Testi Esercizi

Dramma borghese - Bürgerliches Trauerspiel

Almeno a prima vista, la definizione del genere letterario “dramma borghese” non sembra presentare eccessive difficoltà. A differenza infatti di altri generi letterari, la denominazione “bürgerliches Trauerspiel” non è stata conferita solo a posteriori dalla critica letteraria per cercare di cogliere l’unità di un determinato gruppo di testi letterari preesistenti, ma venne utilizzata invece esplicitamente da molti autori, a partire dalla metà del Settecento, come sottotitolo dei loro drammi. A questo genere letterario sono stati dedicati inoltre già durante i primi anni della sua massima espansione alcuni saggi critici, tra cui vanno ricordati soprattutto quello di Gottlob Benjamin Pfeil, Von dem bürgerlichen Trauerspiele, del 1755, e quello di Christian Heinrich Schmid, Über das bürgerliche Trauerspiel, del 1768.
Benché anche nelle definizioni dell’epoca non fossero sempre chiari i confini tra il “bürgerliches Trauerspiel” e la “tragicommedia” o la “commedia lacrimevole”, la critica letteraria si è concentrata, a partire almeno dalla metà dell’Ottocento, soprattutto sugli aspetti sociologici e ideologici del genere, riconoscendo quindi nel carattere “borghese” di queste opere la caratteristica predominante e unificante del genere stesso, che veniva così opposto alla “tragedia eroica”, intesa invece quale espressione della classe nobile. Ora non vi è dubbio che lo sviluppo e l’affermarsi di una nuova coscienza della classe borghese nel corso del Settecento sia alla base della nascita e dello sviluppo di questo genere letterario. D’altra parte, però, questa influenza dell’affermazione di una nuova classe sociale non è propria solo del “dramma borghese”, ma caratterizza piuttosto tutti i generi letterari dell’epoca, tanto nel campo della prosa, che in quello della poesia e del teatro: persino la “tragedia eroica” è stata per così dire borghesizzata e rappresenta spesso i contrasti di classe in maniera più esplicita e radicale del “dramma borghese”.
Il termine stesso “bürgerlich” non possedeva ancora in Germania, negli anni precedenti alla Rivoluzione Francese e almeno fino alla fine del secolo, un significato strettamente sociologico; non indicava cioè tanto il “terzo stato”, in opposizione al clero e alla nobiltà, bensì piuttosto la sfera privata e familiare del cittadino in opposizione a quella pubblica e politica. Non c’è da stupirsi, dunque, se nei “drammi borghesi” manca spesso tanto una vera coscienza di classe da parte dei personaggi borghesi, quanto anche una vera e propria contrapposizione tra la classe borghese e quella nobiliare. Nella maggior parte dei casi il conflitto si svolge all’interno della stessa classe borghese. In questo senso, dunque, il “dramma borghese” è stato definito giustamente anche “dramma familiare” o “privato” (Wieland), “tragedia domestica” o “tragico affresco familiare” (Ch. H. Schmid).
Si è parlato anche di dramma dell’“Empfindsamkeit”, dove questo concetto indica una tendenza e almeno in parte anche una moda molto diffusa verso la metà del secolo, caratterizzata da una sorta di autocompiacimento narcisistico per la propria sensibilità ed affettività, per i sentimenti dell’amicizia e della virtù, per la “gioia delle lacrime”, che sempre accompagnano copiose ogni incontro e ogni addio, ogni lettera e ogni lettura. La mancanza di una chiara coscienza di classe ovvero di uno scontro di classe all’interno del “dramma borghese” e la riconduzione dello stesso al fenomeno dell’“Empfindsamkeit” non implica necessariamente l’assenza di significato politico di questo genere. Soprattutto nella Germania del Settecento, dove la classe borghese, nonostante il suo crescente potere economico, è rimasta completamente esclusa dalla gestione del potere e da qualsiasi influenza politica, la letteratura e più in particolare il teatro hanno svolto infatti un’importante e decisiva funzione per il formarsi e il consolidarsi di una coscienza borghese. Esclusa della sfera politica, la borghesia ha trovato proprio nella sfera privata e familiare, nella moralità e nell’affettività, quei valori che essa, attraverso la letteratura - in particolare attraverso le Moralische Wochenschriften (riviste morali), ma anche attraverso racconti, romanzi e poesie - ha poi opposto alla immoralità e alla depravazione della nobiltà. La letteratura è servita cioè in questa fase come espressione pubblica di quei valori sviluppati dalla borghesia nell’unica sfera che essa aveva a disposizione, vale a dire in quella privata. Ciò non significa, ovviamente, che la letteratura si sia limitata semplicemente a rispecchiare fedelmente la realtà esistente della nuova classe, poiché essa ha impersonato piuttosto anche le speranze, le proiezioni o l’immagine ideale che questa classe aveva o voleva dare di sé, servendo così da strumento di identificazione in opposizione soprattutto con la classe dei nobili. Proprio il teatro, che per sua stessa natura ha una dimensione più spiccatamente pubblica, rivolgendosi non a un lettore nella sua intimità, bensì ad un pubblico, ha avuto evidentemente un ruolo importante e forse anche determinante in questo processo di formazione e consolidamento della coscienza borghese. Questa funzione non è stata svolta tuttavia solamente dal “dramma borghese” ed è tipica inoltre, anche se in misura diversa, di tutti i generi poetici o letterari dell’epoca (è sufficiente pensare a questo proposito ai romanzi di Richardson, che tanta influenza hanno esercitato sullo stesso “dramma borghese”).
Proprio per questo motivo, la critica ha cominciato negli ultimi decenni a mettere in dubbio una definizione unicamente sociologica e quindi ideologica del “dramma borghese”, per cercare invece di rinvenire la sua particolarità soprattutto in alcuni elementi formali e retorici. In linea generale si può affermare che il “dramma borghese” si distingue dalla tragedia o meglio dal dramma eroico, come si era sviluppato soprattutto sui modelli francesi del Seicento, soprattutto per le finalità da esso perseguite, vale a dire tanto per le modalità che per i contenuti del suo effetto (Wirkung) sul pubblico.
