Il percorso si complica

Nell'es.4 (l'invenzione di Bach) avevamo visto la "nota di volta" in una sua estensione concettuale che ne coservava l'andamento caratteristico di oscillazione, questo allontanarsi-da e subito ritornare-alla nota di partenza. Analogamente nell'es.6 quel particolare colore armonico, pur costituendo un evidente segno -la cui pregnanza, per i pezzi in questione, potrebbe essere oggetto di opportuna indagine analitica- esibiva comunque un carattere sintatticamente "parentetico": un turbamento, una dissonanza, subito riassorbiti. La "nota di volta" sembra quindi candidarsi a un ruolo quasi emblematico dell'accessorietà ornamentale: questo subitaneo ritorno su di sé potremmo quasi simbolizzarlo usando una formula che normalmente si riserva a ben altre dimensioni di durata: "aba". Questa estensione crediamo offra una chiave preziosa per l'interpretazione del concetto di ornamentazione: è l'allontanamento temporaneo da un centro che non genera il turbamento dovuto allo squilibrio di un mutamento di rotta strutturale, ma offre un "diversivo", una digressio.

La "digressione" è, notoriamente, una delle figure retoriche più importanti [28] , un suo uso in ambito narrativo, che potremmo definire virtuosistico, lo troviamo, ben prima di Proust, in "Vita ed opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo" (1760-67) di L. Sterne. Ecco come, con suprema (auto)ironia, l'autore ci rappresenta il suo percorso narrativo - un paio di secoli prima delle letture "strutturaliste":

 

 

Questo brano è per noi di grande interesse, non soltanto per il disvelamento che l'autore compie della sua funambolica abilità nel tessere digressioni (alcune delle quali, come la "curva frastagliata B", mostrano addirittura un carattere frattalico) ma soprattutto perché pone implicitamente sul tavolo una questione di importanza cruciale per il nostro discorso sull'ornamento: l'equilibrio che, in una costruzione narrativa, devono avere gli elementi secondari, oggetto appunto di digressioni, rispetto al tracciato principale. Il gioco di schermirsi dalla critica di essersi troppe volte allontanato dall'oggetto principale della sua narrazione - una pseudobiografia- è palesemente funzionale alla compiaciuta consapevolezza di aver radicalmente rovesciato il rapporto tra narratio ed excursus a favore di quest'ultima. L'incastro continuo tra storia ed episodi, tra cose narrate come racconto e cose narrate come vissuto, produce un continuo scarto di piano che invita il lettore a perdersi senz'altro nel labirinto, rinunciando ad orientarsi. Il paradosso del sovvertimento della dispositio, tuttavia, ci rivela una dimensione di ambiguità di fatto immanente alla costruzione narrativa. Possiamo non arrivare al paradosso di Sterne ma il pericolo del rovesciamento tra figura e sfondo (come accade in certe illusioni percettive) fa, come dire, parte del gioco: vi è sempre il "rischio" che l'episodio scelto per dis-trarre risulti più intrigante della storia principale. Del resto non è forse casuale che l'oggetto della narrazione principale, quello cioè continuamente intersecato, sezionato e ricucito, scomposto e ricomposto, sia la vita stessa: è una grande metafora quella che, infine, sembra adombrata da una simile paradossale scelta stilistica: l'ironia di Sterne sembra corrodere inesorabilmente qualsiasi "solido criterio" morale per distinguere a priori gli episodi della vita in principali e secondari, restituendoci della vita quell'immagine un po' casuale che si ha mentre la si vive/guarda "da vicino". Se lo scopo fosse quello di andare da un punto ad un altro allora il percorso sarebbe un "mezzo", ma nella via/vita contorta e allungata di Tristram Shandy il punto di arrivo della linea non è che un pretesto (da procrastinare) mentre lo scopo è, evidentemente, la via stessa, il percorso narrativo.

L'esperienza narrativa di Sterne, naturalmente, è estrema ed eccezionale (come già nel Don Chisciotte o nell'Orlando Furioso), la digressione ordinaria occupa normalmente spazi più sorvegliati e meno devastanti dal punto di vista della struttura. Soprattutto può articolarsi su scale assai diverse qualitativamente e quantitativamente, può ad esempio essere inserita in modo programmatico per sviluppare aspetti specifici del narrato oppure giungere inattesa ad alleggerire momentaneamente una tensione. Quest'ultima è quella che più interessa il nostro discorso poiché mette in atto quella "strategia del ritardo" di cui stiamo inseguendo le tracce sul territorio musicale.

Il discorso che siamo andati facendo partendo dalle "note estranee" e seguendo il filo di un'estensione temporale di questi elementi lineari, ha ben presto incontrato lo spessore armonico come suo sfondo di senso determinante (nei termini dell'armonizzazione di note di origine ornamentale).

Proviamo ora ad abbandonare del tutto la dimensione melodico-lineare, rivolgendoci al dato armonico in sé, in quanto successione di accordi governati da funzioni armoniche che ne regolano la "tensione". Scopriremo subito, anche in questa prospettiva, quella "strategia del ritardo" che abbiamo visto operante su piccola scala quando si concatenano più note estranee.

