testata Uomo Nero 17-18



Materiali per una storia delle arti della modernità


anno XVII, nn. 17-18    febbraio 2021

Idee sulla scultura



L’uomo nero è noioso
Editoriale


di Giorgio Zanchetti
















Rispondendo all’inchiesta di Edmond Claris De l’impressionnisme en Sculpture, nel 1902, Medardo Rosso prendeva posizione contro i “mestieranti” e gli “impiegati” della scultura rivendicando anche per la più materiale di tutte le arti la necessità di una più stretta corrispondenza tra il momento della sua concezione e quello della sua realizzazione:

“Credo che un’opera non può essere effettuata se non da colui che l’ha concepita, ecco prima di tutto lo scopo da raggiungere. Così si sopprimeranno i mestieranti e un’amministrazione alla quale tanti artisti dicono di non essere impiegati, ma, in fatti, lo sono in quanto sbozzatori; ci lavorano terminando i piedi o le mani d’un pezzo, copiandole da un modello che il maestro ha ricoperto di cenci bagnati e di gesso per rendere la morbidezza e le pieghe del vestito”1.

Claris aveva cercato di infiammare i suoi interlocutori – artisti e critici che andavano da Rodin e Rosso, appunto, a Gustave Geffroy, Camille de Sainte-Croix, Constantin Meunier, Albert Bartholomé, Emmanuel Frémiet, Camille Claudel, Camille Pissarro, Jean-François Raffaëlli, Claude Monet, Eugène Müntz – provocandoli con un argomento risaputo, ma evidentemente ancora incendiario nei primi anni del secolo, come il paragone tra le possibilità espressive della pittura e della scultura, e riproponendo il luogo comune baudelairiano della scultura come “un’arte da Caraibi”, incolta e tutt’al più di “complemento” rispetto alla pittura, che sola può essere intesa come “un’arte di ragionamento profondo”, grazie al punto di vista unico e al fatto di contenere in sé la propria luce:

“tutti i popoli erano abilissimi nell’intagliare feticci assai prima di accostarsi alla pittura, la quale è un’arte di ragionamento profondo, il cui godimento richiede per sé un’iniziazione particolare […].Uscita dai tempi primitivi, la scultura, nel suo più rigoglioso sviluppo, altro non è che un’arte complementare […]. Da quando è divenuta un’arte da salotto e da camera da letto, si vedono farsi avanti i Caraibi del merletto […] e i Caraibi della ruga, del pelo e della verruca […].Poi ecco i Caraibi dell’alare, della pendola, del calamaio, ecc., […]. D’altro canto, non è da credere che a questi scultori faccia difetto la sapienza. Sono eruditi come degli autori di operette e degli accademici; e si giovano di tutte le epoche e di tutti i generi, essendo versati in tutte le scuole. Trasformerebbero volentieri le tombe di Saint-Denis in scatole per sigari o per cachemire, e tutti i bronzi fiorentini in monete da due soldi […].La prova più lampante dello stato pietoso della scultura, è che ne esce sovrano Pradier. Costui in ogni caso sa fare la carne, e possiede delicatezze di cesello; ma non l’immaginazione necessaria alle grandi composizioni, né la fantasia del disegno […]. La Poésie légère (La poesia leggera) sembra tanto più fredda quanto più è manierata; ma l’esecuzione non è così doviziosa come nelle prime sue opere, e da tergo è uno spavento da vedere”
2.

Mentre riprende – non per contraddirlo, ma semmai per cambiarlo di segno nella sua lucidità problematica – il fortunatissimo titolo di quella XVI sezione del Salon del 1846 di Baudelaire, Perché la scultura è noiosa, questo numero de “L’uomo nero” non può fare a meno di ispirarsi, ancora una volta, all’inquietante figura primordiale di Lucio Fontana del 1929 e a una sua lapidaria riflessione sul superamento di ogni distinzione tecnica e disciplinare tra le diverse arti, che scavalca Medardo Rosso a favore di Boccioni, in nome di una nuova libertà espressiva che sa d’assoluto:

“Dall’Uomo nero 1929 il problema di fare dell’arte istintivamente si chiarisce in me, né pittura né scultura, non linee delimitate nello spazio, ma continuità dello spazio nella materia. Perciò niente M. Rosso ma piuttosto dinamismo plastico di Boccioni – perciò macchie assolute di colore sulle forme per abolire il senso di staticità della materia, niente di concluso in quel senso, ma preparazione a capire – Astrattismo 1934 né Brancusi, né Arp o Vantongerloo, niente volume, ma profili nello spazio (non forme statiche), sacrificio di creazione, via chiusa, mancanza del mezzo per arrivare a una nuova espressione d’arte”3.

