Vediamo
ora nell'ambito musicale dove e in quali termini possiamo parlare sia di compresenza
su scale diverse di medesimi tratti strutturali, sia di tensione nella dicotomia
struttura/ornamentazione.
Vi è innanzitutto da considerare
l'aumentazione/diminuzione, ovvero la possibilità di rileggere,
compositivamente parlando, una certa sequenza di note con valori di durata proporzionalmente
contratti o espansi, tecnica antica, questa, legata al contrappunto medioevale
-ma frequentata fino ad oggi- che scaturisce dall'affinità che lega la
musica alla matematica. Quest'ultima, intesa in senso ampio come studio/gioco
di relazioni e proporzioni oltre che come calcolo, è da sempre uno degli
strumenti principali per l'istanza costruttiva nella musica e, implicitamente,
afferma il suo legame anche con l'architettura [13].
Pensiamo all'uso delle melodie gregoriane che si fece già a partire dall'Ecole
de Notre Dame -e poi per tutto il quattro e cinquecento: un versetto melodico
che, cantato alla sua velocità ordinaria, non sarebbe durato che pochi
secondi, viene preso, dilatato in ogni sua parte e affidato al tenor,
una delle voci in gioco, che ne estende il canto per la durata di un'intera
sezione di vari minuti, mentre le altre voci cantano "diminutiones" ovvero melodie
a valori più rapidi. A volte la durata delle note del tenor è
tale che nell'ascoltatore si produce un effetto radicalmente differente da quello
offerto da una normale polifonia poliritmica nella quale le voci sono percepite,
pur nella loro diversità, come proiettate su uno stesso piano narrativamente
omogeneo. Si coglie invece uno "sfondo", immobile e costante come un orizzonte
marino, contro il quale si stagliano le altre voci in movimento: ciascuna
nota del tenor diventa così un "bordone" su cui poggia tutta la
costruzione:
es.3 Perotinus "Viderunt
Omnes", inizio
Questo rapporto
di autosomiglianza si evidenzia ancora di più appena consideriamo, sotto
una certa angolatura, la tematica della forma. Una parte significativa
del discorso che svolge David Epstein nel suo "Al di là di Orfeo" è
tesa proprio ad individuare - attraverso una interessante disamina e in parte
ridefinizione di concetti come tempo, ritmo, figura - un sistema di relazioni
in grado di collegare tra loro strati e aspetti della composizione che si collocano
su scale di grandezza differenti. E' il caso ad esempio dell'ipermisura
di 4 battute, definita come «un modello nel quale la battuta iniziale impone
la propria energia originaria, mentre la terza misura presenta una forza secondaria
- in perfetta corrispondenza con il modello binario della misura in 4/4 proiettato
su un piano di maggiore estensione» [14]
.
Un salto di
scala ancora più ampio e pregnante interviene nel caso del "levare strutturale"
che si realizza attraverso il «generarsi di possenti tensioni ritmiche
incrementali del tipo "in levare", cioè tensioni strutturali su larga
scala che non vengono risolte fino al successivo "battere strutturale", dove,
una volta ancora, i punti forti metrici e ritmici, insieme all'armonia e al
profilo lineare, si coordineranno per fissare ed avviare una nuova periodizzazione
musicale» [15] . La pulsazione accentuativa
forte/debole (-,U), di derivazione metrico-poetica, viene assunta in
questo contesto come paradigma interpretativo per segmenti musicali sempre più
ampi.
Prima di proseguire
oltre su questa linea d'indagine desidero offrire un'altra sponda metaforica,
funzionale a questo tipo di disamina.
