Emanuele Ferrari

Tradizione e modernità nel pensiero di Igor Stravinsky


Il presente saggio è stato pubblicato in "Materiali di estetica", CUEM, Milano, maggio 1999, pp. 7-48.


§ 1. Comporre, spiegarsi...

Stravinsky e le parole  è la storia di un amore-odio. La lunga carriera del compositore è accompagnata da dichiarazioni, interviste e da una nutrita corrispondenza, ma questo abbondante spiegarsi a parole ha qualcosa di paradossale. L’autore ama ribadire la sua scarsa fiducia nelle possibilità del linguaggio verbale, ma riconosce d’altra parte che  quando parla, parla troppo,« il che è un’ironia, perchè io non credo nelle parole, perlomeno non come credo nella musica» (D, p. 61) [1].

GianfrancoVinay ha descritto efficacemente lo stato dei rapporti fra compositore, critica e pubblico a partire dagli anni ’20. La «svolta neoclassica»  aveva disorientato un po’  tutti; per gettar luce sulle sue vere intenzioni creative Stravinsky cominciò allora a spiegarsi a parole, «col risultato che spesso al disorientamento derivato dalla sua musica si aggiungeva quello derivato dalle sue rivelazioni estetiche»[2]. L’autore si trovava così a dover dissipare non solo gli equivoci sulla sua musica, ma anche  quelli generati dalle sue parole: seguivano quindi altre  spiegazioni, «che a loro volta si prestavano a fraintendimenti e distorsioni, e così via in una spirale senza fine»[3].

Quanto all’approccio teorico  alla musica e alla formulazioni di ipotesi generali  sull’arte dei suoni, Stravinsky è ancora più drastico. La sua è una mente operante,  votata  alla composizione  più che alla speculazione; non si sente  un intellettuale e le questioni esplicative non lo interessano molto. Nei Colloqui  interrompe spazientito Robert Craft  prima che possa rivolgergli  «una domanda su forme e significati», ricordandogli che i compositori non sono pensatori di concetti. Craft ci riprova con «i giudizi qualitativi», e per tutta risposta si sente dire che la faccenda non riguarda  i compositori ma gli esteti.  Parlare e inventare musica sembrano essere territori  ben separati, al punto che «ciò che un Picasso o uno Stravinsky hanno da dire sulla pittura o sulla musica non ha assolutamente alcun valore in base alla provenienza»; ma l’ironia è in agguato, e l’aggiunta civettuola «quantunque ci piaccia moltissimo parlare concettualmente» rimescola un poco le carte (Cl, p. 300)[4].

La realtà è però più complessa;  abbiamo scelto queste battute di Stravinsky solo per illustrare la sua allergia a un certo modo di porre le questioni, che potremmo definire esplicitamente teorico. La sostanza dei suoi scritti è tutt’altro che priva di rilievi teorici, anche se espressi sotto il segno della reticenza e del pudore intellettuale. Sarebbe del resto ben strano che un attento pianificatore del tempo e delle proprie energie come Stravinsky avesse prodotto materiale sufficiente a riempire cinque libri per il puro gusto di chiacchierare.  Un’attenta lettura dei suoi scritti [5] rivela che la scarsa propensione alle formulazioni generali  riguarda più la forma dell’esposizione  che i contenuti espressi. Stravinsky non è un filosofo e non ragiona in termini sistematici, ma questo non gli impedisce di avere una formidabile capacità di condensarei problemi. Dopo pagine di aneddoti e ricordi personali che talora affaticano il lettore, accade che  poche righe illuminino  un nodo concettuale in tutta la sua complessità.Un tesoro èdunque disseminato in queste opere, che meriterebbero di essere studiate sotto questo profilo. Se la densità teorica di questi scritti sia sufficiente a delineare una vera e propria estetica musicale  è una domanda che attende ancora una risposta esauriente[6], ma senz’  altro essi contengono un pensiero, e tanto  basta per cominciare. Che esso sia  più organico di quanto l’apparenza lasci supporre, vorremmo mostrarlo con questo articolo: in fin dei conti, il miglior modo per dimostrare che una cosa esiste è esibirla.

Per facilitare la lettura, citeremo i seguenti scritti di Stravinsky con una siglatura convenzionale:

Cr  =  Chroniques de ma vie [7]

P   =  Poetique Musicale [8]

Cl   =  Colloqui con Stravinsky [9]

D  =  Dialogues [10]

Th  =  Temes and Conclusions [11]

§ 2. Il nodo dell’argomentare

Nelle Cronache  Stravinsky propone  di educare gli allievi cominciando dalla musica di oggi, anzichè dalla tradizione che ci precede, poichè solo  un sentimento vivo e partecipe dell’attualità  può afferrare l’arte del passato e penetrarne il significato. L’uomo sordo al presente  non coglie che «apparenze cadute in disuso», quando volge il suo sguardo all’indietro (Cr, p. 125): il nostro  rapporto  col passato è vivo solo se è il presente che ci sollecita. Se osserviamo le riflessioni di Stravinsky nel loro insieme, questa traccia può esserci utile. Le considerazioni  sul passato  sono numerose, e la storia,  filo invisibile che unisce argomentazioni lontane, assume negli ultimi scritti un rilievo crescente. Ma il centro dell’interesse e dell’attenzione è l’oggi, l’intricato pulsare di energie e fermenti del quale Stravinsky fa parte, spesso in aperta polemica con i contemporanei:

Mi aspetto che  i nove decimi del raccolto di oggi - a giudicare da quanto in media è avvenuto in passato - mi imbarazzerà domani, e so che una percentuale anche maggiore non  scamperà il mio «miglior giudizio»di qui a un mese (Th, p. 19).

Questo scambio vivo e tormentato con l’attualità ha il suo punto dolente  nei rapporti con la critica e con  l’  ideologia avanguardistica,  la religione del Progresso per cui l’oggi val sempre e comunque  più dell’  ieri (P, p. 64). Di fronte allo sconcerto provocato dalle sue opere, alle riserve dei critici, agli attacchi indirizzati prima al  rivoluzionario, poi al reazionario,  Stravinsky sente il bisogno di riannodare i fili col passato, mostrando che il suo operare artistico è enigmatico solo per un presente che non lo sa decifrare.  Solide  e profonde sono le sue radici nella tradizione, e solo le lenti deformate di un’ideologia stravolta hanno potuto farne un animale raro. L’intento iniziale del discorso stravinskiano èquindi polemico e apologetico, «nel senso di giustificazione e difesa delle mie idee» (P, p.7), ma ben presto l’orizzonte si allarga. Per inquadrare la propria vicenda artistica, Stravinsky delinea  una tensione fra tradizione e rinnovamento che ha segnato la musica occidentale fino alla fine dell’ 800. Questo quadro consente, per contrasto, di cogliere in tutta la sua portata l’  anomalia della modernità,  che ha voluto ridurre quella tensione  a uno solo dei suoi elementi - la novità ad ogni costo.Il punto di partenza - concettuale, si intende, dato il carattere rapsodico dell’esposizione - è quindi una rappresentazione  dogmatica del passato, nel senso, rivendicato dall’autore per questo aggettivo poco à la page,  di «generata da concetti speculativi» (P, p. 9). Quali siano questi concetti non si tarda a scoprirlo leggendo la Poetica della musica: tradizione e linguaggiosono le lenti che Stravinsky indossa per volgersi a guardare l’oggetto amato senza perderlo per sempre - come Orfeo agli inferi.

 

§ 3.  La rappresentazione della storia: tradizione e linguaggio

La tradizione ha agito nel corso della storia come un elemento di continuità. E’  tradizione ciò che dura, qualcosa che accompagna l’avvicendarsi delle generazioni su questa terra. Potremmo  paragonarla a un patrimonio familiare, un lascito che si riceve a patto di farlo fruttare  prima di trasmetterlo ai discendenti (P, p.51). L’immagine richiama da vicino la parabola dei talenti del Vangelo di Matteo, un’ascendenza che Stravinsky non esplicita ma che può aiutarci a capire meglio. L’idea sembra essere questa: in ogni tempo il musicista si èben guardato dal seppellire le ricchezze che la tradizione gli consegnava, per mantenerle intatte; un tale compositore sarebbe infatti un servo infingardo della musica[12], condannato a perdere anche il poco che ha, perchè non lo ha fatto fruttificare. Il servo buono e fedele - per continuare parafrasando il Vangelo - ricevuti cinque talenti, ne guadagnerà altrettanti. Il paragone con il denaro è  ripreso anche nei Themes, dove Rachmaninoff ècitato come esempio di artista «che tira avanti con la poca moneta della sua eredità diretta» (T , p.88). Lo stesso passo chiarisce che le tradizioni sono importanti «linee di discendenza» e, come tali, «senza tempo» (timeless), ma il contesto sembra indicare che  questa espressione significa «non legate a un’epoca». Al di là dell’atteggiamento del singolo artista, le tradizioni sono dunque un fenomeno  di primaria importanza, al punto che potrebbero essere forse pensate «come un fatto universale dell’arte» (Th , p. 88). Le eccezioni sono rare, perchècomporre musica che non abbia davvero niente alle spalle è difficilissimo;  la stessa Sagra della primavera  ha  dietro di sè «pochissima tradizione diretta» (Cl, p.336, corsivo mio), non il vuoto assoluto. Opere che Stravinsky non riesce a ricondurre ad alcuna tradizione sono, all’epoca della Poetica (1939-42),  quelle di Skrjabin e Wagner, che l’autore considera frutto di un’  aberrazione spirituale. Il primo è l’espressione del disordine «ideologico, psicologico e sociologico»che si è impadronito «con sfacciata disinvoltura»della musica nella Russia a lui contemporanea (P, p. 86). Quanto all’Opera d’Arte Totale di Wagner, essa nasce da un confusione fra musica ed elucubrazione filosofica, fra suoni ed aggregati di simboli. «Lo spirito speculativo s’èsbagliato indirizzo e ha tradito la musica con l’aria di servirla meglio» (P, p.55). Il risultato è una musica che «non aveva alcun motivo per cominciare come non ne ha alcuno per finire» (!) (P, p.57). A distanza di vent’anni troviamo un altro esempio, ma sotto una luce ben diversa. John Cage colpisce Stravinsky perchè

nessun gioco di prestigio, nessun trabocchetto sono mai stati scoperti nelle sue esibizioni; in altre parole, non vi è nessuna «tradizione», non soltanto non vi sono né Bach né Beethoven, ma neppure Schoenberg o Webern. Questo fatto èdavvero impressionante, e non meravigliatevi se l’uomo seduto accanto a voi dice sehr interessant (Cl, p. 295).

E’  difficile, a questo punto, non chiedersi qual’è il piano  su cui Stravinsky si muove. Nel nostro  escursus sulla tradizione ci siamo giàimbattuti in diversi livelli del discorso, che sembrano sovrapporsi e confondersi. Il primo è quello dell’analisi storica, per il quale il concetto di tradizione è  qualcosa che  aiuta a capire meglio «come sono andate le cose». Il secondo è quello delle scelte individuali del compositore, libero -almeno entro certi limiti - di rapportarsi alla tradizione in modi diversi e addirittura contrastanti. Il terzo livello è valutativo: Stravinsky utilizza quella che sembrava  una dinamica storica generale-  la continuità delle tradizioni- per rimproverare (o più raramente elogiare) chi non ne fa parte. Non è dunque chiaro se il perpetuarsi delle tradizioni riguardi la descrizione o la valutazione  dei fatti,  se esso abbia a che fare più da vicino con la necessità  storica o con la libertà individuale.

La risposta è che i tre livelli convivono, negli scritti di Stravinsky, in modo non contradditorio nè confuso, ma semplicemente funzionale alle sue strategie argomentative. L’autore non si dàla pena di distinguerli esplicitamente (non dimentichiamo che non vuole essere scambiato  per un filosofo), e talvolta gioca sull’ambiguità che ne deriva. Ma gli elementi che ci offre sono sufficienti per fare chiarezza.

Quando Stravinsky parla di «linee principali di discendenza » (major lines of descent) si riferisce al corso della storia considerato sul lungo periodo e al di là dei singoli individui. La storia della musica èattraversata da correnti profonde di cui la tradizione è un esempio. Queste linee di discendenza non hanno un carattere deterministico. Stravinsky distingue accuratamente l’abitudine,  inconscia e tendente all’automatismo, dalla tradizione, che opera in modo consapevole e volontario. Dal punto di vista dell’individuo, potremmo dire che l’eredità non è un diritto indisponibile, un obbligo cui non puòsottrarsi o un bene da acquisire in blocco. Al contrario, l’erede può accettarne delle frazioni, venderne altre, ignorarne altre ancora. Questo margine di libertà ha  due importanti limitazioni. La prima è che la tradizione esercita sull’individuo una pressione  fortissima, cui è in ogni caso difficile sfuggire. Essa non viene infatti semplicemente «tramandata» di padre in figlio, «ma passa attraverso un processo vitale» che va ben oltre l’individuo: «nasce, cresce, matura, declina e forse rinasce». Anche se l’eredità non è preceduta da un testamento, come suggerisce il poeta René Char, l’artista la sente  «come la morsa di un paio di tenaglie fortissime» (Cl, p. 189). Tutto questo non significa che sia impossibile prescinderne, ma a questo punto interviene la seconda limitazione. E’ben vero che in qualche misura siamo liberi di rifiutare le tradizioni, ma le conseguenze di un tale atto sono gravissime. La tradizione è un elemento basilare del circuito comunicativo  della musica, cioè della possibilità per il musicista di essere capito e apprezzato da chi ascolta. La  cultura è formata da un fascio di tradizioni che convivono, si intersecano, lottano e si sovrappongono. Porsi al di fuori - nella ridotta misura in cui èpossibile - vuol dire rinunciare a comunicare. Stravinsky è tutt’altro che un fanatico dell’audience,   non ritiene che il pubblico sia il miglior giudice delle sue opere e si rassegna a stento al fatto che possa decretarne il successo. Ciò che qui è in questione, però, non è il gradimento del pubblico di oggi o di domani, ma la possibilità stessa di comunicare.  La tradizione è legata a filo doppio alle convenzioni,  come vedremo, e al linguaggio, elementi-chiave della comunicazione intersoggettiva in arte (e non solo). Essa convoglia dunque un’enorme ricchezza che alimenta la creazione individuale, è «una forza viva che anima e informa di sèil presente» (P, p.51); prescinderne significa condannarsi alla sterilità.