La maggiore e più rivoluzionaria innovazione introdotta dal dramma borghese riguarda l’estrazione sociale dei suoi personaggi principali. In sé e per sé, secondo le regole stabilite dalla retorica e dalla poetica, già la denominazione stessa di “dramma borghese” rappresenta infatti, come notò nella seconda metà del Settecento anche Hamann, un controsenso o un ossimoro per contradictio in adjecto. Secondo la cosiddetta “Dreistillehre” (teoria dei tre stili), attribuita dai commentatori aristotelici e dai teorici del Rinascimento e del Barocco falsamente alla Poetica di Aristotele, ma risalente in realtà ai grammatici tardo-latini, i generi drammatici si fondavano sulla classe sociale di appartenenza dei loro personaggi principali, cosicché per il dramma o per la tragedia, quali generi più alti, erano consentiti solo personaggi appartenenti alla classe regale e nobiliare, mentre i personaggi borghesi potevano apparire solo nella commedia e i contadini nel dramma pastorale. Il “dramma borghese” rappresenta dunque una palese infrazione di questa che in Germania viene denominata anche “Ständeklausel”.
La motivazione di questo superamento va ricercata nel nuovo pubblico teatrale e quindi nelle intenzioni che si riproponeva il teatro. Se infatti nel dramma barocco e nel dramma eroico si mirava a suscitare l’ammirazione per le virtù eccezionali o l’orrore per i vizi altrettanto eccezionali dei suoi personaggi, mentre le vicende avevano sempre un valore esemplare o allegorico, il nuovo teatro sviluppa invece una strategia completamente differente, basata soprattutto sull’identificazione da parte dello spettatore con il personaggio rappresentato sulla scena. Per ottenere questa identificazione e aumentare quindi l’interesse dello spettatore per la vicenda rappresentata, i personaggi sulla scena dovranno avere quindi le stesse caratteristiche, le stesse virtù e le stesse debolezze del pubblico di questi spettacoli.
In realtà, l’appartenenza di classe non viene intesa però in senso stretto, perché nei “drammi borghesi” compaiono anche molti personaggi appartenenti alla nobiltà. Più che la determinazione sociologica di classe è importante infatti che il personaggio non venga rappresentato nella sua funzione pubblica o politica, bensì in quanto individuo privato.
Anche un nobile, o addirittura un sovrano, potrà quindi apparire in un “dramma borghese”, purché vi sia rappresentato in quanto uomo, con i suoi sentimenti privati. Se vi è dunque una certa apertura nei “drammi borghesi” verso le classi più alte, nettissima è invece l’esclusione di appartenenti alle classi inferiori, che non sono reputati capaci di avere principi o sentimenti elevati e che finirebbero quindi per offendere il gusto dello spettatore borghese. Il personaggio del “dramma borghese” non apparterrà quindi necessariamente alla classe borghese, ma sarà soprattutto, secondo le indicazioni ricavate dalla Poetica di Aristotele, un “eroe medio”, un uomo cioè con le sue virtù e debolezze. Se tanto la tragedia eroica che il dramma barocco pensavano che i destini tragici accorsi a personaggi di rango regale potessero assumere un più alto valore simbolico o emblematico, poiché, secondo la legge della “Fallhöhe”, più alta era la loro posizione, più profonda e tragica diventava la loro caduta, per il “dramma borghese”, invece, è necessario che lo spettatore possa identificarsi con l’eroe della rappresentazione teatrale e quindi prendere parte simpateticamente ai suoi destini e alle sue vicissitudini.
Diventa evidente, dunque, un altro momento fondamentale per la caratterizzazione del “dramma borghese”, vale a dire quello dell’effetto (Wirkung) che esso deve suscitare sullo spettatore. Anche a questo riguardo, infatti, questo genere si differenzia tanto dal dramma barocco, quanto dalla tragedia eroica. Mentre il primo perseguiva soprattutto una strategia dell’“Abschreckung” (ammonimento, intimidazione), mostrando agli spettatori l’inconsistenza e la vanità di tutte le cose terrene, per spingerli quindi a ritrovare nella propria interiorità e in una prospettiva trascendente l’unico valore da perseguire, il dramma eroico mirava invece soprattutto a suscitare il sentimento della “Bewunderung”, vale a dire dell’ammirazione, che avrebbe dovuto incoraggiare poi gli spettatori all’imitazione. Il fine principale del “dramma borghese” consiste invece nel suscitare il “Mitleid”, la compassione, intesa come valore a sé.
Questa idea della “compassione” come finalità ultima e più alta della tragedia è stata sviluppata in particolare da Lessing in un carteggio con Friedrich Nicolai e Moses Mendelssohn, che ha avuto luogo nel 1756, vale a dire poco dopo la stesura della Miss Sara Sampson, il primo “dramma borghese” di Lessing. Mentre Nicolai, da una parte, sostiene una posizione sensualista, che vede il fine principale della tragedia nell’eccitazione delle passioni, e Mendelssohn, dall’altra, difende il principio della “Bewunderung” proprio della tragedia eroica, Lessing riesce in un certo senso a far coesistere sensualismo e finalità morale della tragedia. Secondo una teoria sviluppata da Mendelssohn nelle sue Briefe über die Empfindungen (Lettere sulle sensazioni), la compassione è infatti una sensazione mista, che pur provocando dolore per il suo oggetto, è invece causa di piacere nel soggetto. Lessing attribuisce però anche un valore più alto alla compassione, considerandola, come molto più tardi Schopenhauer, la qualità morale per eccellenza, quella che sta alla base di tutte le altre disposizioni morali dell’uomo.
