6. La formula che sta alla base della scala universale


Giunti a questo punto ci si potrà chiedere se non sia possibile operare una semplificazione che riporti la costruzione dell’intera scala universale ad un’unica formula di calcolo. Questa possibilità è suggerita dal fatto che alla base di ciascuna delle sette serie vi sono formule strettamente affini tra loro.

La Serie di base può essere generata da

1.

Si assumerà che y possa variare tra -4 e +4, prendendo sia valori positivi che negativi. Rammentando che ogni numero con esponente 0 è, per convenzione, eguale a 1, per y=0 si otterrà il primo elemento della serie. I valori positivi di y produrranno le quattro quinte ascendenti, mentre i valori negativi le quattro quinte discendenti [43] .

Le tre serie prodotte a partire da 6/5 saranno generate dalla formula

2.

dove x varierà tra 1 e 3, per ottenere i tre valori iniziali di esse, essendo y =0, mentre per y che varia da 1 a 4 e da -1 a -4 si otterranno quattro quinte ascendenti per i valori positivi e quattro quinte discendenti per i valori negativi.

Le tre serie prodotte a partire da 5/3 saranno generate dalla formula seguente che ha ovviamente le stesse spiegazioni.

3.

Queste tre formule possono essere riunite in una sola. Risulta anzitutto chiaro che la seconda formulasi riduce alla prima per x = 0, e quindi la «contiene». Nel caso della terza formula occorre tener presente che 5/3 è eguale all’inverso di 6/5 moltiplicato per due. L’inversione di 6/5 si ottiene ipotizzando nella seconda formula un esponente x negativo e integrando in essa una variabile z che ha la sola funzione di introdurre un moltiplicatore 2 nel caso in cui x abbia valore negativo. Di conseguenza la formula seguente [44] :

4.

può sostituire le tre formule precedenti. In essa, come abbiamo spiegato, x potrà variare tra -3 e +3, y tra -4 e +4 (oppure tra -5 e +5 volendo ottenere cinque cicli di quinte), z tra 1 e 2 essendo posta la condizione che z = 1 se x è positivo o pari a 0, altrimenti z = 2. Dunque x positivo è rappresentativo delle serie «+», x negativo delle serie«-», x =0 della serie fondamentale; mentre y positivo è rappresentativo delle quinte ascendenti e y negativo delle quinte discendenti, y=0 del primo elemento di ciascuna serie. Si intende che tutti i valori prodotti, se necessario, dovranno essere ridotti entro l’ottava, e le serie ottenute andranno unificate e riordinate in ordine di grandezza. Ma non basta: la formula 4. può essere sottoposta ad una trasformazione algebrica, che è assai meno trasparente di essa, ma illustra a meraviglia il tema della riduzione di tutti gli intervalli musicalmente validi (secondo Daniélou) ai numeri 2, 3 e 5. Questa formula può essere considerata finalmente il nostro punto di approdo:

5.

Attribuendo correttamente i valori delle variabili x, y, z si possono ottenere tutti i cinquantatré rapporti della scala universale di Daniélou [45] .

Anche se nella nostra esposizione abbiamo fatto il possibile per portare di passo in passo a questo esito conclusivo, esso probabilmente apparirà in ogni caso sorprendente. Se la «scala universale dei suoni» è in qualche modo una superscala, questa formula è certamente una superformula. Essa dovrebbe celare il segreto della divisione perfetta dello spazio sonoro e formare il quadro di riferimento per giudicare intorno alla perfezione di ogni scala possibile. Il punto che mi sembra anzitutto di dover sottolineare è che la «teoria dei rapporti semplici», giocata ora sui tre più piccoli numeri primi, si separa nettamente dalla nozione di consonanza a cui in realtà quella teoria è per lo più stata legata - e ciò è particolarmente significativo, dal momento che il vincolo di quella teoria agli intervalli consonanti fondamentali rappresenta un vincolo al piano della percezione. Operando questa separazione questo legame viene semplicemente tolto. L’idea delle «virtù» musicali dei numeri come tali riceve qui la sua massima esaltazione. Con particolare chiarezza si insegna poi che la semplicità non è da ricercare tanto nei rapporti numerici che caratterizzano gli intervalli come tali (che sono per lo più tutt’altro che semplici) ma nelle loro radici esibite dalla formula con cui possono essere costruiti. In quella superformula compaiono esclusivamente i numeri 2, 3, e 5 come costituenti la base dell’intervallistica musicale in generale. Non può sfuggire infine in che misura in quella formula il ciclo delle quinte venga nuovamente celebrato. L’intera produzione degli intervalli «possibili» è affidata al ciclo delle quinte - essendo sempre il moltiplicatore 3/2 che determina gli elementi di ciascuna serie.

