All’interno di un programma di ricerca nazionale, coordinato da Laura Bazzicalupo e svolto nell’ambito del PRIN 2010-11, il PTP promuove il progetto:
Disaccordi, conflitti, dispute. Inclusione ed esclusione nel discorso pubblico
Rendere conto in modo appropriato del disaccordo e della sua rilevanza normativa in ambito politico significa rintracciarne le fonti e distinguere le varie forme che può assumere, identificare le questioni su cui verte e le strategie per farvi fronte. Sullo sfondo di un’analisi volta a tracciare i confini del concetto di disaccordo e a indagarne le dimensioni epistemologiche e meta-etiche, saranno esaminati disaccordi su questioni che chiamano in causa contrapposte concezioni della vita e della morte e su questioni che concernono il benessere individuale e rimandano a concezioni conflittuali di vita buona o vita felice. Disaccordi di questo tipo sono sempre più rilevanti nel paesaggio politico. Si tratta quindi di valutare se la loro politicizzazione sia problematica o benefica, tenendo conto che disaccordi su simili questioni si configurano come dispute, intese come contrapposizioni forti, che conducono a punti di stallo in cui gli argomenti delle parti sembrano egualmente forti ed incapaci di modificarsi a vicenda. Sebbene questi disaccordi non siano risolvibili per via argomentativa e si presentino dunque come disaccordi intrattabili, i contendenti cercano di convincersi reciprocamente della preferibilità della loro tesi e si impegnano a difenderla. Così, nella disputa, dovendosi misurare nella discussione razionale, le opzioni fondamentali che producono credenze metafisiche o etiche conflittuali si esplicitano, articolando le loro assunzioni più profonde, e disponendosi a soppesarle. Sembra infatti che il potenziale polemico del disaccordo metafisico o etico si fluidifichi nel momento in cui è riconosciuta legittima visibilità alle ragioni e alle dinamiche che lo guidano, suggerendo che il disaccordo e il confronto sono normativamente rilevanti a prescindere dalla possibilità di trovare una soluzione mutuamente accettabile. Data la possibilità e la rilevanza di disaccordi non risolvibili, la ricerca si concentrerà sulle strategie politiche e giuridiche disponibili a fronte di disaccordi riguardanti la giustificabilità di istituzioni, leggi e provvedimenti amministrativi che, se non adeguatamente gestiti, possono sfociare in conflitti. Si tratta di disaccordi che vertono sulla regolazione da parte dei soggetti pubblici di atti di disposizione del corpo, sulla cui moralità le persone dissentono, e sul ruolo dei soggetti pubblici nella regolazione dell’economia e nella redistribuzione della ricchezza materiale. È possibile distinguere innanzitutto strategie che assumono che tali disaccordi possano venir risolti poiché solo una delle posizioni in campo è corretta e riconoscibile come tale. Simili strategie fanno appello a criteri dotati di una presunta validità assoluta, che tutte le persone razionali dovrebbero essere capaci di riconoscere. Un secondo tipo di strategia non si propone di risolvere il disaccordo ma solo di gestirlo in maniera pacifica, per evitare che esso si traduca in conflitto. Strategie di questo tipo tutelano, solitamente nella forma di diritti fondamentali, ambiti di libertà e autonomia individuale, entro i quali le persone sono libere di agire senza dover rendere conto delle proprie scelte. Rientrano in questa categoria anche strategie che adottano meccanismi di tipo procedurale, come il ricorso alla regola di maggioranza per la produzione di decisioni per tutte/i vincolanti, o si appellano al compromesso. Infine, vi sono strategie che, assumendo l’ineludibilità del disaccordo, sono pronte a sacrificare il principio dell’eguaglianza giuridica e, persino, l’integrità della società politica, per garantire che ognuno possa vivere secondo il sistema di regole che meglio rispecchia i propri valori. Ne è un esempio, il pluralismo normativo che è stato proposto come una possibile soluzione al fenomeno del disaccordo politico. Queste strategie saranno valutate alla luce della loro praticabilità e dei loro effetti di inclusione ed esclusione.
