In verità, nonostante il nostro
discorso abbia cercato di scandagliare, almeno in parte, le profondità che si
celano dietro al concetto di ornamento, non possiamo dimenticare che i termini
"ornamentale" o "decorativo" hanno assunto e assumono spesso delle colorazioni
semantiche che finiscono con l'attribuire loro una valenza eticamente
negativa. Così, proprio in relazione alla "struttura", intesa come esclusivo
ricettacolo della sostanza, di ciò che in ultima analisi è realmente
importante perchè invariante, l'ornamento si caratterizza per la sua
"superfluità" sovrastrutturale, che pertiene alla sfera dell'apparenza.
Su questa ricade la prima grande ambiguità: l'apparenza può essere
manifestazione della sostanza, e caratterizzarsi addirittura come sua
persuasiva epifania, così come può invece produrre un travestimento della
sostanza, funzionale all'occultamento della sua eventuale inconsistenza,
e allora il carattere suasorio prende il colore negativo della maschera e
dell'inganno.
L'aggettivo "ornamentale", o meglio ancora,
"decorativo", applicato nell'ambito della pittura sta spesso a significare che
l'opera manca di spessore e in luogo di quella profondità e di quella
eccedenza si senso che le richiediamo, essa sembra restituirci una intenzione,
appunto, meramente decorativa, una compiaciuta ricerca del piacevole che
è sinonimo di superficialità: restiamo frustrati in quanto fruitori di arte.
L'elemento ornamentale non rimanda qui ad una sostanza "ornata", che è assente,
ma si identifica con l'opera stessa, e le assegna un valore negativo in virtù
del riconoscimento di questa assenza. Ma può accadere anche il contrario: il
quadro di un pittore valido viene sapientemente acquistato e collocato da un
architetto, pagato per questo, in un salotto di incolti arricchiti il cui
proprietario poserà l'occhio sul quadro come su uno dei tanti elementi di
decorazione della sua casa (alla stregua di un pianoforte a coda che nessuno
suonerà). L'incapacità di rilevare nel quadro quella dimensione più profonda e
sostanziale, che lo renderebbe autosufficiente, produce il declassamento
dell'arte stessa a ornamento e l'identificazione della sostanza ornata nella
casa. Questa situazione naturalmente è peculire dell'età moderna, che ha visto
svilupparsi il concetto di "arte autonoma", sostituendo il problematico ma
rassicurante rapporto con gli antichi committenti con una sofferta libertà e
coscienza di sé. Un passo di Adorno, nel saggio Funzionalismo oggi
radicalizza la questione gettando il sasso in profondità: «...L'arte infatti,
una volta pervenuta all'autonomia, non può più evitare del tutto inflessioni
ornamentali, essendo ornamento, secondo i criteri del mondo pratico, la sua
esistenza stessa.» [56]Il contesto è
riferito alla posizione polemica assunta dall'architetto di ambiente viennese A.
Loos che occupò un posto assai rilevante nel dibattito culturale di inizio
secolo conducendo una battaglia radicale contro la Seccessione viennese e più in
generale contro l'ornamento in architettura [57]
.
Le Corbousier non è meno radicale di Loos nell'ascrivere
alla decorazione "il nostro basso
livello sentimentale" e apre il testo con l'affermazione che «l'arte
decorativa moderna non comporta nessun tipo di decorazione» [58]
.»Solone, dacci alfine la legge della biacca!....dovunque gli uomini hanno
conservato intatto l'edificio equilibrato di una cultura armoniosa, lì c'è il
latte di calce» (p.193) [59]
A margine osserviamo che i rivestimenti
sei-sette-ottocenteschi (controsoffittature, portali aggiunti,...) nelle chiese
medioevali possono disturbare proprio per il loro manifesto carattere di
rivestimento esteriore. Tuttavia c'è chi sostiene, ed a ragione, l'assoluta
arbitrarietà di quelle operazioni di restauro radicale che riporterebbero gli
edifici ad una nudità presunta originaria, ma che in realtà hanno molto
più a che fare con una sensibilità estetica "modernista" (appunto la legge
della biacca) che con il medioevo. Dice Hogarth nel testo citato: a
proposito della varietà «L'orecchio si offende tanto da una sola nota continua,
come l'occhio dall'esser fisso ad un punto solo o ad osservare un nudo muro»
Questo ci riporta immediatamente al campo musicale dove una cattiva filologia
pretendeva di votarsi all'Urtext finalmente scevro dalle dubbie
incrostazioni ermeneutiche dei revisori, eseguendolo sic et simpliciter,
senza saper risolvere il problema - musicale - di ridonargli, anche attraverso
un'ornamentazione adeguata, vivacità espressiva.