Per questo motivo Fontana occhieggia, con funzione apotropaica, sulla copertina di questo numero 17-18 in un ritratto fotografico poco visto scattatogli dall’architetto Enrico Peressutti, nel 1936, sulla terrazza della Triennale durante una pausa dalla modellazione, in situ, del suo gruppo scultoreo per la Sala della Vittoria. Fontana, noto per la sua eleganza e per il vezzo di posare in camicia e gilet anche quando si lascia ritrarre al lavoro fra le sue Nature o nell’atto di fendere una delle sue tele, sembra guardare perplesso l’amico e fargli, sorridendo: “Mica mi starai fotografando?”. È tutto imbiancato di gesso e ha perfino i capelli un po’ spettinati.
Vogliamo dire che qui la scultura non c’è? che non si vede?
Al contrario, mi pare che ci sia tutta, sia nella mente, sia nella fatica dell’artista.
Perché la scultura è un’idea che sporca le mani, anche quelle del primo artista concettuale del nostro Novecento.
E poi non è davvero così noiosa.

La sezione monografica Idee sulla scultura raccoglie una serie di contributi dedicati a quest’arte in tutte le sue forme, ma anche a riflessioni critiche e teoriche ad essa relative o alla sua documentazione e alla sua dimensione progettuale e conoscitiva. Si spazia dal discorso inaugurale tenuto da Vincenzo Vela agli allievi del corso di scultura dell’Accademia Albertina di Torino nel 1856 (quest’anno ricorre il bicentenario della nascita dello scultore ticinese) e dalla presenza di Auguste Rodin alla Biennale di Venezia tra il 1895 e il 1918 al dibattito sulla scultura policroma in Georg Treu e Max Klinger, dalla “Betogravure” di Picasso e Carl (Carlsen) Nesjar alla fortuna dei prototipi della ritrattistica etrusca e romana nella scultura italiana degli anni tra le due guerre mondiali e a quella di Anthony Caro nella seconda metà degli anni Sessanta, dal rinnovarsi della scultura di Eliseo Mattiacci tra il settimo e l’ottavo decennio del secolo all’approfondimento filologico e iconografico di un’opera esemplare come La caduta di Icaro di Giulio Paolini, del 1981, per chiudere con due contributi dedicati a Paolo Icaro: i suoi Unfinishings sono letti attraverso la corrispondenza con Massimo Minini, mentre il recente intervento Un prato in quattro tempi, realizzato tra il 2017 e il 2018 per la nostra Università, offre uno spunto per interpretare l’uso della parola come un possibile gesto scultoreo.
È di Anna Valeria Borsari – un’artista che ha molto riflettuto sui modi e sulle funzioni della scultura nella cultura visiva contemporanea – l’opera scelta per la quarta di copertina: L’orto privato del custode del museo (1977-1978) fissa l’incontro inaspettato con un deposito a cielo aperto di busti ottocenteschi, sottratti nei decenni agli spazi pubblici o espositivi ai quali erano stati destinati e scaricati su di un praticello innevato, sotto i panni stesi, in un cortile interno di Bologna dove l’autrice càpita casualmente inseguendo un pallone. Questa discarica della memoria scultorea del XIX secolo – così cara alla cultura e alla società dell’Italia risorgimentale e postunitaria e così distante dalla sensibilità del secondo Novecento, tanto da essere stata anche fisicamente rimossa4 – diventa, nel lavoro di Borsari, emblema della precarietà e della continua trasformazione alla quale tutti i processi culturali e tutte le simbolizzazioni sono inesorabilmente sottoposti, col mutare dei tempi e dei luoghi5. E della Borsari pubblichiamo anche una testimonianza di poetica, scritta appositamente per questo numero de “L’uomo nero”, che è parte di una sua riflessione più ampia su Monumenti precari ed eterne idee.
Si ispirano, direttamente o indirettamente, all’idea di scultura anche l’Album fotografico, montato da Davide Colombo a partire dalle copertine de “L’Illustrazione del Medico” con gli scatti di Bruno Stefani, e due delle Rarità, riscoperte, segnalazioni, dedicate rispettivamente al Pastore dipinto da Mario Sironi e al Tobiolo modellato da Arturo Martini.
Nella sezione Fuoritema, come di consueto, trovano spazio saggi di argomento diverso, che trattano del rapporto tra Fernanda Wittgens e Carla Marzoli, dello spettacolo La scatola magica (1961), basato sulla proiezione di opere di Consagra, Fontana, Fabio Mauri e Turcato, della celebre mostra Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959, ordinata da Germano Celant, in collaborazione con gli Incontri Internazionali d’Arte di Graziella Lonardi Buontempo, al Centre Pompidou nel 1981, del libro e della serie fotografica The Other Side di Nan Goldin (1972-2019). Chiude le danze un’inaspettata Rarità fotografica del 1913, riscoperta e segnalata da un nostro storico collaboratore, che preferisce mantenere l’anonimato.
Dopo i titoli di coda, proprio sulla pagina del “finito di stampare”, troverete ancora un ultimo invito rivolto ai lettori della rivista – come quelli che uscivano una volta sui giornaletti per ragazzi – perché ci mandino, in un singolo scatto fotografico, una personale lettura di un monumento pubblico della loro città, anche per ricordare quest’arte, spesso trascurata, che per molti mesi è stata (quasi) l’unica che abbiamo potuto vedere dal vero in questo 2020 a distanza, tanto difficile e, lui sì, terribilmente noioso.