I fenomeni del disaccordo e dei conflitti relativi sono legati a quello del pluralismo, alla presenza all’interno della stessa società di persone e gruppi sociali che affermano visoni del mondo (religiose e secolari), credenze, valori e ideali diversi e spesso opposti. L’interesse della filosofia morale, politica e giuridica per i fenomeni del pluralismo e del disaccordo nel dibattito più recente è dovuto, in parte, all’impatto dell’opera di Rawls [1993], in cui l’attenzione per il pluralismo e per i conflitti che esso genera (o potrebbe generare) occupa una posizione rilevante e, in parte, è una risposta agli stimoli provenienti dall’azione di gruppi sociali minoritari che si sono mobilitati per ottenere il riconoscimento pubblico della loro diversità culturale, e le cui istanze sono state sottoposte a diversi tentativi di ricostruzione analitica [Young 1990; Honneth 1992; Galeotti 1999; Benhabib 2002; Fraser e Honneth 2003]. I disaccordi su cui la riflessione contemporanea si è concentrata sono disaccordi normativi riconducibili alla presenza di valori incompatibili [Gutmann e Thompson 1996, Gray 1997], alla vaghezza semantica dei concetti rilevanti [Besson 2005], al loro carattere essenzialmente contestabile [Mason 1993] o ai limiti della facoltà umana di giudizio (quelli che Rawls chiama “oneri” del giudizio). Si tratta di disaccordi ragionevoli, dovuti all’assenza di un argomento conclusivo che dimostri che una delle tesi in questione è sbagliata [Horton 2010] e non a errori o mancanze da parte delle persone coinvolte [McMahon 2009]. Si pensi, ad es., ai disaccordi sull’ammissibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza [cfr. Grisez 1970, Tooley 1983, Kamm 1992, Dworkin 1993] o ai disaccordi sul ruolo dello Stato nella redistribuzione delle risorse [cfr. Rawls 1971; Nozick 1974; Dworkin 2000]. Il modello di liberalismo che Rawls ha proposto sotto l’etichetta di “liberalismo politico” [cfr. Larmore 1994] si fonda sull’idea che il disaccordo ragionevole, che proprio in quanto tale è persistente e rende illegittime soluzioni volte a ricomporlo, coincide con il disaccordo sul bene, su questioni di carattere filosofico, morale o religioso, mentre non riguarda questioni di giustizia, sulle quali un consenso è invece possibile. In base a questo modello, principi politici legittimi sono principi giustificabili sulla base di ragioni pubbliche, che tutti gli individui ragionevoli possono accettare in quanto ragioni indipendenti da assunti filosofici, morali e religiosi controversi. Il disaccordo ragionevole risulta così circoscritto e questioni che non possono essere discusse sulla base di criteri o standard giustificativi condivisi sono escluse dalla deliberazione pubblica per salvaguardare il consenso su principi di giustizia. Il disaccordo su questi ultimi è infatti presentato come irragionevole. Al modello rawlsiano sono state mosse varie critiche. Da un lato, si è sostenuto che non sia plausibile che i disaccordi ragionevoli riguardino soltanto il bene e non il giusto [Waldron 1999, Reidy 2006]. Dall’altro, si è sostenuto che l’esclusione dal discorso pubblico di ragioni fondate su convinzioni filosofiche, morali e religiose esprima una mancanza di rispetto nei confronti di persone che fanno proprie ragioni che, sebbene di fatto non condivise, esse ritengono valide e degne di essere pubblicamente discusse [Archard 2001]. Inoltre, l’intento di circoscrivere il disaccordo, relegandolo ai margini della sfera pubblica, sembra ridurre la politica alla ricerca del consenso. Secondo approcci alternativi, infatti, il disaccordo è un tratto distintivo della politica e non si tratta di rimuoverlo, ma di valorizzarne la dimensione positiva [Honig 1993], mettendo a punto forme istituzionali che consentano il confronto tra posizioni conflittuali [Muoffe 2005, Connolly 2008]. Ancor prima di Rawls, Bobbio [1990] aveva sostenuto la possibilità di identificare nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 