Siamo ora in grado di rispondere alle domande che ci eravamo posti.

Il primo livello del discorso riguarda la dinamica storica. Nel corso dei secoli gli artisti hanno operato nell’ambito delle tradizioni che li precedevano. Questo non ha impedito il manifestarsi dell’originalitàe del talento individuale, nè tantomeno lo sviluppo  del linguaggio musicale.Stravinsky evita  ogni riferimento a momenti di frattura nella storia della musica,  delineando una modello storiografico improntato a una sostanziale continuità. E’  questo un piano interpretativo, che vuol cogliere la struttura profonda dei fenomeni.

Il secondo livello è descrittivo: l’autore prende atto delle possibili eccezioni e del fatto che, con i limiti visti, sono possibili delle alternative al modello che ha delineato. Il fatto che le cose per secoli siano andate in un certo modo non esclude che si possa fare altrimenti.

L’ultimo livello è valutativo. La continuità dinamica delle tradizioni è stata per secoli l’espressione di una sorta di «saggezza della cultura», tesa ad evitare la propria disgregazione. Cercare di fare tabula rasa  è possibile ma illegittimo, perchè significa in ultima analisi minare le basi di sopravvivenza dell’arte.

Quest’appassionata difesa delle tradizioni non ha nulla a che fare con un atteggiamento ingenuamente rétro e non comporta il tradizionalismo di chi vuole conservare inalterate le cose: la tradizione è «lontanissima dall’implicare la ripetizione di quel che è stato» (P 51), ragion per cui «a nessun buon artista fa molto piacere quando il suo lavoro viene descritto come «tradizionale» (Cl , p.189).I veri legami con il passato stanno in profondità, vanno oltre la somiglianza materiale tra le opere musicali. A volte sono quasi invisibili.

Con Webern, per esempio, vediamo che le sue origini risalgono alle tradizioni musicali del secolo XIX e di secoli precedenti. Ma il musicista comune non si rende conto di questo in Webern (Cl, p.91).

La somiglianza è nascosta e va cercata con attenzione, dice Stravinsky parlando di tecnica musicale (P, p. 30), ma viene il dubbio che lo stesso valga per la storia.

  Se la definizione delle tradizioni come «linee di discendenza» tende ad evidenziarne la trasmissione, un interesse ancora maggiore presenta l’atto della loro costituzione.  Ciò avviene nei rari momenti della storia in cui il saldo fra l’eredità consegnata ai posteri e il patrimonio ereditato risulta particolarmente cospicuo. «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto» dice il Vangelo[13], e la descrizione di Stravinsky non è molto diversa. Alban Berg è uno dei piùdotati costruttori di forme del Novecento - detto  da Stravinsky  è un complimento enorme - ma

l’eredità che ci ha lasciato contiene ben poco su cui costruire. Egli si trova alla fine di uno sviluppo (...) mentre Webern, la sfinge, ci ha lasciato in eredità non solo le sue intere fondamenta ma anche una sensibilitàe uno stile contemporanei (Cl, p. 49).

Quando questo processosi verifica, le opere musicali diventano simili a potenti focolari; la luce e il calore che esse emanano consentono ai  successori di sviluppare  delle tendenze comuni, alimentando il fascio di tradizioni che compongono una cultura (P, p. 63): tradizione e rinnovamento appartengono  a uno stesso processo.

La tradizione, da sola, non ha però in sè i germi del proprio rinnovamento. Nella dinamica evolutiva che Stravinsky descrive è il linguaggio il vero motore della novità e del cambiamento. Il linguaggio è l’elemento comune a una scuola o a un’epoca. Nel passato esso fungeva da collante, era un sostrato che unificava i diversi modi di esprimersi degli individui. «Haydn, Mozart e Cimarosa si facevano eco l’un l’altro in opere che servivano da modello ai loro successori» (P, p. 66), senza temere di perdere in originalità. E’proprio il comune linguaggio che rende questi compositori indistinguibili per il profano: quando questi ha imparato a riconoscere le identità, cioè i caratteri comuni dovuti alla condivisione di uno stesso linguaggio, le differenze  vengono in rilievo, e appare la fisionomia individuale del compositore (P, p.62). E’come osservare degli individui in strada; da lontano vediamo solo ciò che li accomuna, da vicino risalta l’aspetto dei singoli. Il tipo di vestiti in uso condiziona il modo di muoversi delle persone. Il taglio, la foggia e i  tessuti inducono un modo ben preciso di atteggiarsi nello spazio. Ogni periodo storico ha «un particolare modo di gestire, un portamento, un passo comuni» (P, p. 62) che lo contraddistinguono. Lo stesso accade in musica, dove in luogo dei vestiti ogni epoca si serve di un certo « apparato musicale»; Stravinsky non chiarisce l’esatto significato di quest’espressione, che  crediamo si riferisca a un insieme di fattori che condizionano e precedono l’attivitàdel compositore, come il tipo di strumenti musicali in uso, la lunghezza media dei pezzi determinata dalla loro funzione sociale, la morfologia, la grammatica e la sintassi musicale corrente (il tipo di accordi, le regole di collegamento, le regole di «punteggiatura»), e così via. Questo apparato musicale concorre, attraverso un complesso gioco di mediazioni, alla formazione del linguaggio di un’epoca. Ed ecco il punto chiave: l’alto numero di fattori in campo e la dipendenza dell’intero processo da fenomeni legati specificamente a un singolo periodo storico, fanno si che il linguaggio cambi.  Stravinsky segnala che la foggia e il taglio dei vestiti, punto d’avvio del processo, dipendono dalla moda (P, p. 62). Ma una moda, dirà più tardi, è «una parola più piccola per un fenomeno minore» rispetto a una convenzione.  E le convenzioni sono legate a un periodo (Th, p. 88). Ciò fa sì che il linguaggio sia al tempo stesso un fattore che provoca cambiamenti, e insieme il luogo in cui i mutamenti si rendono visibili.  Scrivendo Mavra, Stravinsky si era consapevolmente rifatto alla tradizione di Glinka e Dargomisky, ai loro «dialoghi in musica» in cui le voci non erano ancora state «coperte e spregiate dal frastuono del dramma lirico»di Wagner (P, p. 53). Ma nessuno di quei compositori «avrebbe riconosciuto per valida, ne son certo, una simile manifestazione della tradizione da loro creata, a causa della novità del linguaggio che la mia musica parla  a cent’anni di distanza dai suoi modelli» (P, p. 53, corsivo mio). Niente di strano, del resto: «Brahms segue la tradizione di Beethoven  pur senza prendergli in prestito nessun capo di vestiario» (P, p.52), cioè esprimendosi con il linguaggio di sessant’anni dopo. E’  il corso naturale delle cose: il senso della tradizione «è un bisogno di natura» (P, p. 52), e i cambiamenti del linguaggio non lo sono di meno. L’aspetto interessante èche il rinnovamento non deriva da una deliberata volontà  di innovazione, ma fa parte del processo storico,  sicompie senza che il singolo individuo lo voglia e, spesso, senza che se ne renda conto. Qualcosa di simile accade del resto nelle trasformazioni del linguaggio verbale, per il quale il fatto stesso di essere continuamente parlato e «masticato» èfonte di incessanti trasformazioni.« Bach e Vivaldi parlavano sensibilmente lo stesso linguaggio, e i discepoli lo ripetevano dopo di loro, trasformandolo senza saperlo, ciascuno secondo la sua personalità» (P, p. 66).

Tradizione e linguaggio si sviluppano secondo una «dialettica viva» (P, p. 105) che comporta tensioni, sfasamenti e opposizioni. «Questi stadi di crescita e ricrescita si contraddicono sempre con gli stadi di un altro processo o interpretazione: la vera tradizione vive nella contraddizione» (Cl ,p. 189). Nondimeno, il principio di continuitàe quello di rinnovamento hanno bisogno l’uno dell’altro: «la Russia ha visto soltanto conservazione senza rinnovamento o rivoluzione senza tradizione, donde quel gigantesco vacillare sul vuoto che mi ha sempre dato le vertigini» (P, p. 105).

La dialettica fra tradizione e linguaggio è il primo risultato cospicuo dell’argomentare stravinskyano sul problema che ci interessa. Il punto nodale è il raccordo tra l’imprescindibilitàdella tradizione, pena l’inaridimento e l’arbitrio, e l’inevitabilità  dei cambiamenti linguistici, che non richiedono uno sforzo consapevole del singolo. Questa posizione si delinea chiaramente nella Poetica,  come ha dimostrato l’abbondanza delle citazioni: Dialogues e Themes and conclusions   faranno fruttare l’eredità di queste formulazioni generali su un terreno più personale e scoperto.

§ 4. L’anomalia del moderno.

L’evoluzione storica, così come Stravinsky l’ha descritta, ha governato il corso della musica per secoli; l’autore, pur non tracciando periodizzazioni chiare, considera omogeneo da questo punto di vista lo sviluppo musicale dal Medioevo alla fine del XIX secolo. Tra la seconda metà dell’800 e il 900 però qualcosa si è incrinato profondamente.L’operare entro una tradizione è divenuto un comportamento censurabile, e il senso della continuità è stato soppiantato da una deliberata frattura con il passato. Sul piano strettamente musicale Wagner èuno dei primi responsabili di questa tendenza, ma il problema è globale. Nella Poetica, la situazione della musica nell’età contemporanea èricondotta a uno scenario globale di degrado culturale e morale, non privo di inflessioni apocalittiche:

Viviamo in un tempo in cui la condizione umana subisce profonde scosse. L’uomo moderno sta per perdere la conoscenza dei valori e il senso dei rapporti. Questo disconoscere le realtàessenziali è estremamente grave e ci porta infallibilmente alla trasgressione delle leggi fondamentali dell’equilibrio umano (P, p.42).

Questo taglio genericamente antropologico, che a tratti assume toni di aperto moralismo e sembra ascrivere Stravinsky al novero dei laudatores temporis acti,  è per la veritàlimitato alla sola Poetica musicale, e non ha riscontro negli scritti successivi. Sulla diagnosi della situazione musicale, invece, l’autore tornerà piùvolte esprimendosi in termini simili; essa merita dunque  maggiore attenzione.

La dialettica fra tradizione e linguaggio, fatta di tensioni e contraddizioni ma anche improntata a sostanziale continuità, delinea il solo significato legittimo della parola evoluzione.   In ambito musicale essa designa specificamente il mutare del linguaggio, a contatto con le sollecitazioni della cultura e della storia, nell’ambito di un rapporto con le tradizioni. Nondimeno della  parola si è abusato sino a venerarla come una dea. Ma questa dea «ha preso una pessima piega, (...) fino al punto da mettere al mondo un piccolo mito bastardo che le rassomiglia e che si chiama il Progresso, con la P maiuscola...» (P, p. 64). Il progresso musicale èdivenuto una religione i cui seguaci proclamano la superiorità del presente sul passato e il valore della novità ad ogni costo. L’aspetto più grave di questa tendenza è che la cultura musicale si sta impregnando di una sorta di orrore per le radici  che lascia tracce cospicue sull’attività del compositore. Per la prima volta nella storia «l’uso dei materiali già sperimentati e delle forme stabilite gli è comunemente vietato» (P, p.65): ciò che per secoli è stato la linfa stessa della creazione è ora diventato un tabù. Le conseguenze sono enormi. Le tradizioni erano un elemento fondamentale dell’unità di una cultura, e l’estrometterle dal raggio della creazione provoca frammentazione e isolamento: la stessa possibilità di comunicare è messa a repentaglio. Da strumento naturale, il linguaggio è divenuto creazione artificiale, perdendo cosìla sua caratteristica più importante, la capacità di mettere in relazione gli individui e raccordare esperienze diverse. Se un  linguaggio condiviso consente di parlare e capire a tutti,la frammentazione in molti linguaggi personali annulla la comunicazione. Isolato e senza  i benefìci di una cultura condivisa, l’artista è condannato a diventare un mostro: «un mostro di originalità, inventore del suo linguaggio, del suo vocabolario, e dell’apparato della sua arte» (P, p.64). La prosa di Stravinsky ha qui risonanze classiche e bibliche. Il musicista, così descritto, ricalca la figura dell’  hybristès, colui che nel mondo greco era colpevole di proterva trasgressione dell’ordine cosmico:« questo disconoscere le realtà essenziali è estremamente grave e ci porta infallibilmente alla trasgressione delle leggi fondamentali dell’equilibrio umano» (P, p. 42). La frammentazione dei linguaggi evoca una Babele moderna, esito inevitabile di un peccato di orgoglio: «venite, scendiamo e proprio là confondiamo la loro lingua, perchè non capiscano uno la lingua dell’altro»[14].E l’innaturalezza di un linguaggio generato ex novodal compositore richiama l’artificioso accoppiamento di Pasifae con il toro di Poseidone, grazie a un simulacro frutto di ingegno perverso: in entrambi i casi il risultato è un mostro.