1. “Je crois qu’une oeuvre ne peut être réalisée que par celui qui l’a conçue, voilà avant tout le but à atteindre. On supprimera par là les gens de métier et une administration à laquelle tant d’artistes ne se disent pas employés qui cependant, en tant que praticiens, y travaillent en terminant les pieds ou les mains d’un morceau, en les copiant sur un modèle que le maître a recouvert de chiffons mouillés et de plâtre pour donner la souplesse et les plis du vêtement.” Medardo Rosso, risposta all’inchiesta di Edmond Claris, De l’impressionnisme en Sculpture. Auguste Rodin et Medardo Rosso, Parigi, Éditions de “La Nouvelle Revue”, 1902, p. 55; cfr. in proposito Luciano Caramel, L’impressionismo nella scultura, (Lugano, Galleria Pieter Coray, aprile-maggio 1989), Milano, Electa, 1989. Il testo in italiano, ripreso dal libro di Ardengo Soffici su Medardo Rosso del 1909 (Ardengo Soffici, Il caso Medardo Rosso, Firenze, Succ. B. Seeber, 1909, pp. 56-58), è stato scelto da Paola Barocchi nella sua sempre indispensabile raccolta delle Testimonianze e polemiche figurative in Italia per rappresentare gli estremi sussulti della scultura a cavallo fra i due secoli, “che se da un lato concorda con la ricerca impressionistica, dall’altro ispirerà il dinamismo plastico di Boccioni” (Paola Barocchi, Testimonianze e polemiche figurative in Italia. L’Ottocento. Dal Bello ideale al Preraffaellismo, Messina – Firenze, G. D’Anna, 1972, pp. 335 e 356-358).
2. “Nous voyons tous les peuples tailler fort adroitement des fétiches longtemps avant d’aborder la peinture, qui est un art de raisonnement profond, et dont la jouissance même demande une initiation particulière […].
Sortie de l’époque sauvage, la sculpture, dans son plus magnifique développement, n’est autre chose qu’un art complémentaire […]. Quand elle est devenue un art de salon ou de chambre à coucher, on voit apparaître les Caraïbes de la dentelle […] et le Caraïbes de la ride, du poil et de la verrue […].
Puis les Caraïbes du chenet, de la pendule, de l’écritoire, etc. […]. Du reste, il ne faut pas croire que ces gens-là manquent de science. Ils sont érudits comme des vaudevillistes et des académiciens; ils mettent à contribution toutes les époques et tous les genres; ils ont approfondi toutes les écoles. Ils transformeraient volontiers les tombeaux de Saint-Denis en boîtes à cigares ou à cachemires, et tous les bronzes florentins en pièces de deux sous […].
Ce que prouve bien l’état pitoyable de la sculpture, c’est que M. Pradier en est le roi. Au moins celui-ci sait faire de la chair, et il a des délicatesses particulières de ciseau; mais il ne possède ni l’imagination nécessaire aux grandes compositions, ni l’imagination du dessin […]. La Poésie légère paraît d’autant plus froide qu’elle est plus maniérée; l’exécution n’en est pas aussi grasse que dans les anciennes oeuvres de M. Pradier, et, vue de dos, l’aspect