l’oggetto di un accordo tra le diverse culture su un sistema di valori comune – cui ciascuna di esse avrebbe aderito per ragioni differenti interne alla propria visione del mondo – che renderebbe non più necessaria la ricerca di un consenso sul fondamento metastorico dei diritti umani e potrebbe valere come punto di partenza condiviso per la soluzione dei disaccordi e dei relativi conflitti. Tuttavia, se da un lato è vero che la cultura dei diritti umani ha mostrato una grande capacità di penetrazione transculturale [cfr. Ferrarese 2006], i diritti umani sono stati anche fatti oggetto di critiche che ne denunciano la parzialità culturale e la natura di strumento di dominio [Zizek 2005]. Il linguaggio dei diritti umani, inoltre, non si è mostrato particolarmente capace di ridurre il disaccordo e i relativi conflitti che anzi spesso ha esasperato [Glendon 1991]. Il tema del disaccordo (con particolare riferimento al disaccordo morale) è stato oggetto d’analisi anche nell’ambito della riflessione metaetica dove ha sempre rappresentato un elemento cruciale di differenza tra le teorie. Per il realismo, ad es., i giudizi morali sono asserzioni e hanno una funzione rappresentativa che li rende suscettibili di verità. Il disaccordo può essere, quindi, causato da diverse comprensioni di fatti non morali [Brink 1989], dalle differenti sensibilità con cui interpretiamo i valori [Wiggins 1987], dall’idea che la morale sia, per sua natura, indeterminata [Shafer-Landau 2003]. Per il costruttivismo, invece, i giudizi morali sono asserzioni suscettibili di verità, dipendenti dalla razionalità di agenti situati in una circostanza ideale. Il disaccordo è così spiegato come una mancanza di razionalità [Rawls 1971] o di ragionevolezza [Scanlon 1998] da parte di chi partecipa alla disputa. Infine, per il non-cognitivismo, i giudizi morali sono espressione di stati mentali e il disaccordo è inteso come un conflitto tra emozioni [Stevenson 1944] o atteggiamenti [Blackburn 1998]. Una forma di pluralismo che ha ricevuto particolare attenzione nell’ambito della teoria del diritto è il pluralismo normativo: la presenza all’interno di una stessa società di gruppi sociali che orientano la loro condotta sulla base di differenti ordinamenti normativi (di origine consuetudinaria, religiosa, giuridica ecc.). Esso fu teorizzato in origine da Eugen Ehrlich [1913], Santi Romano [1917] e Georges Gurvitch [1935] e poi studiato dagli antropologi del diritto [v. per una rassegna delle differenti posizioni Rouland 1988, §§ 45-57] con riferimento particolare ai Paesi coloniali. Recentemente la teoria del pluralismo normativo è stata applicata all’analisi delle nostre società dove diventa sempre più visibile la presenza di minoranze non autoctone i cui membri orientano la propria condotta sulla base di norme (appartenenti alle consuetudini e/o al diritto del Paese d’origine) che confliggono con il diritto dello Stato [Facchi 2001]. Per quanto riguarda la ricerca di strategie per la gestione dei disaccordi normativi e dei conflitti che essi possono produrre, nel dibattito contemporaneo sono state avanzate varie proposte. C’è chi ritiene che sia possibile risolvere il disaccordo poiché è possibile individuare una risposta corretta alle questioni dibattute [cfr. da ultimo Dworkin 2011]. Altri autori, meno ottimistici circa la possibilità di una soluzione del disaccordo, hanno cercato delle strategie per la sua gestione in grado di prevenire il suo tradursi in conflitto. Tra di esse vi sono il ricorso a procedure per la presa di decisioni per tutti vincolanti attraverso la formazione di compromessi o l’imposizione della volontà della maggioranza [Habermas 1992, Gutmann e Thompson 1996]) o l’attribuzione alle persone e/o ai gruppi sociali, attraverso diritti di libertà e di autonomia individuale e/o di autogoverno di ambiti entro i quali scegliere come regolare la propria condotta e le proprie relazioni in base alle proprie convinzioni morali [cfr. Rawls 1971, Nozick 1974, Kymlicka 1995, Kukhatas 2003, Ferrajoli 2007]. Riferimenti bibliografici Archard, D. (2001), “Political Disagreement, Legitimacy, and Civility”, Philosophical Explorations: An International Journal for the Philosophy of Mind and Action, 4(3): 207-222.