Alla luce di ciò appare assai singolare che questa superformula non venga apertamente esibita, ed anzi posta in apertura di tutto il discorso sulla scala universale, ma venga soltanto lasciata trasparire e suggerita tra le righe. È il lettore attento che deve rendersi conto della sua presenza. In luogo di questa enorme semplificazione formale, Daniélou preferisce ricorrere a descrizioni verbali della procedura affidandosi a tabelle e grafici non sempre di facile decifrazione. Nel grafico seguente si cerca di dare rappresentazione all’intero sistema delle sette serie, ai loro valori intervallari, con una puntigliosa ripresa dei nomi delle note che vengono differenziati secondo la loro appartenenza a ciascuna serie.

Ma si tratta solo di un esempio. Tabelle e grafici abbondano dappertutto. Tutto viene considerato per così dire nota per nota, intervallo per intervallo. Nulla dunque di più distante dalla sinteticità della nostra piccola formula - di cui il lettore non viene da nessuna parte chiaramente informato. Io credo che di tutto ciò vi sia una ragione tutta interna all’impostazione proposta. Come abbiamo notato fin dall’inizio Daniélou vuole attenersi il più possibile alla concretezza dell’esperienza musicale. Egli è stato indubbiamente un grande «osservatore» e «misuratore» di intervalli - a lui spettano meriti importanti per quanto riguarda la necessità da parte della musicologia di rispettare le grandezze intervallari realmente utilizzate da altre civiltà musicali [46] . Ma il modo in cui imposta il problema di una fondazione oggettiva della divisione dell’ottava, oltre che, naturalmente, lo sfondo filosofico generale entro cui si muove, lo spingono in direzione di una forte ripresa della tradizione matematizzante e nel risultato finale, in cui vediamo i cinquantatré gradi della sua «scala universale» per così dire emessi da un giocattolo meccanico, la concretezza dell’esperienza musicale rischia di essere spazzata via. Sorge il dubbio che proprio di essa si sia tenuto conto solo in apparenza, che fin dall’inizio, essa sia stata irregimentata in modo da adeguarla a questi esiti. Un equilibrio tra questi due momenti non può certo essere facilmente mantenuto. Meglio dunque un grande tabella da cui si intravveda appena la possibilità di una formula generale, piuttosto che una formula generale messa in prima pagina che toglie in un colpo solo la necessità di una tabella. Mettiamo un po’ in ombra la formula generale per evitare che questa schiacci le nostre intenzioni di attenerci in prossimità dell’esperienza musicale e le renda in certo senso improbabili. D’altra parte questa esperienza finisce con il non essere altro che il rispecchiamento della struttura matematica necessaria della realtà e della struttura della nostra mente. Cosicché alla fine, al di là delle oscillazioni che sono un ulteriore sintomo di incertezza metodica in cui si muove l’intera impostazione, non ci si può esimere dall’assumersi l’intera responsabilità della formula generale, che rappresenta il pilastro effettivo che sostiene tutta questa costruzione.