In epoca recente
le ricerche del matematico Benoit Maldebrot hanno inaugurato una nuova branca
della geometria denominata "frattale" che ha alla sua base il concetto di autosomiglianza
di strutture lineari che riproducono se stesse su scale di grandezza via via
più piccole. Nella fig.6 vediamo una "curva di Koch" colta nei primi
4 passaggi di autoreplicazione": ad ogni passo si verifica un processo di "arricchimento"
figurale in virtù dell'applicazione ricorsiva dell'algoritmo. Curve di
questo tipo possono essere impiegate per modellizzare forme che nel mondo naturale
ricorrono con grande abbondanza. (Osservazioni che portano in qualche modo nella
stessa direzione, assieme ad un'ampia riflessione tesa a collegare natura ed
estetica, si possono trovare nella Metamorfosi delle piante di Goethe
[16] ).
E' appena il
caso di dire che, per chi si occupi di musica o di ornamentazione, tutto ciò
ha inequivocabilmente un'aria di famiglia.
fig.6
Nella fig. 7 vediamo
il diagramma tracciato da Gombrich nel suo fondamentale testo "Il senso dell'ordine.
Studio sulla psicologia dell'arte decorativa" (cfr. nota 11) per inquadrare
sinteticamente il "processo di arricchimento o di elaborazione in successione".
[17]
fig.7
Ed ecco l'inizio
rispettivamente della Sinfonia a 3 voci n°15 (es. 4A) e della Invenzione
a 2 voci n° 15 (es. 4B) di Bach
es. 4 A
si: t D t
.
es. 4 B
come si vede dalle
analisi a colori i materiali esposti risultano pervasi in modo pressocché
totale da un'unica "figura di volta", inferiore o superiore, che si replica
su diverse scale di grandezza sia in ambito spaziale (dall'intervallo di seconda
minore fa#-sol a quello di quinta fa#-do#, nella Sinfonia; dal si-la# al mi-do,
nell'Invenzione), sia in ambito temporale (su diversi livelli di durata-velocità,
specificati dai colori). A questo proposito osserviamo la presenza dei due estremi:
il "mordente" e il passaggio armonico (t-D-t, nella prima e t-s-t, nella seconda),
ma su questo torneremo.
Qualcuno potrebbe
osservare che nell'esempio di Bach riportato la componente di autoreplicazione
non mostra quelle caratteristiche di simmetria così evidenti nelle figure
6 e 7, ed è indubbiamente vero. L'idea della "nota di volta" è
infatti implicata ad un livello concettuale profondo, piuttosto che esibita
nella sua forma standard:
Tuttavia proprio
questa mancanza di simmetria rigorosa caratterizza in modo distintivo la musica
rispetto alle forme di espressione visiva, in particolar modo quelle in cui
si trova implicata la decorazione. Da un punto di vista rigorosamente geometrico,
infatti, dobbiamo dire che in musica domina l'asimmetria, o meglio una forma
di simmetria approssimata, un "quasi": l'intervallo più rilevante
per il sistema tonale è la quinta, che divide l'ottava in due parti diseguali
(questo spiega, tra l'altro, la leggera differenza nell'imitazione del tema
in determinate fughe, che non inficia assolutamente la sua identità);
la stessa metafora della "scala" viene accettata ben sapendo che la distribuzione
di toni e semitoni al suo interno rende i "gradini" asimmetrici; anche il concetto
di "ripresa" il più delle volte non contempla il ritorno dell'identico
ma di un suo somigliante (A B A'). L'ascoltatore però in questa forte
somiglianza percepisce un'identità logica di fondo e ciò è
essenziale per quell'impressione di coerenza e di cogenza che la musica è
in grado di offrire.
La cosa interessante
è che questa autosomiglianza approssimativa che abbiamo visto
caratterizzare la musica, è anche ciò che l'avvicina in modo straordinario
a quella natura per modellizzare la quale è stata elaborata la
teoria dei frattali. Maldebrot è infatti partito dal problema (quasi
paradossale) della misurazione della linea che separa la costa dal mare e tutti
gli esempi tratti dal mondo naturale, come il profilo frastagliato della montagna
o le configurazioni vegetali, offrono propriamente questo tipo di autosomiglianza
"media" (vedi fig.8).