Il sistema tonale, sorto coagulandosi attorno al moto cadenzale (innanzitutto la successione V-I), ha poi visto ritmare le sue fondamentali articolazioni sintattiche attraverso vari tipi di "cadenze". Il percorso armonico più semplice vede quel movimento di allontanamento dal centro tonale che porta la tonica verso l'altro-da-sé, la sottodominante, per identificare poi, immediatamente, questo punto d'approdo come "testa di ponte" per il ritorno a casa attraverso la cadenza V-I (vedi es.12: Chopin preludio n° 20)

Consideriamo ora alcune possibili vie di allungamento di questo percorso. La complicazione di questa linea può ad esempio prevedere il rinvio della risoluzione in tonica attraverso la "cadenza d'inganno" D VI: l'uso di questa successione accordale è antichissimo ma il suo carattere di inganno per l'ascoltatore si stabilizza solo in coincidenza con l'affermarsi del

es.12

Chopin preludio n° 20

 

sistema tonale: il punto di approdo dopo la tensione è rimandato: l'ascoltatore subisce una temporanea frustrazione, solo parzialmente risarcita dalla certezza di essere nei pressi della chiusa. Anche qui siamo di fronte ad un cliché che però non cessa di esercitare il suo effetto lungo tutto l'arco storico di durata della tonalità, in modo analogo a quanto abbiamo visto accadere per le note "ornamentali" in ambito melodico.

 

Es. 13 (Bach, Preludio dal "Clavicembalo ben temperato" n°9 dal I vol.)

Bach, Preludio dal "Clavicembalo ben temperato" n°9 dal I vol

 

La seconda possibilità è l'uso di "dominanti secondarie" che hanno cioè un valore funzionale locale, riferito all'accordo immediatamente successivo (in parentesi nell'analisi armonica degli esempi). Possiamo ora riconsiderare le ultime battute dell'es.5, la cui analisi armonica rivela esattamente questo tipo di complicazione nel percorso cadenzale T D vi, che diventa

Bach, Preludio dal "Clavicembalo ben temperato" n°9 dal I vol

Nel prossimo esempio riprendiamo il Preludio di Bach e vediamo come va a finire il discorso, dopo che "l'inganno" ha fortemente rallentato la caduta gravitazionale verso la tonica:

es. 14 (idem)

Bach, Preludio dal "Clavicembalo ben temperato" n°9 dal I vol

la cadenza scelta come "finale" è dunque quella "plagale" (IV-T) ed essa viene arricchita dalla presenza della dominante del IV grado. Queste "dominanti secondarie" agiscono come satelliti in un sistema solare, riproducendo "in piccolo", con il proprio pianeta, il rapporto gravitazionale principale che lega il pianeta stesso al Sole. Per quanto complicato sia da questi satelliti, il giro cadenzale non perde la sua identità e riconoscibilità: si parla di macrocadenza all'interno della quale agiscono tensioni/risoluzioni microcadenzali (ancora una compresenza su scala diversa dei medesimi tratti strutturali). E vi è naturalmente una "gerarchia" in questi satelliti relativa alla loro capacità di presenza, ovvero, in questo contesto, di durata e posizione accentuativa. Si spiega così il carattere veramente "accessorio" dell'accordo diminuito (D) che precede la dominante a b.22, con la sua origine chiaramente melodico-cromatica e la sua posizione fortemente arsica: la sua microfunzione è quella di rafforzare la successiva dominante e, di conseguenza, "l'inganno". Così l'altra piccola D che precede la tonica finale, lungi dal contraddire il movimento "plagale", vi si insinua in mezzo come una sfumatura di "colore".

Non stamo parlando di modulazioni, cioè di spostamenti netti del campo gravitazionale, quanto piuttosto di tensioni modulative o "sensibilizzazioni". La loro funzione è duplice: arricchire il percorso macrocadenzale, ornandolo -fin quasi a travestirlo, in certi casi-, ovvero procrastinare l'arrivo della cadenza finale, con quella presa di tempo che consente di aggiungere ancora qualche cosa al discorso.

Cadenze "d'inganno", "evitate" (quando una dominante finisce su un'altra dominante), "dominanti secondarie",...etc. rappresentano dunque gli snodi sintattici dai quali far nascere potenziali percorsi digressivi - se non vogliamo considerarle addirittura in se stesse delle piccole digressioni-: in comune vi è una sorpresa, uno spiazzamento, un indicare una direzione senza che segua l'immediato raggiungimento della meta, un prenderla alla larga.

