto, evidenziandone in qualche modo la sua importanza, e mettendo in luce, ancora una volta, il suo interesse per l’evento sonoro e musicale: “il secondo napoletano canticchia fra sé, stando disteso, appoggiato a un gomito, con le gambe incrociate. […] la sua voce è rauca, mormorante, come gli uscisse dal profondo delle viscere: tuttavia canta una canzone napoletana molto appassionata, accennandola, ma nel tempo stesso interpretandola con tutto il sentimento. Quando le note si fanno troppo alte per essere cantate con voce bassa, canta in falsetto, tirando la gola, e aggricciando la fronte”, ACC: 31-32.

[49] ACC: 51-56 (24)

[50] Micciché 1999: 88-89. Apro qui una piccola parentesi su un altro degli innumerevoli richiami autoreferenziali che possiamo trovare nell’opera di Pasolini: Balilla è interpretato da Mario Cipriani, che ne La ricotta sarà Stracci: da “diavolo tentatore”, dunque, a “povero cristo”, il suo ruolo si inverte, ma non la sua sorte. Balilla è qui un personaggio secondario, ma la sua vita di sottoproletario, di emarginato è ugualmente segnata da un destino prestabilito.

[51] La madonna dell’Urione, di Rossi e Micheli. Alcune informazioni su questo brano sono in Magaletta 1997: 223-224, dove viene riportato anche il testo completo.

[52] Micciché 1999: 64-65.

[53] SDC 108-109.

[54] Sull’analisi di questa sequenza, e in particolare proprio sulla contaminazione dei registri stilistici, mi sono soffermato in un altro lavoro, al momento in corso di edizione (Cadoni 2005)

[55] Si tratta del già citato testo di Pasolini sulla musica nel film (in Bertini 1979: 154-155).

[56] ACC: 127-128 (68).

[57] ACC: 130 (71).

[58] Cfr. Murri 1994: 28; Cadoni 2003.

[59] ACC: 141-142 (78).

[60] Murri 1994:24.

[61] È questo, secondo Pasolini, il motivo “teofanico”, v. RI: 106.

[62] Vedi a tal proposito le considerazioni espresse in Sacchi 1961, dove si parlava appunto del fatto che il connubio Bach - borgata sottoproletaria potesse apparire come un “ticchio da discomani snob”.

[63] Come scrive Pasolini nel suo più volte citato saggio sulla musica nel film; v. Bertini 1979: 154-155.

[64] In quest’ottica si possono inserire le considerazioni espresse da Vittorio Gelmetti. Egli ritiene sbagliate, in quanto storicamente demistificanti, (cioè arbitrariamente estrapolate da un corretto contesto storico e formale) le scelte musicali di Pasolini; nonostante questo ammette che “un risultato emozionalmente valido viene raggiunto”, e che “proprio nell’accostamento di musiche lontane fra loro viene raggiunto un elemento di choc”, v. Gelmetti 1964: 572.

[65] Cfr. a questo proposito le parole di Pasolini riportate in RI: 114. “Cristo è un sottoproletario, che va con i sottoproletari. Il rapporto storico fra Cristo e il proletariato esiste, egli non avrebbe fatto nulla se non fosse stato seguito dai proletari […] il proletario sarebbe rimasto immerso nelle tenebre della sordità, se non fosse intervenuta la predica rivoluzionaria di Cristo”.

[66] Comuzio 1964.

[67] VSM: 491-492 (seqq. 5-6). Corrisponde, nel testo evangelico, a Mt 2, 1-8.

[68] VSM: 493-494 (10-11); Mt 2, 13-15.

[69] Mic 5,1.

[70] Sotto, il motivo “profetico” di Bach, che esplode e subito dilegua”, VSM: 491. Il trattamento, come spesso accade, non è lo stesso che sarà applicato nel film. La musica infatti qui non “esplode”, ma entra a volume medio e accompagna i passi, funerei si potrebbe pensare, di Erode. Stacca quando Erode scende le scale, nel cambio di sequenza dunque, da un interno a un esterno.

[71] Sull’utilizzo del silenzio come strategia espressiva nella prima sequenza del Vangelo secondo Matteo v. Cadoni 2003.

[72] Esplode la musica “profetica” di Bach, VSM: 494.

[73] Per funzione empatica lo studioso francese intende una musica fortemente legata alle sensazioni, ai pensieri, ai comportamenti di un personaggio, che trasmetta dunque tali sensazioni allo spettatore (il meccanismo dell’empatia è appunto questo), e dunque lo trasporti all’interno del clima emotivo del film, v. Chion 1995:195.

[74] Qui riporta le parole del profeta: “Dall’ Egitto ho chiamato il mio figlio” (Os 11, 1).

[75] VSM: 628-634 (114-115); Mt 26, 30-56.

[76] Come scrive Pasolini nel suo più volte citato saggio sulla musica nel film.

[77] Poirier 2001: 623.