Il fascino straordinario
che simili relazioni hanno esercitato sui compositori di ogni tempo è
ben testimoniato in un testo di Anton Webern, un autore che ha perseguito come
fine supremo della propria attività poetica quest'unità interna
all'opera attraverso l'estensione del concetto di "variazione" a partire dalla
proliferazione di cellule seriali minimali. Ed è significativo che egli
senta il bisogno di riferirsi al pensiero di Goethe del testo prima citato [18]
.
fig.8
In una prospettiva
simile vogliamo considerare anche le cosiddette "note estranee all'armonia"
la cui origine ornamentale è ben presente anche nel contesto prescrittivo
scolastico dei manuali di armonia.
Schönberg non
manca di rilevare il paradosso insito nella definizione stessa di note estranee
e riconduce senz'altro il discorso al processo di emancipazione della dissonanza
[19] . La sua ricostruzione storico-psicologistica
di questo processo oggi non è più accettabile, tuttavia il legame
con la dissonanza resta un elemento appropriato poiché colloca l'uso
di queste note nel pertinente ambito della morfogenesi melodica. Le note
estranee, lo ricordiamo, sono la nota di passaggio, la nota di volta,
l'appoggiatura, la nota cambiata, la nota sfuggita, il ritardo. Ancora Schönberg,
nel capitolo che dedica a quest'argomento, afferma: «per me è importante
aver mostrato, fin d'ora, la somiglianza fra l'abbellimento - il cliché
- e l'inciso libero» (p.419); e, poco oltre, «La migliore spiegazione
per la "nota cambiata" è che essa sia un abbellimento scritto o un vero
e proprio elemento tematico.... Negli abbellimenti - che traggo dallo scritto
di Schenker "Ein Beitrag zur Ornamentik" - l'allievo ha molti modelli
per queste formule fisse che, se eseguite lentamente, sono indubbiamente
note cambiate, sempre che non si voglia ammettere che esse sono tali anche nelle
successioni rapide» (p.429-30 il corsivo è mio). La rapidità
è una caratteristica peculiare delle figure ornamentali musicali, essa
sembrerebbe essere in stretta relazione con la loro accessorietà: ciò
che dura più a lungo è più importante, si fissa meglio
nella memoria, anzi, la diversa velocità d'esecuzione potrebbe funzionare
come segregatore percettivo: un mordente, un'acciaccatura verrebbero percepiti
e subito rimossi dalla linea melodica portante. Ma sappiamo che non accade così,
l'abbellimento -anche il più rapido ed effimero- attrae immancabilmente
su di sé l'attenzione, e l'ascolto strutturale di Schenker difficilmente
si realizza se non dopo un'adeguata preparazione analitica. Il richiamo di Schönberg
alla lentezza/rapidità di esecuzione mi sembra assai significativo: le
note estranee sembrano collocarsi in un punto intermedio di una possibile
scala di grandezze temporali nella quale l'abbellimento si trova al lato estremo
della massima rapidità. Il lato opposto, del massimo rallentamento di
queste microfigure melodiche, è rappresentato dal caso in cui la nota
"accessoria" viene ad essere armonizzata e/o trattata come frammento motivico,
acquistando così un peso, anche ritmico, di ben altra rilevanza
strutturale.
L'es.5 esamina la
trasformazione del "mordente" ma un discorso simile si potrebbe fare anche per
l'"appoggiatura" o per le "tirate", "note passaggiate" e "portamenti" nei confronti
della nota di passaggio e poi dei cromatismi variamente tonicizzati
[20] .
es.5
F. Salzer nel suo
Structural hearing (Dover, 1952) parla di neighbor note chords,
intendendo accordi che armonizzano note di volta condividendo con esse un certo
carattere "accessorio".