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Il disaccordo è un tratto distintivo della vita politica ed è un concetto cruciale per rendere conto delle strategie di inclusione ed esclusione che operano all’interno del discorso pubblico. Secondo approcci filosofici influenti, questioni altamente conflittuali – come quelle riguardanti la vita e la morte, la vita buona e la vita felice – dovrebbero essere escluse dal discorso pubblico, così come dovrebbe essere esclusa la possibilità di difendere le proprie posizioni, nella deliberazione politica, ricorrendo ad argomenti la cui validità dipende da credenze o concezioni controverse, di carattere etico o metafisico, per esempio. Strategie di questo tipo mirano a circoscrivere il disaccordo per neutralizzarne i possibili effetti destabilizzanti e per salvaguardare, sullo sfondo del pluralismo proprio delle società contemporanee, il consenso relativo a un quadro di principi politici fondamentali. L’ipotesi che guiderà lo svolgimento del progetto qui proposto è duplice. Da un lato, sembra che approcci teorici di questo tipo restringano in modo arbitrario l’insieme delle concezioni etiche o metafisiche alle quali è concessa visibilità pubblica, in quanto limitano i disaccordi e le argomentazioni che possono accedere alla discussione pubblica a quelli tra persone che già condividono certi assunti o principi. Dall’altro, sembra necessario comprendere meglio il carattere del disaccordo. Infatti, sebbene il disaccordo sia ritenuto un fatto rilevante, con il quale soluzioni normative devono necessariamente fare i conti, il concetto stesso di disaccordo e la sua portata normativa non sono stati ancora appropriatamente indagati. Per poter valutare se e a quali costi concezioni del discorso pubblico meno stringenti e vincolanti possano consentire di riammettere nella discussione pubblica disaccordi oggi considerati intrattabili, che riguardano però questioni non eludibili, è necessario ripensare il disaccordo e fornirne un resoconto più affidabile. Il progetto intende mettere a punto strumenti che consentano di concettualizzare in modo adeguato contrapposizioni profonde, che danno vita a disaccordi non risolvibili per via argomentativa, e di valutare quali strategie teoriche e pratiche – sia politiche sia giuridiche – risultino appropriate per affrontare disaccordi di questo tipo. Per mettere a fuoco il concetto di disaccordo è innanzitutto necessario individuarne le caratteristiche peculiari, che permettono di distinguerlo da altri concetti, come quello di conflitto o quello di dilemma morale, con i quali il disaccordo è spesso e in modo inappropriato confuso. Un passaggio preliminare della ricerca sarà dedicato dunque all’analisi concettuale del disaccordo. Si tratterà non solo di tracciare i confini del concetto di disaccordo, ma anche di sviluppare una tassonomia del disaccordo, individuandone le diverse tipologie. A questo proposito sarà valutata la tenuta delle distinzioni già presenti in letteratura, come, per esempio, quelle tra disaccordi sul giusto e disaccordi sul bene, tra disaccordi ragionevoli e irragionevoli, tra disaccordi fattuali e normativi, tra disaccordi morali e politici. Sarà inoltre elaborato un repertorio di strumenti che consenta di distinguere tra disaccordi genuini e disaccordi apparenti, disaccordi dovuti all’errore e disaccordi in cui ciascuna delle parti propone un’ipotesi sulla base di ragionamenti validi e coerenti. Saranno indagate quindi le dimensioni epistemologiche del disaccordo, con l’intento di definirne le condizioni di possibilità e i criteri normativi adatti a regolarlo. A questo proposito, sarà fondamentale capire se un disaccordo rappresenti una possibilità reale, ovvero, se sia genuinamente possibile che due persone, confrontate con la stessa evidenza e dotate delle stesse capacità cognitive e conoscitive, cioè