Se ci arrestassimo a questo punto la fragilità di questa
costruzione sarebbe piuttosto evidente. Di fatto tutto si sostiene sulla pretesa
«naturalità» degli intervalli primitivi e differenziali e sulla
scala scala-tipo sulla quale essi vengono riportati. Questa pretesa è
fondata fino a questo punto unicamente sul dato di fatto del loro impiego nella
pratica musicale e sulla loro ipotizzata presenza in linguaggi musicali appartenenti
a culture differenti (anche se si può effettuare questa costruzione senza
allontanarsi di un passo dalla vecchia Europa). Ora non c’è dubbio che
questo fondamento sia piuttosto fragile e non spiega a sufficienza in che senso
debba essere inteso il riferimento alla «naturalità» o, se
vogliamo, alla «naturalezza». Abbiamo dunque bisogno di qualche rafforzamento.
A questo punto il discorso cade sul ciclo delle quinte che, come abbiamo già
osservato, assume un ruolo importantissimo nell’impostazione di Daniélou,
benché non prioritario.
Questo modo di «produzione delle note» e quindi di partizione
dell’ottava si avvale degli intervalli consonantici fondamentali di quinta,
quarta e ottava ed è quindi strettamente connesso con fatti uditivi concreti.
Al tempo stesso esso può essere considerato anche come una sorta di algoritmo
che può essere messo in movimento ben al di là delle esigenze
della pratica musicale. Esso consiste a) nella iterazione successiva dell’intervallo
di quinta realizzando ogni volta, se necessario, b) la riduzione all’interno
dell’ottava che si intende suddividere [22]
. Ciò che rappresenta il problema di questo metodo di partizione sta
nel fatto che, per quanto ci si inoltri nell’iterazione, non si otterrà
mai un valore coincidente con l’ottava - questo per ragioni puramente matematiche.
E nemmeno si otterrà un valore coincidente con un punto già acquisito:
ciò significa che nell’iterazione e nella riduzione all’interno dell’ottava
si realizzerà una partizione progressivamente più fine dell’ottava
stessa.
Ed ecco ora la circostanza che colpisce Daniélou: se realizziamo
53 cicli di quinte ed operiamo la riduzione necessaria otteniamo un punto che
si approssima moltissimo all’ottava. Quell’insignificante numero 53, che sembrava
appunto ridursi ad un mero dato di fatto, a qualcosa che dovevamo accettare
perché avevamo trovato che le partizioni erano appunto quelle
- e che sembrava quindi un dato alquanto accidentale, tende ad assumere un significato
più pregnante una volta che lo si incontra in una partizione ottenuta
secondo un metodo del tutto diverso, e per giunta puramente matematico.
E ciò non basta ancora: a questa prima circostanza singolare si aggiunge
la circostanza, che può sembrare ancora più straordinaria, rappresentata
dal fatto che le partizioni ottenute con questo metodo coincidono talvolta esattamente
talvolta approssimativamente con le partizioni ottenute secondo il metodo precedente:
la scala «ciclica» coincide dal più al meno con la scala
«armonica».
Scala Ciclica espressa in Cents
23, 47, 70, 94, 114, 137, 161, 184, 204, 227, 251, 274, 298, 318,
341, 365, 388, 408, 431, 455, 478, 502, 522, 545, 568, 592, 612, 635, 659, 682,
702, 725, 749, 772, 796, 816, 839, 863, 886, 906, 929, 953, 976, 1000, 1020,
1043, 1066, 1090, 1110, 1133, 1157, 1180, 1204
Daniélou ripete più volte che gli intervalli realmente
corretti sono quelli fissati nella scala armonica [23]
, e che non vi è identità tra i gradi della scala armonica e i
gradi ottenuti per iterazione della quinta nella scala ciclica. E tuttavia «questi
rapporti sono così prossimi l’uno all’altro che è quasi impossibile
distinguerli direttamente» e che «nella pratica musicale... la questione
della differenziazione sorge raramente» [24].
Ma che importanza può avere questa relativa corrispondenza tra le due
scale?
In realtà, noi che abbiamo guardato con un certo scetticismo
già la scala «armonica», saremmo tentati non tanto di rispondere
a questa domanda ma di smontarla, smontando le due circostanze che dovrebbero
suscitare la nostra meraviglia. Tutto dipende infatti da che gioco vogliamo
lasciare a quel dal più al meno. Fino a che punto - dopo tanti
calcoli - intendiamo spingere le nostre tolleranze nei confronti delle misure
delle grandezze intervallari? Come abbiamo detto, in Daniélou talora
si fa valere come significativa una micidiale esattezza nella caratterizzazione
degli intervalli, talora invece si mostra la massima tolleranza, la massima
disponibilità ad effettuare arrotondamenti ogni volta che possano per
qualche ragione tornare utili. Ed in questo passaggio per certi versi cruciale
sembra proprio giunto il momento della massima tolleranza. Nel caso dell’intervallo
determinato dalla 53a iterazione della quinta, la differenza per eccesso rispetto
all’ottava è di 3,64 cents. Non siamo obbligati, ma siamo padroni di
considerare questa differenza tanto piccola da poter ritenere che l’ottava
sia praticamente raggiunta dall’iterazione della quinta - prima condizione essenziale
per meravigliarci della «coincidenza» sul numero 53. Siamo anche padroni
di tollerare discrepanze quasi per ogni grado, e in particolare su gradi «importanti».