Con gli anni il tono di Stravinsky si fa più sfumato, ma non cambiano le linee portanti che egli individua nel novecento.

La prima e più importante è la scomparsa della corrente primaria in musica (the musical mainstream). (Se veramente sia scomparsa èuna disputa che richiede argomentazioni  analitiche che non posso produrre qui, ma avevo promesso di esporre soltanto la mia visione personale dei fatti). Il problema che quest’assenza comporta è tale quale il problema dell’uomo senza Dio: l’irresponsabilità; il che nel campo dell’arte si traduce nella ricerca del più vano dei traguardi, la libertà totale; come se l’inattualità e l’inutilizzabilitàdelle regole e delle premesse, delle tecniche e dei sistemi incorporati nell’arte del passato eliminasse il bisogno di cercarne di nuovi.

 I compositori continuano ad essere generati dalle tradizioni, comunque, anche se residuali, frantumate e scopertamente auto-costruite (grazie all’adozione di antenati e all’incollamento posticcio di cianfrusaglie ecarabattole del passato). Tutte le opere d’arte, e di anti-arte, devono avere degli antecedenti, sebbene questi possano essere non facilmente visibili, e nonostante il fatto che il legame possa essere scoperto o tracciato solo dopo molto tempo. (...) E questo dovrebbe mettermi in guardia: il futuro provvederà senz’altro a tracciare connessioni fra ciò che (per me) è più sconnesso nella musica d’oggi. (Th, p. 188)

Abbandoneremo ora la rappresentazione della storia e quella delle anomalie del moderno per scendere sul campo di una partita condotta, per così dire, alla pari con gli ipotetici interlocutori sulle questioni più brucianti della contemporaneità. Stravinsky la gioca su più tavoli, mostrando una flessibilità che dall’autore della Poetica  sarebbe stato difficile aspettarsi.

La situazione che abbiamo descritto non è del resto per Stravinsky un oggetto di studio, ma una realtà quotidiana con cui confrontarsi. A partire dagli anni Venti, per tre decenni il cosiddetto «neoclassicismo»della sua musica non cessa di sollevare interrogativi e perplessità, quando non provochi attacchi e censure. Il senso stesso delle operazioni musicali di Stravinsky  viene messo in questione, si discute la modernità e la legittimitàdel suo approccio al passato; la critica non manca di metterne in rilievo gli aspetti sconcertanti e talora stronca le nuove composizioni come pastiches. La situazione è paradossale. Se si guarda  all’intera carriera di Stravinsky, è difficile considerarlo un incompreso. E’  ciò che gli ricorda Robert Craft:

Nessun compositore impegnato ha esercitato una più grande influenza, ricevuto più larghi riconoscimenti, nessuno piu di lei è stato più frequentemente eseguito in vita (D, p. 62).

D’altra parte, lo Stravinsky ottantenne sente crescere l’amarezza per un isolamento che ha radici lontane:

Mentre non rimpiango affatto di non appartenere ad un movimento, e che la mia musica attuale non risponda ad alcun bisogno commerciale e a ben pochi di altro tipo, mi piacerebbe scambiare qualcosa in  più del rapido incrociarsi  di sfuggita con i miei colleghi. Per come è oggi, non c’è nessuno che veda le cose come le vedo io (D, p. 62).

Se da un lato questo singolare destino produce amarezza, dall’altro stimola Stravinsky a riflettere sulle ragioni del proprio fare, e ad esibire un ampio arsenale dialettico in risposta ai molti interrogativi che la sua musica suscita.Il tono non è sempre difensivo, e il discorso va ben oltre il «diritto di  apologia» invocato nella Poetica.Passo dopo passo, intervista dopo intervista Stravnsky getta luce sul suo   modo di rapportarsi al passato, finendo per delineare una posizione ben precisa e -questo sì- fuori dal coro nella riflessione contemporanea sulla musica.

§ 5. Il frutto proibito

La prima risposta di Stravinsky alle voci insistenti che gli chiedono di render conto  della sconcertante stratificazione stilistica della sua musica è un’obiezione di principio.In un’  intervista con Serge Moreux del 1938, poi  riversata pressochè alla lettera nella Poetica, la questione è inquadrata in termini perentorî. Le aberrazioni del presente non minano soltanto lo stato di salute della musica, ma provocano guasti anche alla facoltà di giudicare le cose. La sete di conoscenza, deviata dagli oggetti cui dovrebbe indirizzarsi, si rivolge a soggetti del tutto impropri e inattingibili. Col gusto per le suggestioni bibliche che gli abbiamo  riconosciuto, Stravinsky non esita a definirlo «un nuovo peccato originale». L’antico peccato originale fu un peccato di conoscenza; questo è invece un peccato di dis-conoscimento di una verità fondamentale.

Non dimentichiamo che è scritto: «Lo spirito soffia dove vuole». Ciò che bisogna fissare in questa frase è la parola vuole; lo spirito è dunque dotato della capacità di volere; la natura di questo principio di volontà speculativa è tale che giudicarlo o discuterlo è di un’inutilità manifesta [15]

Vien da chiedersi cosa abbia a che fare tutto questo con la musica, ma la relazione è diretta. Il compositore combina note, è un creatore solo nel senso che produce oggetti sonori, cosìcome un poeta combina parole. Dal momento in cui questi oggetti esistono, le uniche domande che ha senso porsi sono quelle relative a come  sono fatti e alla loro funzionalità.  E’  una funzionalitàinterna, non strumentale, paragonabile comunque allo stato  di una macchina che lavora con efficienza. «L’albero si giudica dai frutti: giudicate dunque dai frutti, e non prendetevela con le radici» (P, p. 44) Ancora un richiamo evangelico, che tradotto musicalmente significa: non giudicate lo stile. Lo stile è l’essere-così di un opera e non in un altro modo, e la varietà degli stili è simile alla varietàdelle forme viventi.Esso porta a frutto le correnti sotterranee della tradizione -le radici- e al tempo stesso attinge ai misteriosi recessi della personalità individuale. Chiedersi perchè un’opera è scritta in quellostile è  oltrepassare i limiti posti alla conoscenza umana, per scrutare l’abisso che separa il nulla dall’essere. Significa preoccuparsi «della direzione che prende il soffio dello spirito, non della correttezza del lavoro dell’artista» (P, p. 43). Una simile inchiesta è al tempo stesso arrogante e oziosa. Arrogante, perchè esige «che gli si spieghi ciò che per sua natura è ineffabile» (P, p. 45), oziosa perchètrasforma in una questione di diritto un semplice dato di fatto, a somiglianza di quel personaggio di Montesquieu che si chiede « come sia possibile essere Persiani» (P, p. 44) o del Don Ferrante di manzoniana memoria. Ed è scorretta, per di più, perchè confonde la questione del valore  di un’opera musicale col suo diritto all’esistenza. Quand’anche per un caso impossibile si fosse «spiegato» perchè  un opera è così, non si sarebbe fatto alcun passo avanti nel determinarne il valore. Ne segue l’evidente inutilità di giudicare, discutere, criticare il principio di volontà speculativa che è all’origine di una composizione (P, p. 44): indagare la genesi di uno stile è profanare il mistero stesso della creazione.

Lo stile è dunque per la conoscenza un frutto proibito, e lo stesso compositore non sa decifrarne il mistero. Le sue ragioni stanno al di là dell’opera musicale, in un territorio sottratto all’indagine. Il musicista non può «chiarirlo», perchè questo significherebbe esplicitare non solo sè stesso, ma anche una serie di complesse interazioni che stanno del tutto fuori dal raggio della sua consapevolezza. Ciò che egli può fare è operare, ed entro  limiti ben precisi questo operare è e deve essere consapevole. Stravinsky non è un ingenuo, e lo rivendica con orgoglio:

I miei più grandi nemici mi han sempre fatto l’onore di riconoscere che sono consapevole di ciò che faccio (P, p.75, corsivo mio).

Non dobbiamo quindi confondere il rifiuto di occuparsi dei perchè dello stile con un approccio ingenuo a come si compone. L’usodi forme e modelli del passato  è nel raggio di questa consapevolezza, e il compositore è in grado di esprimersi su di esso in termini di dati di fatto. Eccone un esempio. Nel Dicembre 1962 a Los Angeles si rappresenta La carriera del libertino.  La recensione del Los Angeles Times provoca le ire di Stravinsky che denuncia pubblicamente l’incompetenza del critico a giudicare.

Io protesto contro la sua scorretta rappresentazione dei fatti riguardo la mia opera. Il concertato finale, afferma, «prende a prestito una pagina dal Don Giovanni». Non fa nulla di simile (Th, p. 202).

Possiamo dunque legittimamente chiedere al compositore come egli si rapporti al passato, e, prima ancora, come egli guardi alla civiltà musicale che ci precede.

§ 6. L’enigma del passato

Mio caro Evans,

ciò che ti hanno pregato di chedermi è completamente contrario alle mie convinzioni. La prima richiesta -qualche parola di saluto- è inoffensiva e puòessere esaudita. Ma la seconda riguarda un argomento che, secondo me, non dovrebbe essere neanche sfiorato. In realtà, cosa posso pensare del futuro (che non esiste, perchè è il futuro)? Allo stesso modo, preferisco non esprimermi sul passato, perchè non esiste più. Quanto al presente, poichè sono parte di esso, mi trattengo dal parlarne, non essendo certo della fondatezza delle mie opinioni. Cerca, caro Evans, di far sì che questi signori capiscano il mio imbarazzo, e pregali di non chiedermi di riconsiderare il mio rifiuto[16].

Il passato non esiste più, il futuro non ancora. L’unica dimensione temporale cui Stravinsky accorda uno statuto di realtà è il presente. Questa preminenza del presente è un motivo ricorrente negli scritti di Stravinsky, e basterebbe da sola a impedire di considerarlo un nostalgico dei tempi andati (quantunque Stravinsky provi  delle nostalgie, e a volte le esprima).

Non possiamo fare l’amore al futuro, o ascoltare gli adagi dei «Razumovsky» [17]con il   pensiero che i quartetti successivi contengono anche «miglior» musica (Th, p. 256).

Lo stesso vale per le opere composte da Stravinsky nella sua lunga carriera di musicista. Alla domanda di Craft, se egli non scorga nell’enorme risonanza che la sua musica ha avuto, nonostante le incomprensioni, i segni di un trionfo, la risposta, sorprendente per un uomo di ottant’anni, è:

Grazie, ma difficilmente riesco a vedermi sotto questa luce; e il catalogo delle mie opere passate non mi interessa tanto quanto le mie opere attuali, che quel catalogo tende a mettere in ombra (I, p. 62).

La nostra visuale del passato è soggetta alle inevitabili imperfezioni della ricezione ottica. Man mano che le cose si allontanano, sbiadiscono e sfuggono alla nostra percezione. Ma ciò che si sottrae ai nostri sensi, per noi è morto: la storia ci lascia intravedere solo oggetti senza vita. Avulsi dal contesto che li rendeva decifrabili, cessano di irradare significato e di offrirsi come totalità; «ci lasciano appena degli aspetti della loro realtà defunta» (P, p.23) e diventano per noi degli enigmi.

Il passato si sottrae ai nostri tentativi di afferrarlo. Ci lascia solo delle cose sparse e il legame che le unisce ci sfugge (P, p. 24).

Ciò che l’arte del passato ci presenta sono «apparenze cadute in disuso» e «un linguaggio che non si parla più» (Cr, p.125). Qualcuno rimarrà sconcertato a questo punto, stentando a riconoscere nell’autore di queste dichiarazioni l’enfatico apologeta della tradizione che abbiamo incontrato sopra. La realtà è che qui Stravinsky parla da un punto di vista diverso. Tradizione  e passato, nel senso in cui l’autore usa queste due parole, non sono affatto sinonimi.Al di là delle apparenze, la dimensione della tradizione è il presente.

Una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sè il presente. In tal senso è vero il paradosso che tutto ciò che non è tradizione è plagio...(P, p. 51)

Quando Stravinsky invoca i benefici delle tradizioni, non pensa al passato: la sua apologia della tradizione è un’apologia del presente.  La tradizione viene dal passato, ma non è passata essa stessa: è’  «il passato» nel momento in cui lasciamo che agiscain noi. Si tratta di una dinamica profonda di cui non possediamo il segreto; la nostra consapevolezza si limita-nel caso migliore- alle nostre operazioni.  Il passato cui si riferisce lo Stravinsky che abbiamo appena incontrato, con formulazioni suggestive che fanno pensare a De Chirico, è invece il passato come oggetto di conoscenza razionale.  Altro è farlo agire in noi, altro èfarne un oggetto di indagine conoscitiva, considerandolo nel suo complesso. E’  qui che ci scontriamo con il suo apparente mutismo, col mutarsi delle braci in cenere opaca. La distinzione non potrebbe essere tracciata più chiaramente:

Per quanto mi riguarda, l’esperienza mi ha dimostrato da gran tempo che ogni fatto storico, vicino o lontano, può essere messo a profitto come uno stimolo che ridesti la facoltàcreatrice,ma in nessun caso come una nozione capace di chiarire le difficoltà (P, pp. 24-5).