Per questo Lessing afferma che “l’uomo più compassionevole è il migliore degli uomini” e che il fine ultimo della tragedia consiste dunque proprio nell’esercitare nell’uomo questa capacità di provare compassione. Il terrore o la paura, che secondo la definizione di Aristotele rappresentano assieme alla compassione l’altro componente della “catarsi”, della purgazione provocata dalla tragedia, viene riportato da Lessing all’interno della compassione stessa: esso non sarebbe infatti nient’altro che una parte della compassione, quella paura cioè che lo spettatore a teatro, identificandosi con il personaggio sulla scena, prova per se stesso, immaginando che quelle disgrazie possano colpire anche lui.
E’ evidente come questo sentimento di compassione non riguardi solamente il personaggio buono caduto in disgrazia, ma possa riferirsi anche ad altri personaggi del dramma, al limite persino ad un personaggio negativo, qualora esso si ravveda all’ultimo momento. Una simile possibilità rischierebbe tuttavia di inficiare addirittura l’insegnamento morale del dramma. E’ questo, probabilmente, il motivo, per cui questa finalità del dramma proposta da Lessing, non è stata certo la più recepita e applicata nei drammi borghesi dell’epoca.
Studi approfonditi degli ultimi anni hanno mostrato senza ombra di dubbio, che uno dei principi strutturali dominanti del dramma borghese è costituito dalla legge della cosiddetta “giustizia poetica”, vale a dire da un rapporto causale tra colpa e punizione, per cui il vizio viene sempre punito e la virtù premiata. Sono state individuate bensì diverse varianti di questo principio, per cui vi può essere anche una realizzazione solo parziale o addirittura un capovolgimento dello stesso, ma rimane tuttavia il fatto che nella stragrande maggioranza dei “drammi borghesi” predomina la volontà di un insegnamento morale più diretto di quello previsto dalla drammaturgia della compassione di Lessing, un insegnamento che avviene cioè attraverso l’esempio, vale a dire in parte attraverso l’esempio positivo, nella maggior parte dei casi però attraverso l’esempio negativo e quindi attraverso l’“intimidazione” (Abschreckung).
Già il dramma borghese che sta per diversi aspetti all’origine del genere, vale a dire The London Merchant di George Lillo, pubblicato nel 1732 e tradotto in tedesco nel 1752, segue chiaramente una simile strategia morale dell’intimidazione, proponendosi di mostrare i pericoli di una virtù troppo debole e quindi la giusta punizione della malvagità e del vizio più efferati.
E anche l’autore del primo trattato sul “dramma borghese”, Johann Gottlob Benjamin Pfeil, attribuisce a questo genere una funzione morale immediata, pretendendo sempre una rappresentazione positiva della virtù e una rappresentazione negativa del vizio. Nonostante queste differenze nella definizione della finalità e dell’azione del “dramma borghese”, le caratterizzazioni di questo genere contenute negli gli scritti teorici o poetologici consentono senz’altro di identificare il genere: esso è caratterizzato innanzitutto dal superamento della “Ständeklausel”, che permette l’introduzione di eroi borghesi. Questo eroe, poi, deve essere un eroe medio, né troppo buono né troppo malvagio, perché deve consentire l’immedesimazione da parte dello spettatore. Va aggiunta a queste caratteristiche proprie del genere anche l’utilizzo della prosa e quindi l’abbandono dell’alessandrino che rappresentava il verso tanto del dramma barocco che del dramma eroico.
Più complesso risulta invece il compito di indicare i testi più rappresentativi di questo genere. E questo non certo perché sia difficile operare una scelta tra le centinaia di opere contenute ad esempio nella bibliografia dei “drammi borghesi” fornita da Schmid, che conta più di duecento opere, pur non contemplando ad esempio i drammi di due autori di successo di “drammi borghesi” quali Kotzebue e Iffland, bensì al contrario, perché questa scelta è per così dire obbligata: la tradizione germanistica identifica infatti il “dramma borghese” sostanzialmente con quattro opere, vale a dire con Miss Sara Sampson (1755) e Emilia Galotti (1772) di Lessing, Kabale und Liebe (1784) di Schiller, e Maria Magdalena (1844) di Hebbel. La critica più recente ha però evidenziato come proprio questi drammi non siano per nulla rappresentativi delle caratteristiche del genere e rappresentino anzi piuttosto delle eccezioni o talvolta, come ad esempio nel caso dell’Emilia Galotti, addirittura delle critiche implicite a certe tendenze del genere stesso. Nonostante questo riconoscimento, non è possibile, evidentemente, prescindere nella presente illustrazione del “dramma borghese” da queste opere ormai canoniche, a cui si aggiungeranno, tuttavia, almeno altrettante opere che servano a testimoniare anche altre tendenze di questo genere letterario. Il dramma Miss Sara Sampson, scritto da Lessing nel 1755 e rappresentato con grandissimo successo nello stesso anno, costituisce per consenso comune il primo dramma borghese della letteratura tedesca. Si tratta, in questo caso, di un tipico dramma dell’“Empfindsamkeit” che si svolge tutto all’interno della classe borghese e in cui il contrasto di classe o anche solo la coscienza di classe non giocano alcun ruolo. Fin dalla prima scena del dramma, in cui Sir William Sampson riflette sull’“errore” della propria figlia Sara, fuggita con l'avventuriero Mellefont, i sentimenti familiari, l’affetto paterno e la volontà di perdono hanno il sopravvento su una morale troppo rigida e puramente esteriore. Le lacrime, sintomo della sensibilità morale, sono il tratto che uniscono tutti i personaggi del dramma: fin dal loro primo apparire piangono tanto Sir William che la figlia Sara e persino Mellefont piangerà la prima lacrima dopo la sua infanzia. Solamente Marwood, l’ex amante di Mellefont, che da lei ha avuto anche una figlia, usa le lacrime come strumento per riconquistare l’amato. Il padre e la figlia vengono più volte definiti dall’aggettivo “zärtlich” (dolci), che è in un certo senso la parola d’ordine dell’“Empfindsamkeit”. Tutti i personaggi, a parte forse la sola Marwood, sono