Nell'es.5 alla battuta
3 ho posto un accordo alterato che, complice il basso fermo, disegna appena
una sfumatura nell'ambito "tautologico" del 'fa' che ritorna su se stesso anzi,
che sostanzialmente non si muove da sé; mentre alle b.5-6 si ha
l'impressione che il discorso in qualche modo si porti avanti. Questo
"accordo di volta" ricorre significativamente in due esordi celebri,
all'inizio e alla fine del periodo romantico, in Schubert e Brahms (es.6). E'
una dissonanza che turba l'ascoltatore proprio all'inizio della sua avventura
d'ascolto: dopo l'accordo maggiore - cui si fa subito ritorno e in questo è
la "volta"- vi è questa nuvola grigioscura che ha quasi il senso di un
avvertimento, di una promessa di tragico (che non tarderà ad essere
mantenuta). E' superfluo dire che, nei casi in questione, l'aggettivo "accessorio"
è abbastanza fuori luogo: potremmo affermare che il riferimento alla
figura ornamentale "di volta" sia, in questo caso, più adatto
a qualificare la morfologia sintattica che l'effettivo peso semantico [21]
:
es.6
Schubert, Quintetto op.163
Brahms, 3° Sinfonia
Torniamo ora alle
note estranee in generale per considerare ancora un passo di Schönberg:
«Ecco, per esempio, uno di questi abbellimenti:
Se questo 'sol'
dissona con qualche altro suono l'orecchio si attende, data l'abitudine,
una risoluzione: ed ecco che la parte salta al 'do'. Ma anche questo è
un fenomeno noto, perché si sa che dopo il 'do' si ritornerà
giù al 'fa', nel suono di risoluzione. E' come quando in una commedia
la situazione diventa per un momento grave; ma noi abbiamo letto sul programma
"commedia" e sappiamo che le cose non si possono poi mettere tanto male:
finiranno sempre con lo sposarsi. Tale effetto si basa dunque sul ricordo
di situazioni analoghe.» [22]
. Questa insistenza sull'abitudine, com'è noto, tende ad indebolire la
capacità tensiva intrinseca al materiale stesso dissonante, fenomenologicamente
inteso, a favore di un'approccio convenzionalista, di matrice empirista, che
può facilmente aprire la strada ad altre abitudini, altre convenzioni,
altri cliché [23]. Quanto al riferimento
alla situazione teatrale, poi, occorre stare attenti: il fatto che noi sappiamo
a priori come va a finire non ci impedisce affatto, in realtà, di
godere della tensione che in quel momento il materiale narrativo ci offre.
E' infatti assai problematico decidere, nell'ambito di una fenomenologia della
fruizione che si ponga il problema di analizzare l'effetto dell'"affetto",
quanto assegnare al contesto culturale (che indubbiamente esiste e fa
sentire la sua cogenza in termini di abitudini d'ascolto) e quanto, invece,
al contesto strutturale (la forma, l'armonia, la texture, il contrappunto,
che orientano, momento per momento, il "senso" della musica). L'esempio seguente
aiuterà a chiarire come la forza di un contesto strutturale possa
influenzare radicalmente sia la percezione del carattere consonante/dissonante
di un accordo, sia il ruolo funzionale di una nota come parte di un tragitto
lineare.
L'esempio è
tratto dal II tempo della sinfonia n°104 di Haydn, dove non solo le note
estranee di vario tipo (indicate dalle frecce) sono determinanti nella caratterizzazione
motivico-tematica, ma si assiste ad una dilatazione, con conseguente
ispessimento armonico, di grande rilievo sul piano strutturale:
es.7
Osserviamo in particolare
due cose:
- a b. 23 la singolare
percezione armonica creata da quell' "appoggiatura" del 're#' che per un'intera
battuta ferma il tempo su una tensiva sospensione prodotta unicamente
da ragioni di ordine lineare: l'accordo che si viene a creare in questa
battuta non è infatti dissonante!
- l'enfasi data alla "nota cambiata"
'fa#' che viene armonizzata con un accordo alterato (lo stesso che abbiamo incontrato
negli es.5 e 6), di quelli che Walter Piston chiama, non a torto, accordi
appoggiatura [24], unico caso
in cui la 'settima diminuita' non ha funzione di dominante.