§ 7. Un animale da preda

I relitti del passato hanno però in sè una vita latente, invisibile all’occhio del collezionista. Se ci è impossibile conoscere fino in fondo il passato, non èdetto che esso -come oggetto per noi- sia morto per sempre. Possiamo operare su di esso, e infondere nuova vita ai suoi frammenti sparsi. E’  ciò che Stravinsky ritiene di aver fatto con Pulcinella, balletto costruito su frammenti di Pergolesi (e  di vari altri autori che la critica ha successivamente individuato). Niente a che fare con la filologia o l’  imitazione stilistica: non è nelle sue intenzioni produrre  contraffazioni. L’istinto di Stravinsky è quello di ricomporre  tutto: non solo i lavori che gli vengono sottoposti per un parere, ma anche i  classici del passato e persino la sua stessa musica, se non fosse troppo occupato a comporne dell’altra. E’  una sorta di istinto predatorio, paragonabile a quello di un cane da caccia. Stravinsky parla di   saliva   musicale in relazione al desiderio di comporre,e l’amico Ramuz si rivolge a lui  come a un cacciatore nato:

Ciò che  amate è vostro, ciò che  amate deve essere vostro. Vi gettate sulle vostre prede, voi siete un uomo da preda[18]. 

La composizione di Pulcinella comincia direttamente sui manoscritti di Pergolesi, «come se stessi correggendo un mio vecchio lavoro» (Cl, p. 308): ecco un’applicazione letterale del precetto «si costruisce bene solo sull’immediato», enunciato anni prima! (P, p.25). In questo caso, Stravinsky ha utilizzato anche lo strato più  riconoscibile della sua «fonte», quello direttamente legato per il profano alla fsionomia dell’opera:i temi e le melodie. A fronte del chiasso provocato dal suo lavoro,  può così permettersi di osservare trent’anni dopo che la cosa notevole non è «quanto sia stato aggiunto o cambiato, ma quanto poco» (Cl, p.308).

Pulcinella apre la stagione delle «avventure amorose» verso il passato; molti anni dopo, La carriera del Libertino sembra chiuderla - ma questo, si badi, è un luogo comune della critica con cui l’autore non è affatto d’accordo, come vedremo.

Avendo scelto un soggetto d’epoca, decisi di assumere anche le convenzioni di quel periodo, sebbene la musica rispettabile (progressiva) le avesse dichiarate  giàallora morte da molto tempo. Il mio revival, se di questo si è trattato, non includeva l’ammodernamento o l’aggiornamento (che sarebbero stati in ogni caso auto-contradditori); e certamente non avevo ambizioni come riformatore sulla linea di Gluck, Wagner, Berg. Infatti questi grandi seguaci del progresso (progressivists) avevano cercato di abolire molti di quegli stessi clichés che, per i miei propri scopi, io cercavo di ristabilire. Al tempo stesso, le mie reintegrazioni non erano concepite per soppiantare le loro -nel frattempo- convenzionalizzate riforme, come ad esempio i sistemi di Leitmotiv di Wagner e Berg (Th, p. 54).

Lo scenario, come si vede, è articolato. Le operazioni  che Stravinsky compie sono molto diverse nei due casi che abbiamo esaminato. Nel primo l’elemento di raccordo fra passato e presente era il materiale musicale, nel secondo un insieme di convenzioni.  Il termine è cruciale nel pensiero di Stravinsky, al punto che, per quanto ci è dato di sapere, è l’unico concetto di un qualche spessore teorico cui l’autore dedichi  due pagine consecutive (Th, pp. 88-100)  senza divagazioni. La domanda che provoca questo insolito sforzo definitorio è semplice: «cosa intende per convenzione?»

Qualcosa di abbastanza ampio. Ma le nozioni implicate sono molte e non posso darneuna definizione. Potrei dire che io stesso sono un compositore convenzionale, ma questo non getterebbe luce dato che non riesco a immaginarne di altro tipo. E potrei volgermi a qualcuna delle etichette convenzionamente assegnate in opposizione a «convenzionale», come «rivoluzionario» e «spontaneo», ma le pose da loro evocate proverebbero che anch’esse hanno le loro convenzioni, per quanto diversa sia l’enfasi messa sulla parola. O potrei tentare una definizione per differentiam, e scartare significati che sono decisamente non miei, come l’equivalenza del convenzionale con il fuori moda. Ma questo non ha senso per me perchè una moda è una parola più piccola per un fenomeno minore. Così, le mode degli anni Cinquanta includevano automobili a pinna di pesce, occhiali sgargianti e reticelle da chignon, ma il principio che governa l’incidenza di cose simili èuna convenzione, in parte del sistema economico.Il termine si applica anche a un genere di arte che tira avanti con la poca moneta della sua eredità diretta; Rachmaninoff ne è un esempio e così, penso, la maggior parte dell’arte che ha successo commerciale. E la parola è usata ancora in un altro senso dai cartografi, come ho ultimamente appreso da The Vinland Map, per i quali un profilo «convenzionale» significa una copia di uno giàesistente, per distinguerlo da un profilo «realistico», che è il frutto di una vera esplorazione. Ma questi non sono i miei significati, come ho detto. Per me, le convenzioni sono codici di intesa e, come tali, agenti (agencies) della tradizione e dello stile. Differiscono dalle tradizioni in questo, che vengono cambiate piuttosto che sviluppate. E nel fatto che sono legate a un’epoca: le tradizioni, essendo linee principali di discendenza, sono immutabili. Forse si potrebbe pensare la tradizione come un fatto universale dell’arte, e la convenzione come uno locale.

Senz’altro Lei ricorda la discussione nel Cratilo, con Socrate che dapprima arbitra e poi rifiuta la tesi di Ermogene che i nomi non siano attaccati alle cose per natura masiano convenzioni fra chi li adopera. Bene, per quanto mi riguarda sto dalla parte di Ermogene, anche se contraddetto dalla moderna filologia che tien fermo che i nomi  possiedono un « valore d’eco»  e che le convenzioni sono tutto fuorchè arbitrarie; e dalla fisica moderna, se ben comprendo  «Pregiudizi di natura» di Oppenheimer. Ma in arte, l’intesa degli utenti, la reciproca comprensione dei partecipanti alla transazione artistica, sono tutto. Le derivazioni dalla natura non sono compito dell’artista, essendo per lui la natura soltanto un’altra convenzione.

Il fatto che le convenzioni siano «un fatto locale» dell’arte non inganni: esse sono sostituibili ma non eliminabili.  Nessuna «natura»sta dietro di esse, e la pretesa rivoluzionaria di abolirle sfocia inevitabilmente nell’imposizione di altre convenzioni-in questo caso, davvero «convenzionali» nel senso deteriore del termine.Al lettore non saràsfuggito il fine inciso con cui, nel passo sul Libertino,  Stravinsky sottolineava che la riforma wagneriana del dramma era stata nel frattempo convenzionalizzata.  Il tema non è nuovo: nella Poetica l’autore osserva infastidito che l’azione del musicista tedesco aveva prodotto sì l’accantonamento delle convenzioni dell’opera, ma solo per sostituirle immediatamente con la dittatura della melodia infinita -convenzione tanto poco «naturale» quanto quelle che rimpiazzava, potremmo osservare sulla scorta dei Themes, ma «molto più incomoda» (P, p.70).

Il rischio non consiste dunque nell’avvalersi dei luoghi comuni, ma nel fabbricarli e imporre loro forza di legge (P, pp. 70-1).

Quest’osservazione rende più chiaro il senso della precisazione, vista sopra, che il recupero stravinskyano di convenzioni pre-wagneriane non intendeva soppiantarequelle nel frattempo introdotte. La musica si fa fuori dagli imperativi assoluti -un tema, questo, che non mancheremo di sviluppare.

Materiale  musicale e convenzioni  non esauriscono l’arsenale che il passato mette a disposizione di chi vuole appropriarsene. Negli scritti di Stravinsky potremmo identificare molti altri aspetti che sollecitano di volta in volta le sue attenzioni interessate: stile, principi costruttivi, modi di dire, formule, procedimenti tecnici. Anche senza analizzarli nel dettaglio,si intuisce un atteggiamento di fondo: il rapporto con il passato che l’autore descrive è articolato, variegato, giocato a vari livelli e non riconducibile a un’unica formula.

E’  abbastanza chiaro, a questo punto, ciò che Stravinsky fa quando compone, o più esattamente qual’è la versione che lui ne dà nei suoi scritti. Molte questioni peròrimangono aperte, nonostante la consapevolezza che il musicista ha mostrato di possedere anche come pensatore. L’argomentare di Stravinsky è mobilissimo e sfaccettato, simile a un albero i cui mille rami oscurino la vista del tronco, ma le radici sono sostanzialmente tre, ognuna gravitante intorno a un problema:

                 1) è lecito  fare un uso simile del passato?

                 2) il risultato si può ancora definire originale  ?

                 3) opere così concepite contribuiscono al progresso musicale?

§ 8. Lo specchio sacrilego

Djagilev, impresario di Stravinsky, nel commissionare Pulcinella si aspettava probabilmente un lavoro di routine,  un pastiche reso gradevole dall’eleganza dell’orchestrazione. Quando ne ascoltò la musica, lo choc  fu tale che per un bel pezzo se ne andò in giro con un cipiglio che pareva impersonare «Il Secolo Decimottavo Offeso» (Cl, p.308). Stiamo parlando della stessa persona che pochi anni addietro,dopo che la «prima» della Sagra della Primavera  era stata sommersa dal frastuono e dagli insulti del pubblico, aveva commentato: «Proprio quello che volevo!» A lungo andare, le incursioni nel passato sconcertarono più delle «rivoluzionarie» novità del «periodo russo».

Sulla ammissibilità  di una simile operazione, la posizione di Stravinsky è coerente con quanto abbiamo  visto in precedenza:

Non soltanto io sento di avere la coscienza netta da ogni sacrilegio; ma ritengo che il mio atteggiamento di fronte a Pergolesi sia il solo che si possa non sterilmente assumere di fronte al passato (Cr, p.133).

La chiave di questo passo sta nell’avverbio sterilmente.  Le vestigia del passato, ove ci si limiti a custodirle, sono inerti.I tesori che archivisti e conservatori difendono  da ogni profanazione sono tanto sacri quano morti. Il solo modo fecondo per approcciarli è mettervi mano, farli fruttare come stimolo per la facoltàcreatrice. Non possiamo resuscitare i morti, ma possiamo penetrare il significato del passato per via di un’intuizione che accompagna la facoltà creativa. Non si tratta di un processo conoscitivo, ma di un forte impulso generativo, che non a caso viene descritto con metafore sessuali. Il «rispetto» invocato dalle vestali del tempio, inoperante, condanna alla sterilità ciò che vuol preservare. L’amore è operante, feconda ciòche vuol possedere e ne penetra l’essenza.

E’ il rispetto o l’amore che ci spinge a penetrare la donna? Non è unicamente per mezzo dell’amore che si riesce a penetrare l’essenza di una creatura? E poi, l’amore diminuisce il rispetto? (Cr, p.132).

Cosicché, per tutti coloro che hanno gridato «si lascino stare i classici», spesso senza neppure conoscerli ,« la mia risposta fu ed è ancora la stessa:Voi ’rispettate’, io amo» (Cl, p. 309).

Lo slancio vitalistico di queste formulazioni  aquista un’inflessione diversa se si considera che ciò che rinasce è senza equivoci una cosa diversa  da quella che ne ha stimolato la creazione. L’impeto creativo non annulla la distanza che ci separa da essa, ma la conferma: non ci restituisce il passato così com’era.  In termini assoluti, la memoria non produce che illusioni, ma la vita dei ricordi oggi è più importante della verità di ieri. E’  tutto ciò che ci rimane, ed è più che sufficiente a nutrire il presente.« Un’illusione val meglio, in simili argomenti, di una realtà morta» (P, p. 23).

Mi chiedo se la memoria sia verità e so che non può esserlo,ma so che ciononostante si vive di ricordi e non di verità (Cl, p. 238).

I ricordi rappresentano delle sicurezze, sono anzi molto più «sicuri» degli originali quanto più questi si allontanano da noi. Stravinsky ne parla a proposito dei suoipersonali ricordi, ma forse qualcosa di simile vale anche per la memoria «storica», se è vero che, in definitiva, di Pergolesi può dire che «Pulcinella è l’unica ’sua’  opera che mi piace» (Cl, p. 53). Questo è il motivo per cui è improprio ragionare di violazioni  o  sacrilegi: nonostante le apparenze, il centro ultimo dell’interesse e delle operazioni che il compositore mette in atto non è il passato.  Prendiamo Il bacio della fata, altro caso-limite di attenzione predatoria. L’opera ècostruita a partire da un abbondante materiale di Cajkovskij, nello spirito di un reverente omaggio. Ma ecco che parlando della sua infanzia Stravinsky ricorda Pietroburgo, la cittàcolor ocra, impregnata di odori, serbatoio di suoni e rumori di ogni genere. Durante il carnevale i contadini finlandesi vi portavano  alci che trainavano slitte, da noleggiare alla gente in festa.

Facevano parte di un realistico mondo fiabesco, la cui bellezza perduta ho cercato più tardi di   riscoprire, specialmente in Hans Christian Andersen (Le Rossignol, Le baiser de la fée) (Cl, p. 246).

La musica di Cajkovsky, benchè venerata dal nostro autore, non è dunque il termine ultimo della catena di relazioni che rendono significativa la composizione. Scavando nel passato, Stravinsky  cerca sempre, in prospettiva, se stesso e il suo mondo; non dimentichiamo che nella Carriera  di un Libertino, se aveva ristabilito delle convenzioni l’aveva fatto per i suoi scopi [19] e Pulcinella,  che fu epifania e scoperta del passato, è descritto come «uno sguardo allo specchio» (Cl, p. 309).