Tre battute prima dell'es.13 Bach, riprendendo quanto aveva fatto all'inizio relativamente alla tonalità di SI, fa deviare il discorso per una battuta e mezza portandolo a gravitare intorno all'omonima minore della tonalità d'impianto (mi) - quasi un universo parallelo, sempre disponibile. E' vero che si tratta di una "ripresa" ma ora, nei pressi della fine, questa deviazione assume un significato perturbante, che allontana la nave dal porto come un improvviso vento contrario. Questa allusione all'altro pone quindi sotto una luce particolare anche la successiva scontata cadenza d'inganno:

es.15 Bach, Preludio dal "Clavicembalo ben temperato" n°9 dal I vol

Bach, Preludio dal "Clavicembalo ben temperato" n°9 dal I vol

 

 

 

il 6° grado, infatti, è assai caratteristico per l'identificazione del modo essendo un accordo completamente diverso nei due casi (VI=DO mag. per la tonalità di mi minore piuttosto che vi=do# min. per MI magg.) e l'analisi (nel rigo aggiunto in basso) rivela la strategia raffinata adoperata da Bach per dare un senso non ovvio alla fase conclusiva, notoriamente la più esposta alla convenzione.

Anche in questo caso, come abbiamo fatto con Haydn, vogliamo mostrare come eventualmente si sarebbe potuto semplificare il tragitto. Nei due esempi seguenti abbiamo eliminato una delle due cadenze d'inganno, nell'es.16 quella relativa alla digressione in minore (si legga saltando le battute vuote):

es.16 modifica a Bach 1

modifica a Bach 1

 

 

(il profilo melodico è stato di necessità un poco alterato nei due esempi fittizi per consentire gli agganci) nell'es.17, invece, abbiamo eliminato il secondo inganno, quello "regolare", percepiamo così meglio la sua funzione di riequilibratura:

 

es.17 modifica a Bach 2

modifica a Bach 2

Nell'esempio successivo, tratto dall'op.15 di Schumann "Träumerei", la riarmonizzazione dell'inciso (sol-la-si-re) giunge assolutamente inaspettata, la cadenza già avviata viene interrotta da un improvviso ripensamento, mentre la "densità" della nuova armonizzazione interpreta genialmente la "funzione" di ritardando.

 

es.18 Schumann

Schumann

Perché si possa parlare di "digressione" in musica occorre, a mio parere, che sia chiaramente indicata una direzione verso la quale si sta svolgendo il discorso. Questo fa sì che complicazioni, spiazzamenti, deviazioni, etc. che si incontrano, ad esempio, negli "sviluppi" di sonata non siano considerabili sotto questo punto di vista, poiché lo "sviluppo" è appunto caratterizzato da un "allontanarsi da" piuttosto che da un "tendere verso", come ha acutamente osservato D. de La Motte. [29]Per la stessa ragione possiamo invece trovare nelle "esposizioni" di sonata momenti riconducibili a quest'ambito.

Ascoltando la sonata per pf. K310 in la minore di Mozart l'ascoltatore sa perfettamente che il secondo gruppo tematico sarà nella tonalità del relativo maggiore, ciò che non si aspetta è che il cosiddetto "ponte modulante" anziché condurlo a DO come un taxi potrebbe condurlo alla stazione, si comporta come un autobus il cui percorso conosce varie fermate (FA magg., re min.) e, soprattutto, è preso nella direzione sbagliata (do min.)!

 

es. 19 Mozart K 310 inizio

Mozart K 310 inizio

 

Al termine della stessa sonata, cioè al termine della "ripresa" dell'"esposizione", nella fase in cui più che altrove tutto è scontato, Mozart inserisce 3 battute che non c'erano nella prima parte: queste battute in più formano una voluta, un ghirigoro che ha il solo scopo di ritardare la cadenza finale - enfatizzandola- esattamente come una foglia che, staccandosi dall'albero in una giornata di vento, prima di posarsi a terra compie diverse evoluzioni, cioè "divaga"

 

es. 20 Mozart K 310 fine

 

Mozart K 310 fine

 

Si osservi che, tranne l'es.15, tutti gli esempi riportati hanno in comune un tratto sintatticamente caratteristico: la possibilità di isolare e virtualmente eliminare l'inserzione digressiva, ricollegando il prima al dopo senza soluzione di continuità [30].

 

Note

[28] Cicerone nel De Oratore: "Inoltre vi sono la digressione, dopo la quale, una volta sortito l'effetto di arrecare piacere, si deve ritornare all'argomento principale in modo appropriato e armonioso" op. cit, p.721

[29] Diether de la Motte, Manuale di armonia, La Nuova Italia, Firenze 1988, p.188 (originale Harmonielehre, Bärenreiter, 1976)

[30] E'opportuno citare la posizione di Leonard G. Ratner che nel suo Armonia, Struttura e Stile (tr. it. Ricordi, Milano 1996, originale New York 1962) ha il merito di dedicare adeguato spazio a ciò che egli definisce "digressioni cromatiche nell'armonia diatonica". Il contesto è quello di un manuale di armonia ma la sua posizione antiaccademica lo spinge a spaziare con libertà investendo di un peso e un'importanza affatto nuovi molti aspetti riguardanti l'ornamentazione e la sua incidenza sull'armonia. Il suo concetto di "colore" armonico -inteso in contrapposizione al ruolo funzionale- resta ancorato ad una definizione intuitiva, così come pure il concetto di "digressione", che egli applica con molta disinvoltura, ma, per essere un testo del '62, esso mostra ancora oggi, in Italia, una sorprendente novità di approccio.

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