con le stesse virtù epistemiche, possano trarre conclusioni diverse e mantenere credenze contraddittorie anche dopo averne discusso. Un’appropriata comprensione del disaccordo richiede inoltre di considerare questioni di carattere meta-etico. Il disaccordo si presenta fenomenologicamente come problematico poiché riguarda due persone che hanno opinioni divergenti e contraddittorie e, pur riconoscendo ciascuna legittimità al ragionamento dell’altra, si aspettano che siano in gioco ragioni e torti, e cioè che una di loro abbia ragione e l’altra torto. Se non fosse pensabile dare una risposta al disaccordo, anche il senso della discussione verrebbe meno; il disaccordo diventerebbe irrilevante e l’accordo banale. Il disaccordo infatti mette in campo la questione dell’oggettività, ovvero della risposta giusta e, quindi, solleva la domanda se i giudizi debbano e possano aspirare all’oggettività. In questo senso, si tratterà di indagare quali concezioni meta-etiche permettano di rendere conto in modo appropriato del fatto del disaccordo. In particolare, saranno esaminati e confrontati approcci realisti, costruttivisti ed espressivisti al fine di mostrarne i punti di forza e di debolezza nel dare una spiegazione convincente dell’esperienza del disaccordo. Sullo sfondo dell’analisi concettuale e della riflessione sugli aspetti epistemologici e meta-etici del disaccordo, saranno presi in considerazione, da un lato, disaccordi che concernono il benessere individuale e rimandano a concezioni conflittuali di vita buona o vita felice e, dall’altro, disaccordi su questioni che chiamano in causa diverse e contrapposte concezioni della vita e della morte. Qui si apre il problema sollevato dalla tematizzazione pubblica di questioni relative al governo della vita e della morte e si tratterà di valutare se questioni di questo tipo debbano essere lasciate a scelte individuali e volontarie o richiedano, invece, decisioni pubbliche. Per questo motivo è necessario comprendere quale sia la posta in gioco nel caso di simili disaccordi e quali siano le loro fonti. Rispetto a disaccordi sul benessere o sulla vita buona, è opportuno segnalare che la “fioritura” degli esseri umani, come degli altri animali, non può essere compresa se non si guarda al loro sviluppo dalla prima infanzia, all’età adulta, fino alla vecchiaia. Nel corso di questo processo gli esseri umani diventano capaci di razionalità pratica e di autonomia, sviluppano le disposizioni ad agire in maniera appropriata, ma passano anche attraverso diverse fasi di dipendenza, come l’infanzia, la malattia, la vecchiaia, che li rendono particolarmente vulnerabili e bisognosi di assistenza. Una vita ben vissuta è quindi anche una vita che è stata adeguatamente curata quando ne aveva più bisogno, nelle diverse fasi dell’esistenza in cui non siamo autonomi ma dipendenti dagli altri. Tuttavia, non c’è accordo su cosa si debba intendere per vita buona né su quali ingredienti permettano agli esseri umani di fiorire e sviluppare le capacità e le virtù adeguate a condurre una vita felice. Il progetto intende valutare se il disaccordo su questi aspetti sia necessariamente irrisolvibile, perché rimanda a preferenze soggettive legittime, o se, invece, sia possibile una fondazione non soggettiva dei giudizi sul benessere e delle concezioni di vita buona, facendo riferimento a una serie di beni di cui ha bisogno un certo tipo di vita per fiorire. Per meglio chiarire su quali punti il disaccordo sia ricomponibile e su quali invece sia inevitabile, sarà opportuno tracciare una distinzione tra beni che corrispondono a caratteristiche fisiologiche, rispetto ai quali è forse possibile trovare accordo, e beni che hanno una natura culturale o istituzionale, che risultano più controversi e fonte di maggiore disaccordo. Saranno inoltre presi in considerazione disaccordi che chiamano in causa il confronto e lo scontro tra credenze su questioni fondamentali, che dividono visioni del mondo su concezioni della vita e della morte e su come si traccia il confine tra l’una e