§ 9. Forma e sostanza

In che termini si possono definire originali composizioni che fanno un così largo uso di elementi preesistenti? (evitiamo il termine modello  perchè comporta una relazione statica  con l’originale - sia essa l’imitare o il copiare - e poco selettiva - di un modello si riproduce il più possibile).

Stravinsky rivendica per se stesso un temperamento decisamente non accademico. L’equivoco sull’originalità si deve al fatto che egli si èfrequentemente servito di formule e procedimenti accademici, senza nascondere il piacere che provava a farlo. Ma di qui ad abdicare al proprio ruolo come compositore c’è un abisso. Formule e procedimenti sono stati null’altro che il materiale da cui partire. Il punto focale è la questione dello stile, che nella Poetica era stata affrontata in chiave metafisica, come confine ultimo per la conoscenza. Nei Dialoghi  èripresa in chiave più «laica», ribadendone l’insondabilità e il profondo legame con la personalità artistica individuale.

Sebbene io sia stato occupato con questioni di stile musicale (musical manners) per tutta la vita, non sono in grado di dire con precisione che cosa questo stile sia. Ciò avviene, credo, perchè lo stile non èpre-compositivo, ma appartiene all’essenza dell’atto musicale: il modo di dire e la cosa detta sono, per me, lo stesso. Ma  non sono forse  consapevole in modo non  comune della questione-stile, nondimeno? Tutto ciò che posso dire èche le mie maniere (manners) sono il mio personale rapporto con il mio materiale. Je me rends compte in esse. Attraverso di esse io scopro le mie leggi. La direzione dell’intervallo melodico che segue una nota èconnesso con la maniera dell’intero lavoro. Così, il trillo del clarinetto al «lux facta est» è una manifestazione delle mie maniere in Oedipus: il trillo non è solo un trillo ma anche un indispensabile manierismo. Mi è stato detto che cose simili indicano semplicemente  la consapevolezza culturale che si trova in tutti gli emigrés, ma io so che la spiegazione è più profonda di questa, perchèlavoravo e pensavo esattamente nello stesso modo in Russia. I miei modi sono la voglia sulla pelle (birthmark) della mia arte [20] (D, pp. 26-7).

Questo brano  fissa le linee di quello che potremmo chiamare il formalismo  stravinskyano.La parola è stata usata in relazione al problema dell’espressione musicale e alle categoriche asserzioni dell’autore sulla sua impossibilità. Nondimeno, da un’analisi a tutto campo dei suoi scritti la fisionomia generale del pensiero di Stravinsky su questo punto risulta assai diversa, al punto che la qualifica di formalistaappare inadeguata[21]. Più appropriato ci sembra l’uso del termine in riferimento alla tesi che il modo di dire e la cosa detta siano lo stesso, tesi che non contesta l’espressività della musica ma la  disgiunzione tra «recipiente»-lo stile- e  contenuto -il materiale musicale-o, se si preferisce, tra un vestito e un corpo libero di indossarlo o disfarsene rimanendo se stesso.  La cosa sta a cuore a Stravinsky, che la ribadisce piùvolte. Per esempio, tra i caratteri elencati in un «gioco delle differenze» tra lui e Schoenberg, l’ultimo riguarda lo stile.

 Stravinsky:

’Ciò che il filosofo cinese dice non può essere separato dal fatto che lo dice in cinese’  (Preoccupazione per maniera e stile).

 Schoenberg

’Un filosofo cinese parla in cinese, ma cosa dice?’(’Cos’è stile?’) (D, p.108).

Ancora nei Dialoghi  :

Si può dire la stessa cosa in diversi modi? Io non posso farlo, n ogni caso, e per me l’unico modo possibile non sarebbe indicato piùchiaramente fra tutte le scelte possibili se fosse dipinto di blu (D, p.45).

L’aspetto interessante è che  questo formalismo viene messo in relazione con la personalità del compositore. Il modo di scrivere musica è una  relazione,la relazione personale del compositore con il suo «materiale musicale». L’alludere, parlando di stile, alla maniera  rinascimentale -allusione resa esplicita dal richiamo al Manierismo, come abbiamo visto sopra- richiama l’idea di un’impronta personale che l’artista lascia sulla materia.  Sullo sfondo c’è il problema metafisico della libertà e della necessità, che Stravinsky avverte in modo fortissimo (P, pp. 58 e sgg). Non possiamo determinare chi siamo, ma solo diventarlo e -eventualmente- prenderne atto. Lo stile non è qualcosa che precede la composizione, un’armatura che il compositore possa forgiarsi prima della battaglia. Quell’armatura è il suo corpo  come gli si rivela nell’atto di combattere. Ma il crogiuolo creativo, in se stesso, è inscrutabile. Il compositore può solo viverlo in tutta la complessità della sua persona, come «uomo totale». Solo dopo, raffreddata la lava, egli può prendere atto dello stile.

La musica di Edipo fu composta dall’inizio alla fine nell’ordine in cui è ora. Non ero consapevole della questione della maniera quando composi il primo coro, e quando cominciai davvero a capirlo, nell’aria di Edipo,  potevo averla stabilita  eccessivamente, cioè troppo convenzionalmente (D, p.28).

Lo stile, lungi dall’essere prefabbricato, può  sorprendere lo stesso compositore -così come spesso ci  sorprendiamo di noi stessi. Notiamo per inciso che il discorso non inclina minimamente verso la nozione di «inconscio» proposta dai «moderni psicanalisti ,i quali, sotto un apparato pseudoscientifico, operano soltanto una miserabile profanazione degli autentici valori dell’uomo e delle sue facoltà psicologiche e creatrici» (P, p.7). La connessione che conta, per Stravinsky, è quella con la legge: «attraverso di esse (le mie maniere) io scopro le mie leggi». Lo stile è dunque libero, in quanto manifestazione individuale non determinata dall’esterno, ma non è arbitrario: è l’espressione di un senso profondo della necessità. Diventa così più comprensibile un’affermazione che molti anni prima  poteva sembrare dettata da nervosismo e stizza:

Ogni cosa sentita e vera è suscettibile di avere sviluppi enormi. Non sono capricci della mia natura. Io sono su un ben saldo cammino[22].

Lo stile è  l’espressione del personale senso della necessità musicale del compositore, al punto da riguardare la direzione acendente o discendente di ogni singolo intervallo. E’  chiaro ora qual èil nucleo della visione di Stravinsky sull’originalità. Ai fini della relazione  con la personalità del compositore, l’utilizzo di un materiale o di un altro è totalmente indifferente. Nel momento stesso in cui viene «ripetuto» in una lingua diversa, il materiale di partenza diventa  una cosa diversa che reca il marchio di fabbrica -la «voglia sulla pelle» dell’autore. A quasi novant’anni, Stravinsky rivela compiaciuto che in russo il suo cognome ha una forma aggettivale e non nominale, cosicchè lui non è propriamente Stravinsky ma Stravinsk-yano! e con ironia riconosce che in passato l’aggettivo «ha spesso modificato nomi» come Gesualdo, Pergolesi e Bach (Th, p. 32).

§ 10. Evoluzione e progresso

Nessun sacrilegio dunque, ci assicura Stravinsky, e nessun timore per l’originalità. Il suo cammino è sicuro. Ma qual’è il suo  contributo al progresso?

Se un compositore possa far uso del passato come ho fatto io, e nello stesso tempo muoversi in direzione del progresso è una questione per PR che non mi toccòaffatto durante la stesura del lavoro (Th, p. 54)  (Il lavoro è La carriera del libertino).

  Nella Poetica  il progresso era stato sprezzantemente definito  come un figlio bastardo dell’evoluzione, e i tardi scritti di Stravinsky ampliano questo tema. La sua concezione dell’arte èper nascita e cultura non-progressiva, e l’aver vissuto in una società che pensa il contrario non gli ha fatto cambiare opinione. In particolare, non crede che nel cammino dell’arte ogni passo cancelli o invalidi i precedenti. La serie di alberi che Mondrian ha dipinto, per esempio, può essere pensata come un percorso dal rassomigliante all’astratto: ma nessuno sara tanto sciocco da considerarne uno piùo meno bello per il fatto che è più o meno  astratto (Cl, p. 90). Un’idea di progresso cumulativo si può applicare talvolta alla scienza, ma nell’arte non c’è alcuna connessione fra avanzamento  e valore.  La musica cambia continuamente, ma la sua traiettoria mostra i segni di un evoluzione nel linguaggio, non di un maggior valore intrinseco delle opere. Ogni epoca «avanza»solo nel senso che sviluppa lo strumento del linguaggio secondo le proprie esigenze, modificandolo nel ritmo, nelle combinazioni sonore, nelle strutture.Le tecniche della scrittura seriale, per esempio, «ampliano ed arricchiscono lo spazio armonico; si comincia a sentire più cose e in un modo diverso da prima» (Cl, p.13). L’evoluzione della musica, come Stravinsky ce la presenta, somiglia alla graduale esplorazione di un vasto  territorio:ogni epoca abita  la nuova parte che ha scoperto. Si esplora e si abita semplicemente più in là, non più su o più giù:non c’è  vetta che guidi il nostro cammino.Il territorio, inoltre, non ha la forma di una lingua di terra, e tantomeno di un sentiero. Esso ci circonda, le linee che possiamo tracciarvi sono ben più di una:

Se la mia musica da Apollo a Oedipus sino alla Carriera del libertino non ha continuato a esplorare nella direzione di cui oggi si interessa la giovane generazione, queste composizioni continueranno nondimeno ad esistere (Cl, p. 90).

L’evoluzione della musica per Stravinsky si differenzia quindi dal progresso musicale  su almeno tre punti:

1) riguarda specificamente «lo strumento del linguaggio»

2) ammette una pluralità di direzioni simultanee (con-temporanee)

3) è del tutto sganciata dal valore intrinseco della singola opera.

§ 11. I labirinti della storia

Evoluzione  rimane comunque un concetto difficile da maneggiare. Così  formulato  vale in linea di principio e in termini generali, qualitativi. Se ci volgiamo alla realtàpresente e alla storia, le cose si complicano. Non possiamo «misurare» l’evoluzione, nè farne un criterio  per i fenomeni musicali e neppure trasformarla in uno strumento esplicativo  della realtàpresente nel suo complesso. Questi atteggiamenti intellettuali sono infatti per Stravinsky i peggiori nemici della musica, e producono mostri. Il presente è multiforme e complesso, e la storia tende continuamente a eludere le insidie di chi voglia ridurla a schemi concettuali o, peggio, parlare a suo nome. Non ha fiducia nella storia, Stravinsky, tantomeno nella nostra capacità di vederci chiaro. Cos’è vecchio e cos’è nuovo, intanto? la differenza fra i due termini  pare evidente, ma non così l’identificazione  di ciò che appartiene all’uno o all’altro.

Il nuovo non può essere isolato dal vecchio, e neppure giudicato interamente in relazione a quest’ultimo.La domanda si volge allora alla misura di chi individua la novità. Come descrivere, ad esempio, cosa c’èdi nuovo nelle mie nuove Variazioni? E qualunque novità possa esserci, mi è venuta in modo naturale, ma non può sembrare naturale a un critico, anche a uno che mi conosce sotto forma del mio intero passato, per la semplice ragione che lui non è me (Th, p. 84).

Per la musica del passato la situazione non è diversa. Per uno di quei curiosi ribaltamenti che talvolta segnano il corso storico, la percezione  che oggi abbiamo di Monteverdi èinvertita rispetto a quella dei suoi contemporanei. Lo stile antiquato della cosiddetta Prima Pratica, con le sue esplorazioni del ritmo e le sue tensioni contrappuntistiche, suona oggi più moderno dello stile declamatorio della Seconda Pratica, ricco di  innovazioni armoniche (Th, p. 120). Ma le cose possono cambiare, e non è detto che il futuro non riservi nuovi capovolgimenti:il giudizio storico è un fenomeno oscillatorio.

Ho vissuto abbastanza a lungo per vedere «la storia» agire sulla mia stessa musica, per vedere il colorito degli stessi pezzi, da Rosso, farsi Grigio Aziendale (Th, p. 89).

Destino simile, con una punta di ironia, è toccato a La carriera del libertino, il cui preteso «passo indietro» ha assunto oggi un aspetto di radicale lungimiranza, grazie a un’  epidemia di opere «progressive» malfatte ( Th, p. 4).

Vecchio e nuovo non sono dunque designatori rigidi  ma indici comparativi, soggetti alla relatività e alle contraddizioni di ciò che muta nel tempo. Lo stesso può dirsi del valore:

una storia del valore si muoverebbe a volte ciclicamente, altre volte totalmente fuori dalla cronologia, saltando, in entrambe le direzioni,  generazioni e anche secoli (Th, p. 135).

Il corso della storia non è lineare; tanto meno lo è l’evolversi dei criteri di giudizio. Le due spirali possono avere punti di intersezione, ma non sovrapporsi interamente.

La ragione di questa inaffidabilità del giudizio è che tanto i criteri con cui si giudica la novità quanto quelli con cui si stima il valore non sono neutrali ma legati a un’estetica.

E’insito nella natura delle cose -così si  determina l’ininterrotto procedere dell’evoluzione nell’arte e nelle altre attivitàumane- che le epoche immediatamente prossime si allontanino temporaneamente da noi, mentre altre epoche, più remote, ci ritornano familiari. Ecco perchè non riterrei coscenzioso da parte mia il formulare oggi (nel 1935) un giudizio su Debussy. E’chiaro che la sua estetica e quella della sua epoca non sarebbero in grado, attualmente, di stimolare il mio appetito e di nutrire il mio pensiero musicale: ciò non mi impedisce di riconoscere la sua prepotente personalitàe di rendermi conto della distanza che corre tra lui e i suoi numerosi satelliti (Cr, p. 141).