Nell'esempio successivo osserviamo,
in 4 passaggi, come avrebbero potuto andare le cose se Haydn, a partire
dalla b.22, avesse voluto raggiungere il 'mi' più rapidamente
es.8
Di fronte a un simile
dispiegamento "retorico" affermare che il tragitto melodico "strutturale" si
può in realtà sintetizzare in 'do-re-mi', non sarebbe solo tragicamente
riduttivo ma anche sostanzialmente fuorviante. Il "fine" non sta qui nell'arrivare
al 'mi' ma nel come ci si arriva e un'analisi che abbandonasse la linea
superficiale così "ornata" a favore di una soggiacente linea strutturale
non renderebbe a quest'opera miglior servigio di chi decidesse di appiattire
le sbombature di una facciata di chiesa barocca, rettificandone le linee curve
per mostrare che in realtà si tratta di un parallelepipedo.
La melodia non si
identifica con l'ornamento, ma è il terreno fertile su cui l'ornamento
cresce (la melodia sarebbe l'oggetto che viene ornato) ma il discorso
si può anche rovesciare: è la melodia, come abbiamo visto, che
cresce e si sviluppa attraverso l'uso di note ornamentali.
Del saggio di Schenker
citato da Schönberg (Ein Beitrag zur Ornamentik, 1904) Ian Bent
dice che l'autore, passando attraverso il trattato di Ph.E. Bach,....»risale
alla teoria cinque-seicentesca degli abbellimenti, a cui si sarebbe direttamente
rifatta la sua propria nozione di "diminuzione ornamentale". Così, nella
misura in cui Schenker elaborerà successivamente una sua tecnica di
rimozione dell'involucro esterno di un pezzo onde rivelarne la struttura
profonda, il saggio sull'ornamentazione è uno scritto emblematico anche
per il suo avvenire di analista» [25]
.
La verità
è che il nostro sistema musicale è "armonicocentrico". L'importanza
e la forza del sistema tonale è tale da costringere il discorso musicale
nel suo complesso a muoversi all'interno di questo paradosso: l'immediatezza
fenomenologicamente fruibile è con tutta evidenza dominata dal dato melodico,
mentre la "profondità" dell'ascolto, il suo spessore, viene dalla prospettiva
armonica. Tuttavia la progressiva "riduzione" semplificante cui possiamo sottoporre
il dato melodico, se da un lato offre più chiara la visione dell'intelaiatura
di rapporti soggiacente, finisce però inesorabilmente per impoverire
il dato musicale originario rischiando di misconoscerne la sua primigenia necessità
e complessità. (In modo simile l'analisi neurobiochimica della materia
biologica incontra un limite invalicabile nell'organicità vivente del
corpo studiato: o si mantiene una certa "distanza di sicurezza" - che impedisce
la visione microscopica- o si seziona un corpo morto).
Combinazioni lineari
di più note estranee in successione hanno dunque l'effetto di rinviare
la naturale risoluzione melodica. Su questo vorremmo soffermarci un momento.
Questa "strategia del ritardo", che qui cogliamo mettendo a fuoco il "dettaglio"
del farsi melodico, si rivela di importanza cruciale nell'atto del comporre:
è un prendere tempo che ritarda il momento della risoluzione
(della dissonanza o dell'impedimento narrativo) poiché essa rappresenta
in qualche modo un termine, definitivo o temporaneo, al discorso, che
può invece essere portato ancora un po' avanti. Vi è come
una forza d'attrazione gravitazionale, cui non ci si può sottrarrre,
che porta un momentaneo stato di tensione a concludere su uno stato di riposo,
come un'espirazione segue necessariamente un'inspirazione, come un sistema che
parte da uno stato di ordine (informazione) - che è energia trattenuta
- tende naturalmente all'entropia. La risoluzione della dissonanza procura
certo un indubbio godimento nello scioglimento della tensione, ma è la
parte più convenzionale del piacere del fruitore. Ben altra soddisfazione
riserva all'ascoltatore (e, prima di lui, al compositore) la messa in scena
di questa strategia del ritardo in cui spesso si annida il vero cuore
dell'invenzione.