In epoca più recente abbiamo assistito al sorgere di
una nuova forma di ornamentazione
che ha nel "Centre G. Pompidou" di Parigi una delle esemplificazioni più
eclatanti: l'esibizione dell'impiantistica. Anche in questo caso, mi sembra, ci
misuriamo con un senso di pertinenza o, al contrario, di impertinenza di una
simile scelta che gioca con il rovesciamento di senso tra funzione e décor,
collocandosi sul fronte diametralmente opposto - quindi logicamente affine- al
"pilastrino ornamentale" che abbiamo osservato nel Campanile di Giotto (cfr.
fig.3).
Anche in campo musicale incontriamo questa coloratura
semantica negativa a proposito dell'ornamento, e precisamente in due ambiti. Il
primo, dalla parte dell'interprete, è quello del virtuosismo tecnico
(altro concetto già, di per sé, fortemente ambiguo): «il virtuosismo male inteso
ebbe spesso tendenza a non vedere nell'abbellimento che un'occasione per far
colpo»
[60] . Feedback dell'interprete verso il
compositore, quando questi apre spazi pensati esplicitamente per questo, come
nel caso delle arie d'opera o delle cadenze per strumento solista e orchestra,
lo spazio del virtuosismo tecnico è uno spazio dedicato, dove
l'interprete trova il modo di mostrare "ciò che sa fare" al di là di quanto gli
viene richiesto dalla partitura, cioè al di là di quelle ragioni compositive che
costituiscono la "sostanza" dell'opera. Il compositore correva dunque il rischio
- che faceva comunque parte delle regole del gioco- di una smagliatura
stilistica aperta in quella parentesi che, piccola o grande che fosse,
rappresentava una "licenza digressiva" affidata al gusto dell'interprete.
Il secondo ambito, che investe invece il compositore in
prima persona, riguarda quei "caratteri secondari" di cui abbiamo parlato e in
particolare la sfera del timbro
sulla quale ricade tradizionalmente la valenza decorativa. Sono aspetti
del suono poco o nulla riconducibili a strutture organizzate, razionalizzabili,
"misurabili" e che, come abbiamo visto, sono state considerate, di norma, parte
del "rivestimento", sovrastrutturali, accessori.
Bach si può
riconoscerlo, se non apprezzarlo, anche fischiettato in modo
approssimativo o nella versione piatta che offre l'elettronica di uno strumento
MIDI di basso costo; al contrario, una melodia banale di Salieri o Saint-Saëns
non potrà mai essere stravolta da varianti "secondarie" al punto da diventare
interessante o bella. Qui cogliamo il potenziale aggancio a quell'approccio
moralista
all'ornamento che, protagonista della polemica difesa del "sobrio" contro il
"frivolo", difende sin dall'antichità, ad esempio, la verità della bellezza
femminile "acqua e sapone" contro il turpe belletto mascheratore, portatore di
menzogna... Bach non sente il bisogno di attribuire né una dinamica e neanche un
timbro a quel monumento alla ragion contrappuntistica pura
che è l'Arte della Fuga.
Tutto ciò ha indubbiamente contribuito a ritardare la
comprensione dello spessore di quegli autori, come ad esempio Debussy, che hanno
fatto della ricerca timbrico-sonoriale un fattore indubbiamente fondamentale del
loro linguaggio. Il termine "impressionismo musicale", che venne usato all'epoca
di Debussy e fu da lui più tardi significativamente rifiutato, contiene in sé
tutta l'ambivalenza dell'accesa polemica che ne segnò l'esordio in campo
critico, non solo musicale [61] . A questo
riguardo è interessante segnalare uno slittamento semantico che subì in quegli
anni il termine "impressionismo musicale" che dal territorio del sonor,
dove facciamo risiedere la sostanza qualitativa
della musica, sconfinò in quello dell'armonia per indicare la sua
defunzionalizzazione. Così Schönberg, parlando della "scala per toni interi" nel
suo Manuale di armonia, dice di Debussy che «impiega questo accordo e
questa scala più nel senso di un mezzo espressivo impressionistico, quasi in
funzione di timbro (come anche Strauss nella Salomè), mentre io, avendo
originato questi fenomeni per via armonico-melodica....» [62].
Schönberg non censura mai frontalmente Debussy, tuttavia marca la differenza di
metodo, avocando a sé l'istanza costruttivo-speculativa di fronte alla quale «le
armonie impressionistiche debussyane, prive di funzioni costruttive, hanno
spesso soddisfatto un intento coloristico... e determinarono una specie di
comprensibilità puramente emotiva» [63] .