L’evoluzione delle cose umane trascina con sè non solo il linguaggio musicale, ma anche le coordinate estetiche di ogni epoca. Queste intervengono nella formazione del giudizio, che èalmeno in parte influenzato da criteri di familiarità e vicinanza fra l’opera e chi la giudica. Il nostro sguardo all’indietro è dunque selettivo e pesantemente condizionato: non abbiamo una ma molte storie, e nessuna ci offre il cos’era ma solo la determinazione, più o meno inconscia, del cos’era  da parte di coloro che compiono le scelte  (Th, p. 89).

Tutto questo fa sì che, per Stravinsky, il tempo non sia galantuomo.Oggi, per esempio,le convenzioni cambiano con velocità crescente. Questo disturba l’autore perchè

la comunanza dei principi che è sempre esistita da qualche parte nel background si è sgretolata. Ma è forse un problema  -voi direte, la posterità non distingueràforse le pecore nere dal gregge? Ebbene, non ho molta fiducia nella giustizia del tempo, e considero frutto di compiacenza il pensare che sebbene ciò che c’è può essere sbagliato, il tempo lo renderàgiusto (Fu Solone il primo a pretendere che il tempo dica il vero, e Mill a proclamare al contrario che ’la Verità non ha alcuna  intrinseca possibilità, che sia negata all’errore, di prevalere’?). Ma il tempo puòconsacrare l’errore (Th, p. 89).

Nessuno ha la chiave dello sviluppo storico. L’espressione  «processi consequenziali» è gergo progressista, non ci aiuta  a capire meglio le cose.

E’  ovvio che suona meglio essere consequenziali che non esserlo, poichè la promessa di più alti sviluppi nelle fasi future implica una superiorità. Ma io non credo nello storicismo lineare, fuorchè come mezzo per aprire  territori medio-occidentali [23] della mente ai candidati al dottorato.

 Il più consequenziale è spesso semplicemente il meglio piazzato, il più facilmente visto o ascoltato, e  il non-consequenziale (in senso storico) semplicemente il meno accessibile, spesso proprio a causa delle innovazioni interne ed esterne di pensiero e comunicazione (Th, p.135).

E’  il caso  degli ultimi quartetti di Beethoven e specialmente della Grande Fuga, che per le sconvolgenti novitàdi linguaggio pare smentire ogni relazione necessitata tra il musicista e la sua epoca, ed essere stata incubata in un satellite artificiale (Th, p. 260).

Su  un aspetto della storia, però, il tempo sembra migliorare la nostra visuale anzichè beffarsi delle nostre pretese di assolutezza: nella percezione dell’  unità profonda di ogni epoca. Ciòche unifica emerge lentamente, raramente appare ai contemporanei e mai a quelli più faziosi, condannati a percepire solocontrapposizioni e differenze. Ma col tempo le tessere formano un mosaico. I compositori della scuola seriale di Vienna sembravano essere, negli anni Venti, l’antitesi di Stravinsky, mentre trent’anni dopo si riconosce che erano a lui accomunati dall’usare le forme nello stesso modo, cioè «storicamente» (Cl, p. 91).  Quest’unità non ha niente a che vedere con il consapevole uniformarsi a uno stesso credo o alle stesse parole d’ordine da parte dei musicisti mentre essi agiscono. L’unità di un’epoca non si può costruire, ma solo ricostruire a posteriori, e da parte di soggetti diversi da quelli partecipanti alla scena. La consapevolezza storica, nella ridotta misura in cui è possibile, come abbiamo visto è un terreno scivoloso che richiede mille cautele e non è certo aiutata dall’essere veementemente coinvolti come parti in causa in quelle stesse vicende che si vorrebbero descrivere.Questa non-sovrapponibilitàtra il  ruolo  del musicista e quello dello storico vale anche in senso inverso. In fondo, che lo storico debba guadagnarsi un adeguato punto di osservazione dei fatti  èun luogo comune, e a ben vedere Stravinsky lo lascia intendere ma non ne parla s esplicitamente; ciò che è ben più interessante per lui -e assai meno scontato per noi- è che neppure il musicista èaiutato da un certo tipo di consapevolezza storica nel suo lavoro creativo. Anzi, sarà tanto di guadagnato se può farne a meno.

§ 12. Un posto fra i grandi

L’antesignano di quello che Stravinsky chiama «storicismo lineare» è Wagner, i cui scritti mostrano l’influsso di un coerente punto di vista storico. Egli appare all’autore come il primo grande compositore ad aver cominciato, per così dire, da fuori,  analizzando la storia della musica e determinando conseguentemente il proprio posto nel futuro. Ma alla fine, èil sarcastico commento di Stravinsky, la precisione della diagnosi conta solo perchè la prognosi furono Tristano  e il Ring.

Non capisco il compositore che dice che dobbiamo analizzare e determinare la tendenza evolutiva dell’intera situazione musicale e procedere da lì. Non ho mai consapevolmente analizzato alcuna situazione musicale, e posso solo seguire il mio appetito musicale dove mi porta (D, p. 128).

Alla fine del breve scritto «Qualche prospettiva sul contemporaneo» l’autore confessa che in realtà non ha mai pensato a se stesso in prospettiva,  cioè dal punto di vista della sua incidenza e partecipazione alla musica del ventesimo secolo. La sua attività ha sempre preso le mosse non da concetti storici, ma dalla musica stessa (Th, p. 190). Questo atteggiamento ha radici profonde nella convinzione che la musica si faccia solo al di fuori degli imperativi storici, e che per i compositori sia meglio lasciare la consapevolezza dei processi storici al futuro e «a coloro che si guadagnano il pane in altro modo» (Th, p. 125). In fondo, la pretesa di determinare in anticipo la propria posizione e il proprio ruolo nella storia ricorda la  hybris di cui avevamo parlato trattando del linguaggio [24] la pretesa di inventarsi un linguaggio non è poitanto diversa da quella di determinare in anticipo la posizione della propria tessera nel gigantesco mosaico della storia. La dimensione del compositore è l’oggi: «sono nel presente. Ignoro di che sia fatto il domani. Non posso aver coscienza che della mia verità di oggi. Sono chiamato a servire questa verità e la servo con piena lucidità.» Così terminano le Cronache della mia vita. L’uso di categorie storiche come origine, sviluppo e declino diventa abuso  quando nei fatti finisce per sostituire quello che dovrebbe essere l’oggetto principale di attenzione per chiunque abbia a cuore la musica: l’opera musicale nella sua concretezza. «Non sono interessato alla storia della musica bensì alla musica  nella sua storia»: ecco  il senso di questo apparente scioglilingua. Qualifiche come «rivoluzionario» o «conservatore», lungi dal gettare luce sulle composizioni,  hanno il nefasto potere di spostare l’attenzione del pubblico su questioni inconcludenti ed oziose come quelle  che riguardano il progresso musicale.

§ 13. Devotio moderna

Lasciamo da parte il progresso, dunque. Lo svincolarsi da una visione monodirezionale dello sviluppo storico  lascia comunque aperta la questione della modernità e della  musica «contemporanea». Qual’èil senso di queste determinazioni? Per il primo aggettivo, Stravinsky ricorre a un dotto rifrimento alla devotio moderna, corrente agostiniana di edificazione spirituale lumeggiata nel trattato quattrocentesco Imitatio Christi,  attribuito in genere al mistico tedesco Tommaso da Kempis. La parola «moderno», così intesa, indica  fervore spirituale, rinnovamento del sentire e del pathos, e Stravinsky l’approva. Ma per il modo in cui è usato correntemente, l’aggettivo provoca nell’autore un’allergia che lo pone in consonanza con Schoenberg, di cui cita il detto «la mia musica non è moderna, è solo mal suonata» (Cl, p. 180). Per parte sua, uno Stravinsky  più sardonico e meno in vena di citazioni erudite aveva  sbigottito un giornalista a caccia di pareri sulla musica moderna dichiarando che la odiava,salvo aggiungere  che non pensava a scrivere musica moderna bensì buona musica.  Dietro il sarcasmo c’è comunque altro.

Si rimprovera agli artisti di esser troppo moderni o di non esserlo abbastanza: allo stesso modo si potrebbe rimproverare al tempo di non esser moderno o di esserlo troppo. (...) Si ha un bel dire che bisogna vivere nel proprio tempo. Il consiglio èsuperfluo:è forse possibile fare altrimenti? (P, p. 73).

«Moderno» non è una categoria che si possa far valere sul piano normativo o valutativo. La modernità è un dato di fatto, non un compito o un pregio per la musica. La musica scritta in un’epoca le appartiene. Può scostarsi dalle linee portanti che alcuni credono di individuare, ma questo non è un problema musicale - l’unico di pertinenza del compositore. Non si può togliere a una composizione il diritto di cittadinanza per ragioni extra-musicali, come il suo presunto -e opinabile- non essere moderna.

Sulla contemporaneità, Stravinsky è più sfumato, e sembra dare alla parola una sfumatura qualitativa che va oltre il puro dato di fatto, ma l’accenno non viene sviluppato.

Con-tempo: «con i tempi».La musica con-tempo è la più interessante che sia mai stata scritta, e il momento presente è il più eccitante della storia della musica. Lo è sempre stato. Quasi tutta la musica con-tempo è pessima, però, e così è da sempre. Il «lamento dei nostri giorni»,come Byron l’ha chiamato, è tanto vecchio quanto il primo antiquario.

Moderno: modernus, modo: «proprio ora». Ma, anche, modus, «maniera», donde «aggiornato» e «alla moda».(...)

E la «nuova musica»? Ma sicuramente qui l’accento è fuori posto. Ciò che è più nuovo nella nuova musica muore più in fretta, e ciò che la rende viva è tutto quel che è piùvecchio e sperimentato. Contrapporre il nuovo e il vecchio è una reductio ad absurdum, e la «nuova musica» di setta è il flagello della contemporaneità. Usiamo con-tempo, allora, non tecnicamente, nel senso che Schoenberg e Chaminade hanno vissuto nella stessa epoca, ma nel mio significato: «con i tempi» (D, p. 119).

In che misura, allora, la contemporaneità è anche un criterio? Nel quadro delle dichiarazioni di Stravinsky ci sembra che rimanga una sola risposta. La differenza non è tra chi cerca «in avanti» e chi lo fa in altre direzioni -magari a ritroso  come talvolta Stravinsky ha fatto- ma fra chi esplora, qualunque sia la direzione, e chi non esplora del tutto.  Così, l’autore sorride degli epigoni che imitano non la sua musica -il che non pregiudicherebbe a priori  un risultato personale, come abbiamo visto- ma lui  nella sua musica, vale a dire i suoi vezzi, le particolarità lessicali e i « marchi di fabbrica», come gli ostinati ritmici, i ritmi dispari e le triadi con sesta aggiunta. In questo caso, credo segua dalle premesse di Stravinsky che la con-temporaneità è un’illusione,  salvo nel senso tecnico della parola-quello cronologico.

§ 14. Tabula rasa

L’aspetto dell’  «ideologia della modernità» da cui Stravinsky prende continuamente le distanze  è quello che identifica la premessa di qualsiasi novità con il fare tabula rasa del passato. Non dedica all’argomento una trattazione organica, ma leggendo i suoi scritti si ha l’impressione che questo fantasma stia spesso dietro le sue precisazioni. Che alle sue spalle non abbia fatto terra bruciata, Stravinsky lo ribadisce con insistenza quasi ciarliera, confrontata con l’usuale reticenza ad occuparsi di ciò che sta dietro  la composizione.  Apollo èun omaggio alla Francia del XVII secolo, ai suoi alessandrini in poesia e ai ritmi puntati in musica; le variazioni di Beethoven e Brahms erano buone frequentazioni all’epoca in cui scriveva il Concerto per due pianoforti, al punto che Stravinsky se n’era inzuppato.  Le Invenzioni a due voci  di Bach erano da qualche parte nella sua mente scrivendo il finale dell’Ottetto; Il Concerto per violino  non segue alcun modello ma l’autore ama molto il  Concerto per due violini  di Bach, e l’ultimo movimento lo mostra...  Ma non èsolo il  passato ad essere fonte di materiale: nelle pagine di Stravinsky sfilano moduli  jazz,  musica da ristorante rumena,   fanfare di sigle cinematografiche, melodie di organetto da strada e così via all’infinito, in una fantasmagoria sonora che fa girare la testa al lettore. In questione non è solo il passato, ma più in generale la permeabilità del compositore al diverso da sè, a ciò che è altro.La composizione è «un campo in cui tutto è equilibrio e calcolo», ma questa sorta di matematica combinatoria non copre  il fatto che noi ci nutriamo del mondo.  Il mondo è un serbatoio di suoni, e Stravinsky non ha interesse a preservarsi puro. Ascolta tutto, ricorda tutto, se ha dei dubbi annota.  I rumori,

una  volta registrati, paiono rimanere come in uno stato di disponibilità immediata ;e mentre il riscontro che do alle cose viste è soggetto all’esagerazione, ad un’osservazione errata e alle creazioni e distorsioni della memoria stessa (un ricordo è un’intero cartello di interessi acquisiti), le mie riminiscenze sonore sono esatte:lo dimostro, dopo tutto, ogni volta che compongo (Cl, p. 242).

Stravinsky si descrive come una sorta di spugna. Una spugna lucida, certo, che mette a profitto ciò che assorbe.