l’altra. Disaccordi di questo tipo sono sempre più rilevanti nel paesaggio politico ed è opportuno chiedersi se la loro politicizzazione sia problematica o benefica. Per rispondere, è necessario chiarire che tipo di credenze si confrontano e si scontrano su questioni fondamentali. È utile definirle come credenze su cose prime e ultime perché, presentandole in questi termini, è più facile avanzare una tesi sul loro contenuto e sull’attitudine che implicano da parte di chi le sostiene. Una credenza su cose prime e ultime coincide con una presa di posizione su come sia bene o male nascere, vivere e morire, e quindi su quali soluzioni pratiche in merito a buona vita e buona morte sono apprezzabili o disprezzabili. Il contenuto metafisico di simili credenze condiziona qualitativamente l’adesione a ragioni per credere qualcosa, coinvolgendo quello che è più profondo in una visione del mondo e producendo impegni integrali, che non possono essere accantonati a favore di altri impegni. Credenze metafisiche tornano a prendere consistenza e visibilità pubblica e non si lasciano più contenere nello spazio privato della coscienza o contestano la possibilità stessa di privatizzare la coscienza, rendendo così politicamente visibili le dispute che le dividono. Il termine “disputa”, come qui inteso, descrive una variante di disaccordo contraddistinta dall’indisponibilità di un quadro concettuale condiviso e da una bipolarità delle ragioni che si scontrano per confutarsi reciprocamente. Simili disaccordi corrispondono a forme di contrapposizione forte che possono arrivare a punti morti, cioè a situazioni di stallo in cui gli argomenti delle parti sembrano egualmente forti ed egualmente incapaci di modificarsi a vicenda. Situazioni del genere possono corrispondere a diversi livelli di intrattabilità, generando punti morti più o meno difficilmente superabili. Anche se da un punto di vista logico disaccordi come questi possono apparire razionalmente interminabili, da un punto di vista normativo è invece interessante evidenziare l’impegno delle parti contendenti a cercare una soluzione razionale come se la profondità delle divergenze non la impedisse. Infatti, nella disputa, che ha tutte le caratteristiche di un disaccordo intrattabile – in quanto resiste alla risoluzione e non può contare su procedure di mediazione condivise – il linguaggio argomentativo persiste e le condizioni di possibilità per lo scambio di ragioni sono assicurate dal valore intrinseco attribuito alla norma della verità, sia come standard epistemico sul quale misurare l’accuratezza delle evidenze sia come standard metafisico sul quale misurare l’attendibilità di tesi ontologiche. Leggere casi di disaccordo profondo alla luce del modello della disputa consentirà di valutare se la produttività di un disaccordo si misuri necessariamente sulla possibilità di arrivare a una conclusione mutuamente accettabile. Nella contrapposizione forte cui la disputa corrisponde, i contendenti cercano di convincersi reciprocamente della preferibilità della loro tesi e si impegnano a difenderla se richiesti di farlo: dovendosi misurare nella discussione razionale, le opzioni fondamentali che producono credenze su cose prime e ultime si esplicitano, articolando le loro assunzioni più profonde e disponendosi a soppesarle. Il potenziale polemico del conflitto metafisico si fluidifica nel momento in cui è riconosciuta legittima visibilità alle ragioni e alle dinamiche che lo guidano, vincolandolo nello stesso tempo a uno schema di confronto normativo che sembra renderlo significativo indipendentemente dalla sua conclusività. Saranno, inoltre, considerate strategie politiche e giuridiche per la gestione di disaccordi politici riguardanti la giustificabilità di istituzioni, leggi e provvedimenti amministrativi che, se non adeguatamente gestiti, possono causare conflitti tra gli appartenenti a una società politica. In particolare, saranno considerati due tipi di disaccordo, spesso al centro del dibattito pubblico di società pluralistiche: disaccordi che riguardano la regolazione