en est affreux”. [Charles] Baudelaire Dufaÿs, Salon de 1846, Parigi, Michel Lévy Frères Libraires-Éditeurs, cap. XVI: Pourquoi la sculpture est ennuyeuse, pp. 115-118 (tr. it. di Giuseppe Guglielmi ed Ezio Raimondi, in Charles Baudelaire, Scritti sull’arte, Torino, Einaudi, 1992, pp. 115-117). Si vedano anche la vignetta e l’epigramma dedicati alla statua della Poèsie Légère di James Pradier (Nîmes, Musée des Beaux-Arts) pubblicati nel Salon caricatural del 1846: “Questa lira argentata e questo martello di porta / Gravan con tutto il peso su questo mantello leggero; / Non voglio male a colei che lo porta, / Ma le direi uffa se fossi il suo scudiero”. (1846. Le Salon caricatural. Critique en vers et contre tous, illustrée de soixante caricatures dessinées sur bois, Parigi, Charpentier, 1846, p. 24; tr. it. in Charles Baudelaire, Scritti sull’arte, cit., p. 138; i testi sono attribuiti a Charles Baudelaire, Théodore de Banville, Auguste Vitu e le caricature a Raymond Pelez). Sul Perché la scultura è noiosa di Baudelaire si vedano ora Claudio Pizzorusso, Baudelaire e la noia della scultura, “Studi di Scultura”, I (1), pp. 50-61, e la bibliografia ivi indicata (p. 60, nota 1), con particolare riferimento ai contributi di Marcel Raymond, Wolfgang Drost, Cassandra Hamrick e Arnold Cusmariu.
3. Lucio Fontana, Lettera a Giampiero Giani, Albisola, 2 novembre 1949 (cfr.: Guido Ballo, Fontana. Idea per un ritratto, Torino, Ilte, 1970, p. 247; Lucio Fontana, Lettere 1919-1968, a c. di Paolo Campiglio, Milano, Skira, 1999, pp. 244-245).
4. Si tratta di un problema quanto mai attuale, alla luce delle più recenti campagne iconoclaste e antimonumentali: spesso – nell’accanirci contro oggetti simbolici, patrimonio e monito di un passato del quale è necessario ricordare anche le tragedie e gli errori – ci distraiamo dalle melliflue ambiguità del presente e dai pericoli del futuro, sui quali dovrebbe invece appuntarsi, con maggior costrutto, la nostra attenzione e la nostra azione.
5. Questa immagine sarà significativamente al centro di un’operazione più complessa, quando Borsari la esporrà, appesa al di sopra di un basamento sul quale poggiavano un blocco di marmo, uno scalpello e un mazzuolo, nello stand della Galleria G7 di Ginevra Grigolo ad Arte Fiera nel giugno del 1978. In quell’occasione, senza che l’artista ne fosse al corrente, il direttore della Galleria Comunale d’Arte Moderna Franco Solmi farà recuperare un buon numero di quei busti ottocenteschi, disponendoli su plinti nel piazzale che unisce gli edifici del museo e della fiera. Si veda il resoconto di queste evoluzioni del progetto pubblicato in: Anna Valeria Borsari, Dei luoghi e dei tempi (Lo spazio della differenza), in Situazione
tendenziosa dell’arte italiana, numero speciale a cura di Romana Loda, “Progetto”, III (6), aprile-maggio 1979, pp. 34-35.




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