La mia attività - o re-attività, come i miei critici la descriverebbero - è stata condizionata non da concetti storici, ma dalla musica stessa. Sono stato formato in parte, e in modo più o meno grande, da tutta la musica che ho conosciuto o amato, e ho composto nel modo in cui ero stato formato (Th, p. 190).

La sua sensibilità è essenzialmente reattiva.  Racconta di aver spesso cominciato a comporre suonando i classici, per mettere in moto le idee. Non c’ènulla di anomalo in tutto questo, una gloriosa tradizione sta a dimostrarlo.

Suonavo regolarmente Bach ad Annemasse; ed ero allora, e sempre, molto attratto dai Concerti Brandeburghesi. Il primo tema del mio stesso (Dumbarton Oaks) Concerto somiglia a quello del terzo brandeburghese (che ho diretto), e come il concerto di Bach anch’esso fa uso di tre violini e tre viole, entrambi i gruppi frequentemente divisi a tre, sebbene non  accordalmente come in Bach. Sono stato duramente censurato per queste rassomiglianze, ma non credo che Bach stesso mi avrebbe lesinato l’uso dei suoi modelli, visto che cosìspesso lui stesso  ne prese a prestito allo stesso modo (Th, p.47).

Se guardiamo alla musica  nella storia della musica (v.sopra), anzichè linee progressive e leggi di sviluppo direzionale vediamo un continuo influenzarsi, un gioco ininterrotto di raccordi e riprese. La musica genera altra musica.  Gli esempi sono infiniti, da Cajkovskij e Gounod che seguivano il solco musicale di Schumann «senza sottostare però alla sua ideologia», restando l’uno russo e l’altro francese (Cr 150), a Beethoven con  i suoi debiti e i suoi omaggi verso Haydn e Bach. Tanto è profondo e strutturale il gioco delle influenze che sottolinearlo senza ulteriori specificazioni è generico e non  dice nulla. Di Liszt qualcuno afferma che è stato «un precursore? Ma questa è pedagogia; e comunque, chi non lo fu?» (Th, p.183).

La ragione di questa «circolarità» delle idee -l’espressione è del musicologo Alberto Basso [25]- sta nella natura eminentemente linguistica dello sviluppo musicale. Linguaggio e comunicazione vanno insieme, in musica: le opere «comunicano», si richiamano, si sollecitano sul terreno (parzialmente) comune di un linguaggio in continua evoluzione. A volte si provocano l’un l’altra:

Durante il soggiorno di Ravel a Clarens, gli feci sentire le mie liriche giapponesi. Ghiotto di oreficeria musicale e attento alle sottigliezze di scrittura, abboccò sull’istante e decise di fare qualcosa di analogo. Poco tempo dopo mi fece ascoltare i suoi deliziosi Trois poèmes de Mallarmé (Cr, p.89).

Con queste premesse capiamo perchè nei  suoi scritti l’analisi delle «anticipazioni» sia molto più frequente di quella delle «riprese»:Stravinsky non parla di preveggenza del futuro, ma di opere cruciali che aprono  una nuova porzione di territorio per il linguaggio musicale. Il momento più interessante rimane per Stravinsky quello in cui qualcuno scopre una nuova miniera, i cui tesori risaltano anche grazie agli  scavi dei successori. Ciò può avvenire nel momento stesso in cui una tradizione  viene costituita (cfr.par 3), ma non sempre le due cose coincidono: la Grande Fuga  di Beethoven spalancò lo sguardo su tali sconvolgenti novità da non poter essere assimilata per tutto l’800, e rimane ancora oggi un «masso erratico», eccentrico rispetto a quella stessa tradizione  che è proceduta dalle altre opere di Beethoven.

Nelle sonate per pianoforte, assai più che nella sua altra musica, Beethoven scopre e a volte traccia la mappa dei diversi territori di vari compositori futuri, incluso lui stesso. Un esempio di queste ultime è la connessione, conscia o inconscia, tra le minime della mano sinistra alle misure 51-62 nel Presto della Sonata op. 10 n.2 e le misure 35-50 nello Scherzo della Quarta Sinfonia. Ma l’area indicata ad altri compositori copre almeno tutto il diciannovesimo secolo. Schubert e Mendelsshon, per esempio, sono indicati ovunque.(...) E nel caso di Chopin, le sonate non solo indicano la strada, ma ne pavimentano  solidamente il fondo (cfr. la prima variazione dell’op. 109). Anche alcune delle caratteristiche armoniche e melodiche di Wagner sono abbozzate (...). Le terre donate a Brahms, d’altra parte, sono troppo numerose per elencarle. Esse includono (...) l’inizio della Sonata op. 109  per l’inizio della Quarta Sinfonia (di Brahms, ndt), sebbene l’opera di Beethoven contenga molte cose in più che Brahms non «afferra» (Th, pp. 270-71).

15. La dinamica profonda della storia 

Infine, la critica. E’  questa la bestia nera di Stravinsky, che non perde occasione per metterne in rilievo l’inadeguatezza e l’impreparazione, fino a scrivere gustose e corrosive «recensioni di recensioni»delle proprie opere. Qui ci interessano però  le argomentazioni non legate alla polemica spicciola, che abbiano un rilievo più generale.

La critica è stata  incuriosita e tormentata dal problema delle «influenze» sulla musica di Stravinsky. L’autore lo sa bene, e riporta spesso nei suoi scritti gli echi di questo affannarsi. Una dopo l’altro sfilano riferimenti che egli ammette, altri che lo sorprendono, altri ancora -è il caso più frequente- che riporta con stoica impassibilità, qualcuno-pochissimi- che smentisce seccamente. Ma la reticenza nel commentarli dà l’impressione chel’autore  non voglia alimentare una  discussione che lo esaspera.

Posso chiedere all’ascoltatore di sospendere queste domande, come ho fatto io componendo, e cercare invece di scoprire le qualità stesse dell’opera? Non l’ho composta per alimentare dibattiti sulla «validità storica dell’approccio» o «l’uso del pasticcio»- sebbene ammetterò volentieri che questo è ciò che ho fatto, se ciò libererà la gente da queste stupide discussioni per riportarla alla musica (Th, p. 54).

Stravinsky è ben lungi dal negare il suo articolatissimo rapporto con la musica del passato, fatto di prestiti, spunti, rielaborazioni, innesti, omaggi, affinità  e quant’altro. Ma è categoricamente contrario all’idea che questo  sia il terreno su cui deve muoversi la critica. Il primo motivo lo conosciamo già: il materiale allotrio, non appena viene usato, si fonde e si trasfigura nello stile, e questionare lo stile è come sindacare il soffio dello spirito o la varietà delle forme viventi. La seconda ragione è che il valore della musica non ha relazione con le sue stratificazioni ma con la sua funzionalità artistica, in sostanza il suo essere ben scritta o no. Risolve l’opera i problemi musicali che essa stessa pone? con quali mezzi? queste sono le domande che ha senso porsi se si vuole giudicare  il valore di un brano. Solo di questo possiamo chiedere al compositore di render conto. Il terzo motivo èstato chiarito dalla discussione sulla storia. Rimandi, influenze e trasfusioni non riguardano l’opera musicale come oggetto di giudizio bensì il suo posto nella storia, due piani assolutamente non coincidenti. La direzione in cui un’opera esplora, la sua relazione con le tendenze dominanti della sua epoca, il suo contributo allo sviluppo del linguaggio musicale sono questioni storiche formulabili solo a posteriori, fuori da qualunque assetto normativo.  Opere del più alto valore musicale, come i quartetti di Beethoven, possono essere storicamente non consequenziali. Per tutte queste ragioni, identificare il compito della critica con quello dello storico è una confusione concettuale che porta all’arbitrio.

Tornato a Parigi, Suvchinsky raccontò che la partitura della Prima Sinfonia di Cajkovskij si trovava sul mio pianoforte, e quest’informazione, insieme alla scoperta della somiglianza del primo tema nella mia Sinfonia in doe in quella di Cajkovskij, fu responsabile  del pettegolezzo che avrebbe ben presto conferito status di modello a quest’ultima. (Se Suvchinsky avesse raccontato che le sinfonie di Haydn e Beethoven erano sulla mia scrivania, nessuno vi avrebbe fatto attenzione, ovviamente, eppure questi due compositori stanno dietro almeno ai primi due movimenti della mia Sinfonia ben piùprofondamente di qualsiasi musica del mio troppo melanconico compatriota) (Th, p. 49).

L’episodio mette in risalto la contingenza  di questo tipo di osservazioni: con un gioco di parole che forse non dispiacerebbe a Stravinsky potremmo dire che la ricerca delle influenze è troppo...influenzabile. L’altro carattere che emerge è che queste osservazioni sfiorano appena la musica nella sua   superficie.  Le vere influenze possono essere le meno visibili.

A ottant’anni ho trovato nuova gioia in Beethoven e la Grande Fuga mi sembra oggi - non è sempre stato così- un perfetto miracolo. Quanto erano nel giusto gli amici di Beethoven quando lo convinsero a staccarla dall’op.130, perchèdeve stare a sè, questo pezzo assolutamente contemporaneo che saràcontemporaneo per sempre. (Mi chiedo se queste affermazioni stupiranno gli studiosi dei miei ultimi lavori, essendo la Grande Fuga tutta variazione e sviluppo mentre la mia musica più recente è tutta canonica e quindi statica e obiettiva- in effetti, l’antitesi della fuga di Beethoven. Gli studiosi della mia musica si aspettavano forse che citassi qualcosa come Hic me sidereo di Josquin come «pezzo preferito?)» (D, p. 124).

L’impressione che si ricava dall’insieme delle osservazioni di Stravinsky  è che egli tenda a ribaltare  l’impostazione corrente della critica, anche di quella più avvertita e meno improvvisata. Le analisi della sua musica hanno spesso assunto a tema l’artificialità consapevole delle sue operazioni, inquadrandone  i risultati sotto il segno della citazione, dello straniamento e della parodia. Stravinsky afferma da un lato che tutta l’arte è artificiale e convenzionale, dall’altro tende ad accreditare il suo rapporto col passato come  «naturale», in linea con la tradizione. Componendo la Circus Polka

la citazione della Marcia Militare mi venne come una cosa del tutto naturale, lo dico per eludere l’inevitabile professore tedesco che inevitabilmente chiamerà parodia l’uso che ne ho fatto (D, p. 53).

Viene il dubbio che per Stravinsky la complessità labirintica dei rimandi della sua musica sia un problema di lettura.. Stravinsky si ritiene originale ma non anomalo. Non rientra fra i suoi motivi d’  orgoglio l’aver proposto un nuovo  rapporto con il passato, diverso da quello della tradizione. Quando parla di scoperte  in questo campo lo fa in termini rigorosamente soggettivi, inquadrandole come momenti cruciali della sua  evoluzione. Abbiamo visto come sottolinei spesso che i maestri del passato non facevano diversamente da lui.  Il punto è che questo rapporto con il passato èdivenuto problematico per la cultura musicale del novecento; per «leggere» la musica di Stravinsky siamo costretti a indossare lenti spesse e sofisticate, e la nostra attenzione viene per forza di cose calamitata dalla presenza, in quella musica, di un passato che affiora in modo scoperto.  Naturalmente Stravinsky è  un compositire sofisticato, ma ritiene di esserlo nel giocare coi suoni ,piùche con il passato. Il suo guardarsi all’indietro è sembrato unico solo per quelle limitazioni di prospettiva che la con-temporaneità impone alla visuale:

La musica che Schoenberg, Berg e Webern componevano negli anni venti era considerata estremamente iconoclasta a quel tempo, ma oggi questi compositori risultano aver usato la forma musicale come ho fatto io, cioè «storicamente». L’uso che ne feci era però scoperto, mentre il loro era studiatamente camuffato (Cl, p. 91).

Un aspetto interessante del discorso di Stravinsky sulle «influenze» musicali è il problema dellaconsapevolezza del compositore, il cui ruolo sembrerebbe variare sensibilmente a seconda del contesto. Alcune formulazioni presuppongono nel compositore una consapevolezza completa, come la secca smentita sul Don Giovanni citata sopra (par.5),  altre  sono possibiliste:

si è detto che il tema delle variazioni suona «alla Copland». Ma se questo è vero, io non ne ero consapevole (Th, p. 51).

In realtà  Stravinsky sta parlando di  cose diverse,.Nel primo caso la secca smentita è in risposta a un critico che gli attribuisce un prestitodi cospicue dimensioni da Mozart. Ebbene, questa è la sfera di cui il compositore è consapevole, quella del materiale da costruzione.  L’uso prolungato dei ritmi puntati in Apollo  non «suona»inconsapevolmente francese: fa parte del gioco dell’autore, è un  tributo (che i critici-non manca di sottolineare Stravinsky - all’epoca non colsero) alla Francia del Seicento; lo stesso vale per il taglio barocco dei temi utilizzati in altre opere.  L’uso di un materiale preesistente come base per la costruzione  è parte del «calcolo»del compositore, se questi non è un ingenuo.

Ora, poichè io non ho il temperamento caratteristico dell’accademismo, è chiaro che mi sono sempre servito delle sue formule scientemente e volontariamente. Me ne servovolontariamente come farei del folclore:sono le materie prime della mia opera (P, p. 76).

Così, è lo stesso Stravinsky a suggerire che le numerose citazioni di melodie ottocentesche in Jeux de Cartes  potrebbero essere pensate come se arrivassero fluttuando dal teatro dell’Opera di un’ipotetica stazione termale dell’epoca.