in fondo dei personaggi “empfindlich”, che nonostante le loro debolezze sentono il richiamo di una moralità più profonda e originaria. Lo stesso Mellefont è solo un debole, sempre in bilico tra l’egoismo e il richiamo della virtù, che tanto lo affascina in Sara. Sarà proprio la sua eterna indecisione e il suo acconsentire alla richiesta di Marvood di incontrare Sara, a provocare la tragedia finale. Solo con il suo suicidio finale anche Mellefont si riscatta definitivamente, tanto che lo stesso Sir William lo definirà come “più infelice che malvagio”. Il padre di Sara, Sir William, si dimostra fin dal primo atto come padre comprensivo e disposto a perdonare la figlia, ma è evidente che è stato proprio il suo passato rigorismo morale a spingere Sara a fuggire con Mellefont. Anche se in ritardo, alla fine del dramma, Sir William perdona comunque non solo la figlia, bensì anche Mellefont, adottando la figlia di Mellefont e Marwood e concedendo che la figlia e Mellefont riposino nella stessa tomba. La stessa Sara non è un esempio di virtù trionfante, bensì, come lei stessa dirà ormai in punto di morte, l’esempio di una virtù debole, che ha mancato nei confronti del padre e delle leggi della convenienza sociale, ma che alla fine è disposta a perdonare tutti. In Sara si esprime il contrasto esistente tra l’ottimismo morale di un’epoca che credeva profondamente nella naturale moralità dell’uomo e nella bontà di tutte le passioni, e il rispetto per una moralità tutta esteriore e sociale, che Sara, che è venuta meno a questi principi, tiene tuttavia fede alla sua moralità interioree pur riconoscendo almeno implicitamente la somiglianza e il parallelismo tra il suo destino e quello della Marwood, si rifiuta di accettare questa somiglianza, scatenando così l’ira di Marvood e spingendola quindi indirettamente all’omicidio. Un omicidio, d’altra parte, che Sara stessa non solo ha almeno indirettamente provocato, ma che essa, come dimostra il sogno premonitore del primo atto, ha forse anche desiderato in quanto punizione del suo errore.
Se la Marwood sembra rappresentare dunque il solo personaggio negativo del dramma, qnterpretazione è stata almeno in parte relativizzata dalla critica più recente, la quale ha mostrato come anche questo personaggio non sia in fondo null’altro che il prodotto delle sue esperienze passate. Lessing non mira nel suo dramma cioè a un’opposizione netta tra personaggi buoni e personaggi cattivi, ma cerca piuttosto di creare “personaggi medi”, in cui non esistono né mostri di virtù né tantomeno mostri di cattiveria, interessandosi invece molto di più alla motivazione psicologica di questi caratteri. Questo approfondimento psicologico dei caratteri e dei sentimenti sempre ambivalenti dei personaggi prende in effetti il sopravvento sull’azione stessa. Più volte si è sottolineato come l’evoluzione dell’azione, che nel terzo atto solo per poco non si è conclusa con un happy end, sia tutt’altro che logica e stringente, poiché la tragedia finale, con la morte di Sara e di Mellefont, non appare assolutamente necessaria e solo in maniera molto indiretta è stata provocata da un “errore” di Sara. Il vero conflitto non è più esterno, non dipende più dal destino e non è più allegoria di una verità metafisica, ma si svolge invece tutto nell’interiorità dei personaggi. Per questo si è parlato, a ragione, di una “priorità dell’azione interiore su quella esteriore”.
D’altra parte la finalità ultima del dramma consiste secondo Lessing nel suscitare “compassione” e tutti i personaggi di questo dramma, non solo Sara, ma in fondo anche il padre Sir William, il libertino pentito Mellefont e per certi aspetti addirittura la stessa Marwood possono suscitare compassione.
Nonostante queste caratteristiche, che fanno del dramma Miss Sara Sampson il dramma dell’“Empfindsamkeit” e della compassione per eccellenza, e nonostante il grande successo da essa avuto fino almeno agli anni Settanta, questo modello di “dramma borghese” non venne praticamente seguito dagli altri drammi borghesi dell’epoca, che si orientarono piuttosto verso il modello della “giustizia poetica” inaugurato da Lillo in Inghilterra. A questo secondo tipo di dramma borghese appartiene ad esempio il dramma di Pfeil, Lucie Woodvil, rappresentato ugualmente con grande successo nel 1756, vale a dire esattamente un anno dopo Miss Sara Sampson, il quale venne considerato a lungo, erroneamente, come imitazione epigonale del dramma di Lessing. Non vi è dubbio che almeno a prima vista vi è una certa somiglianza tanto nell’azione che nei personaggi dei due drammi. Anche nel dramma di Pfeil si ha infatti un rapporto amoroso che si è già compiuto e che viene osteggiato dal padre. Solo che qui la figlia, Lucie Woodvill appunto, è solo la figlia naturale di Wilhelm Southwell, frutto di un non confessato errore giovanile di quest’ultimo, il quale ha poi accolto presso di sé la figlia illegittima. Il motivo per cui Wilhelm Southwell si oppone in tutti i modi e apparentemente contro ogni razionalità al matrimonio è costituito dal fatto che l’amante di Lucie è proprio il figlio legittimo di Southwell, Karl. Lucie è d’altra parte già incinta e deve quindi utilizzare tutti i mezzi per sposare al più presto Karl, se non vuole che il suo peccato diventi di dominio pubblico. E’ facile vedere come già la costruzione dell’intreccio si differenzi nettamente da quella del dramma di Lessing, poiché non offre alcuna possibilità di una soluzione positiva del conflitto. Il fatto che Lucie, a differenza di Sara, sia già incinta, obbliga infatti da una parte ad agire in fretta e lascia aperta solo una possibile soluzione del conflitto. Questa soluzione è però esclusa a priori dal fatto che il rapporto tra Lucie e Karl, benché all’insaputa dei due, è comunque un rapporto incestuoso. Questo collegamento di rapporto prematrimoniale e rapporto incestuoso rende quindi già di per sé necessario l’esito tragico della vicenda. Alla fine Lucie avvelenerà infatti Southwell e dopo aver saputo da questo della sua origine ucciderà anche se stessa. Karl, da parte sua, impazzirà alla vista del cadavere di Lucie.