Ecco che, tornando ad Haydn, la
conseguenza più macroscopica sul piano del contesto strutturale
finalizzato a questa strategia del ritardo la cogliamo in una sezione
di sviluppo, a partire da b.102, che riprende il punto citato nell'es.7 per
operare una fondamentale quanto imprevedibile variante che costituisce il centro
di tutto il movimento:
es. 9
il mutamento di
scrittura da re# a mib è chiaramente percepibile: la tensiva
sospensione che avevamo visto nel punto analogo (es.7) viene qui frustrata
attraverso una metamorfosi del senso: l'elemento tensivo lineare subisce uno
"stiramento" insieme temporale e melodico: la b.103, che corrisponde alla precedente
22, vede la rinuncia alla duplicazione figurale, il 're' - fermo - si prolunga
nel ribattuto e quando finalmente si solleva da questo "grado zero" melodico
raggiunge il mib quasi con fatica e lì di nuovo sosta ancora a
lungo. Il senso è rovesciato rispetto all'es.7: questo sostare su accordi
stabili (do min. Lab magg. Reb magg.) stempera la tensione del
cromatismo, ogni gradino raggiunto si pone come possibile sosta definitiva e
non vi è alcun senso di direzionalità melodico-armonica.
Per tornare a Schönberg,
l'effetto si basa con tutta evidenza sul "ricordo di situazioni analoghe",
cioè sul confronto inconscio che l'ascoltatore fa di situazioni simili,
di fronte alle quali si aspetta il ripetersi della stessa esperienza. Nell'esempio
di Haydn possiamo però distinguere due diversi tipi di "ricordi" - o
contesti- entrambi riferiti alla figura ornamentale (nota cambiata che
ritarda la risoluzione dell'appoggiatura): quello che si consuma per
primo, nell'es.7, dove l'efficacia dell'effetto poggia prevalentemente
sul contesto culturale; e quello dell'es.9 che, confrontandosi direttamente
con il punto precedente e caricandosi di un'aspettativa -che andrà incontro
a frustrazione-, vede prevalere la forza del contesto strutturale, relativo
cioè al micromondo di questo pezzo in particolare. Vero è che
ci stiamo muovendo su un terreno dove l'ambiguità regna sovrana e i margini
si spostano di continuo, sicché non è infrequente il caso in cui
ciò che sembrava (o era, poco prima) una lieve deviazione dal tracciato
principale, apre poi la porta a un vero cambio di scena. Ma questa possibilità
di scambio di funzione - e quindi di senso- all'interno di un'opera è
già iscritta nel codice genetico dell'ornamento, anzi, potremmo dire,
è uno dei suoi tratti fondanti che lo rendono, in determinate condizioni,
un fondamentale protagonista dell'elaborazione della forma.