da parte dei soggetti pubblici di atti di disposizione del corpo, sulla cui moralità le persone dissentono, e disaccordi sul ruolo dei soggetti pubblici nella regolazione dell’economia e nella redistribuzione della ricchezza materiale. I disaccordi del primo tipo vertono su pratiche moralmente controverse come, ad esempio, l’interruzione volontaria di gravidanza, la procreazione assistita medicalmente, la “maternità surrogata”, l’alienazione di parti e/o di prodotti corporei, gli interventi chirurgici di trasformazione del corpo, l’eutanasia, il suicidio assistito, e la prostituzione. I disaccordi del secondo tipo, invece, riguardano, ad esempio, la giustificabilità degli interventi dei soggetti pubblici finalizzati a favorire la concorrenza e l’occupazione, a garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro e l’equità dei salari e dei prezzi, a ridurre gli effetti nocivi sulla salute e l’ambiente delle attività produttive, nonché la giustificabilità delle politiche fiscali e delle politiche sociali. Saranno identificati diversi tipi di strategia politica e giuridica disponibili a fronte di simili disaccordi, che saranno valutati in modo comparativo, non solo in base alla loro praticabilità, ma anche alla luce dei loro effetti in termini di inclusione ed esclusione. Un primo tipo di strategia assume che i disaccordi politici possano venir risolti poiché solo una delle posizioni in campo è corretta ed è possibile accertare quale essa sia. Chi ritiene possibile ricorrere a strategie di questo tipo per la soluzione del disaccordo fa appello a criteri e norme dotate di una presunta validità assoluta, che tutte le persone razionali dovrebbero essere capaci di riconoscere. Il problema di tali strategie è che esse non sembrano in grado di orientare la ricerca di soluzioni condivise a fronte di un disaccordo politico che esse anzi tendono a rendere più radicale e dunque più incline a tradursi in un conflitto. In un certo senso, esse non sembrano prendere sul serio il disaccordo politico, che attesta proprio l’impossibilità di pervenire a un consenso su un insieme di criteri e di norme in grado di orientare le decisioni politiche. Il progetto esaminerà altre strategie che sembrano prendere maggiormente sul serio il disaccordo e non si propongono di risolverlo ma solo di gestirlo in maniera pacifica, per evitare che esso si traduca in conflitto. Rientrano in questa categoria le strategie che tutelano, nella forma di diritti fondamentali, ambiti di libertà e di autonomia individuale, entro i quali le persone sono libere di agire secondo il proprio arbitrio senza essere tenute a rendere conto delle loro scelte ad altri. Tuttavia, mentre i diritti di libertà e di autonomia individuale si sono rivelati efficaci per limitare il tradursi in conflitti dei disaccordi sugli atti di disposizione del corpo, essi non lo sono altrettanto in caso di disaccordi di tipo distributivo; non a caso sono stati evidenziati i limiti e le ambiguità della categoria dei diritti civili, in quanto accomuna diritti di libertà e di autonomia individuale e diritti patrimoniali. Altre strategie che non si propongono di risolvere il disaccordo, ma di individuare modalità di convivenza pacifica dato il fatto del disaccordo, adottano meccanismi di tipo procedurale, come il ricorso al compromesso o alla regola di maggioranza per la produzione di decisioni per tutte/i vincolanti (sebbene rivedibili). Particolare attenzione sarà dedicata al compromesso, tradizionalmente considerato una strategia adeguata a fini riconciliatori. Il compromesso, infatti, è solitamente associato a un processo di negoziazione, nel quale ognuna delle parti concede qualcosa in cambio di qualcosa cui tiene maggiormente. L’interpretazione usuale sembra tuttavia trascurare alcuni aspetti cruciali che rendono il compromesso qualcosa di più di una pura e semplice concessione strategica. Nel compromesso, assumono particolare rilevanza elementi quali la persuasione, il reciproco rispetto e la disponibilità a una mutua concessione, mentre, nel caso di