Anche per il loro carattere, i personaggi del dramma si distinguono però, nonostante alcune analogie esteriori che sono state rilevate dalla critica, dai personaggi del dramma di Lessing. Sir Wilhelm Southwell assomiglia solo a prima vista a Sir Sampson. La differenza maggiore consiste nel fatto che Sir Southwell nasconde con ostinazione un peccato di gioventù, che non ha la forza di confessare. Proprio questa incapacità di ammettere una sua debolezza, dettata soprattutto dall’orgoglio, è all’origine della tragedia, poiché essa non sarebbe evidentemente avvenuta, se egli avesse confessato prima la vera origine di Lucie. E’ soprattutto l’orgoglio a impedirgli di ammettere una simile debolezza. Karl, in quanto seduttore, assomiglia da parte sua a Mellefont, salvo che non conosce nel corso del dramma nessuna evoluzione e nessun ravvedimento: la sua incapacità di riconoscere la realtà si manifesta esemplarmente nella pazzia in cui cade alla fine del dramma. Per quanto riguarda infine la figura principale, Lucie, si è detto che essa è un “amalgama di Sara di Marwood”. In effetti Lucie conosce da una parte una fede nei principi morali che la avvicina a Sara, dall’altra una passionalità irrelata che la avvicina a Marwood. Proprio questa tensione continua tra queste due nature la rende però d’altra parte completamente diversa tanto dall’una che dall’altra eroina lessinghiana.
La differenza maggiore tra i drammi borghesi di Lessing e di Pfeil consiste però nella diversa intenzione dei due drammi. Mentre infatti Lessing mira soprattutto a suscitare compassione ed evita per questo ogni opposizione troppo radicale tra i buoni e i cattivi, Pfeil punta ad un effetto più didascalico: egli non vuole tanto suscitare compassione, quanto piuttosto mostrare chiaramente le nefaste e inevitabili conseguenze del vizio, di un errore che dal padre ricade per così dire sui figli. Alla fine, comunque, i cattivi sono puniti e i buoni premiati, cosicché l’ordine morale del mondo è ristabilito. Con l’Emilia Galotti (1772) di Lessing, inizia, secondo una convinzione diffusa che risale già a Goethe, una nuova epoca del “dramma borghese”.
Comunque si voglia interpretare quest’opera, infatti, è indubbio che essa non rientra più nel dramma dell’“Empfindsamkeit” e della poetologia della compassione. La caratteristica che più immediatamente salta agli occhi in questo dramma è la forte polarizzazione di classe, che oppone la malvagità e la perversione della classe nobile, impersonata del Principe di Guastalla Hettore Gonzaga e dal suo servitore Marinelli, alla moralità della classe borghese, rappresentata invece dalla famiglia Gallotti, da Emilia e dai genitori Odoardo e Claudia. Lessing stesso afferma bensì ripetutamente di aver voluto togliere ogni contenuto politico al racconto che funge da modello per la vicenda rappresentata, vale a dire alla storia di Virginia narrata da Tito Livio, in cui l’uccisione di Virginia da parte del padre, che intendeva in questo modo preservarne la virtù, dà l’avvio ad una rivolta popolare. Ciò non toglie, tuttavia, che l’accusa al tiranno e ai soprusi della tirannia, formulata esplicitamente soprattutto per bocca della duchessa Orsina, la quale incita addirittura all’uccisione del tiranno, sia un tema assolutamente centrale nell’opera. Il principe Hettore Gonzaga viene bensì rappresentato dapprima soprattutto come una persona debole, vittima di una sincera passione nei confronti di Emilia. Nel corso del dramma egli si rivela tuttavia sempre più chiaramente come vero tiranno, che nascondendosi codardamente dietro alla figura assolutamente negativa di Marinelli, è capace dei più grandi soprusi e delle più grosse nefandezze. E’ vero, d’altra parte, che la classe borghese non è completamente alla mercé di questi soprusi, poiché tanto Odoardo che la stessa Emilia sanno tener testa alle pretese del Principe Gonzaga e del suo servitore Marinelli. In questo senso non si può dire che Emilia impersoni la virtù che è vittima del vizio, poiché la sua uccisione da parte del padre non è assolutamente necessaria e non è direttamente provocata dal rappresentante del male nel dramma, vale a dire né da Hettore Gonzaga né da Marinelli.
La critica si è ripetutamente interrogata sul significato di questo omicidio di Emilia da parte del padre, che equivale almeno in parte ad un suicidio, poiché è Emilia stessa a spingere il padre ad una simile azione. Da una parte si è visto in un simile atto una sorta di atto mancato, vale a dire un equivalente simbolico dell’omicidio del tiranno, che all’epoca e nella particolare situazione in cui si trova Lessing in quel periodo, considerato che era appena entrato al servizio del duca di Braunschweig, non avrebbe potuto essere messo in scena. Un simile atto mancato sarebbe poi anche l’espressione della debolezza della borghesia in quella determinata fase storica.
La critica più moderna ha tuttavia messo in luce anche i limiti propri tanto di Odoardo Gallotti che della figlia Emilia, che nel loro sommarsi conducono al finale tragico. Odoardo Gallotti è una figura ben diversa da William Samson: egli non possiede la sua tolleranza e la sua disponibilità al perdono e viene rappresentato piuttosto come una figura rigida e “ruvida”, legata ad una concezione morale eccessivamente severa, il quale proprio per questo non è stato in grado di dare alla figlia un’educazione armonica, riuscendo solo a tenerla lontana dal mondo. Emilia, da parte sua, non possiede quel senso morale sicuro che è proprio di Sara Sampson ed è piuttosto, proprio in seguito all’educazione che ha ricevuto, una sorta di “esaltata”, che solo per le avances fattele dal principe in chiesa si sente colpevole, riconoscendo la debolezza della propria virtù, che avrebbe potuto facilmente soccombere nel confronto con la realtà. In questo senso il suicidio/omicidio che conclude il dramma non trasforma Emilia in una martire della propria virtù, come qualche volta è stato affermato, bensì conferma piuttosto la profonda debolezza della stessa.