Il discorso fatto
sulle note estranee (e gli esempi che si potrebbero portare sono tanti)
induce a considerare il modellamento ornamentale del profilo melodico come costitutivo
in senso forte della melodia stessa e, come tale, non solo non eliminabile ma
neanche "riducibile". Così Schönberg, commentando il corale "Was
mein Gott will" (n°115 della raccolta dei 371 corali della Breitkopf, 1978)
afferma: «...qui non abbiamo un'armonia modesta o priva d'interesse, nobilitata
poi con abbellimenti esteriori...» «...il presunto "ornamento" è
innato alla composizione nel suo insieme» [26]
e ancora «In una vera opera d'arte il rapporto reciproco degli accordi
è solido e ben motivato dalla necessità costruttiva, indipendentemente
dal fatto che il loro significato fondamentale sia più o meno evidente,
che essi abbiano un peso effettivo o che siano soltanto prodotti dal movimento
"ornamentale" delle parti: al punto che queste stesse parti che li costituiscono,
per quanto possano avere un valore di ornamento nell'insieme e per quanto mosse
e contorte ne possano essere le linee, non possono in nessun caso essere considerate
come mero abbellimento e non possono dunque essere eliminate, così come
non si possono eliminare le parti analoghe in una costruzione in acciaio»
(p.433)
Da queste citazioni
appare evidente l'imbarazzo che comporta l'uso del termine "ornamento" o "abbellimento",
la sua ambiguità si fa ingombrante, nell'ambito di un discorso - il suo
Manuale d'armonia- teso a tracciare tratti strutturali, come ciò
che pertiene la natura profondamente morale dell'arte. Queste linee contorte
non sono "mero abbellimento" e dunque non possono essere eliminate. La
rimozione dell'ornamento, quest'operazione che sappiamo per definizione appartenere,
almeno potenzialmente, al suo destino, questa operazione di "pulizia", di "scrostatura"
- così morale - quando però tentiamo di applicarla ad un ornamento
intessuto nel testo in modo esteticamente - quindi funzionalmente- così
persuasivo, appare letteralmente «impossibile». Schönberg arriva
a sfiorare quest'aporia ma non l'affronta in sede teorica, probabilmente perché
questo avrebbe comportato una messa in discussione di categorie - come la forma
- che non aveva assolutamente intenzione di mettere in questione, lui già
sufficientemente rivoluzionario su altri terreni.
Queste considerazioni
potrebbero al limite condurre a quell'enfatizzazione estrema del carattere di
necessità dell'ornamento, alla quale non vogliamo assolutamente
arrivare. Non si vuole affatto giungere ad un'idea di ornamento così
debole da rendersi inutile perchè completamente solubile, sussumibile
in un concetto di struttura (melodica, retorico- discorsiva, funzionale)
reso a sua volta più "ospitale" sotto questo aspetto. Mi preme invece
la possibilità di mantenere un'autonomia al discorso sull'ornamento,
pur sapendo che si tratta di un'autonomia relativa e precaria. Poiché
se è vero che vi sono esempi evidenti di indistricabilità del
tratto ornamentale dal tessuto (melodico) generale, è vero anche che
ve ne sono altrettanti in cui la melodia non solo non attinge per la sua "plastica"
ad elementi ornamentali (ad esempio tutti i segmenti riconducibili a scale e
triadi accordali) ma, se questi occorrono, sono tranquillamente eliminabili
senza comprometterne il senso più profondo e originario.
Un caso critico,
a questo riguardo, è rappresentato dalle due Sarabande
della II e III Suite Inglese di Bach: l'autore stesso ci ha fornito
una versione convenientemente ornata accanto a quella "senza abbellimenti".
Nella II, in la min., è solo la parte della mano destra
a venire elaborata dal double, mentre nella III, in sol min.,
è coinvolta anche la linea della sinistra cui è affidata una parte
melodica simile. Il double verosimilmente va eseguito come "ritornello"
di ciascuna delle due parti di cui è composta ogni sarabanda. Nell'es.10
vediamo un estratto da entrambe le sarabande:
es.10
Che Bach sentisse
il bisogno di specificare in "note reali" le fioriture del proprio pensiero
melodico non ci meraviglia (cfr. es.2), la questione semmai è perché
Bach lasci, accanto alla versione ornata, ovvero arricchita dal punto di vista
melodico in modo tutt'altro che scontato (e quindi non affidabile all'estro
del clavicembalista di turno), la versione "liscia", scarna, pulita ovvero "fredda"
- se consideriamo quella ornata, piena del pathos di un "infiammato stile
recitativo" (come dice A. Basso). Dobbiamo quindi ritenere che, in questo caso,
l'autore fosse consapevole di aver costruito già nella versione semplice
qualcosa di sufficientemente espressivo e completo nella sua organicità
e, poiché l'universo delle varianti nella ricerca artistica è
pressocché illimitato, abbia ritenuto che vi si potesse accostare una
versione più elaborata, senza che questa rischiasse a posteriori di
gettare sulla precedente un giudizio di insufficienza [27]
.