altre forme di contrattazione, quali la negoziazione, elementi fondamentali sono la forza, un certo grado di minaccia e diversi tipi di intimidazione. Le parti coinvolte in un compromesso si impegnano a considerare gli argomenti altrui, a entrare in relazione attraverso le diverse forme di discussione a disposizione e sono competenti e disponibili a effettuare concessioni, allo scopo di giungere perlomeno alla fine del processo stesso. La ricerca si propone di esaminare se a diversi tipi di disaccordo corrispondano diverse modalità di compromesso. Per esempio, conflitti e disaccordi tra interessi (o portatori di interessi) non morali ugualmente legittimi e conflitti tra principi (o sostenitori di principi) morali potrebbero portare a esiti differenti, in termini di compromesso. Un compromesso tra principi fondamentali, rispetto a una generica versione di conflitto di interessi (come nel classico caso di interessi economici), potrebbe anche far sorgere il dubbio che la posta in gioco, nel caso di conflitti e disaccordi morali, sia più alta rispetto alla posta in gioco nel caso di conflitti di tipo allocativo-redistributivo. Il compromesso potrebbe allora essere alternativamente inteso come la rinuncia, consapevole e provvisoria, da parte di ogni soggetto portatore di ragioni non componibili, a una piena realizzazione, per non danneggiare le istanze di cooperazione tra individui e per mantenere aperte nel futuro le possibilità di riprendere la disputa e le controversie di fondo. Si tratterà allora di valutare se sia sempre possibile raggiungere un compromesso e, nel caso non lo sia, di capire perché e individuare le condizioni che rendono il compromesso possibile. Inoltre, sarà opportuno verificare se si possa tracciare una distinzione tra principi morali compromettibili e non compromettibili, e verificare se sia possibile accettare un compromesso, senza compromettere la propria integrità morale. Infine, saranno esaminate strategie che, assumendo l’ineludibilità del disaccordo politico, sono pronte a sacrificare il principio dell’eguaglianza giuridica formale e, persino, l’integrità della società politica, per garantire che ogni persona possa vivere secondo il sistema di regole che meglio rispecchia i propri valori. Il paradigma del pluralismo normativo, secondo il quale le persone orientano le proprie azioni sulla base di sistemi di regole distinti e talvolta in conflitto, tra cui il diritto dello Stato, è stato studiato come un dato di fatto all’interno di società culturalmente differenziate. Il pluralismo normativo è stato proposto anche come una possibile soluzione al fenomeno del disaccordo politico, come fonte di possibili modelli di convivenza tra soggetti portatori di culture differenti, che può assumere la forma di un unico ordinamento giuridico che riconosce alle persone la possibilità di scegliere tra differenti sistemi di norme, e/o alle differenti comunità soggette poteri di autogoverno o, addirittura, quella di un “arcipelago” di comunità dotate di sovranità che coabitano uno stesso territorio e le cui relazioni sono basate sulla tolleranza reciproca. Una delle questioni da indagare è se e come nel quadro di simili strategie, la dottrina dei diritti umani possa costituire un riferimento unitario, contribuendo così al trattamento di conflitti (e forse anche alla soluzione di disaccordi) tra norme e principi di diversi ordinamenti. Gli obiettivi teorici qui presentati saranno perseguiti attraverso l’organizzazione di un ciclo di seminari tematici lungo l’arco temporale dell’intero progetto e di convegni su temi rilevanti per il progetto a cura dell’unità locale, nonché attraverso iniziative organizzate congiuntamente con le altre unità e con i centri di ricerca con i quali l’unità locale collaborerà. È inoltre prevista la pubblicazione di articoli su riviste italiane e internazionali, di una monografia tematica e di un volume collettaneo che raccolga i contributi dei membri dell’unità locale ed esponga i risultati della ricerca.
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