La critica contenuta nel dramma non si rivolge quindi solo ai soprusi della classe nobile e alla tirannia, bensì investe contemporaneamente anche la classe borghese. Il limite, se non proprio l’“errore” principale di tutti i personaggi principali del dramma, tanto di quelli nobili che di quelli borghesi, con la sola eccezione forse di Marinelli, è quello di essere dominati dalle passioni. Vittima delle passioni è evidentemente Hettore Gonzaga, ma lo è ancora di più Odoardo Gallotti, che nei tre monologhi del quinto atto cade sempre di più nella follia. Una vittima della passione è anche Emilia, superata però in questo dalla contessa Orsina, che pensa solo alla vendetta e con i suoi discorsi spinge Odoardo verso la sua folle azione finale. Non è qui la razionalità, opposta al sentimento e alla passione, l’elemento negativo, bensì al contrario proprio il potere delle passioni e anche dell’irrazionale che, assieme alla mancanza di tempo e quindi alla fretta che caratterizza l’agire di tutti i personaggi, spinge con ritmo incalzante e in maniera inarrestabile verso il finale tragico.
Proprio questa necessità quasi meccanica dell’azione, che non lascia spazio al caso o ad alternative, è stata spesso rilevata, almeno in parte anche criticamente, fin dai primi lettori o spettatori dell’Emilia Galotti. La critica più recente ha voluto vedere d’altra parte anche nell’organizzazione dell’azione drammatica così come nel finale del dramma una risposta e una critica implicita di Lessing all’evoluzione del “dramma borghese” nel ventennio che separa la Miss Sara Sampson dall’Emilia Gallotti. Respingendo l’uccisione del tiranno e non concedendo nemmeno il suicidio di Odoardo, colpevole di aver ucciso la figlia, Lessing tradirebbe infatti le aspettative del pubblico, abituato ormai al principio della “giustizia poetica”, rifiutandosi in tal modo di funzionalizzare il dramma a una didattica morale diretta e immediata.
Anche l’Emilia Gallotti, che proprio per la sua complessità rappresenta sicuramente uno dei punti più alti del “dramma borghese”, non esercitò in realtà un grande influsso sui drammi seguenti, che ritornarono piuttosto al modello affermato della “giustizia poetica”. Lo Sturm und Drang ha comunque prodotto, nonostante il suo culto soggettivistico dell’individualità e la sua predilezione per drammi storici sul modello di Shakespeare, anche alcune opere che possono essere ricondotte senz’altro al genere del “dramma borghese” e in cui la critica alla divisione in classi della società, vale a dire non solo alla nobiltà ma anche alla borghesia, diventa un elemento centrale. Come dramma borghese sui generis è stata spesso considerata l’opera di Goethe Clavigo (1774). Anche qui si ha a che fare con una ragazza borghese, Marie Beaumarchais, che muore per il dolore e la consunzione dopo essere stata abbandonata dal fidanzato Clavigo. Quest’ultimo verrà poi ucciso dal fratello di Marie proprio di fronte alla bara della stessa, dopo essersi imbattuto casualmente nel corteo funebre. Lo schema dell’azione sembra essere dunque quello più classico, secondo cui il seduttore che ha provocato la morte dell’innocente borghese viene alla fine punito. In realtà vi sono tuttavia alcune varianti rispetto a questo schema, poiché il “seduttore” Clavigo non è un nobile, bensì un borghese, e per di più uno scrittore o un “intellettuale”, il quale è diventato però “archviario del re” e cerca di far carriera a corte. Il conflitto si sposta dunque tutto all’interno del personaggio stesso, che deve operare una scelta tra la carriera come scrittore e a corte e i suoi sentimenti. Clavigo è in sostanza un debole, che non ha né la forza per perseguire la sua carriera, né quella di opporsi all’amico Carlos, che lo spinge in questa direzione. Persino il suo amore per Marie risulta tuttavia molto debole e anche le sue preghiere e le su dichiarazioni d’amore a quest’ultima erano solo la conseguenza delle pressioni del fratello di lei. In un certo senso si può dire, addirittura, che non è nemmeno Clavigo la causa della morte di Marie, poiché questa è provocata piuttosto dalle esplosioni d’ira e dalla minacce contro Clavigo del fratello. Se così è, però, anche lo schema che sembrava dominare questo dramma, vale a dire quello della “giustizia poetica”, viene messo in discussione.
Il problema dello scontro di classe è presente, benché in maniera diversa, anche in altri due drammi dello Sturm und Drang che possono essere considerati come “drammi borghesi”, vale a dire nell’opera di Heinrich Leopold Wagner Die Kindermöderin (1776) così come in quella di Jakob Michael Reinhold Lenz intitolata Die Soldaten (1776).