Il caso del tema à la  Copland, invece, e quello di numerosissimi altri, è diverso. Qui si riconoscono a posteriori   echi, assonanze e somiglianze che non sono il prodotto della volontà del compositore ma di una dinamica storica profonda.Su queste Stravinsky non fa della consapevolezza una questione decisiva.  Le correnti che collegano opere lontane nel tempo sono sotterranee, determinate da processi storici giganteschi, da intersezioni neppure lontanamente provocabiliintenzionalmente. La tradizione e il passato risuonano  attraverso  la «scienza» del compositore: non c’è niente di esoterico, è solo il suo appartenere al mondo e alla storia. Su tutto questo il compositore ha tanto -o tanto poco- da dire quanto chiunque altro, anche sulla sua stessa musica. E’  forse questa la ragione profonda del silenzioche accompagna nei suoi scritti la citazione delle «influenze» che la sua musica di volta in volta esibisce secondo i critici,, anche quando le riporta con evidente fastidio.

La ricchezza evocativa della musica è tanto poco un risultato intenzionale quanto lo è l’essere moderni. Commentando il suo Pater Noster Stravinsky ricorda che

sapevo molto poco sulla musica sacra russa all’epoca (e adesso), ma speravo di trovare radici piùprofonde di quei compositori della Chiesa Russa che si limitavano a cercare di continuare lo stile Veneziano (Galuppi) da Bortniansky. Se i miei cori ricatturino qualcosa di una più antica tradizione russanon posso dirlo; ma forse qualche remota memoria di canti ecclesiastici sopravvive nel semplice stile armonico che mi proponevo (Th, p. 40).

Scrivendo la Sinfonia di Salmi  «non ero cosciente di modi frigi, canti gregoriani, bizantinismi, o cose del genere», ma influenze del genere potrebbero ben essere state operanti, perchèBisanzio fu una sorgente della cultura russa (Th, p. 45).

L’atteggiamento di Stravinsky verso questi temi è lo stesso che egli assume nei confronti del proprio tempo. L’unica strada legittima aperta al  compositore è la fedeltàa se stesso, il seguire le leggi della propria natura e del proprio stile, seguire il proprio  appetito musicale fino in fondo. Per questo, non c’è bisogno di fare tabula rasa nè del passato nè del presente.

Tentavo soltanto di riattare vecchie navi, mentre la controparte -Schoenberg- cercava nuovi mezzi di trasporto? Credo che questa distinzione, molto gettonata una generazione fa, sia scomparsa. (Un’  era assume una sagoma solo col senno di poi, e questo la riduce ad opportune unità, ma tutti gli artisti sanno di esser parte di una stessa cosa). Certo, io sembravo aver sfruttato un’apparente discontinuità, aver fabbricato arte con le disjecta membra, le citazioni da altre compositori, i riferimenti a stili precedenti («segni di una più antica e diversa creazione»), il detrito che indica un relitto. Ma ho usato ciò, e ogni cosa che mi è venuta a portata di mano, per ricostruire, e non pretendo di aver inventato nuovi veicoli o nuovi mezzi  di trasporto. Ma il vero compito dell’artista è riattare vecchie navi. Può dire ancora, a modo suo, solo quello che è già stato detto ( D, p.129).

Epilogo

Un’ultima questione merita la nostra attenzione. Cosa rimane, dopo tutto questo, di concetti come citazione, neoclassicismo e parodia? Essi compaiono con parsimonia negli scritti di Stravinsky, e non giocano il ruolo che avremmo potuto aspettarci.  Nel contesto ampio e articolato che abbiamo ricostruito essi possiedono infatti un insufficiente potere esplicativo,quando non risultino riduttivi o inadeguati. La citazione  non è che uno  dei mille modi in cui l’  «altro» entra nella musica di Stravinsky, e non gode negli scritti di privilegi particolari.  Quanto al cosiddetto   neoclassicismo -Stravinsky non  nomina mai  la parola senza prenderne le distanze- cosa si può dire? Non che corrisponde a un periodo  della produzione di Stravinsky, per cominciare; l’autore ama ripetere che i principi della sua arte non sono cambiati, e se si vuole definire neoclassica la sua musica fra le due guerre  allora quella successiva non lo è di meno. Ma in un senso soltanto, quello chiarito dall’   Advertissement [26]  del 1927: è  musica che non ha basi extra-musicali. Il termine «neoclassicismo»non ci è neppure  utile, secondo l’autore, per distinguere il suo l’approccio musicale  da quello della scuola di Vienna. Come abbiamo visto, comune  era l’uso «storico» delle forme, diverso il grado di camuffamento di questa operazione. La parola  urta Stravinsky probabilmente anche per la sua rigidezza, poichè presuppone che ci sia unmodo ben preciso di operare sotto questa etichetta. Ma il panorama delle sue operazioni, come Stravinsky ce lo descrive, è frastagliatissimo e non riducibile ad alcuna formula. Inutile dire, poi, che il tempo e le parole spesi per ragionare sul neoclassicismo sono rubati  a quelli che si sarebbero potuto dedicare alla musica... (Stravinsky, ricorda R. Craft, era ossessionato dal problema del tempo). Così, se nel 1927 Stravinsky aveva ancora voglia di chiarire quali fossero la liceità del termine e l’ambito della sua adeguatezza, vent’anni dopo, meno incline a fini distinguosul problema e sufficientemente esasperato dall’inflazione del termine, archiviava così la questione:

«Neoclassicismo?» chiese beffardo. «un’  etichetta che non significa assolutamente niente. Le mostrerò dove dovrebbe metterlo» e diede al suo fondoschiena una pacca decisa[27]...

L’insofferenza manifestata dal compositore per questa categoria non deve aver dato però i frutti sperati, se ancora nel 1959, a Tokyo, nel recarsi a una conferenza stampa Stravinsky confidava ironicamente a R. Craft di essere curioso di sentire come suona in giapponese la parola «neoclassico»[28]...

Per la parodia il discorso è più complesso, ma neppure questa è una categoria privilegiata  sotto cui l’autore pone il suo operare. Anzi, nel caso più comunemente chiamato ad esemplificare questo concetto, il Pulcinella,   prende esplicitamente le distanze dal concetto, almeno nel concetto riduttivo di satira intenzionale.

Che il risultato forse in un certo senso una satira era forse inevitabile -chi avrebbe potuto trattare quel materiale nel 1919 senza farne una satira?- ma anche questa osservazione èa posteriori; non mi misi a comporre una satira e naturalmente Diagilev non avrebbe mai pensato a una possibilità del genere (C, p. 308).

Il Bacio della Fata, fu ispirato dall’amore e dal rispetto per Cajcovskij, che Stravinsky descrive come uno dei più dotati compositori della tradizione russa, e anche qui ogni intento satirico èfuori questione. Il punto è che se intendiamo  «parodia» in un senso vicino a quello rinascimentale, cioè come utilizzo di materiale musicale già esistente per una composizione, il termine diventa tanto ampio quanto l’intera produzione di Stravinsky, perdendo così potere esplicativo. Nel senso specifico di satira,invece, indica un atteggiamento di cui negli scritti  dell’autore non c’è quasi traccia. La satira comporta un desiderio di irrisione di ciò che prende ad oggetto. Il sentimento che spinge Stravinsky a scegliere un modello è ben altro; stando alle sue parole, si tratta di apprezzamento e amore. Un’altra ragione da non sottovalutare èche la parodia - nel senso di satira- è un processo  transitivo. Se si fa satira di qualcosa, l’interesse e l’attenzione passano quasi interamente all’oggetto irriso: la satira mette in primo piano il proprio bersaglio. Ma il modo con cui Stravinsky concepisce la propria musica segue il verso opposto: ciò che è altro  viene assorbito nell’omogeneitàdello stile. Stravinsky prende troppo sul serio se stesso e la propria musica per riferirla,  in ultima analisi, ad altro. La sua musica - forse tutta la musica - è intransitiva.  Dice Auden, poeta stimatissimo e citato dall’autore:

«Tutte le affermazioni musicali sono intransitive, alla prima persona, singolare o plurale, e al presente indicativo» (Th, p. 289).

La musica è   responsabilità, è il frutto di un preciso impegno: «Noi abbiamo un dovere verso la musica, quello di inventarla» (P, p. 48).

Io guardo ai miei talenti come donati da Dio, e l’ho sempre pregato di darmi la forza di usarli. Quando nella prima infanzia scoprii che ero stato fatto custode di attitudini musicali, promisi davanti a Dio di essere degno del loro sviluppo, per quanto, naturalmente, io abbia rotto la promessa e abbia ricevuto grazie immeritate per tutta la vita, e benchè il custode abbia troppo spesso tenuto fede al contratto secondo le sue troppo terrene clausole personali (D, p. 125).

Ancora il sacro, ancora l’ironia: la sfinge Stravinsky ama coniugare gli opposti. Tra giochi di parole e cambi repentini di direzione, i suoi libri somigliano ai giardini barocchi in cui un percorso invitante e un meccanismo ingegnoso conducevano l’ospite a frequenti docce gelate.

 


Note

[1] Vedi la siglatura convenzionale definita qui sotto. Tutte le traduzioni da Dialogues, Themes and conclusions e Selected Correspondence sono mie.

[2]. Vinay, Stravinsky Neoclassico,Venezia, Marsilio 1987, p. 29.

[3] Ibidem.

[4]. Vedi la siglatura convenzionale definita qui sotto

[5] Useremo l’espressione sintetica «scritti» per comodità. In realtà l’origine di  queste opere è legata per lo più alla comunicazione verbale, e la loro  genesi è in parte controversa. Cfr. ad es. H.W. Zimmermann, Di chi è la «Poetica della Musica» di Stravinskij, in Stravinskij, a cura di G. Vinay, Bologna, Il Mulino, 1992.

[6]Cfr. E. Fubini, L’estetica di Stravinskij, in Stravinskij oggi, Atti del convegno internazionale Teatro alla Scala di Milano 1982, Milano, Unicopli 1986.

[7] Paris, Editions Denoel et Steel 1935; trad. it. di A. Mantelli, Cronache della mia vita, Milano, Minuziano 1947

[8] Cambridge, Harvard University Press 1942; trad. ingl. di A. Knodel e I.Dahl, Poetics of music, Cambridge, Harvard University Press 1947; trad. it. di L. Curci, Poetica della musica, Milano, Curci 1983.

[9] I. Stravinsky e R. Craft, introduzione di R. Wangermée, Torino, Einaudi 1977. Il testo riproduce, nella traduzione italiana di L. Bonino Savarino, i tre scritti seguenti: Conversation with I. Stravinsky, New York, Doubleday 1959 e London, Faber and Faber 1959; Memories and commentaires,New York, Doubleday 1960 e London, Faber and Faber 1960; Expositions and developments, New York, Doubleday 1962 e London, Faber and Faber 1962.

[10] I. Stravinsky e R. Craft, Berkley e Los Angeles, University of California Press, 1982.

[11] London, Faber and Faber 1972.

[12]Cfr. Matteo 25, 18-26.

[13]Ibidem

[14]Genesi 11, 7.

[15] Ora in E.W.White, Stravinskij, London, Faber & Faber 1966. Trad. it. di M. Papini,  Stravinskij, Milano, A. Mondadori 1983, appendice A.

[16] I. Stravinsky, lettera a E. Evans del 13 dicembre 1929. In I.Stravinsky, Selected correspondence, London, Faber & Faber 1984, vol. II, p. 122.

[17] Beethoven, Quartetti per archi op. 59.

[18] C.F.Ramuz, Souvenirs sur I.Strawinsky, Paris, Gallimard 1929. 

[19] v. sopra, p. 13.

[20] Abbiamo tradotto manners con stile, maniera e maniere nel tentativo di seguire il gioco di Stravinsky tra le diverse sfumature della parola, per esempio nello scivolamento da manners a mannerism. L’uso del plurale manners in inglese è  inconsueto e richiama, come in italiano, l’idea di un modo di comportarsi che può essere buono o cattivo.

[21] È ciò che cercheremo di documentare analiticamente in un prossimo lavoro su significativitàed espressione nel pensiero di Stravinsky, in preparzione presso l’editore Guerini di Milano.

[22] «I. Strawinsky nous parle de  Perséphone», articolo per «Excelsior» del 29/4/34, ora in E.W.White, op.cit. appendice A.

[23] L’espressione significa probabilmente «inesplorati» e «sottovalutati, ancora da sfruttare pienamente».

[24] v. sopra, par.4.

[25] A. Basso, Frau Musika, Torino, EDT 1979, vol.I, p. 416.

[26] «The Dominant», dicembre 1927,  in E.W. White, op.cit.,appendice A.

[27]Intervista a H. Roussel del gennaio 1949, in I. Stravinsky, Selected correspondence, cit., vol.I, p.357.

[28] R. Craft, Stravinsky, The chronicle of a friendship, London, Gollancz 1972, p.79. Il  «neoclassicismo» di Stravinsky è stato comunque, al di là delle riserve espresse dal compositore, uno dei concetti chiave della critica, ed èaffrontato  in quasi tutti gli studi sulla sua musica, spesso in riferimento alla categoria di straniamento. Tra i numerosi contributi sull’argomento ricordiamo R. Stephan, Interpretazione del neoclassicismo stravinskiano, in Stravinskij oggi cit; G. Vinay, Stravinsky neoclassico cit; Bruno Antonini, Straniamento e invenzione nel Rake’s Progress di Igor Stravinskij, Firenze, Passigli 1990. Sulla parodia, cfr. anche H. Schneider, Stravinskij e la parodia, in Stravinskij cit.,a cura di G. Vinay.

 

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