Ma se siamo disposti a passar sopra a simili differenze, allora potrebbe sembrare
piuttosto ovvio e niente affatto straordinario che due divisioni dell’ottava
relativamente equilibrate e abbastanza fini, ed anzi finissime come è
quella prodotta da 53 parti, conducano a risultati che si possono considerare
affini [25] . Tutta la questione perderebbe
così di interesse. Né la prima né la seconda circostanza
sono in grado di provocare in noi il benché minimo entusiasmo.
Ma le cose stanno molto diversamente per Daniélou. A partire
dalla convinzione dell’esistenza di scale naturali, e quindi dell’esistenza
di un fondamento assoluto per esse, questa (pretesa) coincidenza tra l’apriori
- rappresentato dalla scala ciclica che genera la partizione «matematicamente»
- e l’empiria rappresentata dalla scala armonica il cui fondamento sarebbe insito
nella stessa pratica musicale, viene considerata di fondamentale importanza
proprio perché apporta alla «scala armonica» quel rafforzamento
di cui essa ha bisogno. Tutto il problema sembra qui fare un salto di qualità
ed assumere la sua reale fisionomia: la scala armonica «garantisce»
per così dire, dal punto di vista musicale l’astratto matematismo del
ciclo delle quinte, facendo venire meno le remore rispetto alle derivazioni
puramente matematiche; mentre la scala ciclica finisce con il prestare l’alone
del proprio matematismo alla scala armonica.
Si consolida dunque il rapporto con il mondo del numero, che era
già fortemente presente nella scala armonica che richiedeva essa stessa
i nostri bravi calcoli. Questo consolidamento significa soprattutto in Daniélou
la ripresa delle antiche tematiche filosofico-metafisiche che facevano del numero
principio del reale, e della musica la manifestazione sul piano della sensibilità
di questo principio. L’unità tra scala armonica e scala ciclica è
da considerare come una manifestazione sul piano fenomenico dei «principi
metafisici dei suoni», cioè di quei principi che riportano al nucleo
più profondo della realtà stessa [26]
. La posizione di Daniélou è esemplare per il fatto
che si
regredisce, in rapporto al problema di una fondazione oggettivistica,
dal
fisicalismo all’aritmetismo, compiendo in certo senso a ritroso il cammino
che conduce dal punto di vista aritmetizzante che si era affermato a partire
dalla cultura greca fino al tardo rinascimento ed oltre, alle fondazioni nella
fisica del suono. Il punto di vista aritmetizzante tende a separare il numero
dalla realtà corporea, e proprio per questo a considerare il numero in
se stesso come principio del reale, aprendosi ad ogni sorta di speculazione
filosofica sulle virtù dei numeri come tali. Quando invece il
rapporto numerico viene attribuito alle vibrazioni di un corpo elastico ed avviene
così la ricongiunzione del numero con l’elemento fisico, le considerazioni
metafisiche regrediscono sullo sfondo, la numerologia interessa assai meno di
quanto interessi una possibile analisi della costituzione interna del suono
come evento della natura. E l’intero problema tende a particolarizzarsi, allentandosi
i legami con i fenomeni non appartenenti alla musica che in precedenza potevano
essere tenuti stretti con analogie numerologiche.
Ora, in Daniélou, la critica di una fondazione della scalarità
negli armonici e quindi il rifiuto di un naturalismo a base fisicalistica, non
comporta il rifiuto di una concezione naturalistica in genere, ma piuttosto
lo spostamento dell’attenzione verso il versante della «natura umana»,
quindi verso un versante psico-fisiologico. In questo ambito vanno ricercate
le giustificazioni ultime. Nello stesso tempo si torna a guarda con interesse
ad una fondazione puramente «aritmetica» che riprende gli interessi
metafisici di un tempo. Si ripresentano così le speculazioni numerologiche
di sapore antico, in un vero e proprio soprassalto neopitagorico in pieno secolo
ventesimo. C’è chi ha osservato che la passione numerologica non è
una malattia, ma quasi [27] . E questo
può essere vero. Eppure, di fronte ad affermazioni come queste è
anche il caso di diffidare. La storia della scienza e dell’arte insegnano che
non sempre il pensiero cammina con i piedi di piombo e che non è in generale
vero che l’enfasi sulla «positività» spalanchi senz’altro le
porte ad intelligenza e comprensione. La vicenda del pensiero ha le proprie
complicazioni, e in particolare le ha la teoria della musica che è una
straordinaria mistura di scienza, esperienza diretta, tecnica, riflessione e
immaginazione. Attraverso stravaganze, ostinate idee fisse, giri traversi -
se si ha la pazienza e, vorrei anche dire, l’umiltà di adeguarvisi provvisoriamente
- si viene in chiaro sulle motivazioni che stanno alla loro base, e sono proprio
queste motivazioni che meritano spesso di essere portate alla luce.