Benché Wagner avesse tradotto in tedesco proprio nel 1776 l’opera di Louis-Sébastien Mercier Du Théatre ou Nouvel Essai sur l’Art Dramatique (1773), che teorizzava esplicitamente una funzione fortemente politica e di decisa critica sociale del teatro, egli finisce poi nel suo dramma Die Kindermörderin per sminuire e per relativizzare proprio questa critica. Il tema da lui trattato è bensì di grande impatto sociale e rappresenta un problema molto sentito e dibattuto dell’epoca, vale a dire quello dell’omicidio di neonati da parte delle madri sedotte e abbandonate dai nobili, interpretato come conseguenza del rifiuto e dell’ostracismo nei confronti di queste madri da parte della società. Evchen Humbrecht viene condotta dall’ufficiale von Gröningseck in un bordello, dove viene violentata. Von Gröningsek promette bensì di sposare Evchen, ma deve prima recarsi in patria, dove viene trattenuto da una malattia. Il luogotenente von Hasenpoth fa credere allora a Evchen di essere stata abbandonata ed ella fugge di casa per sottrarsi ai rimproveri del severo padre. La madre di Evchen muore per il dolore, mentre il padre e Gröningseck ritrovano Evchen troppo tardi, quando ella ha già ucciso il figlio nato da quell’incontro. Ambiguo è qui soprattutto il rapporto tra Evchen e Gröningseck, poiché non è dato capire mai chiaramente, fino a che punto Evchen sia stata veramente vittima di una violenza e fino a che punto ella fosse consapevole di quanto avveniva. Evchen stessa tende nel corso del dramma a sentirsi talvolta innocente, più spesso però colpevole.
Proprio su questa ambiguità si basa in fondo l’intero dramma, che alla fine vuole dimostrare anche l’inumanità della pena che aspetta Evchen. Il seduttore Gröningseck non è invece il tipico seduttore della classe nobile, poiché rinuncia quasi subito a tutte le sue prerogative nobiliari e alle sue prospettive di carriera, promettendo a Evchen di sposarla. Il suo “errore”, quello che porterà Evchen ad abbandonare la casa e quindi a sopprimere il figlio, sarà quindi solo frutto del caso e degli intrighi del malvagio Hasenpoth. In questo senso viene però a cadere la critica alla nobiltà e rimane tutt’al più solo la critica rivolta contro la durezza del giudizio morale verso le ragazze sedotte e soprattutto verso la pena inflitta alle madri infanticide.
L’anno successivo il fratello di Lessing, Karl, rielaborerà il dramma di Wagner, adattando la trama al modello della “giustizia poetica” e trasformandolo quindi in un opera con finalità morale esemplare. In Der Schlaftrunk oder Mütter! Hütet eure Töchter besser (Il sonnifero o Madri! State più attente alle vostre figlie), Evchen viene rappresentata come chiaramente colpevole e responsabile della propria caduta. La sua punizione viene quindi giustificata e la sua vicenda assume la funzione di esempio negativo, che deve mostrare le conseguenze nefaste di un solo errore.
Forse anche in risposta a questa riscrittura, Wagner stesso modificò nel 1799 il finale del dramma, conferendogli un esito positivo e trasformandolo quindi in una commedia dal titolo Evchen Humbrecht oder Ihr Mütter merkts Euch! (1779: Evchen Humbrecht o Voi madri, imparate!). L’aspetto di critica sociale comunque ancora presente nella prima versione è qui del tutto scomparso.
Ben più radicale è invece la critica sociale contenuta nel dramma di Lenz Die Soldaten. Anche qui la vicenda è quella di una fanciulla, Mariane Wesener, sedotta e abbandonata dal nobile ufficiale Desportes. Mentre Mariane, dopo essere fuggita di casa per cercare di raggiungere l’amato, diventerà una mendicante e verrà ritrovata dal padre, l’amante respinto da Marie, Stolzius, si farà militare e riuscirà ad avvelenare Desportes, uccidendo però anche se stesso. Anche il suo omicidio appare quindi alla fine più un sacrificio della propria esistenza. Nell’ultima scena, infine, due nobili, che si ripromettono di aiutare la famiglia dei Wesener, discutono sul problema sociale rappresentato dal celibato forzato dei militari.
La critica di Lenz non si rivolge in questo dramma solamente contro i nobili alla Desportes, che seducono e poi abbandonano le fanciulle, bensì piuttosto contro tutte le classi sociali rappresentate e più in generale contro l’organizzazione in classi della società. Oltre ai nobili e in particolare ai militari, sono oggetto di critica infatti anche il calcolo egoistico e le ambizioni di scalata sociale proprie della borghesia rappresentata dalla famiglia Wesener. Si è detto che le singole figure non sarebbero disegnate abbastanza distintamente, ma questa caratteristica riflette una precisa volontà di Lenz, che seguendo e radicalizzando la drammaturgia di Diderot, è più interessato a dipingere un quadro generale, un “tableau” della società umana e civile, che non invece dei singoli individui. I personaggi, tanto quelli principali che quelli secondari, sono piuttosto “caratteri sociali”, rappresentanti cioè di determinate classi e quindi anche spesso vittime della loro condizione sociale. Questa rivoluzionaria concezione del teatro come una sorta di laboratorio in cui indagare non tanto i sentimenti e le azioni individuali, quanto piuttosto i rapporti tra le varie classi, non è stata compresa dai contemporanei e bisognerà attendere almeno fino a Büchner perché essa venga recepita produttivamente.
Nel suo dramma Kabale und Liebe - il titolo, che originariamente doveva essere quello di Luise Miller, più tipico del genere “dramma borghese”, fu proposto da Iffland -, Schiller si confronta quasi per sfida con questo genere. E in effetti non solo è stato dimostrato l’influsso su quest’opera dei “drammi borghesi” di Lessing, di Wagner, Leisewitz, Klinger, Gemmingen, Lillo, ma sono stati rilevati anche i molti caratteri tipici del genere. Anche in questo caso la vicenda narrata tratta dell’amore tra i rappresentanti di due classi diverse, di Luise, figlia del musicista, e di Ferdinand, figlio del Presidente von Walther, la seconda carica alla corte di un piccolo regnante tedesco. Il legame tra i due innamorati viene naturalmente osteggiato dal padre di Ferdinand, che vorrebbe sposarlo alla maîtresse del principe Lady Milford. Poiché Ferdinand si rifiuta di sposare Lady Milford e minaccia il padre di svelare gli intrighi con cui egli ha costruito la sua carriera politica, il Presidente incarica il suo segretario Wurm di ordire un intrico ai danni di Luise. Ferdinand cade nella trappola, credendo alla lettera estorta con il ricatto a Luise, che sembrerebbe dimostrare l’infedeltà dell’amata. Alla fine Ferdinand uccide Luise e se stesso. Prima di morire Luise gli racconta però la verità, mentre il padre, il Presidente, accorso sul posto, incolpa di tutto il segretario Wurm, che a questo punto annuncia di voler rivelare tutti i crimini del Presidente.