Il percorso che abbiamo descritto può essere considerato esemplare proprio per il fatto che presenta una forma estrema di fondazione metafisico-aritmetica della musica riprendendo un’istanza teorica che sembrava definitivamente superata dal prevalere delle fondazioni a orientamento fisicalistico. Elementi per una critica sono presenti dappertutto nella nostra esposizione - e sono elementi che non si contentano di una levata di spalle, come si potrebbe anche fare rispetto alle prese di posizioni più squilibrate di Daniélou. Volendo riportarli ad un unico punto focale, credo si debba attirare l’attenzione soprattutto sul modo di atteggiarsi nei confronti dell’ottava come spazio sonoro e naturalmente sul modo di concepire l’intervallo. L’ottava viene considerata come se avesse già in sé un numero determinato di comparti. Essa consta semplicemente di intervalli più grandi costituiti da intervalli più piccoli. L’ottava non è altro che una punteggiatura di intervalli, una sorta di asse sul quale debbono essere sistemati dei chiodi. Ciò che si deve scoprire è soltanto il luogo esatto in cui deve essere alzato il martello. Il punto di vista del «discreto» è ovunque dominante; e nonostante il gioco delle tolleranze che il buon senso musicale suggerisce, non è possibile fare a meno di avanzare ovunque un’esigenza di estrema esattezza. L’intervallo viene considerato qualificato dal rapporto numerico - e questo deve individuare una posizione assolutamente determinata. Ciò è richiesto dalla «razionalità» del rapporto. In via di principio si insiste perciò su determinazioni esatte - ed alle differenze impercettibili si affida spesso un differente valore semantico [47] ; nello stesso tempo dall’esattezza di quelle determinazioni si è sempre pronti a recedere quando vi sia un qualche motivo per non insistervi troppo. In rapporto all’attribuzione di significati emotivi particolari agli intervalli, risulta con particolare chiarezza la separazione dell’intervallo dallo spazio sonoro. L’intervallo viene preso in se stesso, indipendentemente dalla sua integrazione in uno «spazio» indipendentemente dal profilo fenomenologico che gli può essere attribuito in forza di questa integrazione; e si pretende che esso abbia un significato unicamente in base al rapporto che lo determina e quindi al fattore numerico che lo caratterizza.

Il considerare l’intervallo come qualificato dal rapporto numerico significa effettuare il passaggio ad un livello transfenomenologico. L’aritmetica deve sostituirsi alla fenomenologia. L’aritmetica interviene come calcolo delle posizioni, la numerologia provvederà nella misura del possibile a stabilire le premesse del calcolo e nello stesso tempo a dar senso all’insieme. Senza l’enfasi numerologica sul 2, 3 e 5, non avrebbe nemmeno senso il mettersi alla ricerca di formule. Nello stesso tempo senza una metafisica del numero non può esservi alcuna enfasi numerologica. Ne deriva una costruzione sistematica che sta tutta dentro questo cerchio e che piuttosto che richiedere di essere compresa, avanza la pretesa inaccettabile che vi si salti nel mezzo. Mi sembra infine che un risultato non secondario della nostra ricostruzione sia quello di aver mostrato quanto poco la posizione di Daniélou possa rappresentare un buon riferimento per una teoria delle strutture scalari di origine extraeuropea e quanto poco su di essa siano determinanti gli stimoli provenienti da tali tradizioni. Esito a dire una cosa simile per un autore come Daniélou, ma mi sembra proprio di doverlo dire.


Note

[43] Si rammenti che le quinte discendenti si otterranno iterando la moltiplicazione per 2/3 e che

[44] Uno spunto non elaborato per questa formula si trova nell’introduzione di F. Escal alla Sémantique, p. 8.
[45] I passi della trasformazione algebrica sono i seguenti:

[46]A questo proposito è il caso di segnalare che uno schema abbastanza simile a quello della derivazione delle sette serie di Daniélou è presente anche nello schema di accordatura del suo «clavier universel» che aveva lo scopo di «studiare tutti gli intervalli impiegati nei diversi sistemi musicali e per abituare l’orecchio ad intenderli». Cfr. Musicologie, App. III, pp. 176 sgg., e Sémantique, App. II, pp. 119 sgg.
[47] Può valere in proposito a titolo di esempio la differenza tra i due limma a 90 (256/243) e 92 (135/128) cents, che viene dichiarata sostanzialmente inavvertibile dal punto di vista uditivo. Ma nello stesso tempo si dichiara la differenza di significato funzionale tra i due intervalli, peraltro con motivazioni diverse, in Sémantique, p. 230 e in Musicologie, p. 169.

 

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