Abbiamo evocato nuovamente Schönberg perchè il suo
pensiero teorico e musicale offre un punto di vista terribilmente significativo
di quel crocevia artistico-culturale-filosofico che si coagula a inizio '900. Ma
la sua testimonianza è tanto più significativa quanto più la si considera liberi
dalla necessità di leggervi uno sviluppo coerente e compatto, liberi cioè
di cogliervi quelle incertezze e contraddizioni che una riflessione
autenticamente spregiudicata
può portare con sé.
Così, alle affermazioni sul colorismo e
impressionismo di Debussy si contrappongono, nel medesimo Manuale, la
note frasi finali sulla centralità del timbro, che assume l'altezza come una sua
dimensione, e quella straordinaria proiezione utopistica che immagina "melodie
di timbri".
Di lì a poco, compositori come Berg e Webern
riempiranno le loro partiture di "effetti" timbrici che mostrano chiara una
direzione di ricerca sulla qualità del suono, soprattutto negli archi: col
legno strisciato o battuto, flautando, al ponticello o al tasto, etc.
(mentre Bartòk introduce un tipo particolare di pizzicato che porterà il suo
nome). Berg e Webern erano però ancora lontani dal concepire un uso
consapevolmente strutturato
di questi effetti: forse potremmo dire che essi si trovavano sulla soglia di
una simile consapevolezza, che li stava spingendo ben oltre la
Klangfahrbenmelodie. Pochi anni più tardi, infatti, l'individuazione
dodecafonica (cioè ancora una volta le note in quanto elementi sui quali operare
calcoli) assorbirà su di sé in modo quasi esclusivo la tensione costruttiva,
eppure pagine come la VI delle "Bagatelle" op.9 di Webern o la "Suite Lirica" di
Berg, sembrano spingere chiaramente in questa direzione.
Nel saggio citato prima Adorno afferma: «Non è senza
ironia che in una delle opere più rivoluzionarie di Schönberg - la prima
Kammersymphonie -
compaia un tema di carattere ornamentale con un gruppetto che ricorda uno
dei motivi principali del Crepuscolo degli dei e un altro appartenente
alla prima frase della 7a sinfonia di Bruckner. L'ornamento è l'idea
portante; se si vuole, l'idea, a suo modo, sachlich. Proprio questo tema
di riporto diventa modello di un procedimento canonico nel quadruplice
contrappunto: modello del primo complesso costruttivistico all'estremo della
nuova musica.» [64]Analogamente si potrebbe
dire del Quartetto d'archi del 1905 di Webern. Ma il punto è che questa
osservazione, sull'uso "costruttivista" e quindi improprio
del gruppetto, appare oggi inesorabilmente condizionata da una prospettiva che
vuole a tutti i costi vedere nella storia schönberghiana il compiersi
della "Storia della Musica" tout court. Non vi è infatti alcun bisogno di
arrivare alla Seconda Scuola di Vienna per vedere elementi ornamentali uscire
dalla propria funzione "accessoria" per diventare protagonisti della trama del
discorso. Afferma ancora Adorno «Ornamenti siffatti sono stati eliminati dalla
nuova musica, organizzata esclusivamente in funzione della costruzione e
dell'espressione, con altrettanto rigore che dall'architettura.» (p.105)
L'evocazione del contesto storico può forse far comprendere il perché di tali
affermazioni ma non credo possa giustificarle. La battaglia contro l'ornamento,
che in architettura ha avuto una sua precisa ragion d'essere, non ha, in realtà,
un vero equivalente in musica: la giusta polemica nei confronti del gusto
musicale che si attardava sui canoni di un "romanticismo decaduto" non si può
farla coincidere con la crociata per "l'eliminazione dell'ornamento". Avevamo
già segnalato il passo in cui Schönberg paragonava l'ineliminabilità
dell'ornamento del corale bachiano alle "parti analoghe in una costruzione in
acciaio" (cfr. p.19) ma abbiamo anche rilevato che il suo atteggiamento nei
confronti degli "abbellimenti" è articolato e ambivalente. «Le dissonanze furono
introdotte sempre con cautela, con la preparazione, la risoluzione, note di
passaggio, abbellimenti e così via; e gli abbellimenti precorrono già il
posteriore impiego completamente libero delle dissonanze, che è necessariamente
lo stadio successivo al precedente. E via di questo passo! Ché siamo solo
all'inizio, poiché non conosciamo nemmeno tutti gli ornamenti e forse non
immaginiamo nemmeno se e quali di questi abbellimenti stanno preparando la via
all'aspetto futuro della musica» (p.404 del Manuale)