Soprattutto la critica più antica ha interpretato questo dramma come un’opera politica e di tendenza, rivolta da una parte contro la corruzione dell’assolutismo, dall’altra contro la divisione in classi della società e contro i pregiudizi della classe dominante, che impedisce all’individuo la libera realizzazione dei suoi sentimenti. Vi sono state più di recente anche interpretazioni che, a partire soprattutto dai frequenti rimandi a Dio, al Paradiso e al Male, contenuti in particolare nei discorsi di Ferdinand, hanno messo in rilievo la dimensione “metafisica” o più propriamente “teologica” del dramma, parlando di “tragedia della finitezza dell’uomo” oppure di “tragedia dell’amore assoluto”. Poiché questa dimensione va evidentemente al di là delle caratteristiche del “dramma borghese”, ci limitiamo qui a considerare l’aspetto “politico” o di critica sociale contenuto nel dramma Anche a questo proposito negli ultimi anni sono stati messi in luce i limiti o l’inadeguatezza di questa critica sociale. Il vero conflitto contenuto nel dramma non è infatti quello tra la borghesia e la nobiltà, bensì piuttosto quello tutto interno alla nobiltà tra Ferdinand e suo padre. In fondo è del tutto secondario il fatto che l’amata di Ferdinand sia una borghese, perché avrebbe potuto appartenere benissimo e senza alcuna differenza alla classe nobile. Certo, la rappresentazione degli intrighi e delle manovre di corte, che non conoscono alcuna legge morale, rappresenta obbiettivamente una condanna della corruzione della corte. Ma anche l’intrigo architettato da Wurm ai danni di Luise è da una parte così elementare e palese, che non può nemmeno venir considerato come la causa della morte della stessa. Il vero responsabile di questa morte è, invece, lo stesso Ferdinand, che accecato dai suoi sentimenti, non riesce a riconoscere l’inganno e dubita quindi dell’amata. In questo si può vedere sicuramente anche una critica di Schiller all’esaltazione di Ferdinand, che conosce solo l’amore assoluto, vede in Luise prima un angelo e poi un diavolo, e nella sua hybris vorrebbe mettersi addirittura al posto di Dio ed ergersi a giudice supremo. Attraverso questa figura Schiller proseguirebbe cioè quella critica al titanismo eroico di stampo stürmeriano che aveva già cominciato nei Räuber.
La sola e vera critica sociale presente nel dramma rimane dunque quella contenuta nella seconda scena del secondo atto, dove Lady Milford riconosce come il sovrano abbia venduto i suoi soldati per la guerra americana. Questa scena resta tuttavia una parentesi, che non ha alcuna influenza sull’evoluzione del dramma. Per quanto riguarda poi la raffigurazione dei due mondi che si alternano regolarmente in tutti gli atti, vale a dire dell’ambiente borghese, da una parte, e di quello di corte, dall’altra, c’è chi ha sottolineato il “realismo” della rappresentazione, e chi invece ha posto l’accento soprattutto sulle incongruenze. In particolare la figura di Luise è apparsa poco coerente con l’ambiente di quella piccola borghesia bassa e meschina da cui proviene. Anche l’utilizzo da parte di Schiller di tratti caricaturali nella rappresentazione delle figure, così come il suo indulgere a contrasti e contrapposizioni nette e non da ultimo l’impiego di una lingua eccessivamente altisonante e retorica sono stati ripetutamente interpretati come concessioni al gusto del pubblico.
L’epoca del dramma borghese si chiude con la fine del secolo. Solo nello Junges Deutschland, in particolare nei drammi di Karl Gutzkow, in cui vengono tematizzati la volontà di ascesa sociale della classe borghese e criticata la convenzione sociale della divisione di classe, questo genere trova, all’interno di un nuovo ottimismo sociale e politico, una sorta di continuazione. Sarà però Hebbel, nel Vormärz, a scrivere con la Maria Magdalena (1844) l’ultimo dramma borghese. Nella premessa alla sua opera Hebbel critica decisamente i tratti “aneddotici” che egli vede nel “dramma borghese” settecentesco, dove il momento tragico viene provocato sempre da elementi esterni e puramente casuali. In contrasto con queste caratteristiche, egli si propone dunque di dimostrare l’assoluta necessità del tragico, che non è risultato dello scontro tra le classi, ma si genera e si svolge piuttosto tutto all’interno della classe borghese stessa. Hebbel scrive cioè la “tragedia della borghesia”, facendo oggetto di critica proprio la limitatezza spirituale piccolo borghese e in particolare la dipendenza dall’opinione degli altri. Se Clara alla fine si uccide, perché il suo promesso Leonhard la abbandona dopo averla messa incinta e pensa solo al successo sociale ed economico, mentre l’uomo da lei veramente amato fin dalla giovinezza, il “Segretario”, non si decide a sposarla fino a quando non ha ucciso in duello Leonhard, cioè è dovuto anche al falso moralismo di Meister Anton, il padre di Klara, preoccupato solo della sua reputazione, il quale, anche dopo la morte di lei, si premura solamente di nascondere il fatto che si è trattato di un suicidio. Se poi l’azione abbia veramente quella necessità interna a cui Hebbel mirava ed egli sia riuscito quindi a scrivere una “tragedia dell’assoluto nichilismo”, è una questione ancora aperta e variamente dibattuta dalla critica. Comunque sia, anche quest’ultimo esperimento rimase senza seguito e poiché non vi è nessuna via che porta dal “dramma borghese” al teatro moderno, si può senz’altro affermare che esso è oggi un genere morto.