D'altronde è
una situazione assai frequente quella che presenta, nell'ambito dello stesso
pezzo, una melodia semplice che successivamente viene arricchita
con varie ornamentazioni, suggerendo all'ascoltatore un confronto continuo che
ha luogo in quel presente della coscienza, fenomenologicamente esteso
da ritensioni e protensioni. E questo non soltanto nelle "variazioni su tema",
forma che così tipicamente esibisce un'articolazione a questo scopo fondata,
ma in una ben più vasta gamma di pezzi, a dimostrazione che il concetto
stesso di variazione rappresenta un ingrediente assolutamente indispensabile
alla poiesis musicale, comunque intesa.
Consideriamo ora
il caso di Chopin, in particolare di quei Notturni, in cui questo ritorno circolare
sulla stessa melodia conosce sempre nuovi imprevedibili arricchimenti. Nel es.11,
tratto dal Notturno op.15 n°2, osserviamo che la seconda "semifrase" alle bb.3-4
è già una variante minimamente arricchita della prima ma, subito
dopo, l'arricchimento sfocia in un ipertrofismo di straordinaria carica espressiva.
Un ricamo la cui leggerezza è inversamente proporzionale alla quantità
di note in gioco: 30 a b.11 e 40 a b.51! La curva melodica delle bb. 1 e 3 che
discende e si posa sul 'do' viene completamente polverizzata, l'informazione
diastematica è ridotta alla mera linea mediamente discendente.
Rapidità e leggerezza giocano un ruolo essenziale nel tracciare i contorni
necessariamente indefiniti di questi momenti che definirei di annebbiamento
melodico. Questo punto estremo di trasfigurazione-cancellazione non giunge
alla fine di un processo alterativo, come potrebbe essere quello implicato dalle
"variazioni su tema", ma arriva subito, improvviso, in stridente contrasto con
la debole alterazione delle battute che gli fanno da "intorno", cioè
il 'levare' della 11 e l'appoggio della 12 (che rimangono identiche anche "nell'intorno"
della 51).
Di che natura è
il tempo occupato dalle fioriture melodiche di Chopin e Bach? esse sono diminutiones
cioè rientrerebbero, per come sono scritte, nell'alveo della battuta
ma in realtà non è così: non solo perchè l'interprete
deborda, si prende il suo tempo, ma soprattutto perchè
viene alterata la nostra fruizione, la nostra percezione del tempo, di fronte
ad un evento più complicato, a un percorso più tortuoso. E' avvenuto
il riempimento di uno spazio che solo ora, retrospettivamente, ci sembra vuoto.
Quelle concrezioni di note (e notine) con la loro rapidità riempiono
una lentezza: di fatto la cancellano poiché il basso d'accompagnamento
porta con sé nello sfondo
es.11
dell'attenzione
anche la propria andatura, il proprio tempo. Il risultato è
di globale rallentamento: il tempo è naturalmente ritenuto,
ovvero trattenuto nel suo scorrere dalla trama infittita che richiama l'attenzione
dell'ascoltatore proprio nel momento in cui, paradossalmente, gli sottrae un'informazione
melodicamente distinta -cantabile- per offrirgli il piacere di questa
cascata di note. Non è che un istante, ma in questo istante l'ascoltatore
perde la solida presa, resta col fiato sospeso, come l'acrobata nel passaggio
da un trapezio all'altro. Naturalmente è un esempio estremo, nel
caso di tante altre varianti non si perde questa presa, e il riconoscimento
del frammento melodico di partenza è ancora possibile, tuttavia, seppure
con gradi diversi, il gioco continuo del mantice temporale, con la sua agogica
in continua espansione-contrazione, resta, ancorato a quest'idea del farsi e
disfarsi della melodia, attraverso un uso così peculiare dell'ornamentazione.